Capitolo
5
-
Principessa!
Tutto bene? – chiese il mantellato, premuroso e concitato,
offrendole subito
una mano per rialzarsi.
-
Che diavolo fai
anche qui, tu…? – sbuffò la ragazza per
tutta risposta. Anche se in quel
momento si trattava di un’apparizione provvidenziale e ne
ringraziò la tempestività
in cuor suo, cosa che non le permise di apparire scocciata quanto
avrebbe
voluto.
Accettò
quel
sostegno per rimettersi in piedi, mentre Tyner faceva lo stesso con le
sue sole
forze. Il Tiranno si ritrovava solo un po’ indolenzito per la
caduta improvvisa,
ma non aveva fretta di agire, piuttosto un salutare bisogno di studiare
la
situazione: la ragazza era ancora a portata di mano, ma non era
più interessato
a quella leonessa, quanto a capire chi fosse il personaggio accorso in
suo
soccorso e se potesse considerarsi a buon diritto un pericolo sul loro
territorio o una comparsa di poco valore. Pexe, da parte sua, restava
immobile,
il tagliacarte in mano. Tuttavia in quei pochi momenti molto era
cambiato nel
suo atteggiamento: del tutto diverso dall’aiutante svogliato
e incerto di poco
prima, ora guardava il nuovo arrivato con fermezza
e sicurezza, mentre altrettanto vigorosa era
diventata la stretta su quell’arma di fortuna. Lemes
rantolava ancora a terra,
tamponandosi alla meglio il naso sanguinante, nuovamente frantumato,
con la
manica del prezioso abito. Del resto ai lamenti cominciavano ad
alternarsi le
bestemmie e gli insulti, sintomo che anche per lui lo sbalordimento e
la paura
stavano lasciando il posto all’indignazione e alla rivincita.
-
Signori, non vedo
la necessità di alzare le mani su una ragazza preoccupata
per il fratello. –
affermò lo straniero, con calma, ma scrocchiandosi
gradevolmente le dita – Non
vorrei ripeterlo o dover agire di conseguenza. -
Principessa,
tenuta
alle spalle dalla figura misteriosa in un galante intento protettivo,
alzò le
sopraciglia, incredula. Minacce ora? Contro i Lucas F.? Anche se si
parlava di
uno di “loro”, quindi certamente non una mezza
calzetta, possibile non avesse
proprio il minimo ritegno ad attaccare briga, dopo tutta la cautela di
quel
mantellaccio?
-
D-ridicolo! –
esclamò Lemes, gli occhialini storti, puntandogli addosso la
mano non occupata
da quell’opera di pronto soccorso – D-u d-ubirai le
con-d-eguenze! –
Poi,
gli occhi
fuori dalle orbite, incitò con decisione: - Pec-se! -
A
quel richiamo,
ignaro dell’identità dei presenti, lo straniero
sbagliò soggetto di attenzione.
Preoccupandosi più della ragazza e della prossima presenza
di un Tyner in
realtà tranquillo ed estraneo all’azione,
afferrò di scatto il braccio di
Principessa trascinandola lontano dal gigante e preparandosi a voltarsi
e affrontarlo.
Invece, trovò il mercante voltato a sua volta alla sua
sinistra, intento ad un
cenno di ammonimento al fratello minore: - No, Pexe! –
Quando
il mantellato
rivolse di nuovo lo sguardo al ragazzino armato, questo si era
già scagliato
contro di lui, infilandogli la punta acuminata nel petto.
Principessa
sbiancò. Tyner imprecò a fior di labbra. Lemes
farfugliò un commento trionfale quanto
demente sulla vittoria della dinastia. Pexe, all’apparenza
slanciatosi per solo
istinto sul nemico, non riuscì a nascondere un sorrisetto
mentre estraeva con
un gesto fluido e di puro spregio il tagliacarte. Anzi, nel farlo,
preda della
curiosità morbosa di vedere gli effetti del suo gesto sul
corpo
dell’avversario, intercettò la sottile asola del
bottone che tratteneva
l’indumento tanto coprente e la tagliò di netto.
Si
accorse subito,
però, che qualcosa non andava: la lama era immacolata. Non
solo, ma si poteva
dire arrossata solo perché anche visivamente incandescente.
Alzò
lo sguardo da
quello strano fenomeno, nell’intento di scoprirne la causa,
solo per farlo
ricadere sulla mano che gli aveva improvvisamente stretto
l’avambraccio. Era
calda sulla sua pelle nuda, o meglio sempre più calda, fino
a che si incendiò
letteralmente sotto i suoi occhi. A quella visione stupefacente si
sovrappose allora
la sensazione di un dolore insopportabile e si ritrovò a gridare e dimenarsi senza
potersi sottrarre a
quella stretta, che anzi lo obbligò a lasciar cadere la lama.
-
Al diavolo la
copertura, allora. – sbuffò lo straniero, quieto
come se non fosse appena stato
pugnalato a tradimento, scostando infine il mantello ormai inservibile.
Per
qualche momento
dopo che quell’indumento tanto fastidioso era scivolato
silenziosamente a terra,
ciò che dominò l’alta figura furono
fiamme rosse, vivide e brillanti. Principessa
aveva impiegato qualche istante per capire che cosa stava succedendo e
proprio
quando stava riuscendo a rimettere in ordine le idee abbastanza da
soccorrere
il “ferito”, si era ritrovata quella stoffa tanto
fastidiosa ai piedi e
quell’immagine sconvolgente davanti agli occhi. Il fuoco
brucia e fa male, non
c’erano dubbi, e il più giovane dei mercanti ne
stava giusto facendo una
tremenda esperienza. Eppure doveva fare un forte sforzo per non
immergere le
dita in quel vibrante percorso di lingue ardenti, troppo attraente come
qualcosa di azzardato, troppo rassicurante come qualcosa di controllato
e
amico.
Aveva
sentito
nominare un solo uomo con un potere simile: un nuovo pirata di buone
speranze,
un ragazzino già considerato una minaccia da prevenire, che
per questo la
Marina cercava di ingraziarsi con l’altisonante quanto vuoto
titolo di “membro
della Flotta dei Sette”. Non era la sola ad esserne al
corrente, a giudicare
dall’espressione aspra assunta da Tyner, mentre Pexe quasi
ringhiava per il
disprezzo, oltre che il dolore del braccio bruciato. Eppure, le cose
non le
tornavano, né la sua presenza su quell’isola
perduta, né il fatto che si fosse
recato proprio da Clay a fare quella specifica ordinazione.
Le
risposta le fu
subito data.
Le
lingue di fuoco
presero ad attirarsi a vicenda, ad accorparsi e quasi a sparire sotto
la pelle
di un ragazzo che sembrava tornare a prendere forma dal nulla.
Lentamente,
sempre dalla posizione difesa in cui la stava tenendo, vide ricomparire
una
pelle stranamente chiara, spalle larghe e una schiena ampia e ben
tornita. E su
quest’ultima, nuda appunto, un enorme tatuaggio, ad occuparne
gran parte: un
simbolo tanto noto e rinomato, quanto a lei familiare e caro. Ossa
incrociate e
un teschio per nulla realistico con ampi e virgolati baffoni bianchi.
Emerso
ormai
completamente dalla sua forma precedente, il giovane si
voltò solo parzialmente
alle sue spalle, rivolto alla ragazza che era venuto ad aiutare. I
capelli neri
disordinati a sfiorare il volto ben fatto, la pelle chiara solcata da
poche
lentiggini sulle gote, gli occhi scuri inquieti e sottili, le labbra
tirate e
serrate per la tensione.
Principessa
ricambiò l’occhiata con attenzione nuova per
quella persona che, anche
semplicemente svelandosi così all’improvviso, si
era fatta conoscere infine
anche a lei con un nome e un ruolo ben preciso in quel folle mondo che
circondava la sua famiglia.
Soprattutto,
però,
tutta quella scena le aveva fatto scoprire un inquietante imprevisto ed
era
questo ora, più di tutto il resto, a spaventarla. Di fronte
a lei si trovava un
dejà-vu direttamente da un suo sogno, un momento
già vissuto nel mondo onirico,
ma non un‘esperienza anomala per lei: le capitava molto
spesso, in realtà. Eppure
aveva imparato a conoscere la monotonia e la ripetitività
delle immagini che
animavano il suo riposo, banali come la vita di tutti i giorni. Fino a
quel
momento. La novità, l’inquietante ignoto, stava
arrivando a squassare la
normalità, a partire da quel sogno e dal suo
protagonista…
E
anche l’idillio causato
da quella visione, vittima di tale ragionamento, durò
pochissimo, lasciando il
posto ad un sottile disappunto, causato dalla netta sensazione che la
sorte
stesse cambiando di fronte a lei e non fosse per nulla in grado di
trovarvi
riparo.
-
Ma dannazione… -
imprecò senza remore, lo sguardo assottigliato dalla
disapprovazione. Poi posò
con forza una mano sulla spalla del ragazzo - piuttosto stupito da
quella
reazione di sufficienza ma abbastanza saggio da lasciarla fare - per
spingerlo
indietro, fino a mollare Pexe e allontanarsi dal cospetto dei tre
mercanti,
senza tuttavia azzardarsi a voltare loro la schiena.
-
Principessa… -
tentò di dire, prima di tornare a studiare le reazioni dei
padroni di casa.
Lo
stesso fece lei,
continuando a trascinare il suo salvatore all’indietro fino
all’uscita.
-
Lemes, il tuo
naso faceva già schifo prima, tanto quanto la tua persona
nel suo complesso
comunque. Sindaco o no, ti impedirò ad ogni costo qualunque
ritorsione. –
minacciò.
-
C-d-epa, M-c
Fe-d-son! – le rispose quello, un pugno alzato ad enfatizzare
l’auguro di una
morte prossima e dolorosa.
-
Pexe, il qui
presente pirata non è alla tua altezza e lo sai bene. Fatti
medicare quel
braccio e impara a tenere un registro come si deve. Lascia le ripicche
ad
altri, giovanotto. – intimò ancora.
-
Al diavolo! –
rispose l’interessato, alzando gli occhi acquosi per il
dolore ai due ospiti
indesiderati.
-
Tyner, te lo
chiedo ancora una volta: mio fratello è trattenuto sotto
questo tendone? –
-
No. – rispose,
brusco.
-
Allora non ho
altro da dire. So che ti rendi bene conto della situazione. La mia
clientela ti
serve. Non puoi permetterti, per ora, di veder perire
un’altra compagnia di
intermediari con i tempi che corrono. Quindi conto che dimenticherai
tutti gli
avvenimenti di oggi a solo giovamento dei tuoi affari. –
Il
Tiranno affermò,
perentorio: - Ma tu pagherai tutto il dovuto. Neanche un berry di meno.
–
Principessa
non
riuscì a rispondere a voce, tanto quella sentenza le fece
sentire la gola secca,
e si limitò ad annuire e sperare nella buona sorte.
-
Così sia, allora.
– concluse l’uomo d’affari, sotto le
occhiate incredule dei due parenti feriti.
Non
si sa come né
perché, ma appena fuori dal tendone e alla luce degli ultimi
raggi di sole che
stavano svanendo nell’orizzonte, Principessa
spostò la mano all’avambraccio del
suo salvatore e lo trascinò via di corsa per le strade
fortunatamente quasi
deserte della cittadina. Non c’era pericolo che i Lucas F. a
quel punto li
inseguissero, quindi la fuga non era certo necessaria, ma dettata solo
dalla
concitazione. Molto più logica fu invece la ricerca di uno
stretto vicoletto
lontano da occhi indiscreti per fermarsi almeno a prendere fiato e fare
il
punto della situazione.
Allora
la ragazza
rilasciò il compagno e lanciò ancora una
sbirciata di sicurezza alla strada
dalla quale erano venuti, oltre che compiere un controllo su tutti i
restanti
passaggi per evitare ogni possibile passante molesto. Infine,
abbandonandosi
con uno sbuffo di sollievo al muro del fornaio:
-
Portuguese D.
Ace, anche noto come Ace “Pugno di Fuoco”.
– sentenziò, rivolgendosi
bruscamente a colui che fino a pochi minuti prima avrebbe quasi
preferito
chiamare “straniero”.
Quest’ultimo
aveva
seguito il suo esempio e si era appoggiato con la schiena alla parete
opposta
dello stretto passaggio - quella del falegname - anche se in una posa
decisamente più rilassata: braccia attorcigliate dietro la
testa e piede
appoggiato comodamente ai mattoni a vista, abbastanza in alto da fare
da
appoggio nonostante il ginocchio piegato. Sorrise allegro, forse fin
troppo, al
sentirsi chiamare per cognome, nome e soprannome ad una prima occhiata
e le rispose
con un divertito: - Presente! –
-
C’è poco da
ridere! Senza quel mantello sei una mina vagante! – lo
rimproverò, pronta.
-
Parla quella che
voleva me lo togliessi… - commentò, con un ghigno
– Dovresti essere
soddisfatta… -
E
Principessa lo
era, non poteva che ammetterlo tra sé. Quel matto di un
pirata aveva davvero un
fisico pauroso, che non esitava ad ostentare con
quell’evidente disinteresse ad
ogni indumento che potesse coprirlo dalla cintola in su. Il suo istinto
da
cacciatrice aveva detto bene: quel mantello era un danno di immagine
colossale
per quel ragazzo, ricercato o no. Ora guadagnava un numero
inevitabilmente alto
di punti, aiutato anche da un viso tutt’altro che sgradevole.
Ebbene, poteva
dirsi molto lieta della fine che aveva fatto la malaugurata palandrana.
Tuttavia,
proprio
ora che vedeva e sapeva, capiva anche l’importanza di quella
dannata copertura
e stava cominciando a maledirsi tra sé per non aver avuto i
riflessi abbastanza
pronti da raccoglierla, prima di trascinarlo lontano da quei tre
babbei…
-
Il vecchio Edward
aveva previsto saggiamente quasi tutto e ora sei nei guai. –
concluse a voce
alta.
-
Temo non me la
farà passare liscia, si… – fece sul
subito, ma a quel punto mise insieme tutta
la frase appena ascoltata e soggiunse, stupito – Ma di chi
stai parlando!? –
Principessa
sbuffò:
- Che domande fai!? Del tuo capitano, no!? –
-
Come fai a… -
-
Hai un tatuaggio
grande come te sulla schiena..! – spiegò, allibita
dal poco intuito del ragazzo
e mimando con le braccia un’iperbolica ampiezza del simbolo
in questione, e
riprese – Non ti sei unito da tanto alla ciurma, dato che
ancora nessuno ne è
al corrente. Ecco perché portavi quel mantello! Non dovevi
essere riconosciuto,
mentre dal tatuaggio avrebbero capito tutti che sei diventato un
“figlio” di
Barbabianca! –
-
Ma l’oste… -
cercò di inserirsi, sollevando un dito verso di lei, in
parte quasi per
chiedere la parola, in parte per tentare di obiettare.
-
Johnny ha i suoi
informatori! O comunque ha intuito le cose da sé: quello
è tremendo! Non mi
stupirei se scoprissi che legge giornaletti per signore! –
minimizzò la ragazza,
imprecando mentalmente anche contro il locandiere che era stato tanto
ostinato
nel negarle qualunque informazione preliminare.
-
E’ comunque
strano che tu chiami per nome nostro padre. Nessuno l’ha mai
fatto. – osservò ancora
Ace, sollevando le sopraciglia con atteggiamento vagamente incredulo.
Principessa
esitò
un istante e sbatté le palpebre, quasi indecisa.
-
Era molto amico
di mia madre. – concluse infine.
Il
pirata attese
che aggiungesse qualcosa, come il tono sospeso e la frase lapidaria
lasciavano
intendere, ma non avvenne nulla. Anzi, la ragazza, dopo aver affrontato
intrepidamente lo sguardo dell’interlocutore per quella
sentenza, si chiuse in
suoi ragionamenti, abbassando anche il capo a terra.
-
Io devo trovare
Clay. – disse infine, riuscendo a ritrovare il filo delle sue
necessità.
Il
ragazzo annuì: -
E’ chiaro. Ti aiuterò. –
-
Non mi sembra il
caso. – ribatté lei, sicura – Con
quell’aspetto che urla “ricercato” ai
quattro
venti mi sei d’intralcio. Sarebbe meglio tornassi alla tua
nave. -
Ace
si sporse nel
piccolo spazio del viottolo per dare uno sguardo alle strade
circostanti e
tornò a rivolgersi alla ragazza, con un sorriso che appariva
quasi colpevole.
-
E’ piuttosto
difficile… -
-
Oh, andiamo! Non
ho intenzione di farmi vedere in giro con un pirata stranoto, contando
che
ufficialmente non dovresti essere qui (tanto meno con quel tatuaggio) e
che i
più pericolosi bastardi di quest’isola ci hanno
già visti insieme e crederanno
che siamo in qualche modo alleati! – esclamò lei,
irritata notando come le sue
prese di posizioni fossero del tutto ignorate.
-
Se sei così amica
del babbo, alla fine siamo alleati. – rispose il pirata,
senza perdere
l’atteggiamento placido e conciliante.
-
Ma… - cercò di
controbattere per un istante, poi si arrese all’evidenza -
Che diavolo… Parlo
di fatti, non di saggezza spiccia e concetti sottintesi! Devono proprio
saperlo
tutti che conosco i Pirati di Barbabianca!? – si
limitò a protestare.
-
In quanto “alleato”
ti faccio una proposta: - iniziò lui, ignorando del tutto la
polemica, ma
sorridendo pacifico – perché non aspetti tuo
fratello a casa? –
-
Cosa… - cercò di
interromperlo, scandalizzata.
-
Se non è preso in
ostaggio dai cattivi, probabilmente è a casa o sta pensando
di tornarci.
Potrebbe essere inutile vagare per la città senza meta con
il buio, riuscendo
solo a preoccuparti di più, probabilmente per nulla, e senza
riuscire a vedere
niente e nessuno. Ti accompagno fino là per evitare brutti
incontri e aspetto
di vederlo arrivare. Se poi davvero non se ne trova traccia, vado a
cercarlo
io. Ok? – propose.
Principessa
valutò
in un istante i pro, tra i quali quello di evitarsi un lungo
vagabondaggio con
quello che minacciava voler diventare la sua ombra a forma uomo, e i
contro,
come il fatto che l’attesa di notizie poteva considerarsi a
priori straziante.
Tuttavia si accorse presto che non sapeva dove cercare Clayton dopo
aver fatto
un buco nell’acqua presso i Lucas F., quindi avrebbe davvero
finito per girare
a vuoto.
-
Ecco di nuovo la
tua saggezza da straniero. Un vero fenomeno sovrannaturale. –
osservò con
evidente ironia e fece strada senza
aspettare una risposta. Del resto Ace aveva solo scrollato le spalle
con un sorrisetto
sardonico prima di prendere a seguirla, proprio come un’ombra.
-
Pexe! Che diavolo
ti è saltato in mente!? –
Le
urla del Tiranno
fecero trattenere il respiro a Lemes, che finalmente si era procurato
un
fazzoletto per tamponarsi il naso e attendeva la fine della sfuriata
per
contattare il medico della Fratellanza, probabilmente immerso in
bagordi in
città. Non gelarono invece il sangue del fratello minore,
che anzi prese a
protestare, le mani sui fianchi e voce a tono del consanguineo:
-
Quel tipo ci
stava minacciando! Cosa ne sapevo che fosse un pirata!? –
esclamò, lo sguardo
ardito a sfidare il despota.
-
Attaccare uno
straniero! Uno sconosciuto al quale non si è ancora neanche
chiesta l’identità!
Una follia che poteva costarci caro, se l’avessi ucciso!
– ribatté il più
anziano, con le onde dei capelli irrigiditi dalla lacca che vibravano
per
l’irritazione.
-
E chi dovremmo
temere!? Se fosse successo… -
-
Se fosse
successo, ne avresti pagato tu le conseguenze! Ringrazia i riflessi del
ragazzino, che ha perso consistenza in fuoco per evitare il colpo! O
l’avresti
pagata sulla tua pelle! – e per evidenziare
l’intolleranza a quella
insubordinazione del parigrado ma pur sempre fratello minore, gli
rifilò un
vigoroso manrovescio. Pexe subì, stringendo i denti per
trattenere l’istinto a
reagire, e si limitò a strofinarsi la guancia offesa.
-
Lemes! - riprese
Tyner, cambiando interlocutore – Voglio sperare che quelli
fossero solo deliri
di una ragazzetta nevrotica! –
-
Tyner, non
capisco come puoi… - tentò di dire quello,
ostentando la sua indignazione a
quell’accusa indiretta.
-
Posso! – tuonò il
mercante, insofferente ad udire ulteriori lamentele –
Facciamo parte di una
dannata organizzazione governativa! Se usciamo anche da questa
apparenza di
legalità, perdiamo tutto! Non posso sopportare che si rubi
sotto questo
tendone! E soprattutto non posso accettare che TU rubi, quando tutto
quello che
hai te l’ho dato io, Lemes! Esigo fedeltà da te,
Sindaco! –
-
Ti sono fedele,
cugino! Quella è solo una pazza! – gli rispose,
frettoloso.
-
Pexe…? Mi sei
fedele!? – domandò allora, rivolto a colui che
aveva revisionato il famoso
registro e solo poteva testimoniare contro l’affermazione del
vecchio.
-
Certo. Ho
verificato tutto. – rispose, atono e sicuro.
Il
Tiranno li guardò
entrambi con sufficienza. Quei due non lo facevano sentire sicuro, ma
non
poteva che accettare quelle parole. Del resto, non erano mai andati
d’accordo tra
loro, a che si ricordasse, e di certo non avevano ragione per fare
comunella a
sue spese. Che poi si parlava del danno dell’intera famiglia,
nel caso una
denuncia simile fosse giunta alle orecchie giuste.
Quindi
voltò loro
le spalle e fece per allontanarsi dietro la tenda divisoria.
-
Abbiamo rischiato
di accoppare un “figlio” di quel diavolo di un
pirata… Un sacco di guai
inutili… - commentò tra sé, scuotendo
la testa alla sola idea, poi soggiunse
più forte, rivolto agli altri due -
Cercatemi Koyu! La prospettiva dei danni che
può fare quell’esagitato di
mio fratello lasciato in libertà mi toglie anche la fame! -
Quando
Tyner fu
ormai lontano, Lemes lanciò un’occhiata
preoccupata a Pexe, il quale stese le
labbra in un ghigno crudele:
-
Chiudi gli occhi
quando te lo dico io, Sindaco… E stai tranquillo che il tuo
debito sarà
saldato… - gli annunciò, serafico, prima di fare
ciò che gli era stato detto ed
avviarsi all’uscita del tendone.
-
Quindi, ti hanno
incastrata. – concluse Ace, evidentemente indignato.
Principessa
aveva
interrotto un momento il racconto del dialogo appena avvenuto con i
mercanti,
svoltosi già durante la strada a bassa voce, solo per fare
gli onori di casa
all’ospite e accompagnarlo al secondo piano. Di fianco alla
camera che
condivideva con il fratello minore, si aprivano due stanze collegate
destinate
agli ospiti: un’anticamera piuttosto ampia e il vano da letto
vero e proprio.
Giunti al primo di quegli spazi e chiusa la porta alle loro spalle, si
sedette su
un comodo cuscino posto di fronte ad un basso tavolino
all’orientale e fece
cenno al pirata di fare lo stesso. Assestatasi in quella posizione di
riposo e
al riparo da indiscreti di qualunque genere, si sentiva finalmente
libera di
esternare il proprio disgusto.
-
Più che altro,
Lemes è riuscito a rubare i soldi che avevo versato!
– esclamò, lo sguardo
assottigliato – Li ho consegnati in sua presenza! -
-
Ma riguardando il
registro non hanno trovato la somma nella cassaforte. –
soggiunse il ragazzo,
quasi per verificare di aver capito bene – E sospettando gli
“errori”
dell’altro contabile, hanno dedotto non avessi mai pagato? -
-
Esatto! Se poi
Lemes dice di non ricordarsi neanche che l’abbia fatto
è perché ne sa qualcosa!
Quei soldi sono stati portati via dal fondo dei Lucas F., approfittando
del
fatto che in ogni caso non mi ero fatta fare la ricevuta! –
digrignò i denti
per la rabbia – Sono stata una cretina… -
soggiunse a voce più bassa.
-
E quel tipo
addetto al registro? Non può aver giocato con il sindaco?
–
-
Quello che voleva
ammazzarti…? – domandò per contro
Principessa, con un’occhiata al petto lindo
del pirata – Seriamente, Pexe è furbo, ma odia
Lemes almeno quanto il genere
umano nel suo complesso. Immaginarli fare comunella mi è
quasi impossibile. –
-
E se fosse
successo…? – insisté Ace, sollevando
enfaticamente un sopraciglio.
Principessa
storse
le labbra, lasciando una pausa evidente, come se ci stesse pensando
davvero, e
non mancò di ricambiare completamente lo sguardo
dell’altro.
-
Devo ammettere
che sarebbero guai seri. – sentenziò, cupa.
-
Cosa pensi di
fare ora? – chiese il ragazzo appoggiando entrambi i gomiti
sul tavolino,
serio.
-
Tirare a campare.
– rispose, con tutta la frustrazione che quell’idea
le provocava – Mio
fratello, a patto che stia bene, ha un assegno in mano da incassare,
non so di
quanto. Ad ogni modo, dovremo spenderlo in parte per provviste in parte
per
pagare una quota di questo “debito”. Questo
significa, però… -
-
… che non ci
farete rifornimento. – concluse per lei il pirata.
La
ragazza sospirò:
- Per favore, riferisci a Edward che mi dispiace... La mamma glielo
aveva
promesso, ma non posso accrescere questo debito con tutte quelle vostre
ordinazioni... –
Ace
osservò vero
rammarico mostrarsi in quel volto sempre infastidito o forzatamente
composto e
si chiese quanto dovesse essere profondo l’attaccamento che
quella ragazza
volitiva provava per la madre e la promessa fattale e per il suo
anziano ma
vigoroso capitano.
-
Stai tranquilla.
Scommetto che il babbo preferirà sapere che potete
continuare a mantenervi,
piuttosto che preoccuparsi della dispensa. – le rispose con
un lieve sorriso,
che voleva consolarla e che risultava debole solo perché
nell’anima
l’ingiustizia continuava a farlo fremere di rivincita.
-
Temo anch’io che
la penserà in questo modo. – rispose.
E
questa volta
furono malinconia a dolcezza a risultare palpabili a quelle semplici
parole,
anche queste due emozioni tanto intense da figurare strane in chi
dimostrava di
solito solo la forza prepotente di furia e aggressività. Il
ragazzo pensò che
quella era davvero una persona complicata.
Era
passata un’ora
buona da quando si erano ritirati in casa della ragazza e il clima si
era
stemperato, anche se l’attesa degli eventi aleggiava
pesantemente su entrambi.
-
Sbaglio o il tuo
stomaco brontola come se non mangiassi da giorni!? –
esclamò, allibita, all’improvviso.
Ace
rise con
un’allegria contagiosa: - Eh si, avrei un po’ di
fame… -
-
Non ho molto da
offrire, però. – ci pensò un secondo
– Un piatto di pasta? -
-
…e basta…? –
chiese, innocente.
-
Be’, io non sono
molto brava in cucina, non saprei farti altro, neanche volendo.
–
Quella
frase le
stava riportando alla mente la scomparsa dell’unico davvero
abile ai fornelli...
Non poteva evitarsi di stare in ansia di fronte alla sua assenza
così
prolungata, ma aveva deciso di non farsi prendere dal panico. Nascose
quindi
subito la tensione con uno scatto nervoso, il dito accusatore
sollevato: –
Comunque, che modo di fare è!? Sarai anche un ospite, ma
queste pretese!
Accetta ciò che ti viene offerto, no!? –
-
E’ che un piatto
di pasta non mi sfama per nulla… - protestò
educatamente, incrociando le
braccia e appoggiandole sul basso tavolo di fronte a lui.
-
E che dieta
segui? – domandò lei, corrucciando le sopraciglia.
-
Dieta…? –
sembrava caduto dalle nuvole.
-
Chi deve
mantenere un certo fisico segue una dieta, no? – chiese,
aspettando una risposta
affermativa. Evidentemente non arrivò e, dopo aver studiato
l’aria spaesata del
ragazzo, concluse, con impazienza: - Questa sconosciuta, quindi! Chi
fatica tutta
la vita tra dieta ed esercizio fisico ti odierebbe di sicuro!
–
-
Perché? Tu sei a
dieta? – domandò, incuriosito, reclinando la testa.
-
IO!? Ne avrei
bisogno!? – esclamò, punta sul vivo –
Dillo se credi che sia grassa! –
-
No, non intendevo
questo. – rispose, scuotendo il capo, ma decisamente
tranquillo. Stava
cominciando ad imparare che preoccuparsi quando lei mal interpretava le
sue
parole era inutile: la maggior parte delle volte si trattava di un
semplice riflesso
della sua permalosità.
-
Diciamo che mi
trattengo nel mangiare. – rispose infine, non trovando nella
quietanza dell’interlocutore
alcun appiglio alla sua protesta – Una ragazza fine non deve
mangiare molto o
rischia di apparire volgare. –
-
E non ti stufi
mai di fingerti quello che non sei? –
Principessa
lo
fissò per un istante con scetticismo, come se non volesse
credere di poter sentire
una frase tanto scontata. Eppure come sempre il pirata non
mostrò alcuna
esitazione, come se sapesse perfettamente che quella domanda aveva
colto nel
segno. Allora non le rimase che sospirare e, dato che quel gesto fu
molto
simile ad una dolorosa ammissione, si abbandonò sui cuscini
che circondavano il
tavolo alla sua destra, sdraiandosi praticamente a terra. Da quella
comoda
posizione, girò poi il capo verso il ragazzo, seduto proprio
da quel lato: - Se
ti dicessi di “si”, avresti raggiunto infine il
pieno dei tuoi “punti-Saggezza”
di oggi? – domandò, sarcastica.
Ace
tese le labbra,
divertito, e si piegò un po’ verso il basso, verso
di lei, distesa proprio a
pochi centimetri dalla sue gambe incrociate: - Non so cosa
siano… Ma immaginavo
che non ti divertisse così tanto questa continua recita.
Malriuscita poi, se
posso dirlo. -
-
Adesso non ti
allargare con questo “malriuscita”! Me la cavo
discretamente bene! – protestò,
corrucciandosi, ma senza minimamente volersi spostare da quella
posizione.
-
Se lo dici tu… -
E
a quel punto un
rumore sordo fece quasi tremare le pareti.
L’espressione
divertita sul loro volto sfumò in un certo sgomento, mentre
quel suono finiva
di rimbombare sostituito da un pesante quanto veloce ritmo di nuovi
colpi,
sempre più forti, in avvicinamento. Prima che potessero
realizzare di cosa –
logicamente – si trattasse, la porta si spalancò
rumorosamente.
-
Prin! Dimmi che
sei qui! – gridò Clayton, accaldato e con il
fiatone, i capelli scarmigliati
che sfuggivano dall’elastico che doveva trattenerli.
Ciò
che si trovò
davanti non lo aiutò più di tanto a ritrovare il
controllo, comunque. Certo,
sua sorella era lì, ma non era sola. Era sdraiata a terra
tra i cuscini, come
faceva sempre volentieri, ma c’era un ragazzo sconosciuto
seduto troppo vicino.
A suo modo di vedere poi, non c’era cosa più
minacciosa di come lo sconosciuto
fosse piegato con la testa e le spalle verso il viso della
consanguinea. Prima
che il cervello potesse compiere le interconnessioni necessarie, il
respiro veloce
si fermò del tutto per un istante appena percepibile e
uscì, corto e rauco, in
un momento altrettanto breve: - COSA CREDI DI FARE A MIA SORELLA, TU!?
– gridò,
le mani immediatamente sporte in avanti e strette a pugno.
E
Principessa, che
per cinque secondi aveva fatto in tempo a gioire in cuor suo della
vista del
suo giovane fratello e stava quasi accarezzando l’idea di
sorridergli
rassicurata e andargli incontro sulla soglia, si pentì
immediatamente di quei
ragionamenti sentimentali.
-
Non sta facendo
nulla, scemo! – lo rimbeccò, insofferente,
strofinando mollemente il capo
contro il cuscino per impedirsi gesti inconsulti quali alzarsi e
prenderlo a
testate, nell’ordine per averla fatta preoccupare, spaventare
e infine infurire
alla prima riapparizione.
-
Chi è, Prin!? –
domandò allora, guardingo e incapace di sciogliere la
tensione accumulata.
-
Lo straniero
dell’altro giorno, senza mantello. E’ della ciurma
di Edward. – gli rispose,
piana e sintetica.
Ace
annuì con il
capo, cordiale: - Ci siamo visti l’altro giorno. Molto
piacere. –
Clay
lo squadrò
ancora incerto, fino a riconoscere in quel volto quieto, a lui ancora
ignoto a
causa di un certo indumento malamente smarrito, l’assenza di
ogni minaccia.
Quindi riprese finalmente fiato a pieni polmoni: - Grazie al
cielo… -
-
Tu, piuttosto!?
Ti sembra l’ora di rientrare!? Non mi sei neanche venuto a
prendere da Johnny!
Non sei andato dai Lucas F.! Dunque, Clayton!? –
scattò la sorella,
rimettendosi prontamente in piedi, pronta alla ramanzina con tanto di
mani sui
fianchi.
Il
fratello si
rabbuiò e, dopo aver stretto cordialmente la mano al pirata,
sospirò:
-
Forse è meglio se
torni seduta, Prin… -
Il
ragazzo si
sciolse la coda ormai sfatta quasi al solo fine di sfogare il
nervosismo: prese
infatti a tormentare i capelli biondi tra le dita, a lisciarli e a
scompigliarli alternativamente.
-
Ebbene? – chiese brusca
Principessa, rivolgendo un cenno enfatico al fratello perché
si decidesse a
fornire la sua spiegazione.
-
Sono andato in
banca a ritirare l’assegno. – iniziò,
cercando disperatamente le parole giuste.
-
Quindi!? –
insisté lei, anche se quella premessa le faceva dubitare di
voler davvero
sentire il seguito.
-
Poi ho incontrato
Koyu, Prin. –
-
Oh, ma
dannazione! – esclamò la ragazza, esasperata.
-
Chi sarebbe? – si
inserì il pirata, sbattendo gli occhi, incerto.
-
Lucas F. Koyu,
fratello minore di Tyner, l’omone fru-fru,
e fratello maggiore di Pexe, il ragazzetto con il tagliacarte. Si
occupa delle
trattative con i pirati e degli affari loschi della Fratellanza.
Attaccabrighe
patentato. – spiegò Principessa frettolosamente,
per poi aggiungere, concitata
– Cosa ha combinato!? –
-
Era ubriaco e
stava già litigando con un cliente della birreria in fondo
al viale. Credevo di
poter passare silenziosamente, senza dare nell’occhio. Ma
Koyu mi ha afferrato
e ha cercato di mettermi in mezzo. Ha detto qualcosa di
strano… ha parlato di
un debito che avrebbe estinto se gli avessi dato manforte…
So che non abbiamo
debiti con i Lucas F., ma anche il suo avversario si era scaldato
parecchio e
ormai mi puntava: credo fosse ciucco altrettanto. Insomma, sono finito
in mezzo
alla rissa. –
-
Clayton!
Maledizione! – esclamò la sorella, battendo un
pugno sul basso tavolino. Lo
aveva chiamato di nuovo con il nome completo: decisamente un brutto
segno.
-
Non sapevo che
fare! Sai che non l’avrei mai fatto di proposito! Anzi, ho
cercato di scansarmi
appena ho potuto, ma nel frattempo altra gente era uscita dal locale e
si era
unita alla baruffa! Non sono più riuscito a trovare scampo!
–
Poi
scostò i
capelli dal capo e le indicò un cerotto seminascosto dalla
lunga chioma: -
Credo mi abbiano colpito con qualcosa di appuntito. Ho perso i sensi.
Non so
quanto tempo dopo mi sono svegliato. –
Principessa
lo
guardò con apprensione: - Ma stai bene ora? –
domandò, infondo pentita delle
proprie urla di poco prima.
-
Si, si! Mi ha
medicato Kibo, il postino: io non mi ero neanche accorto di sanguinare,
anche
se lì per lì la testa mi faceva un po’
male. Ora va meglio. – la rassicurò.
-
Potevi anche
andare da un vero medico! – osservò lei, con aria
di rimprovero.
Clay
sospirò: - …se
Wasper non si fosse dimostrato il più ardito sostenitore
della zuffa… -
Principessa
alzò
gli occhi al soffitto: - Sapevo già che fosse un dottore del
tutto
inaffidabile, ma questo supera davvero le mie aspettative…
Quell’idiota si
mette a menar le mani, adesso! –
Ma
l’affermazione
non riuscì a divertire Clay, che, un po’
più pallido di prima, disse, tutto
d’un fiato:
–
Quando mi sono svegliato,
i soldi erano spariti. –
La
ragazza chiuse
gli occhi e batté forte la testa sul tavolo. Avrebbe voluto
urlare e imprecare,
ma per la verità le veniva quasi da ridere di fronte alla
follia del declino e
della sfortuna che li stava colpendo. Chiaramente, si trattava comunque
di un “ridere
per non piangere”.
-
Ecco. – riuscì
solo a dire, la fronte ancora poggiata al mobiletto.
-
Prin, sono
disperato! Ho cercato la mazzetta tutto il giorno! Non mi capacito di
come
abbia fatto a perderla! – esclamò il fratello,
mortificato.
-
Non ti è passato
per la testa che magari abbiano approfittato del tuo svenimento per
rubartela?
– domandò, devastata se possibile ancora di
più dalla sprovvedutezza del
ragazzo.
-
Oh cavolo… -
commentò allora, con una smorfia.
-
Appunto. Sono
persi, Clay. Era anche inutile perdere tempo a cercarli. – e
aggiunse, furiosa
alla sola idea – Se fosse stato Koyu, oggi la Fratellanza
potrebbe dire di aver
fatto poker sulle nostre spalle! –
-
Perché!?
Cos’altro è successo!? –
domandò Clay, preoccupato – Quando alla fine mi
sono
reso conto che non potevo continuare a girare a vuoto, sono andato da
Johnny a
cercarti, ma non c’eri più! Mi sono spaventato, ma
lui mi ha detto che
probabilmente eri già rientrata a casa e di non
preoccuparmi. –
Ace
rivolse uno
sguardo d’intesa a Principessa, la quale accennò
ad un sorrisetto. Il
locandiere aveva fatto bene a non condurre anche il più
giovane nella tana del
leone. D’altra parte, questa risposta dimostrava anche la
fiducia cieca che
aveva riposto nell’uomo mandato a vegliare sulla sua amica:
questo gesto di
stima colpì molto lo stesso pirata.
-
Infatti non c’era
nulla di cui preoccuparsi. – osservò allora Ace,
rassicurante.
-
No,
assolutamente! – esclamò Principessa, con lieve
ironia – Tanto i veri danni ce
li avevano già fatti e alle spalle! –
-
Non capisco
nulla! – protestò Clay, passando velocemente gli
occhi marroni dall’uno
all’altra in cerca di spiegazioni.
-
Ne parliamo dopo
da soli, Clay. – concluse Principessa, sbrigativa.
Ace
tentò di
protestare, ma la ragazza lo fermò con un cenno brusco: -
Niente da fare! Hai
già fatto fin troppo e non ha senso che tu si esponga
più di così! Noi ce la
caveremo! – e soggiunse poi – Immagino tu debba
anche tornare alla tua nave,
tra l’altro. Si staranno chiedendo dove sei
finito… -
Il
ragazzo sorrise:
- Nessun problema. Mi starà venendo a prendere. –
I
fratelli si
guardarono di sottecchi, straniti.
-
Cosa vuol dire? –
chiese Principessa, con aria decisamente interdetta.
E
subito bussarono.
Più precisamente, batterono con forza e impazienza la porta
che proprio da
quella stanza dava sul balcone sul retro.
-
Ma che diavolo… -
iniziò la padrona di casa, decisamente irritata dallo strano
fenomeno quanto
dal vigore dei colpi. Non stupita, non più dopo gli strani
eventi di quel
giorno che andava a terminare.
-
Vado ad aprire, Prin!
O chiunque sia ci butta giù la porta! –
osservò saggiamente Clayton, anche lui
ormai entrato nella fase di pura accettazione degli eventi.
Fece
in tempo a
girare la chiave, poi il passaggio si spalancò, rischiando
di buttarlo per
terra. Un individuo avanzò con passo spedito e nessuna
esitazione presso il
tavolino e posò pesantemente una mano sulla spalla del
pirata.
-
Muoviti. –
sentenziò, atono.
-
Ciao! Ti
aspettavo, Regy! – rispose Ace, per nulla stupito.
La
stretta si fece
più forte, ma lo sconosciuto non ritenne di dover ripetere
quella sorta di
ordine.
-
Dai, siediti! La
notte è ancora giovane! – insisté
l’altro, per nulla smosso da quel gesto, anzi
battendo una mano sul cuscino a fianco a lui.
-
Ehi! Tu chi
saresti!? – proruppe Pricipessa. Non perché fosse
davvero curiosa di saperlo. Piuttosto
intendeva far notare al tipo quanto fosse maleducato piombare in casa
altrui
senza presentarsi o degnare i padroni di quel minimo di attenzione
previsto.
Quello
alzò la
testa per rivolgere la prima occhiata alla ragazza che si trovava di
fronte.
Aveva un viso attraente, dai tratti ben rifiniti, la mascella morbida e
gli
zigomi non troppo rilevati. Gli occhi erano di un azzurro spaventoso,
tanto
brillanti da sembrare finti. Eppure la perfezione era solo toccata, non
raggiunta appieno. Al contrario di quanto ci si sarebbe aspettati, i
capelli
erano castani, lunghi e lucidi, legati in una coda e lievemente
schiariti a
tratti dal sole. Una cicatrice attraversava un sopraciglio e scendeva
obliqua
sulla tempia, senza sfiorare l’iride ma togliendole un
po’ di idealizzazione.
Poi
stupiva molto
l’assenza di espressività di occhi e bocca. Se da
una parte enfatizzava ancora
una volta l’ideale ultraterreno suscitato da
quell’individuo che qualcuno
avrebbe definito “angelico”, dall’altra
l’atteggiamento appariva troppo fiero e
superbo, come una patina di disinteresse per ogni contatto con
l’esterno, che
evidentemente doveva colpirlo solo interiormente. A patto che qualcosa
potesse
farlo.
-
Chi sei? –
domandò quello da parte sua, senza molta intonazione
interrogativa.
-
Te l’ho chiesto
prima io! – esclamò la ragazza, indignata.
-
Ha ragione però.
– osservò Ace, girando il capo
all’indietro per intercettare il volto del
compagno.
-
Comyol Regynald Thadeus
– rispose con tono piano, sfidandola con lo sguardo.
-
Non era
difficile. – affermò Ace, ancora conciliante.
Questa
volta fu
l’altro ad insistere, limitandosi ad un minimo cenno del
mento
all’interlocutrice.
-
McFerson
Principessa… - rispose di malavoglia – Mio
fratello Clayton… - aggiunse,
indicando il biondo, che si teneva con cautela il più
lontano possibile
dall’occhio del ciclone.
Un
guizzo
attraverso per la prima volta gli occhi del pirata, andando a corrugare
quanto
bastava le sopraciglia. Fu decisamente ostile
quell’espressione, ma ciò non
stupì la ragazza, che continuò incurante quella
sfida di sguardi.
Finché
Ace si alzò
in piedi, scrollandosi da addosso la mano dell’amico: -
Be’, non state facendo
amicizia, mi sembra. Quindi meglio che andiamo. –
affermò, per nulla
preoccupato.
Si
stava ancora
stiracchiando plasticamente, quando Regynald gli voltò le
spalle e prese a
tornare da dove era venuto, senza una parola. L’altro,
abituato, scosse la
testa tra sé:
-
E’ fatto così.
Scusate. Buonanotte. – saluto, un po’
frettolosamente per non perdere di vista
il compagno.
-
Buonanotte. –
rispose lei, imbronciata.
Clayton,
benché
sbalordito, non osò fermarli quando uscirono sul balcone e
si calarono
tranquillamente dal cornicione. Si limitò a guardarli
allontanarsi, notando così,
però, un elemento prima passato inosservato. Sulla camicia
bianca che il tale Regynald
indossava, come un vezzo, sopra una magliettina azzurra, seminascosto
dalla
lunga coda che gli scorreva lungo la schiena, era stampato il gabbiano
della
Marina.
-
Chi era quello? –
domandò Clayton, sicuro per l’espressione cupa che
aveva assunto la sorella che
ne sapesse più di quanto era sembrato.
-
Un pirata della
ciurma di Barbabianca, immagino. – rispose, sul subito
evasiva.
-
E…? –
-
Un ricercato per
tradimento della Marina. –