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Autore: Evil91    19/05/2011    0 recensioni
Scosse la testa sconfitto osservando il disegno di Radiant vicino a quello della sua chimera.
La sua chimera.
Vederli vicini gli provocò una stretta allo stomaco alla quale non riuscì a non fare caso.
La chimera era un’illusione, un sogno irrealizzabile.
Radiant non gli permetteva di conoscerla e sembrava nascondere qualcosa, possibile che?
[Capitolo 6]
Buona lettura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Appoggiò la guancia sulla mano guardando, svogliato, fuori dalla finestra come se niente all’interno di quella stanza potesse catturare la sua attenzione; neanche la porta che si apriva e si chiudeva dietro di lui, o le risate dei suoi amici che erano appena arrivati.
Era stato il primo ad arrivare in saletta prove e dopo qualche minuto passato ad accordare la sua preziosa chitarra quest’ultima aveva perso ogni interesse e si era ritrovato a fissare il mondo fuori dalla finestra.
Logicamente senza che niente attirasse la sua attenzione.
«Come mai non sento nessuna chitarra che strimpella? Quando il mondo ha iniziato a cambiare?»
Non fece in tempo a rispondere o voltarsi che fu accerchiato dai suoi due amici, con delle espressioni leggermente incuriosite dalla sua strana aria annoiata.
Non sapeva esattamente cosa rispondere, o meglio, non aveva voglia di rispondere.
In quel momento sembrava che qualsiasi parola fosse priva di significato o che non fosse all’altezza della sua persona; strano considerando che lui di solito con le parole ci andava a nozze.
«Nessuna risposta acida, qui è successo qualcosa. Chitarrista che è successo?»
«Mi ha dato del venticinquenne.»
Gli sguardi confusi dei due lo fecero sperare in bene e in nessuna presa in giro, ma le sue speranze furono vane quando vide che dopo l’attimo di smarrimento i due cominciarono a ridere a crepapelle tenendosi la pancia e facendo fatica a pronunciare una qualsiasi frase o peggio ancora parola di senso compiuto.
Sbuffò contrariato e assestò un pugno sulla spalla di entrambi nell’inutile tentativo di far cessare quelle risate pressoché oscene.
«Ma tu hai venticinque anni!», quella piccola osservazione lo fece irritare più del dovuto e si alzò spostando malamente gli amici che per qualche secondo riuscirono a darsi un comportamento dignitoso e poi ricominciarono a ridere facendo assurde ipotesi su chi o cosa potesse avergli detto la sua età e soprattutto in quale contesto poteva averla usata per farlo innervosire così tanto.
«Dovreste smetterla di ridere, potreste morire e io non farei niente per salvarvi.»
«La stronzaggine è qualcosa di insito nel tuo animo, amico.»
«A quanto pare c’è chi mi batte.», non riuscì a nascondere il tono mogio e sommesso con il quale disse quelle parole che erano un chiaro affronto al suo ego di maschio dominatore.
Quello non passò di certo inosservato agli amici che dopo essersi scambiati un’occhiata abbastanza eloquente gli si avvicinarono giusto per dargli conforto anche solo con la loro presenza, nonostante la curiosità di sapere chi aveva ridimensionato così drasticamente il suo ego maschile fosse a livelli mai visti prima di quel momento.
«Chi ti ha dato venticinque anni? Che scusa, ma li porti benissimo.», nonostante fossero amici e sapeva benissimo che stavano cercando di consolarlo, cosa che lui odiava, non potevano evitare di prenderlo in giro per le sue debolezze o incertezze, cosa altrettanto odiata anche quella; e dovette ammettere che forse se l’era cercata un po’, quella presa in giro.
«Una bambina.»
Il suo orgoglio gli aveva sempre impedito di chiedere aiuto e soprattutto di dire ciò che lo turbava come se fosse una lista della spesa; per quello i suoi amici si erano ormai abituati ai suoi lunghi silenzi e alle piccolissime notizie che lui era solito rivelargli e quindi non si scomposero tanto sentendo quella risposta.
«Quanti anni aveva questa bambina? E soprattutto, da quando ti importa dell’opinione delle altre persone?»
«Non lo so quanti anni abbia, ma solo che quella piccola irriverente, smorfiosetta, acida e scontrosa ragazzina mi ha dato del venticinquenne facendomi passare per vecchio!»
Sbottò tutto d’un colpo, ormai stufo di sentire quei sinonimi rimbombargli in testa come se fossero una presa in giro per lui.
«Tu hai prestato attenzioni alle parole di una ragazzina? Cos’è successo per far scontrare il mondo reale con il mitico Gabriel?», fulminò Dani e senza dargli il tempo di scappare gli tirò un pugno bello carico sul braccio, vedendolo massaggiarsi poi il punto ferito con un’espressione afflitta che gli fece nascere un sorriso malevolo sulle labbra; tuttavia quella piccola vendetta non servì a distogliere i suoi pensieri da quella ragazzina di cui non ricordava il nome e che non vedeva da qualche giorno ormai.
Tornò a sedersi vicino alla finestra osservando i passanti per strada e facendo intuire agli altri due che quel giorno non sarebbe stato in grado di combinare nulla, nonostante lui per primo volesse rispettare la tabella di marcia.
Qualche secondo dopo si vide sventolare davanti dei fogli bianchi e li prese al volo ringraziando con un sorriso Alex che si allontanò scrollando appena le spalle e prendendo posto davanti al mixer, incaricandosi per una volta del suo lavoro.
Prese una penna rigirandosela fra le dita, indeciso su quello che avrebbe voluto far con quell’inchiostro che spesso l’aveva aiutato a riordinare i pensieri. Tornò a osservare le persone, che incuranti del suo sguardo, attraversavo chi di corsa chi lentamente la strada sotto i suoi occhi, troppo impegnate nella loro vita che di sicuro non li soddisfava a pieno.
Quasi in automatico con i primi rulli di tamburo la penna iniziò a scivolare leggera sulla carta, macchiandola con segni e piccole sbavature là dove non venivano soddisfatti i suoi desideri.
Ogni tanto si fermava per ascoltare il tipico vibrare delle pareti al suono potente della batteria e del suo batterista e un sorriso sincero spuntava sulle sue labbra, laddove qualche secondo prima c’era un’espressione corrucciata.
Spostando lo sguardo dal vetro al foglio si rese conto di non aver visto realmente il foglio in quegli attimi di totale trance e pace con se stesso; non aveva idea di cosa voleva fare con quella penna e con quel foglio; solo a risultato finito si rese conto che ciò che aveva fatto non era per niente vicino alla realtà che lo circondava.
Appena l’ultimo suono lasciò la stanza nel completo silenzio avverti la presenza dei suoi amici dietro di lui, curiosi di sapere cosa aveva prodotto la sua mano in quei momenti di solitudine dentro la moltitudine; semplice alzò il foglio per farli contenti aspettandosi la solita serie di esclamazioni estasiate o critiche che sempre sopraggiungevano a una sua creazione, qualsiasi fosse la sua natura.
«Direi da brividi.»
«Concordo con il cantante, è semplicemente fantastico.»
Sorrise orgoglioso della sua creazione e fece girare la sedia a rotelle ritrovandosi di fronte i loro sguardi sorridenti e rassicuranti che però non riuscirono a nascondere la nota di inquietudine che li agitava dentro.
«Forza sparate, è solo un disegno.»
«Credo che sia… È una chimera, vero?»
Il chitarrista si limitò ad annuire concentrando lo sguardo sul disegno che non si era reso conto di avere in testa; non aveva mai prestato attenzione ai miti greci e a quelle leggende e quindi non sapeva sul serio da dove potesse venir fuori quel disegno anche perché non ne aveva mai sentito parlare.
Una chimera.
Fissò la coda di serpente come se quella potesse parlargli e dargli una risposta a quello che segretamente stava pensando.
Riprese il foglio in mano e dopo aver sfiorato con la mano il disegno appena concluso decise di non farsi ulteriori domande su ciò che era e lo appese al muro vicino a tutti gli altri disegni nati in quella saletta. Sorrise contemplando le sue opere d’arte e non si accorse della veloce ricerca che i suoi amici avevano appena compiuto su Internet.
«Oltre ad essere un animale mitologico e un mostro, cosa che il tuo non è, ha un altro significato. Attualmente è quello di illusione, utopia… Hai forse un sogno utopico e irrealizzabile di cui non ci hai parlato?»
Rise sommessamente dandogli uno schiaffo sulla coppa per risposta e osservando le immagini che erano apparse sullo schermo del computer.
Non avevano niente a che fare con la sua, la sua era decisamente più bella, più sensuale e più accattivante; aveva un che di perverso e al tempo stesso di lussurioso.
Era semplicemente più bella delle altre; non che fosse perché l’aveva disegnata lui, ma per qualcosa che aveva qualcosa che non riusciva a capire; che derivasse dal modo in cui era disegnata o dal fuoco che sembrava lambire ogni più piccola parte di quella figura mitologica, quasi volesse accarezzarlo come un’amante passionale, non lo sapeva. Sapeva solo che la sua era migliore.
«Ero sovrappensiero mentre disegnavo, quindi francamente non saprei dirvi.»
«Di ma questa piccola irriverente, smorfiosetta, acida e scontrosa ragazzina dove l’hai incontrata?»
«Dani tappati la bocca se non vuoi finire male o sennò collega il cervello alla bocca prima di parlare.», rise vedendo l’amico sbuffare e fare l’imbronciato tuttavia il suo pensiero tornò a fissarsi sulla ragazzina che fino a quel momento era rimasta fuori dai suoi pensieri.
Storse la bocca in una smorfia di insofferenza desiderando ardentemente non fare collegamenti con lei e con la sua vita.
«Vuole farsi il tatuaggio uguale al mio. Non credo nelle coincidenze, prima che voi lo chiediate.»
«E tu sei d’accordo?»
«Certo che no! O meglio, non le avevo prestato tanta attenzione finché non ha parlato e non mi ha coperto di velati insulti, allora da lì sì che mi da fastidio averlo uguale a lei. Devo solo farle cambiare idea.»
«Ma quindi sai chi è?», scosse semplicemente la testa non sapendo che altro aggiungere visto che non si ricordava neanche il suo nome. Solo che iniziava con la erre e non conosceva molti nomi con quella consonante.
«E come hai intenzione di convincerla a cambiare idea sul tatuaggio?»
Si limitò ad alzare le spalle come se la cosa non fosse molto importante.
Il chitarrista non era solito porsi domande su come agire finché non fosse venuto il momento stesso di agire e quindi sapeva che prima o poi l’avrebbe rincontrata.
Dopo quella pausa e aver lasciato libero sfogo alla sua creatività decise che era il momento di concretizzare quel pomeriggio facendo quello che sapeva fare meglio: suonare.
Due ore più tardi furono interrotti dal suono del suo cellulare e mentre le note di “21 guns” dei Green Day riempivano l’aria, Gabe rimetteva dolcemente a posto la sua fida chitarra e rispondeva al numero sconosciuto che lo stava chiamando.
«Pronto?»
«I significati variano da persona a persona. Non puoi pretendere che io rinunci a qualcosa che sento mio solo perché tu sei troppo pompato o mentalmente chiuso, cosa che non dubito, per accettare che io o qualunque altra persona a prescindere possa avere qualcosa di uguale a ciò che possiedi tu.»
Gabe rimase interdetto per le prime parole, ma quando comprese l’argomento della chiamata e riuscì a riconoscere quella voce fastidiosa che stava parlando, certamente con un linguaggio più che appropriato, di argomenti che non era solito discutere al telefono.
«Forse dovresti fermarti e respirare, sai non vorrei che ti potesse succedere qualcosa per questo tuo insano bisogno di mettere in chiaro cose che per me sono più che chiare.»
«Allora tu dovresti scendere dal piedistallo in cui ti sei messo da solo e ricordare che sei semplicemente un essere umano come tutti noi e non un Dio sceso in terra.»
«Veramente sono un supereroe.»
Trattenne le risate nel tentativo di essere serio, nonostante le risate dei suoi amici giungessero alle sue orecchie come una tentazione a cui era difficile cedere.
«E io il cattivo di turno.»
Quella risposta lo immobilizzò e gli si congelò nella mente mentre il suo sguardo sospettoso si posava sulla sua chimera. Decise di non rispondere, visto che un’insana idea stava prendendo forma nella sua mente e voleva avere tutto il tempo di ragionarci su e poi a quel punto non aveva molto con cui poter ribattere alla ragazza.
«Uno a zero per il cattivo. Supereroe. Io starei seriamente in guardia che se continui così demolirti sarà un gioco da bambini.»
«Dove sei?»
Il silenzio che accolse la sua domanda gli fece intendere che era arrivata inaspettata e come tale aveva spiazzato il ricevente che in quel momento stava trattenendo il fiato dall’altra parte della cornetta; ghignò immaginandosela in difficoltà e alla ricerca di una possibile risposta con la quale, magari, spiazzarlo a sua volta.
«Non ti interessa.»
«Invece mi interessa molto, visto che vorrei offrirti un caffè e magari discutere di questa cosa di persona, che ne dici?»
«Dico che sei solo un chitarrista con la testa montata. Fra mezz’ora in galleria.»
Non ebbe il tempo di rispondere che dall’altra parte si sentì il classico suono di quando la comunicazione viene chiusa; rimase a fissare il cellulare nella mano che di certo non poteva, da solo, riprendere quella telefonata.
 
 

  
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