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Autore: Azumi    19/02/2006    8 recensioni
[...] E’ incredibile come spesso certe cose che accadono ti cambino radicalmente la vita, sia in meglio che in peggio... [...]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Disclaimer

 

Disclaimer: Questa storia è stata scritta per un personale divertimento, (ed in questo periodo ne ho davvero bisogno) pertanto non è assolutamente mia intenzione offendere Orlando Bloom, né tanto meno il suo lavoro. Intendete ciò che vi apprestate a leggere, come se si trattasse della "sceneggiatura" di un film in cui interpreta se stesso. Tutto ciò che troverete qui è frutto esclusivo della mia mente contorta, dovuto alla voglia di mettermi alla prova, di cimentarmi in qualcosa di totalmente diverso da quello che scrivo di solito.

 

Un ringraziamento speciale va a Moon ed a JulyAneko che mi hanno sempre spronata a portarla avanti.

GRAZIE ragazze, siete davvero due persone speciali!

 

BUONA LETTURA E BUON DIVERTIMENTO A TUTTI (spero :P)!

 

 

 

 

 

 

Schizzi, zucche e una scatola di cartone

 

 

Prologo

Il mio primo giorno di lavoro a Los Angeles. Ogni volta che ci penso, trattengo a stento una risata.

E’ incredibile come spesso certe cose che accadono ti cambino radicalmente la vita, in meglio o in peggio.

Ad esempio...

Una delle più vecchie case editrici di libri per ragazzi di Los Angeles, la Sons&Waters, avrebbe chiuso i battenti se io e la mia amica "zucca", per sua fortuna, non avessimo fatto la nostra comparsa.

La casa editrice ultimamente non ne stava azzeccando una. Gli ultimi libri per ragazzi che avevano proposto al giovane pubblico non avevano venduto bene e il direttore responsabile delle pubblicazioni non riusciva a trovare un’idea che potesse risollevare le sorti della società. In pratica rischiavano di chiudere miseramente.

Nello stesso periodo la sottoscritta, appena uscita dall’accademia, girovagava come una trottola per tutte le case editrici del suo paese, in cerca di un qualunque editore che le desse l’opportunità di pubblicare i suoi lavori. Sfortunatamente, la mia era una ricerca di scarso successo. Anzi, diciamo pure nessun successo. I colloqui: immagini e frasi ripetute come battute di un copione già scritto. Nessuno se la sentiva di rischiare con una "novellina ancora fresca d’inchiostro". Ogni volta che pronunciavano quella maledetta frase, mi montava un tale nervoso che mi veniva voglia di sbattergli in faccia tutti i miei bozzetti. Se non fossero stati tanto importanti per me, lo avrei fatto. Dico davvero.

Poi un giorno, un'amica che lavorava a Los Angeles mi parlò dello stato quasi disastroso in cui versava la Sons&Waters.

"Perché non provi con loro?" mi propose quasi entusiasta "Io dico che ti prenderebbero subito"

"Certo! Come no?!"

Ovvio che una società che pubblicava libri per ragazzi dal 1816, avrebbe accettato i miei bozzetti. Sicuro.

"Ribadisco, fossi in te, io proverei."

"Fran, non stai dicendo sul serio, vero? Ti rendi conto che mi ha riufiutata la Macchia dell’artista, la casa editrice più scarsa che c’è in questo buco di paese? Figuriamoci se la Sons&Waters mi prenderebbe! Andiamo! Un po’ di realismo." obiettai sarcastica mentre, sedute al tavolo del Cafè Paraiso, sorseggiavamo un caffè.

"Questo caffè è terribile - aggiunsi poi facendo un'espressione disgustata, riposizionando la tazza quasi piena sul piattino - di paradisiaco al massimo potrebbe avere la tazzina in cui l’hanno servito."

"In fondo cosa avresti da perdere?"

"Che è tutto dire."

"Ehi…" mi guardò alzando un sopracciglio, leggermente indispettita dal fatto che fingessi di non ascoltarla.

"Nulla in effetti, ma..."

"E allora! Andiamo, potrebbe essere la tua occasione. Loro hanno bisogno di rinnovarsi, trovare nuovi artisti pieni d'idee, di talento e tu ne hai da vendere! Per di più hai bisogno di un editore; perché non sfruttare un’opportunità del genere?"

Morale della favola, alla fine della giornata, Fran aveva detto e fatto talmente tanto che, quando uscimmo dal Cafè Paraiso, avevo la testa così piena delle ragioni che aveva addotto a favore di quella possibilità che alla fine lo feci. Telefonai alla Sons&Waters e fissai un incontro per la settimana seguente, con un certo Sig. Johnson.

Il giorno fissato mi presentai davanti all’entrata della Sons&Waters con camicia bianca e jeans. Lo so che altri al mio posto, ad un colloquio di lavoro, si sarebbero presentati vestiti, come dire, in modo un po’ più serio e consono all’occasione, ma io sono sempre stata così, non mi piacciono molto le formalità.

Tenevo sotto braccio la mia cartelletta piena zeppa di bozzetti, con i fogli che sfuggivano da ogni parte e con loro, la mia speranza di essere assunta.

Mi fermai un attimo davanti all’ingresso ad osservare quell’edificio così antico e serio che, lo sentivo, m’incuteva un gran senso di rispetto, mettendomi quasi in soggezione. Feci un bel respiro profondo, cercai di rilassarmi sciogliendo i muscoli del collo e con sguardo di sfida, prendendo il coraggio a due mani, mi diressi con passo deciso verso la porta di legno verde. "Andiamo".

L’interno del palazzo era arredato in stile classico. Uno di quei luoghi che ti fanno tornare in mente l’Inghilterra d’inizio secolo, con la loro atmosfera che sembra dirti "Ah i bei tempi andati". Decisamente troppo classico, troppo english per i miei gusti. In fondo ero abituata al mio piccolo paese di provincia, al massimo alla caoticità di una grande città com’era L.A. e l’aria che si respirava lì dentro non mi faceva sentire per niente a mio agio. Mi sentivo fuori posto, fuori luogo e anche fuori di testa per essermi cacciata in quella situazione. Accidenti a me e a quando mi faccio convincere da Fran, mi dissi mentre mi dirigevo verso la porta dell’ascensore. Durante la lenta salita, sentivo il cuore che mi tamburellava nel petto, ma ad ogni piano che passava non so per quale motivo, l’emozione pian piano scemava.

Poco dopo mi trovai davanti a Mr. Johnson. Un ometto dall’espressione seria, come quelli che ti danno l’impressione di essere sempre molto presi dalle loro cose. Un signore piuttosto magrolino e molto alto, a dire la verità, per la sua età: sessant'anni al massimo. Portava i capelli brizzolati leggermente impomatati e i baffi erano tagliati in modo impeccabile. Indossava un completo grigio fumo-di-Londra, accompagnato da una cravatta molto anonima e forse anche troppo sobria, rigorosamente legata con nodo "all’inglese". Tutto di lui era… perfettamente in ordine. In poche parole un perfetto english-man.

Mi accolse con un sorriso.

"Miss Lynch?"

Anche l’accento è terribilmente inglese pensai, annuendo con un cenno del capo.

Non che abbia niente contro gli inglesi, intendiamoci. Ma sono troppo per bene, troppo precisi per i miei gusti. Per di più hanno quello strano modo di guardarti, insomma si vede lontano un miglio che si sentono superiori.

Con un gesto della mano, mi invitò ad accomodarmi sulla nera poltrona in pelle che si trovava di fronte alla sua scrivania. Dopo le poche parole di presentazione, gli mostrai i miei lavori un po’ titubante, con poca convinzione, sicura com’ero che solo per il fatto di essere terribilmente american non mi avrebbe mai assunta.

Invece notai come Mr. Johnson visionava con attenzione critica ogni mio disegno. Piacevolmente sorpresa, pensai che almeno lui non stava fingendo di essere interessato, sfogliando le bozze velocemente quasi senza guardarle, come avevano fatto tutti gli altri, e soprattutto non aveva ancora pronunciato quella dannata frase, il che mi faceva ben sperare. Per quello che potevo intuire dalla sua espressione e dal suo comportamento, infatti, sembrava piuttosto soddisfatto delle mie capacità. Lo vidi sorridere impercettibilmente quando si trovò tra le mani il disegno di una zucca antropomorfa. "Miss Lynch, lei ha indubbiamente un gran dono", mi disse poi interrompendo il silenzio che si era creato, posando quello schizzo davanti a me. "Credo che la Sons&Waters sarebbe felice d'averla tra i suoi collaboratori" aggiunse poi porgendomi la mano. Quasi senza rendermene conto, a quelle parole gli angoli della mia bocca reagirono alzandosi e dipingendo un gran sorriso sul mio volto, mentre allungavo la mano e stringevo la sua. "Benvenuta tra noi".

 

 

"SIIIIIIIIIIIIIIIIII! SISISISISISI!" Scattai fuori dell'ascensore facendo un balzo nel mezzo del salone. Strinsi la mano in un pugno e la puntai verso il soffitto, in segno di vittoria.

Il portiere che mi aveva vista entrare quella mattina e che in quell’occasione non mi aveva degnata di uno sguardo, a quel fracasso si voltò nella mia direzione guardandomi indignato con un’espressione che mostrava tutta la sua disapprovazione. Probabilmente la mia reazione gli era sembrata quella di una pazza schizzoide.

Che s’impiccasse!

"Ehm ehm... – mi schiarii la voce, portando il pugno davanti alle labbra, assumendo così una posa assolutamente seriosa, cercando di darmi un contegno - da domani inizio a lavorare qui!" proclamai soddisfatta, e a testa alta, uscii con sottobraccio la mia cartellina e i bozzetti che ancora cercavano di scappare da ogni parte. Stavolta li tenevo talmente stretti, orgogliosa com’ero, che non me li sarei fatti sfuggire per niente al mondo. Come non mi sarei fatta sfuggire quel lavoro.

  
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