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Autore: Krupteia    22/05/2011    5 recensioni
Prima guerra magica, Sirius Black romba sulla sua Harley Davidson volante lasciando letti sfatti e donne incredibilmente felici dietro di sé, James e Lily Potter vivono i loro primi, ed ultimi, anni di felicità. Chi è invece il giovane uomo che, spente le luci, con le mani che tremano regala i suoi ricordi alla notte?
"Il mio nome è Remus, Remus Lupin e non sono nessuno.
Ho vent'anni, una malattia incurabile, incubi notturni e nessuna famiglia.
Ma soprattutto ho tre orrende cicatrici che mi attraversano il viso come una promessa e una minaccia.
Insomma, sono un tipo che cammina all'ombra dei muretti e si fa gli affari suoi."
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Ti guardo
in un molle riverbero. Non so
se ti conosco; so che mai diviso
fui da te come accade in questo tardo
ritorno. Pochi istanti hanno bruciato
tutto di noi: fuorchè due volti, due
maschere che s’incidono, sforzate
di un sorriso.”

Due nel crepuscolo”, Eugenio Montale

 

Una giornata d'autunno ad Hogsmeade, ostinata roccaforte di una normalità consunta.

Non sono mai stato un gran poeta, non ho mai preteso di esserlo, ma quella scintillante gioventù di Hogwarts lasciata a scorazzare nel pomeriggio cristallino di settembre mi sembrava null'altro che la riprova della lucida follia imbelle del Ministero.

Maledizione, tre del pomeriggio, dovrei essere già da Rosmerta.

Allungo il passo.

Il mio nome è Remus, Remus Lupin e non sono nessuno.

Ho vent'anni, una malattia incurabile, incubi notturni e nessuna famiglia.

Ma soprattutto ho tre orrende cicatrici che mi attraversano il viso come una promessa e una minaccia.

Insomma, sono un tipo che cammina all'ombra dei muretti e si fa gli affari suoi.

Fu la risata rovente di un paio di ragazze a farmi schiodare gli occhi dall'asfalto: ero pur sempre -quasi- umano.

Tutto quello che vidi furono dei mocciosi che giocavano con delle caccabombe, novità dell'anno, e delle studentesse che adoravano l'ultimo ritrovato del Maschio Magico.

E dire che una volta, su quelle panchine, sotto quei riflettori c'eravamo noi.

Errata corrige: e dire che una volta, su quelle panchine, sotto quei riflettori c'erano Sirius e James, i miei migliori amici.

Il bello e il simpatico. Adorabili, adorati, amoreggianti ancelle adoratrici.

Poi un raggio di sole illuminò la polvere delle foglie secche calpestate da quei vandali, socchiusi gli occhi e sbattei esattamente contro un bambino di nemmeno tredici anni che, sinceramente, non so che ci facesse lì, lo tenni in piedi per le spalle, recuperai un libro che gli era caduto e, scusandomi, tornai alle mie elucubrazioni su quanto mi sentissi vecchio e ammuffito.

Licheni sull'anima e forme di vita alternative dentro a quella parte di cuore rimasta sgombra dall'elefantiaca presenza di quei pochi amici che avevo.

Allora, solo allora, mentre seguivo con lo sguardo il ragazzino che svaniva nella luce nebulosa vidi il mio albero.

Mi sedevo sempre lì quando, nei miei momenti peggiori, non riuscivo nemmeno a camminare.

E sotto al mio albero una ragazza. Lo ammetto: credetti fosse una statua, almeno finché con un movimento preciso e lento voltò pagina.

Leggeva, solo i suoi occhi rompevano la magia di quell'immobilità perfetta in mezzo alla frenesia del formicaio umano che le brulicava intorno.

Non c'era suono oltre lo stormire delle foglie intorno a lei, partecipe, viva e, tuttavia, totalmente aliena.

Una treccia mogano posata su una spalla e colorito leggermente ambrato, terracotta ancora calda del forno dove si era asciugata.

Avrei ricordato quel giorno per qualcosa che non fossero disgrazie, pare.

Fissai nella mia testa quell'immagine e mi ripromisi di parlarne a Sirius: le sarebbe piaciuta, checché ne dicessimo a lui le oche non dicevano nulla.

Ci fosse stato lui al posto mio probabilmente l'avrebbe già agganciata, ma c'era qualcosa di sacro in quel vuoto di spazio, aria, silenzio che circondava la ragazza.

La sacralità della totale dedizione a un libro, che diventa spesso amore incondizionato, viaggio dentro terre inconsulte, scoperta, sogno, quasi esistenza e, infine, totale dedizione alle vite degli altri.

Le augurai buon viaggio, cacciai le mani in tasca e ripartii.

I soliti binari lungo i quali scorreva la mia esistenza diurna da una luna all'altra.

Mi divertii ad immaginare la vita di quella ragazza, perché davvero se c'era qualcuno la cui vita mi sarebbe piaciuto attraversare era lei: l'avevo deciso senza conoscerla, a prima vista.

Sarebbe stato un bel regalo farmi un pezzo della sua strada, entrare in quello spazio vuoto ed incommensurabilmente colmo che aveva intorno.

Osservare il modo in cui, chiuso il libro, alzava gli occhi all'amica che la chiamava, il modo in cui sorrideva. Ovvio che avrebbe avuto un bel sorriso, era evidentemente una di quelle che sono felici con poco. Da cosa lo avevo capito? Non saprei ridirlo. Intuizione.

'Giorno Rosy”, salutai la mia datrice di lavoro che mi rispose con un caustico “Ti sei deciso, finalmente.”

Con quella massa di capelli ricci sempre legati le camicione larghe a fiori multicolori e i jeans dimostrava molto meno dei suoi effettivi quarant'anni e qualcosa.

Mi indicò con un cenno del capo il bancone in legno scuro pieno di bicchieri da asciugare fino a farli brillare, la regola era 'niente magia nel mio locale'.

Mi stava più che bene, almeno per un po' potevo dimenticare di essere un mago.

C'era una bella atmosfera nei Tre Manici di Scopa in quel periodo. Posto piccolo, sempre pieno di gente, le solite facce, odore di cibo che impregnava l'ambiente e le persone.

Quadri alle pareti, buona musica, niente tempo per piangersi addosso ma tutte le ore della sera per lasciarsi avvolgere dalle proprie malinconie sulle note di un buon blues.

What if? Cosa sarebbe successo se non fossimo stati in guerra?

Perché si sentiva nell'aria che tutti indiscriminatamente rischiavamo la vita: l'Oscuro Signore e i suoi Mangiamorte erano tanto vicini a prendere il potere che nessuno si arrischiava nemmeno a pronunciare più i loro nomi.

Ed era così che stava vincendo: con l'omertà.

Sospirai. “Remus...”, mi voltai verso Rosmerta che appoggiata ad un tavolo mi osservava leggendomi dentro con gli occhi di ghiaccio che aveva. “Sì, Rose?”, le sorrisi sembrava una di quei non-maghi che giravano su camionette colorate vivendo di musica e di loro stessi.

Trovati una donna.”, alzai gli occhi al cielo e ripresi a lucidare i bicchieri.

A che mi serviva una donna, in tempi come quelli? Non sapevo proteggere me, come avrei potuto proteggere un amore?

Non fa per me innamorarmi. Mi infatuo già regolarmente di tutto ciò che leggo.”

Scacciai l'immagine di me con la ragazza-libro. Tenerla tra le braccia mentre legge sotto il nostro albero. Noi all'asciutto sotto i rami mentre intorno piove.

La porta di legno e vetro all'ingresso si aprì scampanellando, tornai alla realtà.

  
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