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Autore: FredricK_Noushi    30/01/2004    3 recensioni
"E allor sire, cingero' l'umanita' di catene d'oro tanto pesanti che troveranno indegna qualsiasi altra situazione"
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tante e tante primavere tra la rivolta dello scimmiotto Son Goku e la venuta delle sacre scritture dall’India, raccontano foss

L’amante delle menzogne

 

 

Tante e tante primavere, tra la rivolta dello scimmiotto Son Goku e la venuta delle sacre scritture dall’India, si racconta sia esistito un imperatore di nome Wu-Ta-Nong. I suoi regni si estendevano fin dove l’occhio umano poteva perdersi, tra le sconfinate steppe a nord, le fitte giungle a sud, i mari tempestosi ad est e gli impervi monti ad ovest. Di palazzi ne aveva cento grandi come villaggi, la gloria del mondo, di ministri diecimila, più saggi degli dei, di soldati a milioni forti come demoni. Ove si stendeva il suo sguardo, i problemi cessavano, ove si allungava la sua mano nasceva ricchezza e fino agli estremi confini del mondo giungeva il suo orecchio presto ad ascoltare le sventure. Tanta era la sua gloria che la viva luce risplendeva nella sua anima e il suo bagliore salì in cielo, accecando la corte celeste, offendendola mortalmente. E quello stesso giorno, tutte le divinità del cielo e della terra entro le cinque colonne dell’universo, fecero un patto di vendetta contro di lui.

 

E dalle sconfinate steppe del nord, guidata da diecimila orchi calò un orda di milioni di predoni, per devastare tutta la terra bagnata dal fiume giallo. Le lame che brandivano erano letali come la morte, le armature che li avvolgevano robuste come il ventre della terra e i loro cavalli cavalcavano nell’aria perché la terra stessa si ritraeva a tanta malvagità, ma quando l’esercito imperiale gli affrontò in battaglia caddero tutti sotto le frecce e l’imperatore stesso si distinse abbattendone mille in un colpo solo.

E gli sconfinati mari dell’est vomitarono un esercito di guerrieri veloci come serpenti e lesti come manguste, tanto abili con la spada quanto con la mente, capaci con un solo fendente di spaccare una montagna, ma quando la guardia imperiale gli si parò davanti, a nulla valse la loro maestria contro l’abilità e la fedeltà dei pretoriani e caddero tutti come fiori di ciliegio in primavera.

E allora vennero dalle intricate foreste del sud fiere d’ogni specie e razza, artigliate o unghiate, tutte assetate di sangue, tutte capaci d’ogni genere di malvagità e li guidavano cento e cento draghi, antichi come il mondo, saggi come i celestiali, distruttivi come il fuoco, ma quando i cento maghi della corte scagliarono potenti magie tanto da squassare i mondi terreni e divini, di loro rimase un po’ di cenere fumante. 

E allora la corte celeste mobilitò un immenso esercito, ognuno dei suoi soldati era potente quanto mille demoni, rapido come cento draghi e resistente quanto dieci orchi, la più degna armata che mai vide il cielo e li guidavano il figlio delL’Imperatore di giada, sovrano di tutti gli dei, quel gran signore che aveva affrontato lo scimmiotto ribelle in battaglia, colui che solo al padre è secondo in gloria. Scese sulla terra e le montagne si inchinarono, i fiumi si ritrassero e ogni gente del mondo li seguì e la sua immensa armata occupava tutta la Cina per larghezza. Eppure quando l’esercito celeste si scontrò con l’armata imperiale, persero e furono messi rovinosamente in rotta, sconfitti dopo sette giorni e sette notti di lotte e il loro stesso generale fu battuto e gravemente ferito dal nobile imperatore, che gli ferì una mano e gli spezzò un’ala con un solo colpo della sua spada.

 

E mentre la gloria di Wu-Ta-Nong splendeva alta in terra e nei cieli, L’Imperatore di giada,  nella sua reggia, meditava pensieri funesti. Rabbia e frustrazione s'impadronivano del divino sire, quando entrò non visto un vecchietto nella sala del trono. Si appoggiava traballante sul bastone e la sua mano protesa in avanti chiedeva elemosina: nessuno riconobbe in lui il fondatore del Tao. Quando parlò la sua voce risuonò chiara e decisa nella sala, come quella di un guerriero in battaglia: << Oh potentissimo, cosa potrà poi crucciare te e il tuo celeste trono?>> << Ah saggio uomo – disse il dio – ho paura per il mio trono e per la mia stessa vita; temo che un giorno esso sarà occupato da uno più potente di me.>> << Forse demoni ti crucciano? Forse draghi? Forse orchi? Forse il grande saggio e l’uguale del cielo è fuggito dalla sua prigione di sassi e granito.>> << Oh come lo vorrei amico mio! Un misero uomo regge sulla terra, onorato e stimato più che un dio e ne ha gloria maggiore. Il suo celeste impero è più celeste del mio, i suoi ministri superiori agli dei e ogni soldato del suo esercito ne vale cento dei miei. Le terre che domina si estendono fino alle cinque colonne che reggono il mondo e tutti i popoli della terra si affidano a lui e possiede più ricchezze di quante ne siano mai esistite. Spicca in saggezza e giustizia ed è il migliore dei giudici, in forza e velocità, ed è il migliore dei guerrieri, in intelligenza e virtù ed il migliore dei governati, e in bontà e sapienza ed è il migliore di tutti.>> << E allora – ridacchiò il venerando maestro – devo forse ricordarti io il proverbio “ Quest’anno è la stagione dell’Imperatore di giada, il prossimo anno sarà la tua ”?>> E un profondo silenzio calò su tutta la sala e il signore di tutti gli dei si raccolse in grembo e scoppiò a piangere sommessamente e poiché anche il fondatore del Tao talvolta si commuove. << Allora sire – disse – io imprigionerò l’umanità di catene d’oro e la farò affondare del loro peso. E nessuno di loro desidererà mai più accedere alla beatitudine degli dei, ma troverà impura qualsiasi altra vita che non sia la sua!>>. Uscì, sorridendo con ghigno diabolico.

 

In quel tempo a Benjin la corte aveva preparato una grande festa. Mesi e mesi di preparativi, migliaia di servi, centinaia di specialisti giunsero per preparare un festeggiamento delizia dell’uomo e l’imperatore, poiché all’epoca si usava ancora, scese tra il suo popolo e lo rese partecipe. Giunsero genti da tutta la Cina e notabili da ogni popolo, nazione o stirpe, sia oltre i vorticosi mari, sia oltre le sterminate lande. Ognuno parlava con la sua lingua e si esprimeva attraverso la sua cultura, eppure l’imperatore riusciva a capirli tutti, perché conosceva ogni favella e popolazione umana ed era sempre pronto a dare un orecchio ai sofferenti. Nel folgore della festa improvvisamente apparve un ragazzo giovane, mal vestito che senza farsi vedere giunse in fronte al sire per recare il suo affanno: << O potentissimo – iniziò – io vengo da lontano, dove neanche il tuo occhio o la tua mano si sono posati, ma solo la tua fama, che di molto ti precede. Tu, che sei saggio tra i saggi, di certo saprai dissipare le mie angustie.>> E l’imperatore: << Non sia mai detto che io faccia soffrire alcuno, sia esso mio suddito o straniero, saggio o stolto. Se i tuoi campi sono avari, avrai tanto riso da sfamare te e i tuoi figli, se i vicini sono molesti, le mie lance li placcheranno, se … >> << Oh grande signore, te ne sono grato, ma quel qualcosa non affligge la carne, bensì lo spirito. Tu sei potente, sei saggio, sei intelligente e possiedi belle mogli, figli sani e buoni amici, potrei dirti felice, per questo spero che tu abbia risolto quel dubbio che mi assale?>> << Quale?>> << Qual è il senso della nostra vita?>>. Tale domanda stupì l’imperatore. Per tutta la vita egli aveva lottato per ciò che riteneva buono e giusto, ma il senso della vita… Non aveva mai seguito alcuna fede e aveva sempre professato un’adesione formale ai riti più elementari. D’altronde gli dei mai l’avevano aiutato e anzi l’avevano osteggiato. Aveva sempre pensato che fossero invidiosi e mai e poi mai aveva pensato che quello che stava facendo avrebbe potuto essere ingiusto secondo la legge divina. I giorni passarono e le stagioni e i dubbi ancora affliggevano Wu-Ta-Nong. Temendo di fare del male, egli divenne completamente apatico, se non interrogando il volere divino e mentre lui meditava nel suo giardino, l’impero perdeva splendore e il suo astro decadeva. Da ogni parte della Cina e da fuori giunsero saggi e ciarlatani per consigliarlo, esperti in ogni dottrina e filosofia, ma egli non trovò mai soddisfazione nelle loro risposte. Un giorno mentre discuteva con un saggio occidentale se il bene fosse una scienza o meno, giunse un messaggero, che gli recò notizie di un grande saggio che viveva in Tibet, che aveva scoperto la panacea di tutti i mali.

 

Wu-Ta-Nong allora ordinò che da tutto il regno venissero i soldati migliori e i più grandi generali e armato il più splendido degli eserciti si mise in marcia. Attraversò pianure, costruì ponti, valicò valli e colli e mille e mille furono i pericoli in cui si imbatte. Infine l’esercito sfinito e decimato giunse ai piedi dei monti più alti del mondo, dove la neve non aveva mai smesso di posarsi dai tempi di Pan-ku e là anche i migliori tra le sue guardie e i più potenti tra i suoi maghi si rifiutarono di scalare le alte vette. Mentre vagava ramingo nella neve, così in alto dove nessuno aveva voluto seguirlo, improvvisamente apparve un monaco vestito solo di un saio. Fu improvvisamente sicuro che lui fosse il saggio e si prostrò in terra e lo pregò:<< O saggio tra i saggi, non sono altro che un umile mortale. In nome degli dei ti chiedo, cos’è la vita?>> Il monaco balzò in piedi, alzò le braccia al cielo e gridò: << La vita è un fiume!>>. Improvvisamente Wu-Ta-Nong si sentì invadere dalla pace e dalla tranquillità: non più pensieri lo turbavano, né ansie. Ridiscese e con ciò che restava dell’esercito riattraversò tutte le terre e giunse infine alla sua capitale, solo e spoglio. Trovò il suo regno devastato da epidemie, carestie e ribellioni e la decadenza oramai imperversante. Il saggio imperatore allora riprese le redini del comando e risalito al trono ripristinò pace ed armonia. Infine quando l’impero era oramai ripristinato fu data una grande festa in suo onore, a Benjin, e tutto il popolo giunse in massa. Tutti tacevano, non sapendo cosa pensare di quel viaggio e di quel rinnovamento spirituale, finché una voce solitaria chiese: << Oh sommo per quale motivo ci avete lasciato tempo fa soli, sottraendoci le nostre migliori forze? E cosa ora vi ha restituito tanta nuova gloria? >> E Wu-Ta-Nong disse: << Popolo, anni fa partii per consultare un saggio. Prima la mia vita era miseranda e vuota, ma ora lui mi ha svelato il suo significato. E io voglio condividerla con voi.>> L’imperatore balzò in piedi, alzò le braccia al cielo e gridò:<< La vita è un fiume!>>. E un sussulto d’ammirazione si levò dalla massa e tutti lo applaudirono e lo lodarono come saggio e giusto. Oramai la festa era finita e il sole tramontava dietro le colline quando un gruppo di persone si avvicinò e chiese << Che cosa significa?>>. Appena l’imperatore fu interrogato e interrogò se stesso, ripiombò nell’angoscia e nella disperazione: quando credeva di aver raggiunto la felicità non solo questa gli era stata strappata, ma aveva scoperta di non averla mai avuta completamente.

 

Le leggende dicono che quella notte indagò sul significato della massima, arrivò alla felicità e fu così assunto tra gli dei, ma la verità è un'altra: Wu-Ta-Nong armò un nuovo grande esercito e prese i migliori maghi di quelli che restavano e all’alba partì, senza dire niente a nessuno. Rifece lo stesso cammino e nudo e solo giunse alle pendici del monte. Con le sue sole forze lo scalò e tornò nella vallata dove aveva incontrato il monaco. Non vide nessuno e allora lo chiamò a gran voce, finché una figura evanescente apparve all’orizzonte. Si gettò ai suoi piedi e lo implorò:<< Maestro, qual è il senso della vita?>> Il monaco balzò in piedi, alzò le braccia al cielo e gridò:<< La vita è un fiume!>>. L’imperatore allora si rialzò e chiese: << Perdonami o venerando saggio, ma mi sfugge il significato. Mi puoi dire di più.>>. Il saggio si sedette, afferrò il suo rosario e cominciò a contare le preghiere e quando ne ebbe dette tante quante sono le stelle in cielo disse: << La vita è un fiume.>> Silenzio fu  << O no.>> Disse, sorridendo con ghigno diabolico.

  
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