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Autore: Briseide    20/02/2006    14 recensioni
"Andiamo, a conti fatti: chi, avendo due termini di possibilità, sceglierebbe Draco Malfoy?
Risposta: Pansy Parkinson. Forse avrei dovuto baciarla".
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Pansy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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She’s electric



And I want you to know
I've got my mind made up now
But I need more time
And I want you to say
Do you know what I'm saying?
But I need more ....
Cause I'll be you and you'll be me
There's lots and lots for us to see
There's lots and lots for us to do
She is electric, can I be electric too?
[She’s electric – Oasis]


Se mi chiamassi Harry Potter avrei dei seri rimorsi di coscienza nell’accingermi a sfatare questo mito. Non tanto perché sia questo, quanto perché si tratterebbe di un mito.
Invece mi chiamo Draco Malfoy e non mi faccio alcun problema, nell’affermare e ribadire quanto sto per dire.

Li ho sentiti giusto ieri. Tornavo da uno dei soliti allenamenti di Quidditch che Pucey si diverte a piazzare di sabato sera, è così magnanimo con se stesso che ha ben pensato di non demoralizzarsi troppo se non ha niente da fare in uno dei pochi giorni liberi dagli onerosi doveri scolastici e per riuscire meglio nell’intento – ossia non scoppiare in lacrime davanti alle fiamme di un camino spento in tarda serata con una copia della rivista di Quidditch tra le mani – ha fatto in modo che io debba trascorrere quelle ore preziose… con lui. E gli altri poveri disgraziati come me.
In ogni caso, mentre rientravo in Sala Comune dal suddetto allenamento, lo sguardo mi è caduto per un momento sul divano, dove per quell’ora in genere era piazzato Blaise tutto preso a distribuire sorrisi e fusa alla povera vittima di turno, che come nei vecchi proverbi di terza mano del repertorio senile, sarebbe finita col venire sedotta e inevitabilmente – ma sempre con garbo per carità – abbandonata. Solitamente davanti alla porta chiusa della sua, nostra a dirla tutta, stanza.
L’evento del tutto straordinario, consiste esattamente in questo: nessuno Blaise e nessuna gattina, solo una sigaretta abbandonata da una Daphne troppo annoiata per accenderla, sparita chissà dove, e un gruppo di teneri marmocchi del primo anno, molto presi da una discussione che doveva risultare piuttosto interessante, dal momento che avevano le teste quasi dentro al camino pur di non farsi sentire e non dare nell’occhio.
Una tecnica alquanto discutibile, che mi portò a pensare che stessero parlando di me.
Ecco, questa è una delle tipiche ammissioni del cavolo, che uno non dovrebbe mai fare, altrimenti si ritrova come me a dover smentire e ammettere la pecca con il rodimento e l’attorcigliamento dello stomaco del caso. Il mio caso in questo momento, per essere precisi.
Non parlavano di me.
Più o meno.
E non è per vanto o presenzialismo del quale mi taccerebbe qualcuno (e non pensate subito a Potter, sareste banali ed ingenui: non ha niente di speciale quel tipo, ancora meno se quel qualcosa dovrebbe essere l’avversità che ha nei miei confronti. Figurarsi. Occuperà il milionesimo posto nella lista di quelli che vogliono uccidermi o si accontentano anche di trovarmi morto), è semplicemente un dato di fatto.
Parlavano di Pansy Parkinson.
E lei è affar mio, volente o nolente (e al momento non ci tengo particolarmente a fornire specificazioni).
Per un attimo, al sentire quello che stavano dicendo, ho quasi avuto un moto di pietà. Il che non è poco, mettendo in conto che l’ultima volta che lo ho avuto il più grande mago di tutti i tempi è morto.
Sì, sì, mi sono rigirato un po’ la storia. Piccole licenze poetiche. Blaise ne prende una quantità riprovevole ogni giorno, non capisco perché io vengo condannato se lo faccio.
Il punto è che ho sentito pronunciare dalle bocche di quell’ammasso di ormoni in subbuglio e in rivolta che Pansy sarebbe la ragazza ideale.
La ragazza ideale.
Pansy Parkinson! No, dico, ma stiamo scherzando?

-

Il fatto è questo. Loro non erano i primi. Ho sentito una quantità incredibile di persone bisbigliare idiozie simili, e quel che è peggio è che certe convinzioni andavano oltre la privatissima porta del bagno maschile.
Tutti sono convinti che lei è quella giusta per ogni ragazzo, che farebbe la loro felicità, che è perfetta.
Va bene sognarla di notte, va bene avere sempre sulla bocca il suo nome (non dubito che qualcuno abbia avuto anche altro di suo in bocca, ma poi mi dicono che sono ignorante e volgare e non ho il minimo senso della poesia), ma andiamo, posso assicurare che Pansy non è la ragazza ideale.
E, senza aggiungervi altri motivi di vanto, posso dirlo con cognizione di causa, dal momento che è la mia ragazza.
Non è il genere di persona con la quale costruisci uno di quei rapporti basati sulla fiducia, sugli scambi di tenerezze, sulle complicità sotto banco. Cancellate tutto questo dalla vostra mente di illusi sognatori.
E, a scanso di equivoci, io ribadisco, ripeto e ricordo: stiamo parlando di Pansy Parkinson, ex faccia da carlino.
Pansy fa a meno di regali costosi. E con questo, ho anticipato gran parte del resto.
Quando mio padre ha iniziato a parlare di quella ragazza del mio stesso anno, spingendomi a notare certi particolari sotto lo sguardo complice di mia madre, in termini molto diversi dagli inviti a giocare con lei che ricevevo da bambino, ho capito che prima o poi sarebbe successo.
Che avrei dovuto chiarirle quello che dovevamo fare: stare insieme, e che con mio enorme rammarico questo le avrebbe dato automaticamente il diritto di richiedere regali, gioielli e cioccolatini nel giorno dell’ anniversario.
Non posso negare che sia stata una piacevole sorpresa rendermi conto a quindici anni, che non pretendeva niente di tutto questo.
Pansy era quella che stando con me continuava ad andare a letto con Blaise.
E voglio dire, avrei anche potuto piangere per una cosa del genere, se fossi stato una persona sensibile. Insomma, la tua ragazza con le spalle al muro e il tuo migliore amico molto preso dalle sue labbra, è la classica scena che porta alla crisi esistenziale e sessuale di una persona.
Il fatto che io abbia risolto sul momento con un “Mai sentito parlare di serrature?” è un particolare irrilevante ora come lo era stato in quell’episodio, che si era concluso con una scrollata di spalle di Pansy e un incantesimo dalla bacchetta di Blaise.

Fu dopo che iniziai a pensarci. Perfetto. Aveva barattato un bracciale con i cuoricini in cambio del letto di Blaise, ed era quella che per tutti era la mia ragazza.
Naturalmente, c’era qualcosa che mi sfuggiva.
Lo chiarii subito, quando la mattina dopo la vidi coinvolta in una discussione accesa con due dei miei compagni di squadra su chissà quale dogma Slytherin non rispettato. Mi soffermai a guardarla da lontano, appoggiato ad una statua di chissà quale illustre figura che avesse mai transitato per il castello, e spostai lo sguardo sui suoi capelli neri, sempre così lucidi, sempre così legittimamente al loro posto. Il naso, le labbra, atteggiate ora in un sorriso di scherno ora in una smorfia di totale disappunto, ora in una linea dritta e pallida.
Mi accorsi che erano colorate di rosa. Non persi tempo a cercare il resto, e ad osservare l’algida noncuranza con cui lasciava che gli istinti più repressi delle persone che incontrava rompessero l’argine del controllo e della ragione che quei poveretti cercavano di imporgli.
Il modo in cui aveva lasciato aderire quella camicia sulle spalle e sul seno, quel bottone saltato per caso che di certo non si era mai chiuso, quella gonna così corta, sicuramente dell’anno precedente che copriva relativamente poco delle sue gambe lunghe e magre, forse troppo ma chi ci avrebbe fatto caso quando erano accavallate in quel modo. E quella mano, mai ferma sul fianco, sempre presa a toccare lei stessa, una carezza alla camicia, un gioco improvvisato con le dita dell’altra mano, un ricciolo su una ciocca di capelli, un gesticolare raro e metodico, studiato ma perfettamente naturale.
E tutto quello, non era per me.
‹‹ Senti, quando sarà il caso lo sai cosa devi fare. ››
Quando Blaise cammina non fa alcun rumore. Ho sempre creduto che fosse un fantasma in realtà, allo stesso modo in cui ogni tanto la notte mi trovo a chiedermi se non sia morto.
‹‹ Ucciderti?››
Un altro sarebbe morto di paura e ci avrebbe pensato da solo. Ma Blaise era quello che andava a letto con quella che era quasi dichiaratamente la mia ragazza, quindi non c’era da stupirsi quando mi aveva guardato dritto negli occhi, alzando gli occhi al cielo.
‹‹ Se avrai fretta, d’accordo, fai pure. In caso contrario, basterebbe un avviso. Grazie ››.
Ed era andato a fare colazione senza aggiungere altro.
Io rimasi ancora per qualche minuto appoggiato a quel muro, a guardare Pansy Parkinson, la mia ragazza, iniziare un’altra giornata della sua esistenza senza aver minimamente tenuto conto che io avrei dovuto farne parte.

Forse mi sono sentito offeso, da tale affronto.
Ma caspita, un tempo era stato per merito suo se ero diventato l’idolo della popolazione femminile di Hogwarts, sogno proibito di ragazze di umile ceto e di buona e pudica famiglia; era stato il suo modo di guardarmi di nascosto, i suoi occhi sempre su di me, quella luce così innamorata persa, che aveva spinto tutto quel numero di ragazze a chiedersi cosa avessi mai di così speciale da fare effetto anche su una come Pansy.
E allora, a che cristo pensava mentre mi baciava? A Blaise! Lo sento il coro delle vostre voci. No.
La mia arroganza e la mia superbia intellettuale mi portano ad escludere categoricamente tutto questo. Non pensava a Blaise, non sa farsi amare dalla gente. È un grande amante, ecco tutta la sua fortuna, e avendo sua madre fatto fuori tutti i cani che si è portata a letto, non ha neanche l’ombra paterna che gli sceglie la donna della sua vita. Pensava a me. Perché vedete, Pansy fondamentalmente, in tutta la sua componente tipicamente Slytherin, è molto onesta. E se bacia qualcuno, in quel momento pensa a lui.
Il problema è esattamente questo: non è che ci voglia molto a pensare a qualcuno.
È che tutti si aspettano che nel baciarlo, lei dovrebbe pensare in un certo modo a quel qualcuno.
Ecco, è esattamente il genere di cosa che Pansy non fa.
Potrà sembrarvi una insulsa smanceria e riterrete assurdo che io maschio e per giunta di stirpe Malfoy mi ricordi un aneddoto simile, quale il primo bacio con Pansy, ma ho la mia giustificazione: mi ha letteralmente colto alla sprovvista, io non ho deciso niente, e per questo già ho perso dei punti nella mia classifica di auto-gradimento.
Eravamo in treno, seduti a parlare del prossimo ricevimento al quale avremmo dovuto prendere parti in quanto rampolli di ricche famiglie in vista, quando ha smesso di parlare, si è sporta verso di me e mi ha baciato. E poi se ne è uscita dicendo che doveva andare a mettere la divisa, perché eravamo vicini al castello.
Ora dico, a rigor di logica, dopo una scena del genere, si sarebbe dovuta togliere tutto quello che aveva addosso, che fosse una divisa o meno.
E invece no, mi ha semplicemente sorriso. Quanto ho odiato quel sorriso.
E tutto questo è successo, esattamente perché è di Pansy Parkinson che si sta parlando, ci tengo a ripeterlo ancora una volta.
È da lì che mi sono ritenuto ufficialmente offeso.
Perché nell’arco di tempo in cui è sparita e poi ricomparsa vestita di tutto punto stile Hogwarts, ho avuto modo di pensare che quel bacio fosse stato un omaggio alla persona di mio padre, un esaudire un desiderio a cui teneva particolarmente, un fargli il favore che tanto bramava, e poi sorridere come quando consegni un compito a Snape e te ne esci libero dall’aula di Pozioni.
Ci sono arrivato tempo dopo, a rendermi conto che il suo modo di baciarmi non era affatto distante dal modo in cui le avevo porto il braccio e l’avevo fatta ballare al Ballo del Ceppo l’anno prima; ogni passo doveva esserle sembrato una dedica a sua madre e una captatio benevolentiae verso mio padre neanche nascosta troppo bene. Fu così che scoprii che Pansy Parkinson non era il tipo di ragazza ideale e che per giunta era anche vendicativa.
E, peggio di tutto, si vendicava a sangue freddo. Non premeditava niente, il che era un salto nel buio ogni volta. Viveva tranquillamente la sua vita quotidiana, quando all’improvviso un giorno le si parava d’avanti l’occasione e… voilà. Le bastava allungare una mano per coglierla al volo; se solo non fosse stata una ragazza così dannatamente femminile e tanto devota alla perfezione con cui la sua gonnellina le accarezzava i fianchi, e fosse invece salita su una scopa… io sarei stato un Cercatore fallito.
A cogliere le palle al balzo, lei era cento volte più brava di me.
Sapevo perfettamente che non avevo sbagliato niente e che non ero io a non piacerle o Blaise a piacerle troppo. Era come se trovasse una sorta di piacere infantile e snervante nel portarsi a letto il mio migliore amico e camminare accanto a me per le strade di Hogsmeade.
Blaise non ha mai fatto niente perché questo non accadesse. Ogni tanto mi lanciava un’occhiata scrupolosa, sondava la situazione, controllasse che per me fosse ancora tutto sotto controllo, e poi continuava tranquillamente a mandare avanti quel gioco assurdo.
Ogni tanto mi chiedevo cosa mai potesse pensarne mio padre, se avesse potuto assistere a tutto quello scambio di ruoli. Più che altro mi preoccupavo di cosa mai avrebbe potuto pensare di me, lui che mia madre l’ha sempre avuta al suo fianco e l’ha sempre tenuta per mano per tutta la loro adolescenza.

Alla fine del quinto anno, mio padre è stato incarcerato, e io ho perso la terra sotto ai piedi.
Non ho detto niente a nessuno e ho cercato di tenermi sollevato in aria, per quanto potesse essere difficoltoso, e a volte persino doloroso. Soprattutto stancante.
Quella notte è stata la prima notte in cui ho dormito con lei.
È arrivata di notte, senza fare alcun tipo di rumore, ho sentito solo il battito lontano dei suoi piedi sul pavimento freddo nell’attimo in cui ha smesso di camminare frettolosamente, per fermarsi davanti al mio letto.
Non ho mosso un muscolo, stavo dormendo, no? Chiunque lo avrebbe fatto alle due di notte.
Per un momento ho pensato che fosse venuta in cerca di Blaise, in una piena crisi di astinenza. Ma non mi mostrai troppo stupito quando si appoggiò al materasso del mio letto.
Rimasi immobile, girato su un fianco dandole le spalle, sentendo il peso del suo ginocchio affondare il materasso, poi una pressione più leggera ed incerta – una mano – che trovò una maggiore stabilità una manciata di secondi dopo – l’altra mano – e poi tutto tornò come prima.
Ma il letto era meno freddo, alle due e cinque.
Fosse stato per lei non ci saremmo davvero parlati quella notte. Si era stesa accanto a me e aveva tirato su la coperta leggera. L’unico a parlare era Theodore Nott nei suoi vagheggi onirici.
‹‹ Avresti anche potuto svegliarmi. ››
Mugugnai perfettamente lucido invece. La sentivo sempre più accanto a me nonostante avessi la certezza che non si stesse movendo e più iniziavo a rendermi conto che non fosse una sensazione così spiacevole, più ero assalito da un’angoscia appena palpabile, la percepiva solo il mio respiro d’un tratto spezzato, credo.
‹‹ Chi arriva sveglio alle due di notte ormai non dorme più ››.
Pansy aveva sempre avuto una serie di convinzioni tutte sue. Questa ad esempio sarebbe potuta essere una grande idiozia, ma non potevo dire molto, dal momento in cui erano le due di notte ed era chiaro che davvero non avrei più dormito.
Cambiai posizione, lasciandomi rotolare sulla schiena. La mia spalla sfiorava quasi la sua, e per un attimo non mi prese un accidente quando mi accorsi che in realtà la sua pelle era fredda. Come poteva essere così gelida se il letto mi era parso più caldo quando era arrivata? Allora andai davvero in panico, come ti succede poche volte nella vita, e come ad uno come non sarebbe mai dovuto accadere.
Non ho davvero più capito cosa avrei dovuto pensare.
‹‹ Mi annoiavo, se proprio ti serve un perché ››.
Specificò tanto per farmi un favore. In realtà suonò come una giustificazione che rivolse in parte anche a se stessa.
‹‹ Ti annoiavi?››
‹‹ A guardare il soffitto››.
Lì per lì mi venne da ridere. Ero steso accanto a Pansy a notte fonda, con mio padre sbattuto nei recessi di chissà quale cella nel cuore di Azkaban, a sentirmi dare delle risposte a domande mai fatte, con un tono da maestra dell’asilo piuttosto accondiscendente.
‹‹ Cosa ti ha portato a credere che questo letto sia meglio di quello di Blaise?››
Mi sentii un po’ patetico sul momento a sfoderare il miglior tono offeso di cui disponessi, usando un inventario di frasi fatte che su nella torre Gryffindor sarebbero parse molto meno bislacche e indignitose.
E, ciliegina sulla torta direbbe mia madre con un finto sorriso forzato, ebbi anche il timore che mi rispondesse qualcosa come Sono stanca.
‹‹ Niente. Non ho termini di paragone››.
Non avendo più la terra sotto i piedi, non trovai altro luogo dove sprofondare per quelle parole. Quindi rimasi fermo dov’ero, a chiedermi come poteva essere andata a letto con Blaise per quei mesi, senza toccare effettivamente il suo letto. Passai in rassegna tutto, tutto. Non nei dormitori femminili, le scale non consentivano il passaggio. Non in aule o in giardino, lei amava la discrezione.
‹‹ Svelato l’arcano?››
Mi domandò spezzando il filo conduttore dei miei pensieri. Mi voltai a guardarla indignato. Come osava, costringermi a pormi tutte quelle domande, a dover cercare una risposta, e per giunta interrompermi con quel tono derisorio e saccente da concorrere con quello di Miss Il Mondo E’ Mio Granger?
Mi sorrise come una bambina che ha nascosto le caramelle alla sorella.
‹‹Nessun letto, genio. Niente oltre a qualche bacio››.
Non me la voleva dare vinta. La verità era che lei non voleva che io trovassi la risposta. Il suo massimo desiderio era finire nel mio letto per annunciarmi di avermi preso in giro per un tempo indecente, lasciandomi credere di aver fatto l’amore con Blaise.
E di aver vinto quel gioco idiota.
Il guaio era che a conti fatti, l’aveva vinto sul serio.
E di nuovo io non avevo assolutamente niente da dire.
‹‹Credo che tuo padre non tornerà ››.
Lo disse molto tranquillamente, come se non avesse preso in considerazione l’eventualità che avrebbe potuto uccidermi con una sentenza del genere espressa con voce così ferma e decisa, come se fosse un fatto certo, un voto su un compito in classe, un incantesimo, mi chiamo Pansy Parkinson , il cielo è azzurro, e mio padre non sarebbe più tornato.
Però non la odiai.
‹‹Credo che tenterà in tutti i modi di evadere, senza scrupoli come ha sempre fatto per tutto. Tua madre farà di tutto per potersi riprendere suo marito e tu finirai nei guai››.
Accompagnò un brivido gelido lungo la schiena, l’impressione improvvisa, di dividere il letto con Sibilla Cooman. Ma lei non sarebbe stata così calda nel gelo del suo corpo, come Pansy. E non sarebbe stata in grado di raccontarmi gli anni più dolorosi della mia futura esistenza come se fosse una storia, con voce lenta e flebile, un po’ arrochita dallo sforzo di tenerla bassa, tra il sonno ormai perso e la veglia appena impregnata dell’odore di un’alba che lanciava bagliori del suo prossimo arrivo.
‹‹Giocherai il tutto e per tutto. Te ne fregherai di tutto il resto, non risparmierai niente per lui. Neanche Blaise, neanche la tua dignità. E nessuno sarà in grado di farti ragionare, perché sarai così schifosamente accecato dalla smania di risultare indispensabile per tuo padre che perderai qualsiasi… logica››.
Rimasi in silenzio ad ascoltare il suo racconto, mentre la gola iniziava a bruciarmi.
‹‹E alla fine sai che ti dico? Che avrai fatto l’ennesima cazzata, Draco. Con la stessa ingenuità e superficialità con la quale hai potuto credere che io andassi a letto con il tuo migliore amico, brucerai tutto quel poco di positivo che hai messo da parte senza alcun merito, per altro. E non troverai molti appoggi, credo ››.
C’era una durezza nella sua voce che non riusciva a farmi male.
Il modo in cui si arrabbiava per come avrei gettato al cesso tutto quello che avrebbe potuto farmi del bene, la scelta di andare alla deriva di cui mi stava raccontando, scaldò qualcosa in me. Non so neanche cosa, ma sentii che c’era, ci doveva essere per forza, qualcosa di buono in tutto quello che mi stava dicendo, e in tutto l’astio che ci stava mettendo.
‹‹ Però, anche se del tutto immeritato come tuo solito, qualcosa alle tue spalle ce l’avrai ancora. Vedi di ricordarti almeno questo quando perderai del tutto la ragione, o saranno davvero affari tuoi dopo ››.
Concluse seccamente, voltandosi di fianco e chiudendo gli occhi.
Allora mi chinai su di lei, sfiorando il suo collo con il naso. Era il momento adatto per baciarla, perché era persino riuscita a farmi una dichiarazione senza leggere il copione che mio padre le avrebbe di certo scritto prima o poi.
Lei voltò la testa verso di me, aveva alcuni capelli sottili a coprirle un occhio e le labbra dischiuse, aride per il discorso appena fatto e per il caldo della notte.
‹‹ Non ti bacerò se è questo che pensi di fare. Rimettiti giù, risparmia le forze ››.

Ricordate la mia insistenza nel ribadire che Pansy non sarà mai la ragazza ideale? Ora state iniziando a capire perché?

‹‹ Per carità. Troppo banale, concedersi eh? ››.
Ho notato un certo istinto ferino nello scatto che fece nel girarsi del tutto verso di me, guardandomi con una luce negli occhi che avrebbe superato di gran lunga quella dell’alba che prima o poi sarebbe giunta.
Io davvero, ho preferito mio padre a lei? Davvero.
‹‹ Io ti ho scelto Draco. Non ho alcun obbligo a starmene qui nel tuo letto, ci hai mai pensato? Tuo padre non tornerà, non ho più alcun dovere di starti vicino e farti le fusa, per fare felici i coniugi Malfoy. Non siamo più noi a poterli fare felici. Il mio compito è finito, io, sono io che ho scelto di essere qui. E pensa tu come sono magnanima, ho persino scelto di essere l’unica sponda che rimarrà ad uno stronzo come te, quando ti giocherai l’ultima occasione salvando la pelle a uno per cui conti quanto una chiave blindata della Gringott.
Sai una cosa, Draco? Ti ci dovrei proprio mandare a quel punto di non ritorno e invece passo ancora del tempo nello spreco più totale a chiedermi come tu possa avere così poca stima di te stesso, se sei riuscito a credere per tutto questo tempo che potessi aver dato retta ad uno come tuo padre e che mi trovo qui è ancora per compiacere il mio››.
Non aggiunse nient’altro, non ritenne neanche che fossi degno di un’opportunità di risposta. Semplicemente si era voltata di nuovo, e aveva serrato le labbra. Io non ebbi molto altro da fare se non cercare di dormire in quel letto che quella notte proprio non mi sembrava né troppo grande né troppo freddo, nonostante Pansy avesse deciso di non concedermi proprio un bel niente.



-

Ma voi non state capendo perché sto dicendo tutto questo, vero?
Sul momento non lo avevo capito neanche io, a cosa era servito tutto quel logorroico discorso di Pansy se non voleva neanche un bacio da me, pur essendo coperta dalle lenzuola del mio letto, nella mia camera.
Fu soltanto nel momento in cui mi ritrovai a parlare – più o meno sconnessamente – con il mio presunto confidente che afferrai qualcosa. Precisamente quando constatai che stavo parlando e cercando una soluzione nel completo panico confrontandomi con il niente, un accumulo di aria umida e grondante di lacrime, nei bagni femminili del castello. Mentre sentivo Mirtilla Malcontenta svolazzare su e giù per le pareti scrostate di quel bagno in disuso, mi tornò in mente Pansy.
Molto romantico, penserete, avere in mente proprio lei mentre u più sagace che mai Potter decide di farmi a pezzetti sperimentando un incantesimo fortuito, che per ironia della sorte, è personalissima creazione dell’uomo che avrebbe dovuto salvarmi la pelle in ogni caso.
Invece sì, avevo in mente lei e tutto quel parlare in quella notte di giugno.
Non credo che possiate capire ancora, cosa significhi per me essere scelto.
Andiamo, a conti fatti: chi, avendo due termini di possibilità, sceglierebbe Draco Malfoy?
Risposta: Pansy Parkinson.
Mi ero fermato all’idea che si fosse trattata di una scelta di mio padre e di suo padre. Come mio solito, mi ero fermato troppo presto, evidentemente.
Sempre perché avevo troppa poca stima di me stesso, direbbe Pansy.
Ma neanche lei si rende conto che risulta essere un po’ complicato averla quando hai alle spalle una figura paterna come quella di mio padre.
Esattamente il tipo di cosa che a Pansy non importa minimamente.
Lucius Malfoy per lei equivaleva a Tizio Caio. Non era nessuno, se non un uomo nei guai che per un errore nei calcoli della sua esistenza, si era trovato dietro alle sbarre, con un futuro poco piacevole in vista, una moglie molto arrabbiata con lui e un figlio in crisi.
E in tutto questo, lei nonostante tutto mi aveva scelto, e insieme a questa nuova consapevolezza, mentre mi lasciavo alle spalle quel gruppo di illusi ragazzini davanti al camino, mi riecheggiarono in qualche meandro sconosciuto della mia testa, alcune delle sue parole, c’entrava qualcosa che non mi ero affatto meritato ma che – stando a quanto aveva profetizzato lei – sarebbe rimasto ugualmente alle mie spalle.
Sbagliato.
Mentre gettavo la scopa per terra e lasciavo ad un alacre frotta elfi domestici la divisa sporca del Quidditch, pensai che è del tutto impossibile profetizzare ciò che si sa. E quindi, che Pansy non aveva tirato fuori nessuna profezia, aveva semplicemente cercato di farmi capire che lei aveva scelto di esserci.
Anche alla fine di tutto.
E aveva perfettamente ragione: non me lo meritavo.
Ma, essendo un Malfoy, non rifiuto niente, e se posso, approfitto.

-

‹‹ Draco Malfoy. Riemerso dall’oltretomba?››

Prendete nota anche di questo: sebbene vi presentiate alla sua porta con il viso pallido, l’aria affranta, gli occhi rossi di un pianto invisibile e il morale a pezzi, tutti legati tra loro con un filo poco resistente e gettati bellamente dalla torre più alta del castello in pasto al più abominevole dei cuccioli da giardino che si diverte ad allevare Hagrid, Pansy non mostrerà alcun sorriso, nessuno sguardo particolarmente pietoso, e non vi aspetterà a braccia aperte pronta ad elargire consolazioni tra le più svariate e sentite.
La ragazza ideale, eh. Ancora convinti che lo sia?

‹‹ Più o meno››.
Se non altro aveva lasciato andare lo stipite della porta, e lanciandomi un’occhiata dubbiosa, si era fatta di lato per lasciarmi entrare.
Piuttosto stancamente scivolai all’interno della stanza, chiudendo la porta con una spinta fiacca, rispetto ai miei standard e a quelli che la porta stessa era abituata a ricevere.
Apro una piccola parentesi: chi usciva dalla stanza di Pansy non era mai a tal punto tranquillo da poter chiudere la porta con il tatto dovuto e in maniera civile. Il che la dice lunga sul soggetto in questione, che però in quel momento era seduta sul letto, con le gambe accavallate e le labbra assottigliate in un sorriso tenue, appena accennato, che rifletteva tutta la sua ironia, nei suoi occhi, così scuri che quella luce di rivincita puramente femminile e al tempo stesso di puro e dichiarato sarcasmo, riluceva ancora di più.
‹‹ Che succede? ››.
Non voleva sapere la risposta in realtà. O almeno non le serviva per tacere una sua personale curiosità, dal momento che sapeva perfettamente che diamine stava succedendo. Il finimondo. Per me, intendo.
Ora, nel rievocare questo episodio cruciale della mia vita con Pansy, mi appello sempre alla tesi scientifica che compone l’accaduto, ma so ammettere che per una volta occupa si e no il trenta, trentacinque percento in realtà.
Il caso volle che non avevo avuto tempo di pranzare quel giorno, e quindi ero andato agli allenamenti a stomaco quasi vuoto, e questo ha contribuito al giramento di testa che mi colse successivamente a quella domanda, e non, sottolineo e non alla posizione della gambe di Pansy, all’intensità del suo sguardo che iniziava a farmi bruciare lo stomaco, e al tono della sua voce, così soffice nell’accusa precisa che mi stava rivolgendo.
Fatto sta, che iniziò a girarmi la testa, e dovetti appoggiarmi per un momento alla parete.
Lei finse accuratamente di non farci caso – altro personale favore che mi fece – e appoggiò la schiena alla spalliera del letto, incrociando le braccia al petto. Era troppo paziente per poter essere vera.
‹‹Come mai sei venuto a quest’ora? Ti serve qualcosa?››
Mi domandò in tono casuale, iniziando a slacciare il primo bottone della camicia. Lo fece perché aveva tutte le intenzioni di andare a letto, dato l’orario, per motivi puramente cronologici, non per farmi sembrare che neanche la parete avesse poi una gran consistenza.
‹‹Mi serve un appoggio››.
Mormorai.
Lo avrei detto molto più volentieri alla parete, ovviamente, ma in quanto marmo non avrebbe potuto fare niente per soddisfarmi.
A questo punto, la ragazza ideale di cui tanto sparlavano prima, avrebbe letto tra le righe e avrebbe cortesemente offerto la propria spalla come appoggio per abbandonarsi alle lacrime per quella vita ingrata, per il padre perso, per il guaio combinato, per la morte causata, per il mio essere Draco Malfoy.
Sbagliato, ancora una volta.
Pansy allentò un altro bottone, e mi lasciò un po’ di spazio nel letto, continuando tranquillamente ad armeggiare con la sua camicia.
‹‹Vieni qui››.
E non lo disse con il tono materno e comprensivo con cui la Granger probabilmente si rivolge a Potter nelle sue turbolente notti sconvolte da atroci incubi. Sembrava più che altro una Molly Weasley trentenne che si ritrova a dover pulire per la quinta volta il naso sporco del figlio di turno.
Eppure mi amava.
E fu solo per questo forse, che seppi perfettamente che non era affatto infastidita dal dovermi fare posto come la sua voce avrebbe potuto lasciare ad intendere.
La sentii scostare un lembo del lenzuolo, e scivolarvi sotto. Non aveva fatto alcun rumore, se non una carezza leggera tra il suo corpo longilineo e il tessuto morbido del lenzuolo bianco.
Mi stesi accanto a lei, cercando di imporre al soffitto di smettere di girare.
‹‹Che dice la vecchia Mirtilla?››
Domandò d’un tratto, allungando di poco il cuscino con la bacchetta perché bastasse per tutti e due. Di nuovo, avevo la sua pelle contro la mia, ma questa volta tutto sapeva di lei. Le lenzuola avevano impresso l’odore della sua pelle, il suo cuscino aveva conservato il profumo che le inumidiva il collo e i polsi, e persino il suo respiro flebile spandeva nell’aria la sua essenza: elettricità.
Ovunque e nel mio corpo.
E il soffitto non smetteva di girare. E girare, e girare, mentre le dicevo che Mirtilla non diceva niente di che, che non potevo saperlo avendo smesso di parlare con lei; e intanto il soffitto girava come il suo corpo sottile si voltava verso di me in un movimento fluido e silenzioso, e iniziavo a sentirmi strano, forse avevo la febbre, forse stavo davvero per svenire, forse sarei morto prima dei vent’anni, forse l’avrei sposata, e magari avrei chiamato mio figlio con il nome di mio padre, forse la terra prima o poi sarebbe tornata sotto i miei piedi;chissà, magari avrei trovato qualcuno che avrebbe pagato per me i miei errori, o forse li avrei pagati io di lì a pochi giorni. Forse avrei dovuto dormire per riprendermi, forse non avevo sonno, forse l’alba non sarebbe mai arrivata o forse quella notte sarebbe trascorsa troppo in fretta.
Forse avrei dovuto baciarla.
‹‹Lo vedi ora?››.
Chiusi gli occhi prima ancora che me lo chiedesse lei. Buio. Tutto vorticava ancora. Niente terra sotto i piedi.
‹‹ Il punto di non ritorno››.
“… l’unica sponda che rimarrà ad uno stronzo come te…”
Faceva davvero caldo. Eppure quelle coperte erano leggere e la finestra socchiusa, e la stanza vuota se non per noi due.
Si, probabilmente avevo davvero la febbre.
‹‹Si››.
Eccome se lo vedevo. Il niente. Nessuna via di uscita, solo una prossima rassegnazione e una futura attesa, forse della morte forse di una esistenza precaria, forse di un nuovo niente nel quale soffocare.
‹‹Bene. Vuol dire che avevo ragione io››.
Pansy trova sempre il modo di compiacersi, anche se non si sta parlando di lei. Io lo trovo ammirabile dopotutto.
Io non ho pregato mai nella mia vita, lo trovo piuttosto inutile. L’ho fatto solo una volta ed ero molto giovane. Avevo diciassette anni e Pansy Parkinson al mio fianco, tutta presa a dimostrare di non poter essere la ragazza ideale, e mi stavo giusto ricordando di quello che mi aveva detto tempo prima. Lo feci quasi d’istinto, come se fosse realmente possibile che io avessi una vocazione.
Pregai che fosse una di parola.
Posso anche ritenermi sfacciatamente e indignitosamente fortunato a questo punto: una sola preghiera, e quell’unica è stata esaudita.

Mi baciò. Questo comportò che voltassi la testa, la baciassi a mia volta, e reagissi in qualche modo, naturalmente.
Mi voltai su un fianco, passandole una mano sulla nuca, portando un braccio a circondarle la vita, sollevandomi di poco su di lei, mentre le sue dita gelide mi puntellavano la schiena.
Ed ebbi la sensazione di avere un letto sotto di me, poggiato sulla terra che finalmente era tornata sotto i miei piedi, pur non trattandosi del ritorno di mio padre.
‹‹ Pansy…”.
‹‹Mh?››
‹‹A te non sembra che il soffitto giri? E la stanza anche?››
‹‹ No sei tu››.
Figurarsi. Per essere rassicurati da Pansy bisogna avere dei requisiti speciali che non conosce neanche lei.
‹‹Io? A me non sembra››.
‹‹Ma sì››.
Si era voltata e aveva sistemato la testa sul mio petto. La mia mano era andata istintivamente in cerca dei suoi capelli sottili.
‹‹Sei tu che ti stai allontanando dal punto di non ritorno››.
Sussurrò iniziando a giocare con la mia pelle, prima di poggiarvi un bacio di sfuggita, e chiudere gli occhi.
Ero io che mi stavo allontanando dal punto di non ritorno.
Ormai il suo respiro si era regolarizzato e accarezzava la mia pelle, quando presi atto di quanto aveva detto.
‹‹Bella questa››.
Attorcigliai una ciocca dei suoi capelli intorno al mio dito, fissando ancora il soffitto che lentamente aveva smesso di vorticare.
‹‹Neanche a Blaise ubriaco sarebbe venuta fuori una stronzata del genere››.
Però suona bene.
Le baciai i capelli e pensai bene di chiudere gli occhi e dormire. L’ultimo pensiero lo dedicai al soffitto, a chiedermi se la mattina dopo lo avrei trovato ancora lassù, tutto intento a girare per i fatti suoi.

Fine.

  
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