Hanno imbiancato i muri della mia aula.
Ora, invece del giallo navone abituale, sono bianchi.
Sono estranei.
Su quei muri bianchi c’erano segni.
C’erano scritte.
Ironiche, oscene, romantiche.
Disegni.
Simboli.
Ora il muro è vuoto.
Quasi una provocazione.
Ma la provocazione vera potrebbe essere un’altra.
Riempire quel vuoto
Illuminarlo e sporcarlo
Renderlo umano di nuovo.
Le mie dita sfiorano veloci i colori,
le penne, le mine, i pastelli,
zeppi di fiori e di cimeli.
La preferenza alla fine va al blu.
Il professore spiega,
i secchioni prendono appunti
alcuni scarabocchiano
altri lasciano volare i pensieri fuori dall’aula.
È il momento perfetto.
“Shakespeare voleva divenire immortale con le sue poesie, i suoi versi, era terrorizzato-quasi-dallo scorrere del tempo.”
Forse sono un po’ poeta anch’io,
forse anche il mio vero scopo è permanere nel tempo,
lasciare una traccia di me ai posteri.
Una nobile causa.
Il mio gesto, improvvisamente, sembra ancora più epico.
La mia provocazione.
La mia traccia.
Mi giro con solenne lentezza verso il muro,
percepisco lo scatto del tappo sotto le mie dita,
lo poggio sul banco, oscilla un poco.
La mia compagna alza lo sguardo,
ingenuo, assopito,
e un sorriso beffardo e colpevole
non può fare a meno di disegnarsi sul mio volto.
Le rivolgo totalmente le spalle,
poi sfioro il muro niveo con la punta della mia nuova arma.
Il verso di una canzone, un aforisma
Non renderebbero.
Ci vuole un cliché.
“Sfuggire all’oblio, un ombra di vita su un muro.”