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Autore: deliradubbiosa    22/05/2011    4 recensioni
Forse non tutto è perduto; forse Edward non è costretto a lasciar perdere Bella fin dal principio.
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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Adesso che sono consapevole di essere irreversibilmente innamorato di Bella, non mi rimane altra scelta che rischiare. Un tentativo che neanche Rosalie, nel suo perenne odio verso se stessa, ha mai osato fare: dopotutto, vuole vivere.
Chiudo gli occhi e sospiro, sperando che non sia l’ultima volta.

    E ora questo che cavolo vuole? Non si può neanche cacciare in pace.
Lascio cadere la carcassa – una giovane prostituta – in un angolo del buio vicolo cieco e mi volto seccato verso il vampiro di cui ho sentito l’odore. E’ un ragazzo, rosso, dagli strani occhi dorati. E’ in posizione di attacco. Illuso.
Il mio potere mi permetterebbe di ucciderlo con una semplicità inaudita, cosa che in genere tendo ad evitare perché il processo è lento. E poi, è spassoso vedere quei tronfi individui regredire a uno stato di debolezza per loro insopportabile.
Con aria più smarrita di quanto vorrebbe far credere, il vampiro mi attacca. Io mi limito a guardarlo intensamente negli occhi.
Si accascia a terra dolorante.
Me ne vado, non mi va di aspettare.

Ha funzionato, non posso crederci! Il dolore, speculare a quello della trasformazione, mi sta facendo impazzire, ma sto scoppiando di gioia. Sono perfino ancora vivo: evidentemente Adam non aveva voglia di aspettare. Crede che il suo dono sia l’incubo di ogni vampiro, perciò basta provocarlo per ottenerne i risultati. In realtà quel potere renderebbe felice ciascuno della mia famiglia. Io ho provato, ed è andata.
Con grande sforzo, arranco fino alla sacca da ginnastica che ho portato con me e mi avvolgo nella vecchia coperta marrone, dalla testa ai piedi. Da queste parti nessuno si cura di soccorrere un barbone in difficoltà.
L’agonia dura a lungo, come ho modo di notare dalla luce di diverse intensità che filtra attraverso le mie palpebre chiuse. Dopo un tempo indefinito, finalmente, il fuoco comincia a ritirarsi dal centro del mio cuore, nuovamente attivo, fino a scomparire.
Wow. Sentire il mio cuore battere di nuovo dopo oltre un secolo di silenzio è… è incredibile, è strabiliante. Riesco a malapena a percepirlo al tatto, e quando apro gli occhi – è l’alba ma la mia pelle, notevolmente più morbida, friabile, non brilla – l’immagine è sbiadita, sgranata, come filtrata da un paio di lenti impolverate.
Sorrido. Mi rendo conto di avere un’espressione cretina sul volto, ma non mi frega niente.
Sono di nuovo umano.
La città è deserta.
Recupero la mia Volvo metallizzata e mi metto al volante. Mi sento un imbranato, sono costretto a guidare in maniera molto più lenta del solito: vedo malissimo, i miei movimenti sono goffi e il mio 'radar incorporato' non funziona più. Nonostante tutto, non riesco a smettere di essere felice.
Arrivo in qualche modo a Forks. A casa. Casa ancora per poco, per uno come me abituato all'eternità. Già, perché tra un'ottantina d'anni morirò. E' un prezzo che accetto di pagare, se può avvicinarmi a Bella.
Appena sente il rombo della mia auto, Esme si proietta, a una velocità tale che non riesco a vederla, fuori dall'ingresso. "Edward", grida sollevata.
Si blocca di colpo quando mi vede scendere dall'auto lento, goffo, debole, umano. Ha cercato di prepararsi all'idea, ma la mia trasformazione non è certo una cosa facile da accettare, soprattutto perché - lo so - ha sete di me, così come ne avranno gli altri.
Poi però si riprende e mi abbraccia, con cautela.
"Mamma", sussurro commosso. Sento scendere qualche lacrima sulla mia guancia, altra cosa che non mi accadeva da più di cent'anni. Ricambio l'abbraccio impacciato.
Pian piano tutta al mia famiglia è arrivata ad accogliermi nel ristretto spazio attorno alla Volvo argentata. Alice saltella sul posto, gli altri hanno l'aria sconvolta, ma tutto sommato entusiasta.
Carlisle è il più sereno; d'altra parte mi ha già visto umano... nel lontano 1918, in un letto, a morire di spagnola.
E' tutto così pazzesco. Per lo meno, dal mio nuovo punto di vista, già un po' più umano.
Manca Rosalie: me l'aspettavo. Sapevo che non avrebbe preso bene la mia trasformazione già prima di partire. Per lei è più dura che per chiunque altro. La scorgo appena alla finestra, le braccia lasciate cadere inerti accanto al corpo, sul volto un'espressone indecifrabile, ma non certo esaltata: riesco a percepire, col poco intuito che rimane del mio antico potere, una certa dose di disappunto. Non la biasimo per questo, so che non assume tale atteggiamento ostile di proposito. Immagino di leggere nella sua mente il suo dissidio interiore, la sua volontà di sorella di venirmi incontro e abbracciarmi rischiando di spezzarmi qualche osso ripetutamente sconfitta dall'orgoglio e, soprattutto, dal malcelato dolore di una diciottenne congelata nella sua voglia di vivere, semplicemente.
Entro lentamente in casa e le vado incontro. "Rosalie", sussurro.
Rose tentenna, si sporge in avanti, poi volta la testa all'indietro inarcando la schiena e, con un gemito, dice sommessamente: "Scusami, Edward, non ce la faccio". Si volta del tutto.
"Lo so", le rispondo a mezza voce.
Le sfilo accanto a malincuore, raggiungendo il pianoforte a coda. Recupero i miei spartiti, le mie composizioni, e inizio a suonare. Il suono mi arriva ronzante e attutito; nonostante ciò mi rendo conto di aver in parte perso il mio virtuosismo. Il prezzo è alto, mi rendo conto affranto.

Il giorno dopo torno a scuola, con un po’ di timore. Dopotutto, sono di nuovo umano: so cosa significa. Lineamenti appena diversi, pelle più scura, imperfetta, qualche brufolo ogni tanto. Occhi verdi. Voce più roca. Rischio di essere smascherato.
Facoltà umane: né più, né meno. Ho ripetuto le superiori un numero indeterminato di volte, ma certo non ricordo tutto: per me è ora possibile l’oblio.
Non più capacità di leggere nel pensiero dei professori, né dei compagni. Questo sarà un problema per a mia famiglia: io ero la loro sentinella, quella che li avvisava quando era tempo di trasferirsi.
Eppure, non faccio granché caso a tutto questo. Tutto sommato il silenzio mentale è piacevole. Soprattutto, pur rendendomi conto di quanto egoista e avventata sia stata la mia decisione, non riesco a pensare che a Bella.
“Ciao, Edward,” mi saluta a biologia.
Il cuore comincia a battere forsennato. Non credevo di essere messo così male.
La sua voce è piacevole, amichevole. E' dall’incidente del furgoncino che non la vedo e, nonostante le mancate spiegazioni che le ho promesso, non sembra irritata. Perché? Cosa significa il cambiamento? Ha dimenticato? Ha deciso di aver immaginato l'intero episodio?
“Ciao”, rispondo cordiale. E' straordinario poterle parlare senza sentire la sete.
Bella respira a fondo. “Proprio non vuoi spiegarmi come hai fatto a salvarmi?”
Ah, ecco. “Prima o poi ti spiegherò. Promesso”.
“Hmm-mm”. E' poco convinta.
“Sono sincero, Bella”, dico, accarezzando come posso il suo nome con la voce e guardandola fissa negli occhi.
Fa un’espressione scioccata, che mi fa preoccupare.
“Bella? Tutto bene?”
Si ridesta di scatto, ma è ancora turbata. “Passi per l’incidente, ma dopo dovrai spiegarmi qualcosa”.
Non parliamo per il resto della lezione. Attendo preoccupato e trepidante la fine di quest’inutile sequenza di analisi al microscopio.
Al suono della campanella, praticamente scappa fuori. La seguo di corsa, piuttosto goffamente, e la trovo ad aspettarmi appoggiata al muro.
“Dunque”, esordisce confusa. “Perché adesso i tuoi occhi sono verdi?”
Merda. “Fa parte delle cose che prima o poi ti spiegherò”.
“Certo, certo”. Scuote la testa. “Mi spiegherai. Intanto non so neanche con chi sto parlando”.
“Per favore, Bella”, sussurro. “Fidati per un po’”. Non sopporterei di perdere anche lei. So quanto dura sarà mantenerla con me, ma devo provarci. E' tutto ciò che mi rimane.
Consigli di ascolto: Regina Spektor - Us (http://www.youtube.com/watch?v=x_13MYoqULM)

Image and video hosting by TinyPic Bella abbassa piano le palpebre, celandomi le profonde iridi color cioccolato - chissà se le vedrò mai più così da vicino?- e aggrottando le sopracciglia quasi impercettibilmente. Sembra che stia cercando di calmarsi... e sì, sta effettivamente cercando di calmarsi. E' ovviamente irritata; credo che chiunque altro al suo posto mi avrebbe già mandato a quel paese.
So che sta decidendo, meditando sulle mie parole.
So che se adesso sceglierà di non fidarsi non riuscirò mai a convincerla a cambiare opinione, testarda com'è.
So insomma che nell'arco di pochi secondi l'inconsapevole ragazza segnerà in maniera determinante il suo destino, e con esso il mio.
Tremo, il mio cuore accelera nuovamente il battito.
Certamente turbe di studenti ridono, chiacchierano, litigano, sfilano a un centimetro da me o mi strattonano persino. Ma non me ne accorgo. Il ronzante chiacchiericcio che martella sulle mie orecchie è coperto dal flebile suono del suo respiro, e il mio cervello ignora qualsiasi sensazione tattile che non sia il suo fiato sul mio viso.
Siamo davvero vicini.
E la ragazza è davvero bella. La pelle bianca, perfetta, gli occhi grandi, il collo elegante, la bocca tanto delicata da passare in secondo piano - quasi. In effetti, in questo momento è il dettaglio che mi tenta di più, e che più mi tormenta. Quelle labbra si dischiuderanno a momenti, decretando il corso del resto della mia vita (strano pensare alla vita, alla morte). Certo, se si sarà fidata, potrò perderla anche in seguito. Soprattutto, cosa le racconterò dei miei occhi, del furgoncino, dei miei parenti immortali?
Ma tutto questo è totalmente insignificante, in confronto alla prospettiva di un prossimo no!
Tremo, ipotizzo, vacillo, desidero. Una manciata di decimi di secondo che mi sembra interminabile.
E poi parla, ancora ad occhi chiusi. "Va bene. Ultima possibilità, Edward".

Sorrido inebetito, incredulo. "Grazie", sussurro. Il mio sorriso si allarga.
Vagamente imbarazzato mi rendo conto di quando le sono effettivamente vicino - poveretta, si era appoggiata al muro, magari la mia vicinanza le ha dato fastidio e non si è potuta allontanare - e indietreggio di un passo, ripetendo ancora: "Grazie, grazie". Poi, non sapendo bene cosa fare, mi volto e, ancora sorridendo come un cretino, scappo.
Posso immaginarmela, presa in contropiede, sbattere le palpebre e poi sorridere materna.
Piccola Bella. Mi hai appena insegnato, dopo più di cent'anni, cos'è sperare.

-FINE-
   
 
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