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Autore: Evazick    21/05/2011    2 recensioni
(Seguito di "I fell apart, but got back up again". Ultima storia di questa serie!)
"Improvvisamente e lentamente allo stesso tempo, i miei ricordi iniziarono a disfarsi e a cadere nel buio che stava avvolgendo la mia mente, come le tessere di un puzzle quando vengono riposte nella loro scatola. Ma quelle immagini non cadevano in un posto da dove potessi recuperarle in seguito: finivano nel vuoto, nell’oblio, dove non sarei mai più riuscita a ritrovarle. Vidi sparire mia madre che mi abbracciava e mi scarruffava i capelli quando erano ancora lunghi, la mia amica JoJo che mi tirava un cuscino addosso, Simon che mi sovrastava con la sua pistola in mano, io in volo con le mie ali nere, Slay che si preparava ad uccidermi, Bubble Tower chino sulle sue apparecchiature, Grace che correva e rideva, Frank e Gee durante la ricognizione, Mikey e Ray che sparavano, Joshua che mi stringeva forte a sè per consolarmi...
Joshua."
(AU! Killjoys, make some noise!)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eve.'
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Yes, I will see you through the smoke and flames, on the front lines of war.

(Product of a white dream.)

 

“Mh…”

Mi mossi scomposta dentro il letto un paio di volte continuando a gemere. Emisi uno sbuffo, poi mi sistemai sul fianco sinistro e mi rilassai, sorridendo e pronta a scivolare di nuovo dentro il sonno. Ma qualcosa mi costrinse a rimanere sveglia, qualcosa che in un angolino della mia testa stava urlando Svegliati, ragazza! Ragiona per un momento!

Ma su cosa dovevo ragionare? Ero sdraiata in un letto e mi ero appena svegliata, che…

Smisi di colpo di respirare.

De… dentro un letto?

Aprii di scatto gli occhi e mi rizzai di colpo a sedere: era vero, non me l’ero immaginato, ero sdraiata sotto le coperte di un letto. O meglio, di quello che era un letto d’ospedale. Ero da sola nella stanza, non c’erano nemmeno altri lettini e gli unici altri mobili erano una cassettiera, un comodino alla mia destra e una poltrona e una sedia di plastica arancione alla mia sinistra. Davanti a me una porta conduceva probabilmente al bagno e un’altra, a destra, doveva immettere nel corridoio. Alla mia sinistra, invece, una grande finestra lasciava entrare la luce del primo pomeriggio che filtrava attraverso le foglie di un grande albero. Iniziai ad ansimare. Ma… a Battery City non ci sono alberi!

Mi misi seduta più comodamente e mi calmai prima di iniziare a pensare: di sicuro non ero più nella città californiana, poco ma sicuro. E allora dov’ero finita? Mi ricordavo solamente che avevo quasi raggiunto Joshua e gli altri quando la bomba era improvvisamente scoppiata e il grattacielo aveva iniziato a crollare. Un pezzo di cemento mi aveva colpita e io mi ero accasciata per terra, svenuta. Che i Killjoys mi avessero ritrovata sotto le macerie e mi avessero portata in un luogo sicuro? Era probabile, ma nel 2019 gli alberi non esistevano più in California! Stavo ancora pensando quando la porta del corridoio si spalancò: mi voltai e rimasi a bocca aperta quando vidi una persona che pensavo non avrei mai rivisto. Lei fece un enorme sorriso e mi si gettò quasi addosso, gettandomi le braccia al collo e iniziando a singhiozzare: “Oddio, Eve, sei di nuovo qui, sei sveglia!”

Rimasi immobile e dura come un pezzo di legno mentre la donna continuava a piangermi addosso. Solamente dopo qualche secondo riuscii a mormorare: “M… mamma?”

“Sì, tesoro, sono io. Va tutto bene, sei di nuovo sveglia,” disse lei, staccandosi da me e accarezzandomi il volto. La guardai attentamente: era lei, non c’erano dubbi. Riconoscevo la sua voce, il suo volto, i suoi gesti… ma che diavolo ci faceva nel 2019? “Dove siamo, mamma?”

“Come dove siamo, amore? A Manhattan!”

Manhattan? Ero rimasta così sconvolta che la sentii a malapena dire: “Sei tornata indietro, i dottori avevano ragione…”

“A-Aspetta!” esclamai. “Di che stai parlando?”

Mi guardò confusa. “Non ricordi?” Fece un gesto con la mano. “Già, che stupida, certo che non puoi.” Tornò seria, si sedette sul letto accanto a me e iniziò ad accarezzarmi una mano tenendo lo sguardo basso. “Vedi, è che…”

“C-Cosa?” la incalzai.

“Tu…” Alzò lo sguardo verso di me. “Hai passato gli ultimi cinque mesi dentro questo letto. In coma.”

Spalancai gli occhi e sembrò che un tuono mi rimbombasse nelle orecchie. La mia vista si fece per un momento sfuocata, poi ripresi il controllo e mormorai di nuovo: “C…Cosa? Com’è successo?”

“Oh, tesoro…” Gli occhi di mia madre si riempirono di nuovo di lacrime. “Un giorno sono tornata a casa mentre c’era un temporale. Quando sono entrata ti ho chiamato ma non mi hai risposto, così sono salita in camera tua e…” Tirò su col naso. “Eri distesa per terra, con il tuo iPod poco più in là, scarico. Non ti muovevi, allora ho chiamato un’ambulanza e… e…” Si bloccò per riprendere fiato e calmarsi, poi riprese: “I dottori pensano che un tuono sia caduto abbastanza vicino a casa nostra e che tu per lo spavento sia svenuta. Non sanno ancora spiegarsi come mai sei finita in coma, ma almeno adesso ti sei svegliata.” Era contenta, si vedeva: il viso e gli occhi le brillavano come stelle, il sorriso non spariva mai dal suo volto… ma io non potevo dire la stessa cosa. Tenevo lo sguardo basso e nella mia mente si ripetevano le stesse parole, la stessa frase: È stato tutto un sogno. È stato tutto un sogno. È stato tutto un sogno.

Mia madre mi accarezzò la spalla. “Sarà dura per te tornare alla normalità. Ti lascio un po’ da sola, okay?” Mi diede un bacio sulla fronte e si avviò verso la porta, ma io la fermai. “Mamma… e papà?”

Si voltò di nuovo verso di me. “Sta arrivando. Non appena ha saputo che ti sei svegliata ha lasciato l’ufficio di corsa per venire a trovarti.”

Deglutii. “Ma voi due non siete… ecco…”

“Cosa dovremmo essere?” La sua voce era completamente confusa, e non mi stava nascondendo niente. Le feci un cenno come a dire ‘Non importa’ e la seguii con lo sguardo mentre lasciava la stanza. Non appena la porta si richiuse e fui di nuovo da sola, abbassai la testa e mi misi una mano sulla bocca per non far sentire i miei singhiozzi; ma non potei fare niente per le lacrime che mi scendevano lungo le guance pallide.

Un sogno… era stato tutto un sogno. Il poster della Black Parade non mi aveva mai risucchiata, non avevo mai incontrato i My Chemical Romance, non avevo mai imparato a volare e a usare la spada, non avevo mai viaggiato dentro la Battery City notturna, non avevo mai guidato a tutta velocità nel deserto, non avevo mai parlato con Evelyn, non ero mai stata una cavia da laboratorio, non avevo mai…

Non avevo mai incontrato Joshua.

“Ma io ho le cicatrici!” Con un gesto rapido, mi guardai le braccia: bianche e lisce, senza nessun segno sopra. Tremando, sollevai il camice che avevo addosso fino al seno: sotto quello sinistro non c’era niente, non c’era il foro di quella pallottola che mi aveva quasi uccisa. “Non è possibile,” mormorai, negando la realtà evidente. Poteva essere stato tutto davvero un sogno? Non può esserlo, NO!

Ma perché non poteva esserlo? Dopotutto ero stata cinque mesi in coma, chissà quante cose potevo essermi immaginata. Ma io avevo provato dolore e avevo provato così tante emozioni, mi rifiutavo di credere che potesse essere stato tutto solo il prodotto di un mio sogno. Purtroppo la verità era schiacciante, però io mi rifiutavo di accettarla.

In un gesto di rabbia mi voltai verso la finestra e rimasi ancora una volta scioccata: l’albero non aveva più foglie verdi, ma quelle autunnali tipiche della fine di ottobre. Chiusi per un momento gli occhi e li riaprii: adesso le foglie non c’erano più e i rami erano carichi di neve. Ma cosa… pensai, poi la porta che dava sul corridoio si aprì, lasciandomi intravedere il mondo là fuori: varie persone passarono senza degnarmi di un’occhiata, perse nei loro pensieri. All’improvviso, una bambina di sette anni con i capelli biondi raccolti in due codine si fermò con la madre proprio davanti alla mia porta, aggrappandosi alla mano della donna. Si voltò nella mia direzione e mi sorrise, con gli occhi verdi che le brillavano, e anche la madre fece lo stesso gesto. Rimasi letteralmente a bocca aperta: io conoscevo quelle persone, ma non potevano essere lì.

Mia madre aveva una sorella più piccola di dieci anni, Christine, che era morta quando aveva solamente sette anni. E sua madre, mia nonna, l’aveva raggiunta pochi anni dopo. Io non le avevo mai conosciute, ma in casa nostra c’era una foto in cui erano ritratte solo loro due, e tutte le volte che ci passavo davanti pensavo a come mi sarebbe piaciuto conoscere quella bambina dagli occhi verdi e dal volto sorridente. La stessa bambina che mi stava facendo ‘ciao’ con la sua manina.

Adesso era tutto chiaro: le cicatrici sparite, mia madre, io di nuovo a Manhattan, mia nonna e mia zia che mi salutavano come se fossero state ancora vive… era questo il vero sogno. Probabilmente ero sempre sepolta sotto le macerie della Better Living, svenuta, e questo era quello che stavo ‘sognando’.

E se tutto questo era un sogno (o comunque, qualcosa che ci andava molto vicino) qual’era l’unico modo per poter tornare indietro?

Addormentarsi!

Mi misi comoda dentro il letto e chiusi gli occhi, iniziando a sprofondare sempre di più nel nero. E ogni metro in più che percorrevo in profondità, sentivo affievolirsi la luce dell’ospedale e salire sempre di più una stretta oppressiva al petto…

 

Tossii un paio di volte per la polvere che mi circondava. Provai a portarmi una mano alla bocca, ma era bloccata sotto tutte le macerie. Tossii ancora, poi riuscii a calmarmi. “Aiuto…” gemetti.

Era completamente sepolta sotto una montagna di macerie e polvere. Sentivo delle pietre che mi opprimevano sopra la schiena e delle altre che mi bucavano il petto, e poi tutta quella polvere mi rendeva difficile respirare e perfino parlare. Ma dovevo farlo se volevo uscire viva di lì. “Aiuto, qualcuno mi aiuti!” urlai di nuovo prima di essere interrotta da degli altri colpi di tosse. Provai a tirarmi su in piedi, ma fu inutile: il peso sopra di me era troppo, non ce l’avrei mai fatto a sollevarlo su da sola e in condizioni così debole.

Speriamo che almeno i ragazzi stiano bene… pensai. Quando la bomba era scoppiata loro erano vicino alle porte principali, e di sicuro non erano stati così stupidi da rimanere fermi come degli idioti: sicuramente erano scappati via dal grattacielo che stava crollando, e probabilmente adesso erano al sicuro da qualche parte.

Ma allora io ero da sola?

Il panico si impossessò di me non appena valutai una possibilità del genere, presi fiato e urlai ancora: “Aiuto, tiratemi fuori da qui!” Ma nessuno mi sentiva, nessuno poteva tirarmi fuori dalle macerie. Sarei soffocata lì sotto, uccisa da chi avevo ucciso io. E la Better Living avrebbe avuto la sua vendetta.

“Aiuto…” Tossii nuovamente: non avevo più la forza per urlare e ormai era chiaro che nessuno mi avrebbe aiutato. Quando rinunciai del tutto alla salvezza, un brusio incomprensibile si fece sentire sopra di me e quasi contemporaneamente il peso sopra la mia schiena iniziò a diminuire. Il rumore delle pietre che si spostavano si sovrappose e si fuse insieme a una voce che urlava qualcosa che non mi era ancora chiaro. All’improvviso il buio in cui ero immersa fu trapassato da un raggio di luce, facendomi chiudere per un momento gli occhi. “Eve? Eve, mi senti?” chiese qualcuno sopra di me, preoccupato. Aprii lentamente gli occhi e mi voltai nella sua direzione. “Sì…”

Sorrise sollevato. “Grazie al cielo. Vieni, ti aiuto a rimetterti in piedi.” Ray mi afferrò lentamente tra le sue braccia, mi tirò fuori dal mucchio di macerie in cui ero immersa e mi rimise a terra qualche metro più in là, lontano dal gruppo più grosso di pietre. Rimasi in piedi a fatica, e il mio equilibrio precario non fu certo aiutato da due persone che mi saltarono addosso quasi contemporaneamente: Grace dopo qualche secondo si staccò e andò via, richiamata da Ray, ma Joshua rimase attaccato a me per quello che mi parve un tempo infinito. Ricambiai il suo abbraccio e sussurrai: “Hai visto? Ce l’ho fatta.”

“Vedo.” Fece una pausa. “Quando è scoppiata la bomba e non ti ho vista uscire mi sono preoccupato da morire, pensavo tu fossi…”

“Morta?” Scoppiai a ridere e mi staccai dal suo abbraccio. “Nah, non penso che il Paradiso mi voglia, ora come ora. Anzi, probabilmente finirei dritta all’Inferno.”

Ridemmo tutti e due e poi raggiungemmo gli altri ragazzi e la bambina: erano coperti di polvere e delle lievi linee rosse di sangue percorrevano le loro braccia, ma tutto sommato stavano bene. Li guardai uno per uno, poi deglutii. “R-Ragazzi… dov’è Mikey?”

“Mikey? Era dietro di noi, e…” Gerard si voltò e diventò ancora più pallido del solito: del biondo non c’era traccia, né dietro né vicino a lui. Corse velocemente verso il mucchio di macerie e iniziò a scavare come un disperato. Noi lo raggiungemmo e fu doloroso sentire i suoi urli disperati: “Mikey? Mikey? Mikey, dove sei?!"

Frank gli si avvicinò e fece per consolarlo, ma il rosso lo allontanò con una mano e continuò la sua ricerca. All’improvviso, qualche metro più in là, si sentì improvvisamente il rumore di alcune pietre spostate: ci voltammo speranzosi e dalle macerie, come in un film horror, sbucò prima un braccio, poi l’altro e infine dei familiari capelli color biondo platino. Kobra Kid si tirò fuori dalle macerie coperto di polvere quanto me e con un taglio diagonale sulla fronte, ma nonostante tutto era ancora intatto, anche se mezzo stordito. Gerard gli corse incontro e gli si lanciò addosso, rischiando di farlo cadere sulle pietre appuntite. Che carini! commentò Evelyn mentre i due fratelli tornavano verso di noi, ammaccati ma vivi. Quando incontrò il mio sguardo, il minore mi guardò e sorrise. “Bel lavoro, Eve. Hai fatto crollare l’intero grattacielo.”

Sorrisi. “Allora adesso… è finita?”

Party Poison ci pensò su un momento, poi disse: “Sì. Direi di sì.”

“Ehm… scusate se interrompo il momento, ma abbiamo un problema;” Spaventati dalle parole di Frank ci voltammo: intorno a noi e alle macerie c’era una folla di persone svegliate dalla bomba e dal crollo del grattacielo. Si guardavano attorno spaventate, incapaci di credere ai propri occhi, come se non riuscissero ancora a capire bene cosa fosse successo. Non sapevo quanto ci avrebbero messo a capire che finalmente erano tutti liberi dall’influenza della Better Living, che potevano iniziare una nuova vita senza pillole, senza telecamere, senza Draculoidi.

“Grace?”

Non appena sentì il suo nome, la bambina si voltò verso il luogo di provenienza della voce. Gli occhi azzurri le si illuminarono e iniziò a correre in quella direzione prima ancora che potessimo fermarla. “Mamma! Papà!” urlò, saltando poi in collo a una donna con i suoi stessi capelli ricci che stava accanto a un uomo con gli stessi occhi azzurri. Noi Killjoys ci scambiammo un’occhiata sconvolta che poi divenne contenta: non sapevamo che Grace avesse dei genitori, ma eravamo felici che li avesse ritrovati. Frank fece per dire qualcosa, ma le sirene della polizia lo interruppero prima che potesse parlare. Ci scambiammo un’ultima occhiata piuttosto eloquente.

CORREREEEEE!!” All’urlo di Gerard scappammo via come fulmini verso la macchina dei Killjoys, ancora intatta, e accanto a lei c’era la moto di Mikey. I ragazzi si strinsero nell’auto mentre io montavo in sella all’altro veicolo senza nemmeno infilarmi il casco. Misi in moto e, con un rombo e una sgasata, mi misi a seguire Kobra Kid, già in mezzo alle strade stranamente vuote di Battery City.

*
Sinceramente questo capitolo non mi piace. Sarà perchè mi è presa un pò di tristezza per il fatto che ormai questa storia è quasi alla fine... mancano solamente due capitoli. E' strano, perchè dietro a questi personaggi ho passato otto mesi, e sarà strano pensare che la fine è già arrivata. Ma comunque, i ringraziamente verranno fatti solamente all'ultimo capitolo, e devo farne così tanti!
Il titolo del capitolo è un verso di This War Is Ours (The Guillotine Part II) degli Escape The Fate (sì, la canzone del terzo capitolo) mentre la frase sotto è di SING.
Maricuz_M: 'grandezza'? Ho letto bene, GRANDEZZA? I tuoi complimenti e la tua fiducia mi lasciano sempre a bocca aperta *piange felice* EVE NON E' MORTA, CAVOLI!! >.<
LudusVenenum: sono cucciolosamente idioti, sì :D *Korse-conga*
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
#SINGItForJapan <3
  
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