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Autore: secretdiary    23/05/2011    1 recensioni
Questa breve storia, di fantasia seppur ambientazione e contesto siano verosimili, tratta di un cavaliere, un crociato, Cedric Blunt.
Egli, di ritorno dalla Terrasanta scopre di aver perduto tutto: non ha più un sostentamento.
Per sopravvivere sarà costretto a partecipare ad un torneo, sperando di vincere il premio finale.
Accadrà qualcosa, che metterà alla prova il suo senso dell'onore.
Cosa è disposto a perdere per la sua Patria?
Spero che vi piaccia!
Storia scritta per il contest I love history organizzato dal mio Portfolio.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Piccola annotazione prima di iniziare:
Cari lettori, innanzitutto vi ringrazio per aver aperto questa storia e per aver scelto di spendere un po' del vostro tempo per leggerla.
Vi rubo solo un paio di righe prima di lasciarvi al racconto: è finalmente uscito il mio primo romanzo.
Ora, finalmente, sono un'autrice pubblicata.
Se amate le storie fantasy, nel campo destinato al mio profilo, trovate tutte le informazioni relative al romanzo.

Grazie per l'attenzione ;)
Buona lettura!!
Bisous *-*

La giostra del coraggio

Ansia, eccitazione, spavalderia aleggiavano su tutto il regno britannico.

La giostra natalizia che ogni anno si teneva a Londra era l'occasione prediletta dai cavalieri per far sfoggio delle loro nuove armature e delle loro doti da combattenti.

Inoltre in quell'occasione si stipulavano alleanze e si dava inizio a faide che si sarebbero protratte per anni interi.

La città era invasa non solo da gentiluomini; il problema di sovraffollamento era dato dai loro cortei.

Servitori, amici, familiari, chiunque desiderava seguire il proprio favorito, per infondergli sicurezza e soprattutto sostegno.

Molti cavalieri erano già instaurati nella capitale da diversi mesi, così da non correre il rischio di doversi accampare in qualche radura verdeggiante circostante, eventualità non remota che dovevano prendere in considerazione uomini meno previdenti.

Lord Blunt era tra questi ultimi.

Egli era un giovane sui venticinque anni, sei dei quali trascorsi in Terrasanta.

Era tornato in Inghilterra quella primavera e aveva scoperto che l'uomo al quale aveva affidato il suo feudo, non si era mostrato degno di fiducia.

Lord Blunt era un eroe, ma senza un farthing.

Fu quella la ragione di fondo che lo spinse ad iscriversi alla giostra.

Prima di allora non aveva partecipato ad alcuna, sia perché le considerava ridicole, sia perché si trovava Oltremare.

Il temporale mattutino fu la causa del suo prematuro risveglio.

Non il tuono, né il suono scrosciante della pioggia, bensì l'inaspettata doccia d'acqua che lo bagnò nel suo letto.

Il suo amministratore gli aveva lasciato solo un vecchio castello la cui assenza di cure l'aveva reso più che altro un rudere pericolante, con diverse falle nel tetto, nei soffitti e nei pavimenti.

Zompando giù dal letto a baldacchino dal materasso rotto in più punti dai quali fuoriuscivano piume e penne (e un certo quantitativo di lana che indispettì il cavaliere e lo rese sospettoso sull'onestà di colui che gliel'aveva venduto) lord Blunt si ricordò che l'indomani sarebbero iniziate le sfide.

«John! John! La mia colazione, la mia armatura e il mio cavallo! Dobbiamo andare a Londra... Anzi, dimentica la colazione!» ordinò all'unico servitore che gli era rimasto.

L'unico che si accontentava di vitto e di una sottospecie di alloggio.

Era quindi, forzatamente, per mancanza di scelta, anche il suo scudiero.

John McHill era un uomo sulla cinquantina, dal passo lento e trascinato, con le spalle incurvate dalla fatica, ma dotato di uno sguardo vispo e attento.

Egli aveva servito con orgoglio lord Frederick Blunt, il padre dell'attuale cavaliere, e dopo di lui desiderava ripetere il servigio con il figlio.

Fu l'unico che tentò di opporsi alla brama di denaro dell'amministratore, sfortunatamente con scarsi risultati.

John, sebbene onesto e leale, non aveva alcuna esperienza come scudiero, e lord Blunt presagiva che avrebbe dovuto adempiere alle mansioni del caso completamente da solo.

John McHill entrò in gran carriera nelle stanze del padrone.

Un braccio sosteneva una pesante sella, l'altro l'armatura.

Il servo detestava l'idea di dover andare a Londra, aborriva l'idea di essere uno scudiero, e lo disgustava l'idea di ciò che lo aspettava, ma sfortunatamente quello era il suo dovere.

Amava il feudo dei Blunt e anelava a vederlo nel suo antico splendore, anche se dubitava che quel crociato possedesse le virtù del padre.

John desiderava servire i Blunt per il resto della sua vita, ma sir Cedric non era esattamente un signore facile da gestire.

Non perché fosse altero, pomposo, schizzinoso, ma la sua sbadataggine, il suo desiderio di mettersi alla prova, la sua rudezza così poco signorile lo rendevano difficile.

Piuttosto che crogiolarsi nel “castello” con della musica, lord Blunt preferiva giocare ai dadi, scommettere alle corse di cavalli, ridere.

John lo disapprovava, ma tutto sommato concedeva al padrone la virtù di possedere un buon cuore e di essere mosso da coraggio, giustizia e onore.

Sir Cedric non abbandonava nessuno che fosse in una qualche situazione spiacevole, sebbene al momento i suoi aiuti potrebbero venir considerati minimi giacché era fuori discussione che essi si trattassero di somme di denaro.

Spesso sir Blunt digiunava a cena, e quello era l'unico motivo per il quale il signor McHill non aveva palesato il suo malessere circa l'idea di un viaggio a Londra.

A spron battuto lord Cedric Blunt e il suo valoroso scudiero partirono alla volta della capitale, nella speranza di poter vincere il premio finale.

Ad onor del vero sir Cedric non poneva alcun dubbio sull'esito della giostra.

Era assurdo pensare che giovani cavalieri che sino al giorno precedente avevano giocato con delle spade di legno, avrebbero potuto sconfiggerlo.

Mentre cavalcava il suo andaluso nero, Cedric progettava la posa che avrebbe assunto una volta sconfitto l'avversario.

Serviva qualcosa di originale e divertente.

Nel frattempo John immaginava dove avrebbero alloggiato.

“Mesi fa gli avevo suggerito di partire, ma lui mi rispondeva sempre che anticipavo troppo i tempi.

Voglio vedere ora se mi riconoscerà la ragione.

Sicuramente no”.

Ancora non si intravedevano le mura della città, che già le rive della strada maestra erano occupate da tendaggi e accampamenti.

Cedric lanciò un'occhiata al servitore, ma tacque.

«E comunque non ci saremmo potuti permettere un alloggio nemmeno nella peggiore bettola di Londra» concluse il cavaliere terminando di accendere il fuoco per la sera.

«Se lo dite voi, padrone» rispose John controllando le briglie del destriero nero.

L'ultima avventura che occorreva ai due era rincorrere un cavallo per tutta Londra.

«John, passami il mio stato di sangue» ordinò Cedric sdraiato sull'erba con la schiena appoggiata ad un tronco.

McHill si allontanò dall'andaluso per cercare nella bisaccia del padrone la pergamena richiesta.

«Lì non c'è di sicuro -lo interruppe il cavaliere- dove l'hai messo?».

John alzò lo sguardo, puntandolo sul suo signore.

Il suo colorito sbiancato e la sua espressione tutt'altro che felice lasciavano intuire a Cedric ci che il servo gli avrebbe comunicato.

«Ero convinto che l'aveste voi» mormorò.

Cedric si alzò in piedi, raggiungendo il ronzino grigio del servitore e lasciando in mano di quest'ultimo le redini.

«Torna al castello».

John provò a replicare, ma aveva imparato a tacere quando leggeva negli occhi del signore quello sguardo così serio, duro. Così nobile.

 

Rimasto solo, sir Cedric si preparò per la notte.

Non poteva fare altro, se non sperare che John tornasse per tempo.

“Sostanzialmente non partecipare non mi recherebbe alcun disturbo, ma tecnicamente non posso vivere senza alcuna rendita, e finché non ricominceranno le guerre, necessito di una nuova forma di sostentamento” si disse prima di coricarsi.

Riponeva la massima fiducia nel signor McHill.

Sicuramente avrebbe raggiunto Londra con il documento che certificava l'appartenenza di lord Blunt all'ordine dei cavalieri prima che terminassero le iscrizioni.

 

Quella mattina all'alba i cavalieri che desideravano partecipare alla giostra formarono una fila innanzi all'erudito designato dal sovrano, che avrebbe controllato l'autenticità dei documenti d'identità presentati dagli uomini.

In realtà la fila non era formata dai cavalieri in persona, troppo importanti per perdere il loro tempo in un simile modo, bensì dai loro scudieri.

Pare necessario soffermarsi per alcuni istanti su questa figura così marginale nella vita di un gentiluomo, eppure così fondamentale per la buona riuscita delle sue missioni.

Esistono due tipi di scudieri: coloro che ammirano, stimano il padrone, e coloro che svolgono le loro mansioni solo perché richieste dal lavoro.

Gli scudieri della prima fazione saranno per sempre leali ai loro signori, seguendoli nelle avventure senza remora alcuna, pronti a sacrificare la loro stessa vita se la situazione l'avrebbe richiesto.

Essi sono i migliori scudieri che un cavaliere potrebbe desiderare poiché egli sa per certo che il suo cavallo sarà abbeverato e accudito con dovizia particolare.

L'armatura risplenderà e la lama sarà sempre affilata.

I secondi invece svolgeranno il loro lavoro con pigrizia e svogliatezza.

Avranno sempre qualcosa da ridire sugli ordini ricevuti.

Dovranno sindacare ogni scelta del padrone, inventandosi metodi bislacchi secondo i quali le vicende si sarebbero svolte meglio.

Tali sono gli scudieri della peggior specie.

Parte della colpa dei fallimenti dei loro signori ricade su queste figure meschine e oziose.

Dalla postura assunta dagli uomini in coda, lord Blunt si divertiva a classificarli.

Coloro che restavano perfettamente in piedi, dritti con la testa troppo in aria considerato il loro stato sociale, erano membri della prima fazione; gli ingobbiti, con espressione depressa (o irata) gli appartenenti alla seconda.

Cedric sapeva bene che John era un brav'uomo, sebbene era consapevole che non condivideva con lui macrogruppi del suo carattere.

 

Il tempo trascorreva rapido ed inesorabile, e di John McHill non v'era alcun segno.

“Coraggio vecchio mio! Non posso non partecipare”.

Sfortunatamente quasi tutti i tornei organizzati erano aperti solamente ai cavalieri, nobili che possedevano un documento che certificasse la loro discendenza.

A Cedric tutto ciò pareva un'assurdità: se un uomo era un bravo combattente, lo sarebbe stato sia da contadino che da conte.

Ad ogni modo non spettava a lui giudicare le leggi del suo Paese.

Pochi attimi mancavano alla chiusura delle iscrizioni.

L'uomo doveva inventarsi uno stratagemma per guadagnare tempo prezioso.

Ormai la fila si era sciolta, e l'erudito era solo.

Lord Blunt lo raggiunse.

«Stato di sangue» ordinò l'anziano preparandosi ad un'altra iscrizione.

«Il mio scudiero è andato a prenderlo.

Potete aggiungermi nel frattempo».

L'uomo alzò gli occhi castani dal foglio che stava leggendo e fissò il cavaliere in piedi innanzi a lui.

«Nessuna eccezione: devo prima prendere visione della sua identità».

Egli era irremovibile, ligio alle sue leggi.

Cedric sospirò volgendo lo sguardo all'orizzonte.

L'erudito controllò la clessidra e suonò un piccolo campanaccio di ferro.

«Il tempo è scaduto» annunciò a piena voce, per informare i gentiluomini sparsi nell'accampamento.

«No, attendete ancora qualche minuto...».

Cedric provò a ribattere, ma egli fu dello stesso parere di pochi istanti prima.

“Appena John tornerà, dovremo discutere” si disse.

Naturalmente non avrebbe punito il suo servitore, e forse non l'avrebbe nemmeno sgridato pesantemente.

Il suo pensiero era stato più che altro uno sfogo per l'occasione mancata.

«Amico, ritenterai l'anno prossimo» affermò un uomo che aveva assistito alla scena a poca distanza.

Cedric lo congedò con un cenno della mano mentre faceva ritorno alla sua sistemazione provvisoria.

Forse avrebbe potuto chiedere un prestito a qualche blasonato molto più ricco di lui al quale aveva salvato la vita in Terrasanta.

Di certo nessuno poteva rifiutare.

«Perdiamo un valoroso guerriero» continuò l'uomo, seguendo il cavaliere.

Quest'ultimo si voltò spazientito per porre fine alla conversazione.

Prima che potesse parlare però, l'uomo gli mostrò un anello recante l'effige reale.

Contemporaneamente a quel gesto si portò un indice alle labbra, intimando discrezione.

«Posso portarvi a bere qualcosa per dimenticare?» chiese con fare gioviale.

Cedric assentì una sola volta seguendo quell'enigmatica figura attraverso le tende dei cavalieri accampati fuori Londra.

“Cosa vorrà da me?” rifletté lord Blunt.

Per quale ragione un uomo del re l'aveva fermato?

I due si addentrarono in città, abbandonando subito una delle vie principali per imboccare piccoli e angusti viottoli.

“Se è un ladro e vuole rapinarmi, non sa scegliere le sue vittime” meditò sarcasticamente Cedric trattenendo una risata.

L'uomo lo condusse all'interno di una vecchia dimora cadente a pezzi.

Notando la presenza di altri due uomini, Cedric Blunt sguainò la spada, la sua fedele compagna di crociata.

«Riponete la vostra arma giacché nessuno desidera recarvi alcun danno» affermò il primo sedendosi su una traballante sedia quasi distrutta dai tarli.

Cedric fissò i volti di chi aveva innanzi.

I tre dovevano essere coetanei, sulla quarantina.

Due di essi avevano il volto irto di barba, mentre l'ultimo era solcato da profonde cicatrici.

Apparivano stanchi e spossati.

«Sedetevi, lord Cedric Blunt» invitò il secondo.

Il cavaliere inarcò un sopracciglio, scettico.

«Come sapete chi sono?».

«Sua Maestà è grata ai nostri eroi di guerra.

Voi avete combattuto contro i saraceni -continuò il primo- Il vostro nome non può essere dimenticato da noi che siamo tra i consiglieri più fidati del re».

“Quanto gli siate vicini è tutto da vedersi” commentò la mente del giovane Blunt.

Non era uno sprovveduto: le persone mentivano, alcune erano più brave di altre, ma spesso l'animo umano era tentato dall'idea di mutare la verità.

«Cosa volete da me?» domandò senza accomodarsi, e posando la mano sull'elsa della spada rinfoderata momentaneamente.

I tre consiglieri si scambiarono un'occhiata eloquente, poi il terzo iniziò a raccontare.

«Il figlio del sovrano vuole partecipare alla giostra.

Morirà.

Sappiamo di un complotto sortito dai sostenitori del cugino del re.

Vogliamo che questo attentato riesca, così da riuscire a imprigionare tutti i cospiratori, ma naturalmente non possiamo permettere che l'erede al trono muoia».

Egli posò i gomiti sul tavolo ed intrecciò le dita sotto al mento.

«Quanto siete fedele all'Inghilterra?» chiese il secondo consigliere.

Immediatamente Cedric capì.

Gli scambi di persona erano comuni, frequenti.

Era un cavaliere, non poteva sottrarsi ai suoi obblighi, al suo giuramento.

«Qualsiasi cosa per la mia Patria e per il mio re» rispose con voce forte e sicura.

 

Mentre due uomini del re consegnavano a lord Cedric l'armatura e i fregi del principe, il terzo andava alla ricerca dello scudiero John, trovandolo all'accampamento intento a rintracciare il suo signore.

La mattina seguente sarebbe iniziato il torneo, ma i cinque uomini non sapevano quando l'attentato sarebbe cominciato.

«Qualsiasi cosa accada, voi non opponete troppa resistenza -istruì un diplomatico- Non deve essere sventato: dobbiamo prendere ed identificare tutti.

Ricordate anche che il principe non è abile con la lancia, pertanto siate goffo.

Limitatevi per non insospettire nessuno».

Cedric si voltò verso l'uomo.

«Non c'è bisogno che mi ripetiate il discorso.

So cosa devo fare».

 

L'araldo d'armi prese posto al centro dell'arena ove si sarebbe svolto il torneo.

Egli annunciò il principe che giostrava, come le regole stillate pochi anni prima, con una lancia spuntata ed una spada senza punta né taglio.

L'avversario del giovane era un cavaliere di Cornovaglia, giunto appositamente per l'occasione.

Cedric non sapeva chi avrebbe cercato di ucciderlo, pertanto non poteva sapere chi fosse l'uomo che l'avrebbe ucciso.

Ruggero di Hoveden stabiliva che i combattimenti dovevano essere “nullo interveniente odio”.

Egli sorrise.

Sino qualche tempo prima, sino al 1281 sarebbe morto scomunicato poiché la Chiesa proibiva i tornei a causa della loro violenza.

Per fortuna l'idea era cambiata ed egli avrebbe avuto una degna sepoltura.

Morire per salvare l'erede inglese, per un crociato come lord Blunt non v'era nulla di più onorevole.

Prima che la giostra cominciasse Cedric e il cavaliere del sud dell'Inghilterra compirono un giro d'onore all'interno dell'arena, in sella ai loro cavalli.

Cedric non poteva nemmeno montare il suo animale, doveva instaurare quindi il rapporto di fiducia e sintonia necessari per giostrare con il giovane stallone del principe in pochi minuti

“Tanto morirò.

Non devo preoccuparmi di vincere.

Sarà un torneo facile” si disse sorridendo.

Egli terminò il giro sotto al palco del re, il quale era a conoscenza del piano dei suoi consiglieri.

L'uomo guardò il giovane con ammirazione e nel suo sguardo Cedric vi lesse anche un lieve accenno di stima.

Liberando la lancia dalla resta, lord Blunt la porse alla dama in onore della quale giostrava, ossia la donna amata dal principe.

Ella, ignara dello scambio, guardò con dolcezza il ragazzo interamente coperto da armatura.

Prese un fazzoletto di seta rosa pallido, lo portò alle labbra, sfiorandole, infine lo legò alla punta della lancia.

L'araldo ordinò ai due contendenti di posizionarsi ai lati opposti del campo di scontro.

Cedric guardò il suo avversario.

Anch'egli non aveva mai mostrato il suo volto.

“E' lui” si disse.

La cavalcata che li avrebbe portati uno innanzi all'altro per lo scontro fu la più lunga della vita di Cedric.

Egli sentiva nettamente il suo respiro caldo emesso dalle labbra socchiuse, sbattere contro il metallo dell'elmo e tornare indietro, colpendogli nuovamente il volto.

I suoi occhi azzurri non cessarono un solo istante di fissare il suo avversario.

Si avvicinava.

La pelle dei guanti stridette mentre il cavaliere stringeva la presa attorno alla lancia, indurendo i muscoli, serrando il gomito al fianco.

“La spalla è scoperta” si disse osservando il nemico.

Sconfiggerlo sarebbe stato facile.

Cedric non sarebbe nemmeno stato disarcionato.

Non gli si chiedeva di vincere.

Doveva perdere per il bene del suo Paese.

Non poteva permettere che il principe ereditario venisse sconfitto da cospiratori.

Cedric Blunt era consapevole che quello scontro sarebbe stato l'ultimo della sua vita.

Era consapevole che il suo avversario era l'assassino.

Violentando il suo naturale istinto militare egli allentò la presa della lancia, abbassandola di qualche pollice.

Non aveva paura.

Non aveva mai provato paura quando era Outremer, non avrebbe vacillato ora che era sul suolo natio.

«Lunga vita al re!» urlò mentre avvertiva la lancia avversaria premere contro il suo petto.

Non era spuntata.

In cima il legno si spezzò rivelando uno stiletto.

Esso rigò la cotta d'armi di Cedric, lasciando al suo passaggio una scia bianca, infine incontrò la morbida carne.

Il freddo metallo penetrò in gola, recidendo la giugulare.

Lord Blunt non riusciva a respirare.

Cadde da cavallo.

“Dio benedica l'Inghilterra” pensò.

Era cresciuto per l'Inghilterra.

Aveva trascorso la sua gioventù in Terrasanta combattendo e uccidendo per il suo Paese.

Era morto per il futuro regnante.

 

Il suo castello diroccato crollò pochi mesi dopo.

La casata dei Blunt perse di privilegio e scomparve, si estinse.

Nessuno ha mai udito parlare di lord Cedric Blunt.

   
 
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