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Autore: edwardandbella4evah    17/05/2011    9 recensioni
Courtney e Duncan ai tempi dell'Olocausto. Courtney è un'Ebrea, Duncan un soldato tedesco.
TRADUZIONE ♪
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan | Coppie: Duncan/Courtney
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale
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“Svegliati, svegliati Prinzessin!” un violento calcio mi svegliò dal mio sonno senza sogni. Mi alzai barcollando, strofinandomi la coscia sofferente. Guardai il volto dell’uomo, iniziando a tremare quando realizzai che era lo stesso uomo che mi aveva violato la scorsa notte. Mi sentivo così violata, ero stata toccata da un Tedesco. Un mostro buono a nulla. Qualcuno con cui non dovrei nemmeno parlare, figuriamoci lasciarmi toccare a quel modo. Come ha potuto farmi una cosa del genere? Perché proprio io tra tutta quella gente? Non poteva scegliere qualcun altro, qualcuno in una condizione peggiore o con molto meno cervello? Il mio corpo si sentiva debole, scartato. Come se avessi fatto il bagno nel fango per maiali. Lo guardai, aveva un sorriso grave sul volto.
“Qui è dove starai, benvenuta ad Auschwitz” disse, mentre io strabuzzavo gli occhi. Auschwitz era il nome di uno di quei campi. Campi di lavoro…dove morirono in molti.
Pensavo che questi campi fossero solo dicerie; solo delle stupide storie per spaventarci. Mi svegliai completamente quando lui mi trascinò avanti.
Non potevo lavorare; non avevo lavorato un solo giorno in vita mia, tranne che per insegnare le lingue ai bambini. La mia famiglia era ricca nella mia vecchia città, prima di essere ricollocati nel ghetto. Avevo domestici, ed anche cameriere.
Non sapevo come si cucinava o si puliva. E se mi avessero ucciso perché non riuscivo a lavorare?
“Piantala Courtney”, provai a dire a me stessa. Sono una che impara velocemente, devo vivere.
Devo rivedere mia madre. Devo vivere per papà.
“Per quanto tempo ho dormito?” . Chiesi, accorgendomi di come i miei pori fossero scoloriti e di come puzzavo malamente. Lui mi slegò le braccia ed io le strofinai, poi toccai i miei capelli e sentii quanto fossero gelatinosi.
“Circa due giorni” . Avevo dormito due giorni, com’era possibile? Potrebbe essere che mi abbia iniettato dei sedativi mentre dormivo per farmi restare addormentata? E se mi avesse violentata nel sonno? Velocemente osservai il mio corpo cercando segni di puntura o di iniezione, ma non ne trovai. Provai a prendere un profondo respiro per calmarmi, ma l’aria polverosa mi riempì i polmoni, e cominciai a tossire pesantemente. La mia gola si sentiva secca ed arida, ed avevo un gran bisogno di acqua per placarla.
“Mi vedrai in giro per il campo, ma non aspettarti che ti tratti diversamente” . Annuii, salvando la mia gola da un ulteriore uso.
“Posso avere un bicchiere d’acqua? E sarebbe bello anche poter fare una doccia” . Lui sogghignò ed iniziò a ridere di me mentre alzavo un sopracciglio confusa. Anche nel ghetto mi era permessa una doccia calda. Non era molto privata, ma era pur sempre una doccia. Si fermò, pensando che la mia domanda avrebbe potuto essere uno scherzo, ma, quando vide la confusione nei miei occhi, sogghignò e spiegò velocemente.
“Sei proprio una Prinzessin. Quale parte di “nessun trattamento speciale” non capisci? Sei una müll, una shmatte, immondizia. Capisci? Sei un indegno pezzo di spazzatura” .
Restai in silenzio, trattenendo le lacrime. Sogghignò ancora e mi spinse all’indietro, inciampai e caddi ma rifiutai di emettere alcun suono di dolore.
“Non preoccuparti, Prinzessin, farai le tua doccia. Tutti voi shmatte siete sporchi quando arrivate al campo, per prima cosa dobbiamo pulirvi. Non possiamo permetterci che vi ammaliate. Se ti ammali, muori” . Rabbrividii, tentando di trattenere un altro giro di tosse. Come sapeva cos’era uno shmatte? Era una parola giudaica. Non poteva essere ebreo ed avere tutto questo odio nei nostri confronti.
“Come sai il giudaico? Sei Tedesco” . Si oscurò in volto e si voltò. Gli ci vollero pochi istanti per raccogliere se stesso e girarsi di nuovo verso di me.
“L’ho appreso da altri Ebrei nel campo. Ora smettila di kvetsch ed alzati. Compiangerti non ti farà del bene” . Sogghignò, usando ancora un ‘altra parola giudaica.
“Certamente, shmendrik Tedesco” sogghignai, sentendomi come se avessi avuto l’ultima parola. Potevo anche giocare al gioco del nome con lui. Mi accorsi di quanto mi sbagliavo quando lui improvvisamente mi sollevò e mi sentii senza peso, e mi gettò contro il muro. Non ebbi il tempo di avvertire il dolore che mi alzò velocemente e mi diede un violento colpo allo stomaco.
“Non sopravvivrai mai qui. Impara un po’ di rispetto. So che può sembrarti difficile da fare e tutto, Prinzessin, ma sei vuoi sopravvivere, sarà meglio per te. Capito? “ ruggì, mentre tentavo di alzarmi, stringendomi il ventre dal dolore mentre le lacrime scorrevano sul mio volto.
“S-sì signore” . Sogghignò malignamente per un istante ma non disse nulla. Mi sollevò, io sibilai dal dolore ma lui ricambiò schiaffeggiandomi in faccia. Aprì la porta e mi condusse fuori tirandomi per la lunga treccia.
Mi trascinò attraverso lo sporco sentiero, mentre io restavo in silenzio, tentando di soffocare le lacrime e di far passare il dolore.
Vidi molti camion , mucchi di persone e famiglie spinti fuori di essi come me. Mi guardai intorno, questo posto mi spaventava a morte. Grandi recinti di filo spinato circondavano ogni cosa, facendomi sentire in trappola, come un prigioniero. Guardie e soldati sorvegliavano ovunque, dando a colui che mi aveva catturato un brusco cenno del capo riferendosi a me. Era comune per le guardie prendere giovani ragazze come prigioniere? Mi sentii fuori posto, e terrorizzata al pensiero di non rivedere mai più mia madre. Un’insegna poco lontano diceva “il lavoro rende liberi” . C’erano delle tinozze d’acqua, dove stavano bevendo dei cavalli. Passammo accanto a loro, e sussultai d’orrore quando vidi un bambino morto galleggiare sull’acqua. Il Tedesco mi strinse la mano e, come ci avvicinammo, vidi più morti, e fui improvvisamente felice di essere venuta insieme a questo Tedesco che con gli altri.
“Zur hoelle mit dir”, mormorò crudelmente sotto il suo respiro. Tremai, sperando che non stesse parlando di me. Lui mi rialzò e mi spinse verso la folla di persone, cominciando a parlare.
“Qui sarai preparata per lavorare. Non sarai trattata come una Prinzessin, e quasi certamente non ci somiglierai nemmeno. Nessuna guardia ti tratterà tanto bene quanto l’ho fatto io”. Stavo per dire qualcosa di antipatico, ma mi trattenni, nel caso in cui m’avesse dato altre istruzioni utili.
“Non puoi ammalarti qui, in nessuna circostanza. Ti ammali, non puoi lavorare, e ti mandano lì” . Indicò una specie di capannone, solo più grande, il cui camino stava vomitando fumo nero che puzzava in un modo disgustoso. Mi colpì allora, la ciminiera. Gli Ebrei venivano bruciati quando non potevano lavorare. Annuii gravemente in segno di comprensione.
“Sarai il mio giocattolino qui, ho deciso di tenerti, Prinzessin. Ogni notte, sarai scortata da altre guardie ai miei alloggi. Non dovrai parlare con loro, e non sarai irrispettosa come lo sei con me, perché loro non ti perdoneranno tanto facilmente e verrai punita. Farò di te come mi pare, e tu non rifiuterai, capito? “ . Le lacrime fuoriuscirono dai miei occhi ed annuii, sperando cose che non potevo ottenere.
“Non ti rivolgerai a me in altro modo, o attaccherai discorso con me se mi vedi nel campo. Ti sparerò, paperella, e sarai rimpiazzata facilmente. Non capisci quanto sei fortunata”.
“Come posso rivolgermi a te quando siamo…” deglutii a fatica e soffocai la parola “…soli?”. Lui sogghignò, vedendo che capivo la situazione in cui mi trovavo.
“Chiamami Duncan. Sei stata una brava piccola anatroccola per me e mi hai lasciato fare come mi pareva di te, così ho deciso di farti rivedere tua madre ed i tuoi amici…finchè sono ancora vivi” . Mi spinse in avanti mentre guardavo la marea di gente alla quale ci stavamo avvicinando. Individuai velocemente mia madre, sporca e terrorizzata, tra la folla. Mi ravvivai e corsi verso di lei, chiamandola. Lei velocemente mi riconobbe e mi abbracciò, le lacrime che scendevano su entrambi i nostri volti.
“Oh…oh…yalda sheli…” cantava, iniziando a parlare in ebraico e a cullarmi avanti e indietro.
“Mamma…sto bene, davvero. Non mi ha fatto nulla, tranne che picchiarmi un po’” mentii per metà in un tentativo di farla sentire meglio.
“Mifletzet…oh vey…Grazie a Dio non ha…”
“ Lo so…Mamma, ero così spaventata…” soffocai, iniziando a singhiozzare. Lei mi strinse più forte, carezzandomi la testa e baciandomi le guance. “Mamma, dove sono tutti? Leah, Reuben, Yitzchak, Rivkah, Eliana, tutti?” . Lei indicò cupamente la famiglia, Eliana che stringeva suo figlio al petto, Leah che tratteneva dei terrorizzati Rivkah e Reuben, ed uno Yitzchak cupo.
Annuii tetramente quando le guardie si avvicinarono al grande gruppo di gente ebrea.
“Uomini a sinistra! Donne a destra! Schnell, schnell! “ gridarono, persone correvano ovunque. Reuben fu strappato via dalla madre, Yitzchak promise di prendersi cura di lui. Rivkah ci riconobbe, e quando fu separata dalla famiglia venne da noi, e noi ci riunimmo, fuori di testa dalla paura. Guardie e soldati ci guidarono in una delle caserme, dove fummo tutte stipate e forzate a stare nella larga, solitaria stanza.
Un’alta donna asiatica, con lunghi capelli scuri venne verso di noi. Ci osservò dall’ alto verso il basso, sprezzante ed aggrottando la fronte.
“ Voi Ebrei, siete tutti zugangi, nuovi venuti. Il peggio del peggio. Anche peggiori dei ratti”. Mi guardò altezzosa, facendomi sentire inferiore. Il fatto che era Tedesca, e poteva farmi peggio di quello che mi aveva fatto Duncan mi fece ricordare il suo avvertimento precedente.
 
“Nessuna guardia ti tratterà tanto bene quanto l’ho fatto io”
 
Rabbrividii leggermente sapendo che, per i Tedeschi, ero uguale a tanti altri Ebrei qui senza distinzione di condizione o classe. Altre ragazze mi guardarono scioccate per la mia strana manifestazione di emozioni, non avendomi mai visto prima se non quando una forte donna asiatica mi osservò dall’alto verso il basso, fermandosi al petto.
“ Tu, col vestito marrone” si rivolse a me. Guardai i suoi occhi grigi e senza cuore, e lei sorrise crudelmente.
“Dammi la tua collana. Starebbe bene su di me” .
Rimasi a bocca aperta, insieme a mia madre. Portai la mano alla mia collana, toccandola delicatamente.
“No! E’ mia, mio padre me la diede prima di morire!” urlai, con veemenza nella mia voce. Lei si avvicinò e mi schiaffeggiò duramente su entrambe le guance prima di darmi un pugno allo stomaco. Iniziai a piangere silenziosamente, una mano sulla mia guancia che bruciava per il colpo.
Ritirai la mano e vidi una sottile linea di sangue. La donna indossava degli anelli sulle dita, quando mi aveva schiaffeggiato. Gli anelli probabilmente mi avevano tagliato, questo spiegherebbe la pungente, bruciante sensazione sulla mia guancia.
“Non dirai mai no qui, Hundin, non se vuoi vivere” mi sputò in faccia,  mentre mi ritraevo per il colpo basso. Reagii facendo un passo in avanti, mostrandole che non ero spaventata.
“Vivrò” ringhiai, lei indietreggiò e sorrise maliziosamente.
“Allora dammi la preziosa collana del tuo paparino, s’intona alla mia uniforme”.
Lentamente e con riluttanza, sciolsi la collana da dietro, e gliela porsi. Lei sorrise, sputandoci sopra e strofinandola per farla splendere, poi se la mise al collo magro.
“Sono Blokova Heather. Dovete rivolgervi a me, per qualsiasi cosa, come Blokova. Ed ora, dovete andare tutte lì” , disse, indicando un corridoio lungo e stretto. Rabbrividii dal nervosismo, ma neanche il freddo aiutò.
“Schnell, zugangi, se non avete ancora capito cosa significa, sarà meglio per voi che lo impariate velocemente, o morirete”. Capii che significava “veloce”, o “presto”. Ci affrettammo tutti per il lungo corridoio,  e ci trovammo in un’altra grande stanza, vuota. La piccola Rivkah venne affianco a me ed io la strinsi forte tra le mie braccia, come per proteggerla. Donne e ragazze iniziarono a parlare tra loro prima del ritorno di Heather, e quando lo fece, era più scorbutica di prima.
“Silenzio! Silenzio!” urlò, alzando le mani come se avesse autorità su di noi. “ Dato che puzzate e siete più sporchi della spazzatura per il vostro viaggio qui, dovete fare una doccia. Spogliatevi qui, e fatelo in fretta così possiamo tenervi composti” . Eliana restò a bocca aperta, stringendo più forte il suo bambino.
“Proprio qui? Davanti a tutti? “ Heather sembrava disgustata e sconcertata.
“Non avete ancora imparato la prima regola qui? Farete qualunque cosa vi diciamo di fare, e non replicherete. Ora spogliatevi velocemente, prima che i soldati maschi entrino. E tu” indicò verso di me “ sciogliti la treccia” . Annuii, chiedendomi il perché.
Cominciammo tutte a spogliarci lentamente. Mi chinai e lentamente sciolsi le scarpe, pensando tutto il tempo; cosa sarebbe accaduto dopo?
Dopo dieci minuti, eravamo tutte in piedi e nude, tremanti dal freddo. Ero vicina a mia madre, lei mi stava sciogliendo la treccia, lunga e stretta. La porta si spalancò, e due guardie di sesso maschile entrarono. Mi chinai, i miei lunghi capelli che coprivano il seno nudo e le mani che cercavano di coprire tutto il resto. Come osavano mandare i maschi per venire a vedere le donne, quei bastardi malati. Alzai lo sguardo, notando che una delle due guardie era Duncan. Il suo sguardo offuscato che cercava di non guardare il mio corpo nudo. Non osai tradire le sue regole e ammettere che sapevo chi era.
“Nelle docce signorine, e poi dal barbiere” . Quasi soffocai quando la mia testa scattò. Duncan non mi guardava, le sue labbra contratte in un sogghigno quando vedeva le altre ragazze nude. Chazzer malato. Non ci pensai molto, barbiere non poteva significare nulla, non poteva significare nulla, cercai di rassicurarmi quando le guardie ci spinsero alle docce.
Guaii quando l’acqua fredda mi colpì la schiena, faceva un freddo glaciale. Provai ad assorbirlo, come provai a lavare il mio corpo, e i capelli lunghi, cosa difficile da fare dato che non ci avevano dato del sapone. Inclinai la testa all’indietro per bere un po’ d’acqua. La gola mi ringraziò profusamente quando bevvi fino ad avere lo stomaco pieno. Improvvisamente l’acqua si arrestò e fummo introdotte da soldati urlanti e da guardie nella stanza accanto.
I nostri vestiti erano scomparsi, e non avevamo nulla con cui cambiarci. Neanche degli asciugamani per asciugarsi. Tremai, stringendomi nelle spalle incrociando le braccia sul mio petto nudo. Alcune ragazze iniziarono a piagnucolare e dovetti ricorrere a tutto il mio coraggio per non unirmi a loro. Aspettammo dieci minuti, tremanti, nella fredda stanza oscura quando una porta si aprì dall’esterno e Duncan entrò a grandi passi, un debole, tetro prigioniero sotto il suo braccio.
“Ecco il barbiere. Voi donne farete una fila e faremo questo lavoretto. Niente capelli, niente pidocchi” . Una mano lasciò il petto per stringere i miei capelli. Guardai Duncan, il quale ancora allontanava il suo sguardo da me, ma notai che sorrideva quando vedeva gli sguardi terrorizzati sui volti delle ragazze. Guardai con orrore quando il cosiddetto barbiere, per niente esperto, tagliava i capelli delle donne, di solito tirando via grandi ciuffi con le sue grandi forbici. Fu subito dopo la prima donna che iniziai a frignare, ma non ancora a piangere; tentando ancora di essere forte. Mia madre si alzò e cercai di guardarla orgogliosamente quando i suoi capelli vennero rasati, l’ammirai, sapendo che non avrei mai potuto essere orgogliosa come lei. La piccola Rivkah urlò e singhiozzò come il mio pensiero si rivolse a lei, mia madre la strinse forte quando il barbiere le tagliò i piccoli ricci, facendola singhiozzare più forte.
Quando arrivò il mio turno, vidi la testa di Duncan scattare, sentendomi imbarazzata tutto il tempo.
Duncan non distolse lo sguardo quando emisi un piccolo gemito, sentendomi molto infantile, soprattutto quando tutte le donne più anziane mi fissarono, alcune con vergogna, altre con pietà. Iniziai a singhiozzare quando iniziò a rasarmi grandi ciuffi di capelli e chiusi gli occhi, non volendo guardare nessuno, e fregandomene di restare forte. Quando terminò il suo lavoro, aprii gli occhi e vidi lunghe ciocche e pezzi di capelli sul pavimento, mi morsi il labbro per non gridare, e mia madre mi strinse tra le sue braccia. Non osavo mettere una mano sulla mia testa per vedere cosa era rimasto dei miei capelli. Guardai Duncan, il quale sogghignò soltanto per il mio momento di debolezza,  e quando incidentalmente camminai accanto a lui per raggiungere le panche, rise un po’, ed io resistetti dal voltarmi e dargli uno schiaffo.
Ci sedemmo su una panca per molto tempo, nude, senza capelli e tremanti. Dopo un po’,  non si avvertiva più il tempo che passava e l’unico suono che si udiva era lo snick-snack delle forbici e l’urlo occasionale o il pianto delle vittime del barbiere, nessuno tanto isterico quanto il mio.
Tempo dopo, Heather entrò di nuovo nella stanza, osservandoci tutti, ed una volta che i suoi occhi incontrarono i miei, mi squadrò sorridendo vittoriosamente. Guardò Duncan, e la vidi lanciargli un sorriso ammiccante, e lui lo ricambiò gravemente.
“Schnell! Sbrigatevi, nella stanza accanto! Avete bisogno di vestiti!” ci alzammo tutti ed io presi la mano di Rivkah, guidandola con me. Lei iniziò a succhiarsi il pollice, e notai che le sue labbra cominciavano a diventare blu. La stanza aveva un lungo tavolo con vecchi, vestiti disgustosi che sembravano shmatte. Feci una smorfia prendendo esitante una maglia blu.
“Scegli, Ebrea” disse lei, rivolta a me “ Non puoi essere schizzinosa adesso” .
Le parole precedenti di Duncan mi risuonarono in testa.
 
“Non sarai trattata come una Prinzessin, e quasi certamente non ci somiglierai nemmeno”
 
Aveva ragione, i capelli rasati, i vestiti logori. Certamente non adatti per una principessa. Nel mucchio raggiunsi e tirai fuori un vestito rosa, fortunatamente non puzzava così tanto ma non mi avrebbe tenuta al caldo, ed il tessuto era scomodo. Lo poggiai sul braccio velocemente e sussultai di pura gioia quando trovai un paio di vecchie mutande e una canottiera da indossare sotto il vestito. Non importava se era usato e vecchio. Solo trovare qualcosa qui sembrava un miracolo. Indossai tutto velocemente. Il vestito non mi stava bene, era informe e prudeva, e ci tremai dentro. Provai a non pensarci aiutando la piccola Rivkah a scegliere un paio di pantaloncini blu e un top verde. Sfortunatamente, non riuscii a trovare un paio di mutande per lei. Trovai due maglioni un po’ troppo larghi per noi e ne indossai uno, grata per il poco calore che forniva sul mio sottile vestito.
Una volta vestite, fummo subito introdotte in un’altra stanza. Fummo costrette a fare una fila al termine della quale ragazze e donne si sedevano ed un uomo lavorava su di loro, non riuscivo a vedere cosa stava facendo dal mio posto in fila, così aspettai impaziente il mio turno. Quando toccò a me mi sedetti ed un uomo con un volto senza sorriso mi guardò tristemente.
“Qual è il tuo nome? E l’età?”
“Courtney. Courtney Politzer. Ho diciassette anni”. Abbassò tristemente lo sguardo e premette una cosa dura di metallo sul mio braccio. Provai a togliere la mano, ma me la trattenne con l’altro braccio, espertamente dato che ci aveva avuto a che fare almeno un milione di volte. Faceva davvero male, soffocai i singhiozzi ed iniziai di nuovo a piangere. L’ago pungeva quando toccava la mia carne, e quando il tatuatore lo allontanava per ricaricare velocemente l’inchiostro, la pelle bruciava, e potevo vedere una sottile linea di sangue dove il mio braccio era abituato ad essere puro e indenne. Quando finì sul mio braccio lessi J17492.
“Qualunque sia stato il tuo nome, scordatelo. Ricordati il tuo numero, o morirai” mi alzai quando gridò “Il prossimo!” e vidi mia madre che stringeva in grembo una piangente Rivkah quando anche il suo braccio fu tatuato. Dopo quella che sembrava un’eternità, fummo tutte assegnate ad una baracca. I muri erano scarni e scoloriti, i ratti correvano senza una meta, come solo per spaventarci.
Ero disgustata alla vista. Quelli che sembravano dei letti a castello erano disposti in giro, ce n’erano molti. Io e mia madre coricammo Rivkah in uno di essi, con la promessa di cibo e calore per l’indomani.
Improvvisamente, un rumoroso bussare arrivò dalla porta ed una donna andò ad aprire. Un soldato stava in piedi all’ingresso, osservandoci tutte,i suoi occhi che s’imbatterono in me.
“Il Comandante Duncan mi ha chiesto di scortare il numero J17492 ai suoi alloggi” affermò, ed io spalancai gli occhi. Dopo tutti gli eventi già accaduti oggi, cos’altro avrebbe potuto infliggermi? Mi alzai cupamente, ignorando le occhiate scioccate di mia madre, di Leah, di Eliana, e di tutte le altre donne, e lasciai che il soldato mi scortasse ai suoi alloggi.
Attraversammo molti luoghi e sale mentre notavo che i comandanti sembravano tutti divertirsi. Resistetti alla tentazione di sputare a terra. Mormorai “diavoli dall’inferno” sotto il mio respiro, non abbastanza forte da farmi sentire. Mi guidò nella stanza scura e una volta lì, mi spinse dentro e chiuse la porta. Duncan alzò lo sguardo dal suo posto sul letto e mi fece segno di sedermi. Mi osservò dall’alto in basso, anche passando una mano sulla mia cenciosa testa macellata e togliendomi il maglione per esaminare il mio vestito rosa e informe.
“Ti avevo detto che non saresti somigliata ad una Prinzessin…” disse tranquillamente dopo un po’, distogliendo amaramente lo sguardo, io fissavo il pavimento ma lui mi alzò rozzamente il mento.
“Non potevi scegliere un abbigliamento diverso, però? Un vestito non è adatto a questo ambiente, dovrai lavorare, non scorrazzare da una festa all’altra. Ti ammalerai subito. Dovevi solo sembrare una Prinzessin, non è vero?”
“Non somiglio ad una Prinzessin” , sospirai amaramente. Per un istante mi poggiò una mano sulla faccia, poi subito si alzò e la tolse, come se gli bruciasse avere una mano sulla mia faccia. Strofinai la zona dove prima vi era la sua mano, tentando di sbarazzarmi del tocco persistente e della sensazione di sporcizia che aveva lasciato sul volto.
“Ti sei resa ridicola oggi, singhiozzando in quel modo. Sono solo capelli, non è la fine del mondo, uccellino” Si prese acidamente gioco di me, facendomi sentire imbarazzata ed inferiore. Non sembravo spesso una debole, ma odiavo quando la gente mi vedeva in quello stato. Non osavo parlare, già troppo irritata per l’esito di quel giorno per fornire una rimonta o una controffensiva.
“Avresti potuto avvertirmi” finii col dire. Era tutto quello che potevo dire al momento. Lui sospirò e mi guardò, un accenno di un sogghigno sulla sua bocca.
“Avrebbe rovinato tutto il divertimento” . Volevo dargli uno schiaffo così forte, lo desideravo ardentemente, quel bastardo egoista. Stupido bastardo Tedesco.
“Tirati su uccellino, le cose non peggioreranno più di tanto. Ti ho appioppato un lavoro facile.Non puoi sbagliare in nessun modo” .
“Che lavoro?” chiesi docilmente.
“Servizio di lavaggio stoviglie, insieme a servire il cibo ai tavoli durante i pasti” disse con un sogghigno. “Ho pensato che per una Prinzessin come te sarebbe stato meglio un lavoro del genere che trainare il legno” Aggrottò le sopracciglia quando non risposi, ed iniziò a giocherellare leggermente con i miei pollici.
“Non so come fare dei lavoretti così, perché nel shtetle, avevo persone che li facevano per me” Lui alzò gli occhi su di me e mi guardò semplicemente, rimproverandomi con lo sguardo.
“Tu sei davvero, davvero una Prinzessin. Non ti preoccupare, sono sicuro che puoi imparare abbastanza velocemente. Qualcosa mi dice che sei una che impara in fretta. Inoltre, questo lavoro non ti farà ammalare tanto velocemente” . Al pensiero del lavoro stesso, pensai al cibo. Mi sentii improvvisamente molto affamata. Non sono mai stata una che mangia pesantemente, ma niente cibo per tre giorni era troppo. Gemetti e Duncan aspettò che mi spiegassi.
“Ho fame. Non mangio da giorni. Sono sicura che non hai mai sentito questa sensazione, Tedesco” commentai malignamente mentre lui, semplicemente, ridacchiava cupamente. Si girò, e frugò in una piccola borsa di tela ruvida, dalla quale tirò fuori una mezza fetta di pane.
“Ho capito che ne vorresti un po’, Ebrea, tutti sanno come ci si senta ad essere affamati. Ma questo pane ha un prezzo” .Teneva il pane verso di me quando sentii il mio volto infiammarsi. Anche se non volevo accettare il pane, non ho potuto fare a meno di chiedermi quale fosse il “prezzo”.
“Che tipo di prezzo, non ho soldi con me se è quello che intendi”. Iniziò di nuovo a ridere,  e giocò col pane come se fosse una palla, soltanto lanciandolo in alto e prendendolo mentre io lo fissavo affamata.
“Sono un uomo, Prinzessin, e chiedo favori. Favori sessuali” affermò senza mezzi termini mentre il mio volto diventò rosso al pensiero. Fare sesso con un Tedesco era una cosa impura, volevo solo un uomo Ebreo, e non avrei mai toccato questo mostro se potevo farne a meno.
“No. Mai. Non toccherei mai un sudicio, viziato, chazzer che gode a uccidere come te. Neanche se stessi per morire”. Lui si strinse nelle spalle, gettando il pane di lato e disse “ come vuoi” . Il mio stomaco brontolò mentre guardavo così tanto il pane e mi sentii uno schifo perché il pane era andato, anche se non avrei mai fatto quello che mi aveva chiesto.
“Che vuoi farmi stasera?” chiesi preoccupata, chiedendomi se non avesse intenzione di farmi peggio dell’ultima volta. Rabbrividii, iniziando a tremare.
“Ho deciso che hai passato abbastanza oggi. Penso di voler solo conoscere un po’ la piccola Prinzessin stasera”. Restai a bocca aperta; un Tedesco voleva conoscere me, un’Ebrea. Qualcuno che disprezzava così tanto. Perché mai vorrei conoscerlo? Sebbene fosse bello, era un mostro. Un dannato mostro dall’inferno che uccideva piccoli bambini, donne e uomini per il proprio piacere.
“Perché mai dovrei raccontarti di me stessa? Ti odio. Sei un fottuto mostro! Puoi rivedere tutto quello che è successo oggi, e non sentire un cazzo di niente! Uccidi i bambini e gli indifesi, donne e uomini per il tuo stupido piacere da egoista. Sei figlio di una fottuta puttana, e non vorrei mai, mai avere a che fare con tipi come te”. Ridacchiò ancora e i suoi occhi si offuscarono. Prima che me ne rendessi conto, mi lanciò sul pavimento e si mise a cavalcioni su di me. Mi prese a pugni in faccia dove faceva più male, ed io sibilai dal dolore.
“Sì ma, non hai realmente una scelta. Sei il mio giocattolo. Potrei anche stuprarti subito, e fregarmene di farti del male. Ti sto dando una scelta, nessun altro Tedesco la darebbe ad un’Ebrea come te. Allora, quale sarà la tua, Prinzessin?” sospirai tremante, e mi portai le ginocchia al petto. Non avevo realmente una scelta in questa situazione, o essere violentata, o soltanto parlare con un Tedesco.
“Cosa vuoi sentire?” borbottai amaramente, gli occhi rivolti allo squallido pavimento.
“Raccontami di te, e fanne una storia. Tutti i bastardi qui sono stupidi e senza fantasia” rispose irriverente e si appoggiò contro un muro, guardandomi con i suoi occhi blu intenso.
“A casa, vivevo con mamma e papà, ed eravamo felici” .
“Perché eravate ricchi?” m’interruppe bruscamente Duncan, lanciandomi un’occhiata gelida.
“No. Perché papà era ancora vivo” tagliai corto sollevando il mento, non ero così superficiale da pensare che i soldi facevano la felicità.
“E’ morto in uno dei nostri campi?” chiese Duncan compiaciuto.
“N-no. Una malattia che si stava diffondendo l-lo colse” balbettai, il mio orgoglio che svaniva nel giro di pochi secondi mentre fissavo lo schifoso pavimento sporco, osservando un ragno che si accingeva a catturare la preda. “E-e anche se…anche se il m-m-medico diceva che si sarebbe…” mi fermai, soffocando un singhiozzo. “..ripreso…non lo fece”. Le lacrime scorrevano sulle mie guance e non mi preoccupai di asciugarle, non m’importava.
“Smettila di piangere” disse Duncan duramente, poggiando il suo pollice sotto il mio mento, costringendomi ad incontrare i suoi occhi blu.
“Non hai ancora sofferto nulla. Ritorna da tua madre, avrai bisogno di dormire per domani”. Sogghignò ed indicò la porta. Mi alzai goffamente ed inciampai nei miei due piedi mentre quasi correvo alla mia baracca.
 
  
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