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Autore: May90    23/05/2011    5 recensioni
Abitare a Ward-Golfe é molto difficile: tra pirati e marinai é il peggiore tra i porti di mare sulla rotta più ambita.
Lavorare a Ward-Golfe é un incubo: la Fratellanza dei Mercanti gioca con i rialzi doganali, con la fornitura di merci, alla fine con la vita stessa dei poveri abitanti.
Tirare avanti a Ward-Golfe é impossibile se non fai parte della massa informe: essere nota come "Strega", avere un carattere un tantinino forte e una famiglia controversa sono quelle che potremmo chiamare aggravanti...
(Prima storia della serie "Come..." )
(Tre assurdi personaggi originali e comprimari vari ^_^)
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"Come..."'
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Capitolo 5

 

- Principessa! Tutto bene? – chiese il mantellato, premuroso e concitato, offrendole subito una mano per rialzarsi.

- Che diavolo fai anche qui, tu…? – sbuffò la ragazza per tutta risposta. Anche se in quel momento si trattava di un’apparizione provvidenziale e ne ringraziò la tempestività in cuor suo, cosa che non le permise di apparire scocciata quanto avrebbe voluto.

Accettò quel sostegno per rimettersi in piedi, mentre Tyner faceva lo stesso con le sue sole forze. Il Tiranno si ritrovava solo un po’ indolenzito per la caduta improvvisa, ma non aveva fretta di agire, piuttosto un salutare bisogno di studiare la situazione: la ragazza era ancora a portata di mano, ma non era più interessato a quella leonessa, quanto a capire chi fosse il personaggio accorso in suo soccorso e se potesse considerarsi a buon diritto un pericolo sul loro territorio o una comparsa di poco valore. Pexe, da parte sua, restava immobile, il tagliacarte in mano. Tuttavia in quei pochi momenti molto era cambiato nel suo atteggiamento: del tutto diverso dall’aiutante svogliato e incerto di poco prima, ora guardava il nuovo arrivato con fermezza  e sicurezza, mentre altrettanto vigorosa era diventata la stretta su quell’arma di fortuna. Lemes rantolava ancora a terra, tamponandosi alla meglio il naso sanguinante, nuovamente frantumato, con la manica del prezioso abito. Del resto ai lamenti cominciavano ad alternarsi le bestemmie e gli insulti, sintomo che anche per lui lo sbalordimento e la paura stavano lasciando il posto all’indignazione e alla rivincita.

- Signori, non vedo la necessità di alzare le mani su una ragazza preoccupata per il fratello. – affermò lo straniero, con calma, ma scrocchiandosi gradevolmente le dita – Non vorrei ripeterlo o dover agire di conseguenza. -

Principessa, tenuta alle spalle dalla figura misteriosa in un galante intento protettivo, alzò le sopraciglia, incredula. Minacce ora? Contro i Lucas F.? Anche se si parlava di uno di “loro”, quindi certamente non una mezza calzetta, possibile non avesse proprio il minimo ritegno ad attaccare briga, dopo tutta la cautela di quel mantellaccio?

- D-ridicolo! – esclamò Lemes, gli occhialini storti, puntandogli addosso la mano non occupata da quell’opera di pronto soccorso – D-u d-ubirai le con-d-eguenze! –

Poi, gli occhi fuori dalle orbite, incitò con decisione: - Pec-se! -

A quel richiamo, ignaro dell’identità dei presenti, lo straniero sbagliò soggetto di attenzione. Preoccupandosi più della ragazza e della prossima presenza di un Tyner in realtà tranquillo ed estraneo all’azione, afferrò di scatto il braccio di Principessa trascinandola lontano dal gigante e preparandosi a voltarsi e affrontarlo. Invece, trovò il mercante voltato a sua volta alla sua sinistra, intento ad un cenno di ammonimento al fratello minore: - No, Pexe! –

Quando il mantellato rivolse di nuovo lo sguardo al ragazzino armato, questo si era già scagliato contro di lui, infilandogli la punta acuminata nel petto.

Principessa sbiancò. Tyner imprecò a fior di labbra. Lemes farfugliò un commento trionfale quanto demente sulla vittoria della dinastia. Pexe, all’apparenza slanciatosi per solo istinto sul nemico, non riuscì a nascondere un sorrisetto mentre estraeva con un gesto fluido e di puro spregio il tagliacarte. Anzi, nel farlo, preda della curiosità morbosa di vedere gli effetti del suo gesto sul corpo dell’avversario, intercettò la sottile asola del bottone che tratteneva l’indumento tanto coprente e la tagliò di netto.

Si accorse subito, però, che qualcosa non andava: la lama era immacolata. Non solo, ma si poteva dire arrossata solo perché anche visivamente incandescente.

Alzò lo sguardo da quello strano fenomeno, nell’intento di scoprirne la causa, solo per farlo ricadere sulla mano che gli aveva improvvisamente stretto l’avambraccio. Era calda sulla sua pelle nuda, o meglio sempre più calda, fino a che si incendiò letteralmente sotto i suoi occhi. A quella visione stupefacente si sovrappose allora la sensazione di un dolore insopportabile e si ritrovò a  gridare e dimenarsi senza potersi sottrarre a quella stretta, che anzi lo obbligò a lasciar cadere la lama.

- Al diavolo la copertura, allora. – sbuffò lo straniero, quieto come se non fosse appena stato pugnalato a tradimento, scostando infine il mantello ormai inservibile.

Per qualche momento dopo che quell’indumento tanto fastidioso era scivolato silenziosamente a terra, ciò che dominò l’alta figura furono fiamme rosse, vivide e brillanti. Principessa aveva impiegato qualche istante per capire che cosa stava succedendo e proprio quando stava riuscendo a rimettere in ordine le idee abbastanza da soccorrere il “ferito”, si era ritrovata quella stoffa tanto fastidiosa ai piedi e quell’immagine sconvolgente davanti agli occhi. Il fuoco brucia e fa male, non c’erano dubbi, e il più giovane dei mercanti ne stava giusto facendo una tremenda esperienza. Eppure doveva fare un forte sforzo per non immergere le dita in quel vibrante percorso di lingue ardenti, troppo attraente come qualcosa di azzardato, troppo rassicurante come qualcosa di controllato e amico.

Aveva sentito nominare un solo uomo con un potere simile: un nuovo pirata di buone speranze, un ragazzino già considerato una minaccia da prevenire, che per questo la Marina cercava di ingraziarsi con l’altisonante quanto vuoto titolo di “membro della Flotta dei Sette”. Non era la sola ad esserne al corrente, a giudicare dall’espressione aspra assunta da Tyner, mentre Pexe quasi ringhiava per il disprezzo, oltre che il dolore del braccio bruciato. Eppure, le cose non le tornavano, né la sua presenza su quell’isola perduta, né il fatto che si fosse recato proprio da Clay a fare quella specifica ordinazione.

Le risposta le fu subito data.

Le lingue di fuoco presero ad attirarsi a vicenda, ad accorparsi e quasi a sparire sotto la pelle di un ragazzo che sembrava tornare a prendere forma dal nulla. Lentamente, sempre dalla posizione difesa in cui la stava tenendo, vide ricomparire una pelle stranamente chiara, spalle larghe e una schiena ampia e ben tornita. E su quest’ultima, nuda appunto, un enorme tatuaggio, ad occuparne gran parte: un simbolo tanto noto e rinomato, quanto a lei familiare e caro. Ossa incrociate e un teschio per nulla realistico con ampi e virgolati baffoni bianchi. 

Emerso ormai completamente dalla sua forma precedente, il giovane si voltò solo parzialmente alle sue spalle, rivolto alla ragazza che era venuto ad aiutare. I capelli neri disordinati a sfiorare il volto ben fatto, la pelle chiara solcata da poche lentiggini sulle gote, gli occhi scuri inquieti e sottili, le labbra tirate e serrate per la tensione.

Principessa ricambiò l’occhiata con attenzione nuova per quella persona che, anche semplicemente svelandosi così all’improvviso, si era fatta conoscere infine anche a lei con un nome e un ruolo ben preciso in quel folle mondo che circondava la sua famiglia.

Soprattutto, però, tutta quella scena le aveva fatto scoprire un inquietante imprevisto ed era questo ora, più di tutto il resto, a spaventarla. Di fronte a lei si trovava un dejà-vu direttamente da un suo sogno, un momento già vissuto nel mondo onirico, ma non un‘esperienza anomala per lei: le capitava molto spesso, in realtà. Eppure aveva imparato a conoscere la monotonia e la ripetitività delle immagini che animavano il suo riposo, banali come la vita di tutti i giorni. Fino a quel momento. La novità, l’inquietante ignoto, stava arrivando a squassare la normalità, a partire da quel sogno e dal suo protagonista…

E anche l’idillio causato da quella visione, vittima di tale ragionamento, durò pochissimo, lasciando il posto ad un sottile disappunto, causato dalla netta sensazione che la sorte stesse cambiando di fronte a lei e non fosse per nulla in grado di trovarvi riparo.

- Ma dannazione… - imprecò senza remore, lo sguardo assottigliato dalla disapprovazione. Poi posò con forza una mano sulla spalla del ragazzo - piuttosto stupito da quella reazione di sufficienza ma abbastanza saggio da lasciarla fare - per spingerlo indietro, fino a mollare Pexe e allontanarsi dal cospetto dei tre mercanti, senza tuttavia azzardarsi a voltare loro la schiena.

- Principessa… - tentò di dire, prima di tornare a studiare le reazioni dei padroni di casa.

Lo stesso fece lei, continuando a trascinare il suo salvatore all’indietro fino all’uscita.

- Lemes, il tuo naso faceva già schifo prima, tanto quanto la tua persona nel suo complesso comunque. Sindaco o no, ti impedirò ad ogni costo qualunque ritorsione. – minacciò.

- C-d-epa, M-c Fe-d-son! – le rispose quello, un pugno alzato ad enfatizzare l’auguro di una morte prossima e dolorosa.  

- Pexe, il qui presente pirata non è alla tua altezza e lo sai bene. Fatti medicare quel braccio e impara a tenere un registro come si deve. Lascia le ripicche ad altri, giovanotto. – intimò ancora.

- Al diavolo! – rispose l’interessato, alzando gli occhi acquosi per il dolore ai due ospiti indesiderati.

- Tyner, te lo chiedo ancora una volta: mio fratello è trattenuto sotto questo tendone? –

- No. – rispose, brusco.

- Allora non ho altro da dire. So che ti rendi bene conto della situazione. La mia clientela ti serve. Non puoi permetterti, per ora, di veder perire un’altra compagnia di intermediari con i tempi che corrono. Quindi conto che dimenticherai tutti gli avvenimenti di oggi a solo giovamento dei tuoi affari. –

Il Tiranno affermò, perentorio: - Ma tu pagherai tutto il dovuto. Neanche un berry di meno. –

Principessa non riuscì a rispondere a voce, tanto quella sentenza le fece sentire la gola secca, e si limitò ad annuire e sperare nella buona sorte.

- Così sia, allora. – concluse l’uomo d’affari, sotto le occhiate incredule dei due parenti feriti.

 

Non si sa come né perché, ma appena fuori dal tendone e alla luce degli ultimi raggi di sole che stavano svanendo nell’orizzonte, Principessa spostò la mano all’avambraccio del suo salvatore e lo trascinò via di corsa per le strade fortunatamente quasi deserte della cittadina. Non c’era pericolo che i Lucas F. a quel punto li inseguissero, quindi la fuga non era certo necessaria, ma dettata solo dalla concitazione. Molto più logica fu invece la ricerca di uno stretto vicoletto lontano da occhi indiscreti per fermarsi almeno a prendere fiato e fare il punto della situazione.

Allora la ragazza rilasciò il compagno e lanciò ancora una sbirciata di sicurezza alla strada dalla quale erano venuti, oltre che compiere un controllo su tutti i restanti passaggi per evitare ogni possibile passante molesto. Infine, abbandonandosi con uno sbuffo di sollievo al muro del fornaio:

- Portuguese D. Ace, anche noto come Ace “Pugno di Fuoco”. – sentenziò, rivolgendosi bruscamente a colui che fino a pochi minuti prima avrebbe quasi preferito chiamare “straniero”.

Quest’ultimo aveva seguito il suo esempio e si era appoggiato con la schiena alla parete opposta dello stretto passaggio - quella del falegname - anche se in una posa decisamente più rilassata: braccia attorcigliate dietro la testa e piede appoggiato comodamente ai mattoni a vista, abbastanza in alto da fare da appoggio nonostante il ginocchio piegato. Sorrise allegro, forse fin troppo, al sentirsi chiamare per cognome, nome e soprannome ad una prima occhiata e le rispose con un divertito: - Presente! –

- C’è poco da ridere! Senza quel mantello sei una mina vagante! – lo rimproverò, pronta.

- Parla quella che voleva me lo togliessi… - commentò, con un ghigno – Dovresti essere soddisfatta… -

E Principessa lo era, non poteva che ammetterlo tra sé. Quel matto di un pirata aveva davvero un fisico pauroso, che non esitava ad ostentare con quell’evidente disinteresse ad ogni indumento che potesse coprirlo dalla cintola in su. Il suo istinto da cacciatrice aveva detto bene: quel mantello era un danno di immagine colossale per quel ragazzo, ricercato o no. Ora guadagnava un numero inevitabilmente alto di punti, aiutato anche da un viso tutt’altro che sgradevole. Ebbene, poteva dirsi molto lieta della fine che aveva fatto la malaugurata palandrana.

Tuttavia, proprio ora che vedeva e sapeva, capiva anche l’importanza di quella dannata copertura e stava cominciando a maledirsi tra sé per non aver avuto i riflessi abbastanza pronti da raccoglierla, prima di trascinarlo lontano da quei tre babbei…

- Il vecchio Edward aveva previsto saggiamente quasi tutto e ora sei nei guai. – concluse a voce alta.

- Temo non me la farà passare liscia, si… – fece sul subito, ma a quel punto mise insieme tutta la frase appena ascoltata e soggiunse, stupito – Ma di chi stai parlando!? –

Principessa sbuffò: - Che domande fai!? Del tuo capitano, no!? –

- Come fai a… -

- Hai un tatuaggio grande come te sulla schiena..! – spiegò, allibita dal poco intuito del ragazzo e mimando con le braccia un’iperbolica ampiezza del simbolo in questione, e riprese – Non ti sei unito da tanto alla ciurma, dato che ancora nessuno ne è al corrente. Ecco perché portavi quel mantello! Non dovevi essere riconosciuto, mentre dal tatuaggio avrebbero capito tutti che sei diventato un “figlio” di Barbabianca! –

- Ma l’oste… - cercò di inserirsi, sollevando un dito verso di lei, in parte quasi per chiedere la parola, in parte per tentare di obiettare.

- Johnny ha i suoi informatori! O comunque ha intuito le cose da sé: quello è tremendo! Non mi stupirei se scoprissi che legge giornaletti per signore! – minimizzò la ragazza, imprecando mentalmente anche contro il locandiere che era stato tanto ostinato nel negarle qualunque informazione preliminare.

- E’ comunque strano che tu chiami per nome nostro padre. Nessuno l’ha mai fatto. – osservò ancora Ace, sollevando le sopraciglia con atteggiamento vagamente incredulo.

Principessa esitò un istante e sbatté le palpebre, quasi indecisa.

- Era molto amico di mia madre. – concluse infine.

Il pirata attese che aggiungesse qualcosa, come il tono sospeso e la frase lapidaria lasciavano intendere, ma non avvenne nulla. Anzi, la ragazza, dopo aver affrontato intrepidamente lo sguardo dell’interlocutore per quella sentenza, si chiuse in suoi ragionamenti, abbassando anche il capo a terra.

- Io devo trovare Clay. – disse infine, riuscendo a ritrovare il filo delle sue necessità.

Il ragazzo annuì: - E’ chiaro. Ti aiuterò. –

- Non mi sembra il caso. – ribatté lei, sicura – Con quell’aspetto che urla “ricercato” ai quattro venti mi sei d’intralcio. Sarebbe meglio tornassi alla tua nave. -

Ace si sporse nel piccolo spazio del viottolo per dare uno sguardo alle strade circostanti e tornò a rivolgersi alla ragazza, con un sorriso che appariva quasi colpevole.

- E’ piuttosto difficile… -

- Oh, andiamo! Non ho intenzione di farmi vedere in giro con un pirata stranoto, contando che ufficialmente non dovresti essere qui (tanto meno con quel tatuaggio) e che i più pericolosi bastardi di quest’isola ci hanno già visti insieme e crederanno che siamo in qualche modo alleati! – esclamò lei, irritata notando come le sue prese di posizioni fossero del tutto ignorate.

- Se sei così amica del babbo, alla fine siamo alleati. – rispose il pirata, senza perdere l’atteggiamento placido e conciliante.

- Ma… - cercò di controbattere per un istante, poi si arrese all’evidenza - Che diavolo… Parlo di fatti, non di saggezza spiccia e concetti sottintesi! Devono proprio saperlo tutti che conosco i Pirati di Barbabianca!? – si limitò a protestare.

- In quanto “alleato” ti faccio una proposta: - iniziò lui, ignorando del tutto la polemica, ma sorridendo pacifico – perché non aspetti tuo fratello a casa? –

- Cosa… - cercò di interromperlo, scandalizzata.

- Se non è preso in ostaggio dai cattivi, probabilmente è a casa o sta pensando di tornarci. Potrebbe essere inutile vagare per la città senza meta con il buio, riuscendo solo a preoccuparti di più, probabilmente per nulla, e senza riuscire a vedere niente e nessuno. Ti accompagno fino là per evitare brutti incontri e aspetto di vederlo arrivare. Se poi davvero non se ne trova traccia, vado a cercarlo io. Ok? – propose.

Principessa valutò in un istante i pro, tra i quali quello di evitarsi un lungo vagabondaggio con quello che minacciava voler diventare la sua ombra a forma uomo, e i contro, come il fatto che l’attesa di notizie poteva considerarsi a priori straziante. Tuttavia si accorse presto che non sapeva dove cercare Clayton dopo aver fatto un buco nell’acqua presso i Lucas F., quindi avrebbe davvero finito per girare a vuoto.

- Ecco di nuovo la tua saggezza da straniero. Un vero fenomeno sovrannaturale. – osservò  con evidente ironia e fece strada senza aspettare una risposta. Del resto Ace aveva solo scrollato le spalle con un sorrisetto sardonico prima di prendere a seguirla, proprio come un’ombra.

 

- Pexe! Che diavolo ti è saltato in mente!? –

Le urla del Tiranno fecero trattenere il respiro a Lemes, che finalmente si era procurato un fazzoletto per tamponarsi il naso e attendeva la fine della sfuriata per contattare il medico della Fratellanza, probabilmente immerso in bagordi in città. Non gelarono invece il sangue del fratello minore, che anzi prese a protestare, le mani sui fianchi e voce a tono del consanguineo:

- Quel tipo ci stava minacciando! Cosa ne sapevo che fosse un pirata!? – esclamò, lo sguardo ardito a sfidare il despota.

- Attaccare uno straniero! Uno sconosciuto al quale non si è ancora neanche chiesta l’identità! Una follia che poteva costarci caro, se l’avessi ucciso! – ribatté il più anziano, con le onde dei capelli irrigiditi dalla lacca che vibravano per l’irritazione.

- E chi dovremmo temere!? Se fosse successo… -

- Se fosse successo, ne avresti pagato tu le conseguenze! Ringrazia i riflessi del ragazzino, che ha perso consistenza in fuoco per evitare il colpo! O l’avresti pagata sulla tua pelle! – e per evidenziare l’intolleranza a quella insubordinazione del parigrado ma pur sempre fratello minore, gli rifilò un vigoroso manrovescio. Pexe subì, stringendo i denti per trattenere l’istinto a reagire, e si limitò a strofinarsi la guancia offesa.

- Lemes! - riprese Tyner, cambiando interlocutore – Voglio sperare che quelli fossero solo deliri di una ragazzetta nevrotica! –

- Tyner, non capisco come puoi… - tentò di dire quello, ostentando la sua indignazione a quell’accusa indiretta.

- Posso! – tuonò il mercante, insofferente ad udire ulteriori lamentele – Facciamo parte di una dannata organizzazione governativa! Se usciamo anche da questa apparenza di legalità, perdiamo tutto! Non posso sopportare che si rubi sotto questo tendone! E soprattutto non posso accettare che TU rubi, quando tutto quello che hai te l’ho dato io, Lemes! Esigo fedeltà da te, Sindaco! –

- Ti sono fedele, cugino! Quella è solo una pazza! – gli rispose, frettoloso.

- Pexe…? Mi sei fedele!? – domandò allora, rivolto a colui che aveva revisionato il famoso registro e solo poteva testimoniare contro l’affermazione del vecchio.

- Certo. Ho verificato tutto. – rispose, atono e sicuro.

Il Tiranno li guardò entrambi con sufficienza. Quei due non lo facevano sentire sicuro, ma non poteva che accettare quelle parole. Del resto, non erano mai andati d’accordo tra loro, a che si ricordasse, e di certo non avevano ragione per fare comunella a sue spese. Che poi si parlava del danno dell’intera famiglia, nel caso una denuncia simile fosse giunta alle orecchie giuste.

Quindi voltò loro le spalle e fece per allontanarsi dietro la tenda divisoria.

- Abbiamo rischiato di accoppare un “figlio” di quel diavolo di un pirata… Un sacco di guai inutili… - commentò tra sé, scuotendo la testa alla sola idea, poi soggiunse più forte, rivolto agli altri due -  Cercatemi Koyu! La prospettiva dei danni che può fare quell’esagitato di mio fratello lasciato in libertà mi toglie anche la fame! -

Quando Tyner fu ormai lontano, Lemes lanciò un’occhiata preoccupata a Pexe, il quale stese le labbra in un ghigno crudele:

- Chiudi gli occhi quando te lo dico io, Sindaco… E stai tranquillo che il tuo debito sarà saldato… - gli annunciò, serafico, prima di fare ciò che gli era stato detto ed avviarsi all’uscita del tendone.

 

- Quindi, ti hanno incastrata. – concluse Ace, evidentemente indignato.

Principessa aveva interrotto un momento il racconto del dialogo appena avvenuto con i mercanti, svoltosi già durante la strada a bassa voce, solo per fare gli onori di casa all’ospite e accompagnarlo al secondo piano. Di fianco alla camera che condivideva con il fratello minore, si aprivano due stanze collegate destinate agli ospiti: un’anticamera piuttosto ampia e il vano da letto vero e proprio. Giunti al primo di quegli spazi e chiusa la porta alle loro spalle, si sedette su un comodo cuscino posto di fronte ad un basso tavolino all’orientale e fece cenno al pirata di fare lo stesso. Assestatasi in quella posizione di riposo e al riparo da indiscreti di qualunque genere, si sentiva finalmente libera di esternare il proprio disgusto.

- Più che altro, Lemes è riuscito a rubare i soldi che avevo versato! – esclamò, lo sguardo assottigliato – Li ho consegnati in sua presenza! -

- Ma riguardando il registro non hanno trovato la somma nella cassaforte. – soggiunse il ragazzo, quasi per verificare di aver capito bene – E sospettando gli “errori” dell’altro contabile, hanno dedotto non avessi mai pagato? -

- Esatto! Se poi Lemes dice di non ricordarsi neanche che l’abbia fatto è perché ne sa qualcosa! Quei soldi sono stati portati via dal fondo dei Lucas F., approfittando del fatto che in ogni caso non mi ero fatta fare la ricevuta! – digrignò i denti per la rabbia – Sono stata una cretina… - soggiunse a voce più bassa.

- E quel tipo addetto al registro? Non può aver giocato con il sindaco? –

- Quello che voleva ammazzarti…? – domandò per contro Principessa, con un’occhiata al petto lindo del pirata – Seriamente, Pexe è furbo, ma odia Lemes almeno quanto il genere umano nel suo complesso. Immaginarli fare comunella mi è quasi impossibile. –

- E se fosse successo…? – insisté Ace, sollevando enfaticamente un sopraciglio.

Principessa storse le labbra, lasciando una pausa evidente, come se ci stesse pensando davvero, e non mancò di ricambiare completamente lo sguardo dell’altro.

- Devo ammettere che sarebbero guai seri. – sentenziò, cupa.

- Cosa pensi di fare ora? – chiese il ragazzo appoggiando entrambi i gomiti sul tavolino, serio.

- Tirare a campare. – rispose, con tutta la frustrazione che quell’idea le provocava – Mio fratello, a patto che stia bene, ha un assegno in mano da incassare, non so di quanto. Ad ogni modo, dovremo spenderlo in parte per provviste in parte per pagare una quota di questo “debito”. Questo significa, però… -

- … che non ci farete rifornimento. – concluse per lei il pirata.

La ragazza sospirò: - Per favore, riferisci a Edward che mi dispiace... La mamma glielo aveva promesso, ma non posso accrescere questo debito con tutte quelle vostre ordinazioni... –

Ace osservò vero rammarico mostrarsi in quel volto sempre infastidito o forzatamente composto e si chiese quanto dovesse essere profondo l’attaccamento che quella ragazza volitiva provava per la madre e la promessa fattale e per il suo anziano ma vigoroso capitano.

- Stai tranquilla. Scommetto che il babbo preferirà sapere che potete continuare a mantenervi, piuttosto che preoccuparsi della dispensa. – le rispose con un lieve sorriso, che voleva consolarla e che risultava debole solo perché nell’anima l’ingiustizia continuava a farlo fremere di rivincita.

- Temo anch’io che la penserà in questo modo. – rispose.

E questa volta furono malinconia a dolcezza a risultare palpabili a quelle semplici parole, anche queste due emozioni tanto intense da figurare strane in chi dimostrava di solito solo la forza prepotente di furia e aggressività. Il ragazzo pensò che quella era davvero una persona complicata.

 

Era passata un’ora buona da quando si erano ritirati in casa della ragazza e il clima si era stemperato, anche se l’attesa degli eventi aleggiava pesantemente su entrambi.

- Sbaglio o il tuo stomaco brontola come se non mangiassi da giorni!? – esclamò, allibita, all’improvviso.

Ace rise con un’allegria contagiosa: - Eh si, avrei un po’ di fame… -

- Non ho molto da offrire, però. – ci pensò un secondo – Un piatto di pasta? -

- …e basta…? – chiese, innocente.

- Be’, io non sono molto brava in cucina, non saprei farti altro, neanche volendo. –

Quella frase le stava riportando alla mente la scomparsa dell’unico davvero abile ai fornelli... Non poteva evitarsi di stare in ansia di fronte alla sua assenza così prolungata, ma aveva deciso di non farsi prendere dal panico. Nascose quindi subito la tensione con uno scatto nervoso, il dito accusatore sollevato: – Comunque, che modo di fare è!? Sarai anche un ospite, ma queste pretese! Accetta ciò che ti viene offerto, no!? –

- E’ che un piatto di pasta non mi sfama per nulla… - protestò educatamente, incrociando le braccia e appoggiandole sul basso tavolo di fronte a lui.

- E che dieta segui? – domandò lei, corrucciando le sopraciglia.

- Dieta…? – sembrava caduto dalle nuvole.

- Chi deve mantenere un certo fisico segue una dieta, no? – chiese, aspettando una risposta affermativa. Evidentemente non arrivò e, dopo aver studiato l’aria spaesata del ragazzo, concluse, con impazienza: - Questa sconosciuta, quindi! Chi fatica tutta la vita tra dieta ed esercizio fisico ti odierebbe di sicuro! –

- Perché? Tu sei a dieta? – domandò, incuriosito, reclinando la testa.

- IO!? Ne avrei bisogno!? – esclamò, punta sul vivo – Dillo se credi che sia grassa! –

- No, non intendevo questo. – rispose, scuotendo il capo, ma decisamente tranquillo. Stava cominciando ad imparare che preoccuparsi quando lei mal interpretava le sue parole era inutile: la maggior parte delle volte si trattava di un semplice riflesso della sua permalosità.

- Diciamo che mi trattengo nel mangiare. – rispose infine, non trovando nella quietanza dell’interlocutore alcun appiglio alla sua protesta – Una ragazza fine non deve mangiare molto o rischia di apparire volgare. –

- E non ti stufi mai di fingerti quello che non sei? –

Principessa lo fissò per un istante con scetticismo, come se non volesse credere di poter sentire una frase tanto scontata. Eppure come sempre il pirata non mostrò alcuna esitazione, come se sapesse perfettamente che quella domanda aveva colto nel segno. Allora non le rimase che sospirare e, dato che quel gesto fu molto simile ad una dolorosa ammissione, si abbandonò sui cuscini che circondavano il tavolo alla sua destra, sdraiandosi praticamente a terra. Da quella comoda posizione, girò poi il capo verso il ragazzo, seduto proprio da quel lato: - Se ti dicessi di “si”, avresti raggiunto infine il pieno dei tuoi “punti-Saggezza” di oggi? – domandò, sarcastica.

Ace tese le labbra, divertito, e si piegò un po’ verso il basso, verso di lei, distesa proprio a pochi centimetri dalla sue gambe incrociate: - Non so cosa siano… Ma immaginavo che non ti divertisse così tanto questa continua recita. Malriuscita poi, se posso dirlo. -

- Adesso non ti allargare con questo “malriuscita”! Me la cavo discretamente bene! – protestò, corrucciandosi, ma senza minimamente volersi spostare da quella posizione.

- Se lo dici tu… -

 

E a quel punto un rumore sordo fece quasi tremare le pareti.

L’espressione divertita sul loro volto sfumò in un certo sgomento, mentre quel suono finiva di rimbombare sostituito da un pesante quanto veloce ritmo di nuovi colpi, sempre più forti, in avvicinamento. Prima che potessero realizzare di cosa – logicamente – si trattasse, la porta si spalancò rumorosamente.

- Prin! Dimmi che sei qui! – gridò Clayton, accaldato e con il fiatone, i capelli scarmigliati che sfuggivano dall’elastico che doveva trattenerli.

Ciò che si trovò davanti non lo aiutò più di tanto a ritrovare il controllo, comunque. Certo, sua sorella era lì, ma non era sola. Era sdraiata a terra tra i cuscini, come faceva sempre volentieri, ma c’era un ragazzo sconosciuto seduto troppo vicino. A suo modo di vedere poi, non c’era cosa più minacciosa di come lo sconosciuto fosse piegato con la testa e le spalle verso il viso della consanguinea. Prima che il cervello potesse compiere le interconnessioni necessarie, il respiro veloce si fermò del tutto per un istante appena percepibile e uscì, corto e rauco, in un momento altrettanto breve: - COSA CREDI DI FARE A MIA SORELLA, TU!? – gridò, le mani immediatamente sporte in avanti e strette a pugno.

E Principessa, che per cinque secondi aveva fatto in tempo a gioire in cuor suo della vista del suo giovane fratello e stava quasi accarezzando l’idea di sorridergli rassicurata e andargli incontro sulla soglia, si pentì immediatamente di quei ragionamenti sentimentali.

- Non sta facendo nulla, scemo! – lo rimbeccò, insofferente, strofinando mollemente il capo contro il cuscino per impedirsi gesti inconsulti quali alzarsi e prenderlo a testate, nell’ordine per averla fatta preoccupare, spaventare e infine infurire alla prima riapparizione.

- Chi è, Prin!? – domandò allora, guardingo e incapace di sciogliere la tensione accumulata.

- Lo straniero dell’altro giorno, senza mantello. E’ della ciurma di Edward. – gli rispose, piana e sintetica.

Ace annuì con il capo, cordiale: - Ci siamo visti l’altro giorno. Molto piacere. –

Clay lo squadrò ancora incerto, fino a riconoscere in quel volto quieto, a lui ancora ignoto a causa di un certo indumento malamente smarrito, l’assenza di ogni minaccia. Quindi riprese finalmente fiato a pieni polmoni: - Grazie al cielo… -

- Tu, piuttosto!? Ti sembra l’ora di rientrare!? Non mi sei neanche venuto a prendere da Johnny! Non sei andato dai Lucas F.! Dunque, Clayton!? – scattò la sorella, rimettendosi prontamente in piedi, pronta alla ramanzina con tanto di mani sui fianchi.

Il fratello si rabbuiò e, dopo aver stretto cordialmente la mano al pirata, sospirò:

- Forse è meglio se torni seduta, Prin… -

 

Il ragazzo si sciolse la coda ormai sfatta quasi al solo fine di sfogare il nervosismo: prese infatti a tormentare i capelli biondi tra le dita, a lisciarli e a scompigliarli alternativamente.

- Ebbene? – chiese brusca Principessa, rivolgendo un cenno enfatico al fratello perché si decidesse a fornire la sua spiegazione.

- Sono andato in banca a ritirare l’assegno. – iniziò, cercando disperatamente le parole giuste.

- Quindi!? – insisté lei, anche se quella premessa le faceva dubitare di voler davvero sentire il seguito.

- Poi ho incontrato Koyu, Prin. –

- Oh, ma dannazione! – esclamò la ragazza, esasperata.

- Chi sarebbe? – si inserì il pirata, sbattendo gli occhi, incerto.

- Lucas F. Koyu, fratello minore di Tyner, l’omone fru-fru, e fratello maggiore di Pexe, il ragazzetto con il tagliacarte. Si occupa delle trattative con i pirati e degli affari loschi della Fratellanza. Attaccabrighe patentato. – spiegò Principessa frettolosamente, per poi aggiungere, concitata – Cosa ha combinato!? –

- Era ubriaco e stava già litigando con un cliente della birreria in fondo al viale. Credevo di poter passare silenziosamente, senza dare nell’occhio. Ma Koyu mi ha afferrato e ha cercato di mettermi in mezzo. Ha detto qualcosa di strano… ha parlato di un debito che avrebbe estinto se gli avessi dato manforte… So che non abbiamo debiti con i Lucas F., ma anche il suo avversario si era scaldato parecchio e ormai mi puntava: credo fosse ciucco altrettanto. Insomma, sono finito in mezzo alla rissa. –

- Clayton! Maledizione! – esclamò la sorella, battendo un pugno sul basso tavolino. Lo aveva chiamato di nuovo con il nome completo: decisamente un brutto segno.

- Non sapevo che fare! Sai che non l’avrei mai fatto di proposito! Anzi, ho cercato di scansarmi appena ho potuto, ma nel frattempo altra gente era uscita dal locale e si era unita alla baruffa! Non sono più riuscito a trovare scampo! –

Poi scostò i capelli dal capo e le indicò un cerotto seminascosto dalla lunga chioma: - Credo mi abbiano colpito con qualcosa di appuntito. Ho perso i sensi. Non so quanto tempo dopo mi sono svegliato. –

Principessa lo guardò con apprensione: - Ma stai bene ora? – domandò, infondo pentita delle proprie urla di poco prima.

- Si, si! Mi ha medicato Kibo, il postino: io non mi ero neanche accorto di sanguinare, anche se lì per lì la testa mi faceva un po’ male. Ora va meglio. – la rassicurò.

- Potevi anche andare da un vero medico! – osservò lei, con aria di rimprovero.

Clay sospirò: - …se Wasper non si fosse dimostrato il più ardito sostenitore della zuffa… -

Principessa alzò gli occhi al soffitto: - Sapevo già che fosse un dottore del tutto inaffidabile, ma questo supera davvero le mie aspettative… Quell’idiota si mette a menar le mani, adesso! –

Ma l’affermazione non riuscì a divertire Clay, che, un po’ più pallido di prima, disse, tutto d’un fiato:

– Quando mi sono svegliato, i soldi erano spariti. –

La ragazza chiuse gli occhi e batté forte la testa sul tavolo. Avrebbe voluto urlare e imprecare, ma per la verità le veniva quasi da ridere di fronte alla follia del declino e della sfortuna che li stava colpendo. Chiaramente, si trattava comunque di un “ridere per non piangere”.

- Ecco. – riuscì solo a dire, la fronte ancora poggiata al mobiletto.

- Prin, sono disperato! Ho cercato la mazzetta tutto il giorno! Non mi capacito di come abbia fatto a perderla! – esclamò il fratello, mortificato.

- Non ti è passato per la testa che magari abbiano approfittato del tuo svenimento per rubartela? – domandò, devastata se possibile ancora di più dalla sprovvedutezza del ragazzo.

- Oh cavolo… - commentò allora, con una smorfia.

- Appunto. Sono persi, Clay. Era anche inutile perdere tempo a cercarli. – e aggiunse, furiosa alla sola idea – Se fosse stato Koyu, oggi la Fratellanza potrebbe dire di aver fatto poker sulle nostre spalle! –

- Perché!? Cos’altro è successo!? – domandò Clay, preoccupato – Quando alla fine mi sono reso conto che non potevo continuare a girare a vuoto, sono andato da Johnny a cercarti, ma non c’eri più! Mi sono spaventato, ma lui mi ha detto che probabilmente eri già rientrata a casa e di non preoccuparmi. –

Ace rivolse uno sguardo d’intesa a Principessa, la quale accennò ad un sorrisetto. Il locandiere aveva fatto bene a non condurre anche il più giovane nella tana del leone. D’altra parte, questa risposta dimostrava anche la fiducia cieca che aveva riposto nell’uomo mandato a vegliare sulla sua amica: questo gesto di stima colpì molto lo stesso pirata.

- Infatti non c’era nulla di cui preoccuparsi. – osservò allora Ace, rassicurante.

- No, assolutamente! – esclamò Principessa, con lieve ironia – Tanto i veri danni ce li avevano già fatti e alle spalle! –

- Non capisco nulla! – protestò Clay, passando velocemente gli occhi marroni dall’uno all’altra in cerca di spiegazioni.

- Ne parliamo dopo da soli, Clay. – concluse Principessa, sbrigativa.

Ace tentò di protestare, ma la ragazza lo fermò con un cenno brusco: - Niente da fare! Hai già fatto fin troppo e non ha senso che tu si esponga più di così! Noi ce la caveremo! – e soggiunse poi – Immagino tu debba anche tornare alla tua nave, tra l’altro. Si staranno chiedendo dove sei finito… -

Il ragazzo sorrise: - Nessun problema. Mi starà venendo a prendere. –

I fratelli si guardarono di sottecchi, straniti.

- Cosa vuol dire? – chiese Principessa, con aria decisamente interdetta.

 

E subito bussarono. Più precisamente, batterono con forza e impazienza la porta che proprio da quella stanza dava sul balcone sul retro.

- Ma che diavolo… - iniziò la padrona di casa, decisamente irritata dallo strano fenomeno quanto dal vigore dei colpi. Non stupita, non più dopo gli strani eventi di quel giorno che andava a terminare.

- Vado ad aprire, Prin! O chiunque sia ci butta giù la porta! – osservò saggiamente Clayton, anche lui ormai entrato nella fase di pura accettazione degli eventi.

Fece in tempo a girare la chiave, poi il passaggio si spalancò, rischiando di buttarlo per terra. Un individuo avanzò con passo spedito e nessuna esitazione presso il tavolino e posò pesantemente una mano sulla spalla del pirata.

- Muoviti. – sentenziò, atono.

- Ciao! Ti aspettavo, Regy! – rispose Ace, per nulla stupito.

La stretta si fece più forte, ma lo sconosciuto non ritenne di dover ripetere quella sorta di ordine.

- Dai, siediti! La notte è ancora giovane! – insisté l’altro, per nulla smosso da quel gesto, anzi battendo una mano sul cuscino a fianco a lui.

- Ehi! Tu chi saresti!? – proruppe Pricipessa. Non perché fosse davvero curiosa di saperlo. Piuttosto intendeva far notare al tipo quanto fosse maleducato piombare in casa altrui senza presentarsi o degnare i padroni di quel minimo di attenzione previsto.

Quello alzò la testa per rivolgere la prima occhiata alla ragazza che si trovava di fronte. Aveva un viso attraente, dai tratti ben rifiniti, la mascella morbida e gli zigomi non troppo rilevati. Gli occhi erano di un azzurro spaventoso, tanto brillanti da sembrare finti. Eppure la perfezione era solo toccata, non raggiunta appieno. Al contrario di quanto ci si sarebbe aspettati, i capelli erano castani, lunghi e lucidi, legati in una coda e lievemente schiariti a tratti dal sole. Una cicatrice attraversava un sopraciglio e scendeva obliqua sulla tempia, senza sfiorare l’iride ma togliendole un po’ di idealizzazione.

Poi stupiva molto l’assenza di espressività di occhi e bocca. Se da una parte enfatizzava ancora una volta l’ideale ultraterreno suscitato da quell’individuo che qualcuno avrebbe definito “angelico”, dall’altra l’atteggiamento appariva troppo fiero e superbo, come una patina di disinteresse per ogni contatto con l’esterno, che evidentemente doveva colpirlo solo interiormente. A patto che qualcosa potesse farlo.

- Chi sei? – domandò quello da parte sua, senza molta intonazione interrogativa.

- Te l’ho chiesto prima io! – esclamò la ragazza, indignata.

- Ha ragione però. – osservò Ace, girando il capo all’indietro per intercettare il volto del compagno.

- Comyol Regynald Thadeus – rispose con tono piano, sfidandola con lo sguardo.

- Non era difficile. – affermò Ace, ancora conciliante.

Questa volta fu l’altro ad insistere, limitandosi ad un minimo cenno del mento all’interlocutrice.

- McFerson Principessa… - rispose di malavoglia – Mio fratello Clayton… - aggiunse, indicando il biondo, che si teneva con cautela il più lontano possibile dall’occhio del ciclone.

Un guizzo attraverso per la prima volta gli occhi del pirata, andando a corrugare quanto bastava le sopraciglia. Fu decisamente ostile quell’espressione, ma ciò non stupì la ragazza, che continuò incurante quella sfida di sguardi.

Finché Ace si alzò in piedi, scrollandosi da addosso la mano dell’amico: - Be’, non state facendo amicizia, mi sembra. Quindi meglio che andiamo. – affermò, per nulla preoccupato.

Si stava ancora stiracchiando plasticamente, quando Regynald gli voltò le spalle e prese a tornare da dove era venuto, senza una parola. L’altro, abituato, scosse la testa tra sé:

- E’ fatto così. Scusate. Buonanotte. – saluto, un po’ frettolosamente per non perdere di vista il compagno.

- Buonanotte. – rispose lei, imbronciata.

Clayton, benché sbalordito, non osò fermarli quando uscirono sul balcone e si calarono tranquillamente dal cornicione. Si limitò a guardarli allontanarsi, notando così, però, un elemento prima passato inosservato. Sulla camicia bianca che il tale Regynald indossava, come un vezzo, sopra una magliettina azzurra, seminascosto dalla lunga coda che gli scorreva lungo la schiena, era stampato il gabbiano della Marina.

 

- Chi era quello? – domandò Clayton, sicuro per l’espressione cupa che aveva assunto la sorella che ne sapesse più di quanto era sembrato.

- Un pirata della ciurma di Barbabianca, immagino. – rispose, sul subito evasiva.

- E…? –

- Un ricercato per tradimento della Marina. –

 

 

 

 

 

 

 

§ § § § § § § § § § § § § § § § § 

Buonanotte! ^^

Mi scuso notevolmente per il grave ritardo, ma ho dovuto rivedere il mio programma in corso d'opera. Ho scoperto che questo non poteva essere in nessun caso l'ultimo capitolo (ehnnò) di questo primo frammento di storia: ci vorrà almeno un altro capitolo se non due, ma lo saprò appena mi rimetterò a scrivere il prossimo (tipo domani, spero).

Altra cosa che non ha aiutato la puntualità: chiaramente il contenuto che avete letto. Dovevo dire mille e una cosa in poco tempo, quindi é facile che abbia fatto più danni che altro. Per la serie, sono molto lieta di come ho reso l'entrata in scena ufficiale di Ace, molto poco di come ho finito per introdurre Regy. Dato che si tratta del mio terzo personaggio originale di primo piano volevo fare le cose in grande, ma da una parte lo spazio scarseggiava (quasi 12 pagine di Word é un campanello di allarme), dall'altra é uomo talmente spiccio e di poche puntuali parole che non sapevo in che altro modo renderlo "spettacolare" (ed entra dal balcone! XD).

E poi... La sensazionale spontaneità di Ace, il panico "del fratello minore" di Clay, la drammatica perdita di speranza di Principessa, l'inquietante mistero del passato di Regy... E i Lucas F. nella loro interezza, che ogni tanto mi chiedo da dove siano saltati fuori... XD

Spero sia stato un capitolo spettacolare (e assurdo) quanto era nelle mie aspettative! E almeno un po' di avervi incuriositi! ^^

Grazie a chi commenta, a chi legge e potrebbe lasciare un commentino (lo faccia, please), a chi ha inserito questa storia tra preferite/seguite/segnalate e infine a chi segue il delirio qui ben rappresentato e lo capisce! XD

  
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