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Autore: hotaru    19/05/2011    3 recensioni
- Ecco, ce l'ha fatta! - un sorriso soddisfatto si disegnò sulle labbra di Michiru, i cui occhi rimasero tuttavia fissi sullo specchio – La cenere è caduta proprio sugli occhi della principessa -.
Le tre si scambiarono uno sguardo di trionfo, poi Rei raddrizzò la schiena e si rivolse al fuoco.
- Allora andiamo a incominciare... -.
"Se il sogno muore, che ne sarà del sognatore? E se muore il sognatore, che ne sarà del sogno...?"
Prima classificata al contest "Era un Sogno" di Fabi_Fabi e seconda classificata al contest "Mondi Paralleli" di Kiki e Red Diablo
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa, Michiru/Milena, Minako/Marta, Rei/Rea, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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2- La tempesta La tempesta


Sul filo del sogno 2


Era un cavallo?

Un cavallo bianco nel bel mezzo di quella foresta di sogno, anche se rispetto alla notte prima i cristalli sembravano essere scomparsi. Non era rimasto più nulla ad illuminare l'oscurità profonda del bosco, eppure sembrava che il manto bianco di quel meraviglioso animale fosse sufficiente a rischiarare il terreno su cui camminava, come la luna da sola riesce ad illuminare un cielo buio.
Era laggiù, sotto quelle fronde, e sembrava aspettarla. Guardava lei, l'aveva chiamata.
Eppure era sempre così lontano... perché non si avvicinava un po'? Nonostante non si muovesse, Chibiusa non riusciva mai a raggiungerlo. Quando avrebbe potuto toccarlo, accarezzare le sue froge delicate e il corno che lanciava lampi dorati nella notte?
Aspettava lei, solo lei.
"Dove sei?".


Quella mattina Chibiusa si era svegliata con un certo fastidio alle orecchie, come se ci fosse stato un corpo estraneo all'interno. Cercò di sturarsele con un dito, e se ne ritrovò la punta sporca di una strana polvere grigia; la annusò: sembrava cenere, anche se odorava di essenze strane e sconosciute.
Non disse nulla alla servitù che le portò i vestiti per la giornata, e nemmeno ad Ami durante la lezione: si sarebbe beccata solo un rimprovero e la raccomandazione a lavarsi meglio, lo sapeva.
Il cielo di quella mattina sembrava quasi violaceo, tanto le nubi si accalcavano scure le une sulle altre: era in arrivo un bel temporale, poco ma sicuro. Eppure il mezzogiorno passò senza che accennasse minimamente a piovere, nonostante lampi sfolgoranti illuminassero i nuvoloni dall'interno e il brontolio del tuono fosse costante, una pentola di fagioli messi a bollire nel grande paiolo del cielo estivo.
Era ormai pomeriggio inoltrato; Chibiusa aveva terminato gli studi della giornata e si apprestava a tornare nella propria stanza per continuare il ricamo iniziato la settimana prima, alternando saltelli e passi di danza nel grande corridoio in pietra del castello.
Si affacciò ad una finestra, lanciando un'occhiata critica al cielo tumefatto che lanciava un'ombra sinistra sul castello e sui boschi lì attorno: Ami aveva detto che quella era una condizione atmosferica piuttosto anomala, e nel momento in cui il temporale avesse deciso di abbattersi sulla terra l'avrebbe sferzata senza pietà. Era opportuno che nel villaggio si mettessero al riparo raccolti e animali, e suo padre aveva subito dato disposizioni al riguardo.
Per quanto la riguardava avrebbe ricamato con foga per un po', così da avere il tempo di disegnare con calma più tardi: era assurdo che i carboncini ricevuti da suo padre dopo l'ultimo viaggio nel regno vicino rimanessero a fare la muffa nella loro scatola.
Con questa convinzione Chibiusa si stava dirigendo senza indugio nella sua stanza, senza far caso al bubbolio del tuono che sembrava rimbombare in ogni pietra. Non fece caso nemmeno al canto delle cicale e degli uccelli, che prima della tempesta sembravano dover dar sfogo a tutte le loro abilità canore.
Non fece caso a niente di tutto ciò, ma quando quel suono fendette l'aria umida e pesante lo udì all'istante.
Lo riconobbe, bloccando un passo di danza sul pavimento tirato a lucido. Un nitrito. Quel nitrito.
E in quell'istante iniziò a piovere.


- Come sarebbe a dire, che non la trovate da nessuna parte? - la voce di Usagi da stupefatta si fece ansiosa – Il castello è grande, ma da qualche parte deve esserci! -.
- Mi spiace, o mia regina, ma abbiamo mobilitato l'intera servitù e sembra non esserci traccia della principessa – rispose la governante, tormentandosi le mani preoccupata, mentre fuori dalla finestra la pioggia cadeva come se non dovesse più smettere.
- Ami! Tu l'hai vista stamattina, non è vero? -.
- Certo – annuì la prima consigliera del regno, braccio destro di entrambi i sovrani – La lezione si è svolta regolarmente, e quando l'ho lasciata mi ha detto che era diretta nella sua stanza... è da allora che nessuno l'ha più vista -.
- Cerca di stare tranquilla, Usako – la profonda voce del re era pacata, ben sapendo che la figlia non era nuova a quel genere di scherzi – Può darsi che abbia avuto paura del temporale e si sia nascosta da qualche parte. Vedrai che all'ora di cena la vedremo arrivare in sala da pranzo come se niente fosse -.
- E in quel momento la salterà, la cena, te lo posso assicurare! - ribatté Usagi, che tuttavia non poteva fare a meno di sentirsi assurdamente preoccupata: c'era qualcosa che le attanagliava il punto più profondo della gola, quel punto che si collegava allo stomaco. E non era fame, ma un terribile presentimento.


La tempesta sferzava cielo e terra con tale violenza che non si capiva più dove fossero, cielo e terra.
Chibiusa non sapeva più dove stesse andando, avanzando a fatica in un bosco che conosceva a malapena, il vestito madido e appiccicato addosso, con l'acqua che la colpiva da ogni direzione. Ma aveva ancora nelle orecchie il nitrito di quel cavallo, e doveva raggiungerlo. Ovunque fosse.
Non sapeva da quanto tempo stesse camminando, ma il castello doveva essere ormai lontano: non riusciva a vederne nemmeno le torri lontane, comunque nascoste dalle altre fronde di tutti gli alberi che la circondavano. La pioggia cadeva, i lampi flagellavano il cielo come fruste luminose e il tuono sembrava un randello che colpisse la terra con violenza inaudita.
Chibiusa iniziava ad avere freddo, malgrado fosse estate, e la consapevolezza di non sapere come tornare indietro iniziò a farsi strada in lei come una serpe viscida, alimentando una paura sorda e confusa.
Perché era venuta fin lì? Per un cavallo visto in un sogno, che le sembrava di aver sentito nella realtà? Come poteva una fantasia simile averla trascinata in quel modo? Cosa le stava succedendo?
L'ennesimo fulmine illuminò il cielo a giorno, malgrado cominciasse ormai a scendere la sera e il buio si apprestasse ad inghiottire ogni cosa, partendo per l'appunto dal bosco in cui si trovava lei. Le ombre si facevano sempre più lunghe e minacciose, tanto che Chibiusa cercò finalmente riparo sotto l'albero più frondoso che trovò. Non sapeva che poteva essere pericoloso a causa dei fulmini, e anche se l'avesse saputo forse non le sarebbe importato: era stanca, voleva tornare a casa.
Ma chi l'avrebbe trovata, lì in mezzo?


- Le cose stanno andando meglio del previsto – constatò Michiru, osservando la bambina bagnata e tremante come un pulcino nel suo specchio incantato – Non pensavo avrebbe reagito così bene -.
- Devono essere i poteri magici latenti in lei – dichiarò Rei dal suo fuoco, un corvo su una spalla e l'altro appollaiato su un masso lì accanto, impegnato a lisciarsi le penne. Erano entrambi reduci dalla missione di quella notte, che aveva visto la cenere posarsi nelle orecchie di Chibiusa invece che sui suoi occhi.
- Intende quelli ereditati da... ? - Minako non terminò la frase, lanciando un'occhiata eloquente a Michiru, che annuì.
- Sì, è per questo che reagisce tanto bene alla magia: da un lato è sotto il nostro incantesimo, ma dall'altro è la magia innata dentro di lei a spingerla verso ciò che sente, ma di cui non si rende conto -.
- Quindi è per questo che la scelta è ricaduta su di lei? - Minako sembrò arrivarci solo in quel momento – Ecco perché non avete preso la prima figlia di contadini che capitava! -.
- Non era così difficile da capire, Minako – fece Rei, intenta a mormorare le proprie litanie al fuoco.
- Oh, falla finita! L'idea di usare quella bestia è venuta a me, l'hai dimenticato? - esclamò Minako, piccata.
- Certo, noi abbiamo solo pensato a tutto il resto del piano – ribatté Rei.
- Smettetela – la voce di Michiru aveva assunto il pericoloso tono da mare in tempesta che la caratterizzava sempre quando iniziava ad arrabbiarsi – Ora si tratta solo di attendere, e non ho alcuna intenzione di farlo con voi due che vi punzecchiate come oche arrabbiate -.
- A chi hai dato dell'oca? - borbottò Minako, che tuttavia non osò controbattere, mentre Rei tornava al suo fuoco con aria offesa.
La tranquillità sembrò tornare nell'antro che ospitava le tre streghe, almeno finché non venne nuovamente turbata dalla voce squillante di Minako che esclamò:
- Ehi, ma... dov'è Artemis? -.


Un gatto nero se ne stava seduto sul davanzale di una delle finestre del castello, osservando preoccupato i boschi lì intorno, muovendo la coda con aria ansiosa. Persino l'ultimo dei paggi di corte sapeva che quel gatto non andava disturbato, pena un rimprovero della regina in persona: era giunto al castello con lei quando Usagi aveva sposato l'allora principe del regno, ed era sempre rimasto al suo fianco. Tutti sapevano che c'era, anche se la maggior parte dei servitori non ci faceva più molto caso, e solo pochi ogni tanto si ponevano la fatidica domanda: ma quanto vive un gatto?
Non molti sapevano il suo nome, e meno ancora erano a conoscenza del fatto che quello non era un gatto, ma una gatta. Una gatta di nome...
- Luna! -.
Luna drizzò orecchie, baffi e coda in un solo sussulto, volgendo incredula lo sguardo dietro di sé, rimanendo a bocca aperta quando vide un felino delle sue stesse dimensioni avanzare nella stanza. Il pelo solitamente immacolato era madido di pioggia, e le vibrisse penzolavano flosce ai lati del muso. Luna era sgomenta, ma un fantasma non si sarebbe di certo presentato in quelle condizioni penose.
- Artemis... tu! -.
- Proprio io, mia cara. È passato un bel po' di tempo, non è vero? -.
Luna era saltata giù dal davanzale, raggiungendo quello che tanti anni prima era stato il suo compagno più affine, perché con i corvi non era mai andata molto d'accordo.
- Se sei qui significa che i miei sospetti erano fondati: c'entrano quelle tre, non è vero? - chiese la gatta, cercando di dominare l'ansia nella voce.
- Certo che non badi ai convenevoli, tu: saranno dieci anni che non ci vediamo e mi saluti così? - fece Artemis, un po' deluso dall'accoglienza tutt'altro che calorosa di Luna.
- Piantala con le smancerie: dov'è Chibiusa? Se sei qui le colpevoli non possono essere che loro! -.
Artemis abbassò le orecchie, sentendosi improvvisamente in colpa: in effetti era venuto lì per un motivo preciso, e non c'era tempo da perdere. La bambina era in pericolo.
- Sì, sono state loro – ammise – Mina non sa che sono qui, e non dovrà mai saperlo. Ma non si tratta di una vendetta, o comunque non solo: la piccola Chibiusa non è altro che parte del piano -.
- Il piano? Quale piano? Che ruolo avrebbe la principessa? -.
Artemis scosse il corpo bagnato e infreddolito, liberandosi di una parte dell'acqua che gli inzuppava il pelo, preparandosi a raccontare ogni cosa a Luna.
- È l'esca -.


Era ormai scesa la sera: il buio della tempesta era stato accentuato dall'oscurità in cui la terra veniva avvolta ogni giorno, al calar del sole. Malgrado tutti i domestici del castello fossero stati sguinzagliati alla ricerca di Chibiusa, sembrava che non ci fosse traccia della principessa: nessuno era riuscito a trovarla nemmeno al villaggio, come se fosse scomparsa nel nulla.
La regina, lungi dall'essere soddisfatta per aver avuto ragione nel volerla cercare subito, iniziava a sentirsi sempre più ansiosa: ed era un'ansia profonda e inquietante, un animale impantanato nelle acque stagnose di un acquitrino sempre più simile alle sabbie mobili. Un'ansia che si intrecciava al presentimento, come non ne sperimentava ormai da tanti anni.
Gettatasi sul grande letto matrimoniale delle stanze che condivideva col re, affondò il viso nel cuscino di piuma, stringendo fra le dita le coperte damascate. Dov'era la sua bambina? Che cosa le era successo? Era scappata per qualche motivo, per qualcosa che le aveva detto lei? I suoi doveri di regina le avevano fatto trascurare un po' la figlia, negli ultimi tempi, ma le sembrava che Chibiusa fosse serena come al solito, allegra e a volte un po' capricciosa: la sua bambina, che se avesse avuto qualche cruccio lei avrebbe di certo notato. Era sua madre, ed era stato anche per diventarlo che in passato aveva fatto la più grande e importante delle scelte. Sua figlia era una ragazzina vivace, che combinava spesso qualche guaio di poco conto, come tutte le bambine della sua età: lei la conosceva, sapeva che non avrebbe mai fatto preoccupare tutti in quel modo. Non sarebbe mai scappata di sua iniziativa.
... no?
Affondò ulteriormente la testa nel cuscino, soffocando un gemito: e se le fosse successo qualcosa? Poteva essere ovunque, con chiunque, e con quel tempo orribile forse era rimasta bloccata da qualche parte...
Un fulmine scelse proprio quel momento per scendere a colpire la terra livida, accompagnato dal rombo di un tuono che zittì perfino il rumore della pioggia scrosciante: fu un brontolio talmente assordante che Usagi non udì il miagolio proveniente dai piedi del letto, almeno finché un musetto nero non venne a leccarle le orecchie e a riscuoterla dal suo abbattimento.
- Oh, Luna! Sei tu... - allungò una mano ad accarezzarle la testa, grattandola dietro le orecchie nel punto che sapeva piacerle di più. Si sorprese un po' quando la gatta non cominciò a fare le fusa come al solito, ma non era nello stato d'animo per preoccuparsi di simili particolari – Che cosa devo fare, Luna? Dov'è Chibiusa? -.
Usagi non si aspettava certo che la gatta le rispondesse; non più, almeno, ma la forza dell'abitudine faceva sì che le si rivolgesse come se ancora potesse comprendere i suoi miagolii.
Luna non rispose, ma quando un altro gatto saltò sulle preziose coperte del letto matrimoniale Usagi trattenne a stento un grido. Un grido che esprimeva stupore, incredulità e un'improvvisa intuizione, seguito dal balbettio di chi si ritrova davanti uno dei fantasmi della propria vita passata:
- A-ar... Artemis? -.





francylibellula: non è che siano state cacciate da Usagi, è lei che se n'è andata... e in seguito si capirà perché. Comunque spero che la storia ti piaccia!
criss90: la storia del “tradimento” di Usagi verrà fuori, non preoccuparti. Sono contenta che apprezzi la storia. ^^
Cri cri: anch'io le vedevo benissimo nel ruolo di “cattive” della situazione; ho esasperato un po' certe loro caratteristiche, anche se ho cercato di mantenerle il più possibile IC. Non le ho prese a caso: loro sono i personaggi che più spesso pongono l'accento sulla propria bellezza, più o meno esplicitamente, per cui le trovavo perfette. ^^
lulu85: la faccenda del tradimento verrà spiegata man mano che procede la storia, non temere. Sono molto contenta di ritrovarti anche qui, spero che la storia ti piaccia anche se è molto diversa da “Un giro di chiave”!
ellephedre: non scrivo mai capitoli troppo lunghi- di norma sono sulle quattro pagine Word- forse perché io stessa non ho mai molto tempo per leggere e quindi preferisco ripiegare su storie più brevi. Con le dovute eccezioni alla regola, ovviamente.
Sono contenta che la storia ti sembri divertente, perché personalmente mi sono divertita molto a scrivere di queste tre, e trovo che come trio di “cattive” non abbiano nulla da invidiare ai cattivi canonici di Sailor Moon. Fanno un po'... Occhio di Pesce, Falco e Tigre, non so se mi spiego, che anche se si punzecchiavano di continuo in fondo si volevano bene. ^^
E sì, a loro la verve non manca di certo!
Deep Submerge85: come hai visto, anche l'idea delle tre streghe è ripresa dal “Macbeth”- opera che adoro. Sono contenta che il primo capitolo ti sia parso divertente, perché ho cercato di impostarla anche in modo ironico... e devo dire che Rei, Minako e Michiru assieme offrono parecchi spunti. ^^
   
 
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