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Autore: Cassiopeia    21/05/2011    4 recensioni
La storia d'amore tra il principe Artù e Ginevra (Terza Stagione).
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gwen, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione, Nel futuro
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Mi aggrappai con tutta la forza che avevo in corpo alla sua cotta. Le mani percepivano solo il freddo metallo, ma io sapevo perfettamente che sotto quella dura corazza batteva un cuore. Un cuore che mi era stato donato quella notte.
- Vorrei dirti di non andare – disse.
Per la prima volta i ruoli erano capovolti. Io stavo per lasciare Camelot e lui mi stava quasi supplicando di rimanere.
Gli scostai una ciocca di capelli che gli copriva il viso e lui sorrise. Fu uno dei sorrisi più dolci che mi fece in tutta la sua vita.
Dovevo trovare la forza di uscire da quella stanza, con la speranza di farci ritorno un giorno.
Mi affacciai alla finestra, il re di Cameliard mi stava attendendo. I cavalli erano pronti, mio padre era pronto, solo io non avevo ancora realizzato che dovevo lasciare il regno in cui ero cresciuta.
Avrei abbandonato non solo Artù, ma anche Merlino, Gaius e mio fratello.
Mi sedetti ancora qualche minuto sul letto a baldacchino e cercai di imprimermi  ciò che stavo sentendo e vedendo nella mia povera testa.
Scendendo le scale incontrai Merlino. Ci abbracciammo, mi sarebbero mancate le sue stranezze e le battute sempre fuori luogo, per non parlare dei battibecchi continui tra lui e Artù.
Salii sul cavallo e gettai un ultimo sguardo al castello.
 
Erano già passate diverse notti dal mio arrivo a Cameliard. Fastidiosi incubi disturbavano le mie notti. Non riuscivo a cancellare dalla memoria l’immagine di Artù che con sguardo malinconico mi dava il suo ultimo saluto.
 
Non ero abituata a essere trattata come una principessa, ero sempre stata in grado di badare a me stessa, non avevo bisogno che qualcuno mi venisse a svegliare o che si occupasse delle più semplici faccende.
Avevo fatto la conoscenza di mia madre, donna altezzosa. Il suo unico interesse erano le ricchezze, poco le importava di aver riottenuto l’unica figlia nata da quel matrimonio forzato.
Leodegrance si era dimostrato gentile, ma al settimo giorno si decise a parlarmi di matrimonio. Ero l’unica figlia e quindi l’unica che un giorno potesse prendere in mano il regno.
C’erano diversi pretendenti e mio padre era disposto ad accoglierli al castello per farmeli conoscere.
Sapevo benissimo come funzionavano quel genere di cose.
Un mio eventuale rifiuto era da escludere a priori, io non ero altro che merce e come tale dovevo tacere e farmi andare bene il compratore.
 
Diversi signori si presentarono al castello. Ma come potevo solo pensare di sposare qualcuno per il bene del regno se  il mio cuore apparteneva ad Artù?
Se solo Uther si fosse ripreso, prima della mia partenza, avrebbe potuto dare il via libera al figlio.
 
Venni “salvata” da una tragica vicenda.
Re Rience stava piegando al suo volere i regni circostanti, e mio padre lasciò l’argomento matrimonio per una questione ben più importante.
- Dobbiamo chiedere aiuto a Camelot, non c’è altra via d’uscita – dichiarò Leodegrance.
Artù avrebbe accettato di aiutarci solo per me e mio padre lo sapeva bene.
 
Cameliard distava sei giorni da Camelot, gli aiuti non sarebbero arrivati in tempo.
Rience stava avanzando velocemente e con lui un esercito assetato di sangue.
L’intero castello era stato risucchiato da una paura inaudita, i corridoi brulicavano di cavalieri che correvano ad armarsi e di donne in cerca di erbe curative.
Si sentiva l’odore della paura primordiale che aleggiava nell’aria. La paura di morire è la fobia più infida e distruttiva che si possa immaginare, corrode l’animo anche se alla fine si scampa la morte.
 
 
L’esercito era sceso in battaglia consapevole che sarebbe andato incontro a una morte certa. Avevo pregato mio padre di lasciarmi combattere, era anche il mio regno che stava cadendo in rovina. Ma lui non ne aveva voluto sapere e mi aveva relegata in una delle torri più alte del maniero.
Dall’unica via di luce della buia stanza vidi le due orde di cavalieri scontrarsi.
Io impotente, mentre attendevo che la morte giungesse, mi lasciai divorare dai sensi di colpa.
   
 
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