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Autore: L_Fy    23/05/2011    20 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Forse fu per colpa del delirio psichico scatenato dalla precedente telefonata: diversamente come avrebbe potuto succedere una cosa che altrimenti non sarebbe successa mai in un milione di anni?
“Pronto?” rispose la voce educatamente sorpresa di Tebaldo e Veronica decise di non chiedersi perché lo aveva chiamato, ma solo di buttare fuori il bolo incandescente che le ostruiva le vie respiratorie.
“Lo sapevi che gli scherzi di natura mi chiamano Grimilde?” sbottò con un ringhio feroce.
“Veronica” gorgogliò Tebaldo, e anche lui aveva il sorriso nella voce, anche se di tutt’altro genere di quello di Bianchi “Devo dedurre che hai parlato col Bianchi? Mi sorprende davvero che siate arrivati a simili confidenze nel giro di un giorno. Avevo largamente sottovalutato la presa del tuo fascino altezzoso sui plebei.”
“Non l’ha detto a me, l’ha detto a Gladi, la mia segretaria personale.”
“Oh. Hai una segretaria personale?”
“No che non ce l’ho. Me la sono inventata.”
Dopo un breve silenzio sconcertato, Tebaldo dall’altro capo della cornetta scoppiò a ridere con sincero trasporto.
“Fammi capire… hai chiamato Bianchi e ti sei spacciata per la tua segretaria?”
Continuò a ridere mentre Veronica arrossiva di umiliazione senza tuttavia riuscire a riattaccare: dopotutto Tebaldo era l’unico che sapesse di quella “cosa innominabile”, se non con lui non avrebbe potuto parlarne con nessuno. E lei aveva bisogno di parlarne con qualcuno: una necessità quasi fisica.
“Quando hai finito di scompisciarti, gradirei una risposta.”
“Beh, diavolo, è stata una mossa davvero astuta. Sono ufficialmente ammirato, Grimilde.”
“Risparmia le tue cattiverie per quando potrai ferirmi davvero: sono furiosa per quel nomignolo!”
“Non è poi così brutto” le confessò Tebaldo di ottimo umore “Pensa alla povera Maria Beatrice Ausiliatrice o a MariaLu Prendilatu. Anzi, ritengo che tutto sommato ti sia andata bene.”
“Bianchi mi odia” buttò lì Veronica di punto in bianco “Sentire quello che pensa di me è stato davvero umiliante.”
“E che altro ti aspettavi?” rispose Tebaldo con tranquilla logica “E’ una vita che ti comporti da reginetta degli stronzi con lui. Ti confiderò una cosa molto preziosa, cuginetta mia… solo perché ti voglio bene e mi stai tanto a cuore... le cose, nel mondo reale, non cambiano solo perché a te girerebbe così. E anche se sei brava a manipolare le persone, ci sono certe categorie ottuse che difficilmente si prestano ai tuoi giochetti. Bianchi fa parte di una di queste.”
“E la Colombi, invece? Lei riesci a manipolarla?”
“Ci sto lavorando” sorrise Tebaldo allusivo “Purtroppo sembra più facile del previsto. Peccato: le cose scontate mi annoiano.”
Cose facili uguale noia; noia uguale fine dell’alleanza fra i cugini della Torre; fine dell’alleanza, uguale disfatta completa della reputazione di Veronica. Promemoria per Gladi: complicare un po’ le cose tra stecchetto Colombi e perfidia Tebaldo, pensò Veronica remotamente.
“Ci sarà però un modo per accelerare le cose e fare in modo che Bianchi mi veda come una persona e non come un drago sputafuoco.”
Ci fu un attimo di silenzio da parte di Tebaldo.
“Scusa, fammi capire: mi stai molto cripticamente chiedendo consiglio? Tu, Veronica detta Grimilde, la Regina delle Regine, che chiede consiglio… a me?”
Scoppiò di nuovo a ridere di cuore, perfidamente.
“Tebaldo, se fai ancora lo stronzo ti faccio diseredare dalla bisnonna.”
“Gesù, non ridevo tanto da anni… Dai, Veronica, cerca di capirmi… quando mai mi capita l’occasione di poterti di nuovo mortificare così? E’ mio dovere approfittarne. Comunque, aspetta che mi calo nella parte del buon samaritano, dispensatore di consigli ponderati e giudiziosi. Eccomi qui, figliola: cosa vuoi sapere?”
Veronica ingoiò metaforicamente un boccone d’orgoglio più amaro del previsto.
“Voglio sapere cosa devo fare col Bianchi.”
“Beh, innanzi tutto se proprio vuoi incontrarlo sul serio, mi sa che almeno qualche passo nella sua direzione devi farlo… e per direzione non intendo destra o sinistra, ma verso il basso. Non puoi aspettarti che lui salga tanto di livello da raggiungerti. Sei in vetta, la pole position delle snob, e non c’è nessuna possibilità che mister cherubino arranchi dietro di te. Devi abbassarti un po’, cuore mio. Un po’ tanto, anzi.”
“Che vuoi dire? Come diavolo faccio ad abbassarmi?”
“Puoi cominciare dalle cose che conosci: i vestiti, ad esempio: hai sempre addosso roba che costa quanto un anno di stipendio di suo padre. Metti soggezione. E i capelli, il trucco. Togli un po’ di roba… semplifica.”
Era un consiglio maledettamente buono, meditò Veronica di malumore. Le scocciava perché sarebbe stato motivo di gratitudine, e pensare di dover esser grata a Tebaldo le faceva quasi venire un esantema.
“Altrimenti, in alternativa, puoi bloccare il cherubino nel bel mezzo del corridoio a scuola e esibirti nel tuo famoso numero del bacio con doppio avvitamento carpiato. Su di me aveva fatto effetto, se sopravvive alla sorpresa magari fa effetto anche su di lui.”
Un breve ricordo incendiò le guance di Veronica che ripristinò compatto tutto il proprio livore nei confronti del perfido cugino.
“Scommetto che anche a te hanno affibbiato uno di quei simpatici nomignoli: sappi che molto presto lo saprò e te lo farò ingoiare insieme a un litro di umiliazione, diletto cugino.”
“Sempre così tenera, la mia dolce Grimilde…”
“”Vai al diavolo.”
“Non essere volgare, cuore mio: si dice vaffanculo.”
“Allora vaffanculo.” grugnì Veronica, e molto volgarmente riattaccò.
*          *          *
Serena Colombi era una personcina romantica: di solito non doveva sforzarsi per vedere il lato positivo delle cose, era appassionatamente sensibile a tutti i temi socialmente scottanti come l’ecologia e faceva volontariato sognando sé stessa che salvava bambini indifesi da case in fiamme, rigorosamente al ralenti come gli eroi dei film americani. Ma la realtà si discostava non poco dalla sua visione fioccosa del mondo.
“Stupida palla di pelo” grugnì all’indirizzo di Sancho, un enorme, puzzolente, ombroso cane meticcio che non aveva nessuna intenzione di farsi lo shampoo che lei gli proponeva inutilmente da almeno un’ora “Dovresti essere grato al mondo intero per aver trovato qualcuno che s’è preso la briga di adottare un avanzo di fogna come te!”
Il lavoro al canile non era affatto romantico: era puzza, era sporco, era rumore, era di nuovo puzza, era escrementi da raccogliere e zecche da togliere, e infine era puzza, puzza, puzza! Sancho era responsabile di almeno un terzo delle emissioni gassose che ammorbavano l’aria, ma questo si erano ben guardati dal dirlo al suo nuovo futuro padrone: Serena era stata incaricata di dargli una parvenza di forma canina prima dell’arrivo del buon samaritano, ma la cosa era risultata praticamente impossibile, vista la strenua resistenza del cane. Sfinita, Serena sbatté la spazzola insaponata contro la rete metallica.
“Allora lavati da solo, discarica pelosa!” strillò gettando letteralmente e metaforicamente la spugna.
 “Non credo che quel cane abbia intenzione di ottemperare alla tua richiesta” la sorprese una voce divertita alle sue spalle “Ha tutta l’aria di piacersi un sacco così com’è, completo di olezzo rivoltante.”
Serena si girò bruscamente quasi incespicando sui suoi stessi piedi: impossibile non riconoscere quella voce indolente e sarcastica dal primo respiro! Infatti lui era lì fra lo sporco, il rumore e la puzza, rilassato e tranquillo come se fosse in una beauty farm. Tebaldo Santandrea della Torre. Lui in persona. Mani in tasca con pantaloni Burberry dalla linea perfetta, giacca di Gucci, sorriso da schiaffi e occhi scintillanti. Fuori luogo in mezzo ai cani che abbaiavano come un lanciarazzi alieno, e tuttavia a suo agio come solo una perfetta faccia da culo come lui poteva essere, dovunque si trovasse. Serena per poco non perse la mandibola, in caduta libera verso terra.
“Tebaldo!” quasi strillò con voce strozzata.
“Spero che tu stessi chiamando me e non il cane” rispose lui piacevolmente “C’è già il chihuahua di Elisabetta che si chiama Tebaldo. Un altro animale col mio nome, e una sfortunata coincidenza potrebbe diventare una moda: non ci tengo affatto. Anche se a questo bastardone il mio nome starebbe molto meglio che a quel topo geneticamente modificato.”
Serena quasi non lo ascoltò: stava pensando con orrore che aveva indosso gli stivaloni da pescatore, il brembiulone con scritto “Macelleria Pappalardo, salsiccie & Co.”, un fermaglio di tartaruga modello Titanic a fermarle i capelli in un nido di cormorano e i guantoni di gomma fino al gomito. Tebaldo aspettò invano una sua reazione per un pezzo, poi quasi leggendole nel pensiero, lasciò affiorare un sorriso lento e irresistibile.
“Ragazza, non ti abbattere così: capisco che possa averti sconvolto vedere un essere umano in mezzo a questi… animali, chiamiamoli così in mancanza di una definizione migliore… ma suvvia, recupera le tue buone maniere e saluta. O almeno, scodinzola.”
Serena decise su due piedi che rimanere lì impalata e molliccia come un invertebrato non poteva che peggiorare le cose: così si riscosse e lasciò che la lingua buttasse fuori qualcosa a caso.
“Ciao.” belò in perfetto stile ovino.
Tebaldo segnò con una mano il triste contorno di reti arrugginite e animali che guaivano.
“Non avevo idea che frequentassi questi posti di fauna, come dire, eccentrica. Ti si vede sotto una luce completamente nuova così, signorina Salsicce & Co.”
“Sei venuto qui per insultare?”
Di sicuro non era venuto per lei, si disse arrossendo al solo pensiero: però era impossibile non trovare strano il fatto che Tebaldo fosse proprio lì, al canile, di fronte a lei.
“Mi sembra logico che sono venuto per prendere un cane.” rispose Tebaldo alzando un sopracciglio altezzoso, e la sua faccia era così convincente che riuscì a far sentire fuori posto lei in mezzo agli escrementi col grembiulone e tutto, piuttosto che lui col suo pantalone griffato e le scarpe di vernice.
“Un cane?” domandò con voce flebile.
“Già. Proprio un cane. Volevo chiedere un paralume e qualche centrotavola di peltro, ma così, a sentimento, ho avuto la sensazione che il canile fosse il posto giusto per un cane, quindi eccomi qui.”
“No, ma io volevo dire… che ci fai tu con un cane?”
Il sopracciglio di Tebaldo sembrò raggiungere la mesosfera, tanto era alto.
“Beh, ci sono tanti usi interessanti che si possono fare con un cane: si può mettere come paraspifferi sdraiandolo contro le porte, oppure delegargli l’ingrato compito di sotterrare le ossa in giardino, o magari usarlo come arma per tediare un postino particolarmente antipatico. E queste sono solo le prime ideuzze che mi sono venute in mente, così a braccio.”
Serena era arrossita violentemente: non si era mai sentita più stupida e piccola e insignificante, un sasso in una scarpa di una formica, un organismo unicellulare.
“No, ma, io, volevo, insomma, dire…”
A toglierla dagli impicci le venne miracolosamente incontro proprio lui, Sancho la cloaca maxima: come intuendo d’un colpo che il suo nuovo padrone era arrivato, si esibì in un poco convincente sbuffo sonoro (un “uof!” che gli spettinò i baffi spioventi intrisi di sudiciume) e ciabattò scodinzolando verso Tebaldo con i suoi 60 kg abbondanti di carni fetide. Tebaldo se lo vide arrivare addosso, preceduto da un intenso tanfo di morte, e dovette scegliere fra due difficili possibilità: o scappare via più veloce dei saldi di Gucci, o restare e subire il putrido attacco canino. Un breve sguardo verso Serena, ancora impalata con le guance rosa d’imbarazzo e gli occhi scintillanti come gemme, e la decisione fu presto presa: fece un bel respiro, trattenne il fiato e si irrigidì mentre Sancho atterrava sui suoi Burberry, firmandoli in maniera indelebile.
“I pantaloni no!” strillò Serena e Tebaldo gliene fu silenziosamente grato, perché era quello che aveva pensato anche lui.
Sancho non diede segno di aver capito: fece un altro “uof!” che liberò miasmi infernali, sbavò qualcosa di gelatinoso sulle stringate di Tod’s e fissò Tebaldo con un occhio marrone che faceva capolino da sotto una cortina di pelo intrecciato con guano, iniziando a scodinzolare.
“Bravo cane.” ringhiò Tebaldo a denti stretti mentre Serena correva verso di lui prorompendo in uno scoordinato discorso.
“Cazzo, cioè, merda, cioè no, volevo dire, scusa, dovevo lavarlo prima che arrivassi ma Sancho è un tale maledetto zuccone che oddio, i tuoi pantaloni, oddio le tue scarpe… cazzo, cioè, merda, Tebaldo mi dispiace…”
Tebaldo rimase in silenzio a osservarla mentre si lei affannava a togliergli in quadrupede di dosso, divertito suo malgrado dalla sincera costernazione che si leggeva sul suo viso della ragazza: sembrava proprio sul punto d mettersi a piangere.
“Sono solo pantaloni” minimizzò fingendo di dimenticarsi delle scarpe “E questo essere vertebrato dovrebbe essere un cane, quindi ha solo fatto il suo mestiere. Però una lavatina non gli farebbe male, sul serio: nonna Veronica è già debole di cuore, se lo annusa in questo stato rischia un attacco di angina.”
Un po’ con le suppliche, un po’ con le minacce, con qualche sbuffo e qualche sonoro calcio nel didietro, Serena riuscì a spostare Sancho nel recinto con la vasca d’acqua saponata. Ci finì dentro fino al ginocchio insieme al cane, evento che le scatenò una nuova ondata di “cazzo, merda!” a cui seguì il discreto ridacchiare di Tebaldo alle sue spalle, rimasto prudentemente fuori dal recinto. Riuscì persino a tenere a mollo il riottoso cane, a insaponarlo, a tagliare maldestramente qualche ciuffo rasta intorno al perimetro, finché quando la puzza finalmente tornò sotto al livello radioattivo sfinita mollò l’animale che trottò tutto intorno al recinto, guaendo e scrollandosi come un indemoniato con l’acqua santa.
“Bel lavoro.” motteggiò Tebaldo e dopo un rapido sguardo Serena poté appurare che era davvero divertito come sembrava.
“Potevi darmi una mano.” buttò lì giusto per dire qualcosa di non ponderato e probabilmente a sproposito.
“E perdermi lo spettacolo di te e la Furia Miasmatica in lotta nel fango? Avrei perfino pagato il biglietto. Potreste mettere su un business, a ben pensarci.”
“Ecco perché voi ricchi diventate sempre più ricchi, perché avete delle idee di marketing invece di aiutare la gente.”
“Beh, non volevo intromettermi nell’adempimento del tuo mestiere, non ti pagano per questo?”
“Il lavoro al canile è gratis, una cosa plebea che si chiama volontariato.”
“Ecco perché i poveri diventano sempre più poveri, perché lavorano gratis.”
Non era un insulto, ma Serena si sentì lo stesso insultata e si arrabbiò.
“Va bene che c’è stato lo spettacolo della lotta nel fango senza nemmeno bisogno di pagare il biglietto, ma c’è una cosa che non mi spiego: come mai un milord come te ha preferito prendere un cane al canile, un cane che ti ricordo per quanti shampoo faccia rimarrà sempre la Furia Miasmatica, invece che andare a comprare un signor cane con pedigree in un signor allevamento svizzero?”
Tebaldo tornò ad alzare le sopracciglia altezzoso e sembrò quasi dispiaciuto di non essere più divertito.
“Sarebbe bello poter fare il cafone e dirti che non sono affari tuoi, piccola lottatrice, ma i milord vengono educati con la convinzione di dover fornire sempre una risposta, quindi te la fornirò, anche se probabilmente non capirai lo stesso.”
Nemmeno questo era un insulto, ma lo stesso Serena si sentì offesa e si arrabbiò ancora di più.
“Cercherò di far funzionare al massimo questo povero cervellino plebeo.” ringhiò finché lo sguardo scettico di Tebaldo non le fece serrare le labbra.
“Sai, io ho una bisnonna” disse infine il giovane con una leggerezza che suonò leggermente falsa “Una vecchietta tiranna e molto acida. Si chiama Veronica, come una delle sue pronipoti somigliante non solo nel nome; hai presente?”
Serena aveva presente: rabbrividì mentre Tebaldo continuava, fissando un fantomatico punto alle spalle di Serena.
“Questa indisponente vegliarda nella sua vita è stata una vera carogna, per dirla in un gergo che chiunque possa capire. Non starò a spiegarti cosa vuol dire nascere e crescere in una famiglia dove la cosa più carina che ti possa succedere è che la tata si impietosisca e ceni insieme a te, pur di non lasciarti solo con due candelabri e il servizio di porcellana di Limoges… sarebbe ipocrita e ingiusto nei confronti di chi nemmeno sa cosa siano le porcellane di Limoges, vero? Comunque, nonna Veronica ha avuto una progenie più che degna di lei, comprese le tre ex mogli di mio nonno, i due ex mariti di mia nonna e i due fratellastri che ho da parte di padre, di cui uno figlio della mia ex insegnante di tennis.”
C’era una nota amara sotto la grondante ironia della sua voce. Serena la sentì e immediatamente la rabbia sbollì, lasciando il posto a un vago quanto inspiegabile senso di colpa.
“Cani? Certo, ne abbiamo persino un allevamento: Scottish Terrier, mi sembra. Con pedigree lunghi come la vostra plebea lista della spesa. Nonna Veronica detesta quei cani, non li degna nemmeno di un’occhiata. D’altronde, a parte la crème brulée nonna Veronica detesta tutto a questo mondo, persone, animali, vegetali e oggetti inanimati. Probabilmente detesterà più d’ogni altra cosa questo puzzolente ammasso di pelo che ci ostiniamo a chiamare cane, lo prenderà a male parole e lo farà lavare ogni giorno che Iddio manda in terra da un povero cameriere senza colpa. Ma stai tranquilla, le sofferenze della Furia Miasmatica saranno di breve durata: nonna Veronica sta morendo.”
Serena emise un mormorio indistinto e Tebaldo, dopo uno sguardo sprezzante, le girò le spalle, non senza che Serena notasse quanto era assorta e contratta la sua fronte.
“Sì, beh, non ti dispiacere per lei, ormai è abbondantemente ora che la smetta di criticare il mondo: ma non sarei un nipote diligente se non provassi almeno una volta a darle una chance per riscattare quel suo dannato caratteraccio. Magari, lei e Furia Miasmatica troveranno delle affinità elettive insospettate; magari scoprirà di avere un cuore e assolderà un sacerdote induista per celebrare un matrimonio misto; o magari ci fregherà tutti noi nipoti, intestando al cane il suo notevole patrimonio. Giusto per prevenire questa possibilità, facciamo che l’atto di proprietà del cane lo firmo io… non si sa mai che scherzetti abbia in serbo quella vipera centenaria.”
Si girò ed era di nuovo Tebaldo “faccia di bronzo” Santandrea della Torre; a Serena stava battendo il cuore in una maniera spropositata, febbrile. Più di quello che aveva detto, le era rimasto incagliato dentro quello che Tebaldo non aveva detto, ma che era trasparso sotto le sue acide, amare parole. Le sembrò di aver capito anche troppe cose, con quel suo romantico cervellino plebeo in azione. Troppe cose troppo romantiche, per la precisione: cose che avevano il sapore di cuori ingabbiati in scrigni d’oro e altri vaneggiamenti simili.
“Ok” esalò quindi arrossendo senza motivo “Ti... ti faccio firmare l’atto di proprietà.”
Ormai esausto, Sancho smise di scrollarsi e si avvicinò a lei, la lingua pendente e il pelo già arruffato e lanuginoso: Serena lo accarezzò e gli mise il guinzaglio. Alzandosi incontrò gli occhi chiari e obliqui di Tebaldo che per una volta non erano sprezzanti o annoiati, ma solo sospettosi. Anzi, in qualche inspiegabile modo sembravano anche fragili.
“Immagino ti offenderai di nuovo per quello che sto per dire” le disse seccamente “Ma devo chiederti di non essere gossipizzato troppo su questo mio ultimo capriccio a scuola.”
“Va bene.” rispose Serena docilmente: il cuore le batteva ancora fortissimo senza nessun motivo, se non che Tebaldo l’aveva guardata, e non poteva esserci un motivo più sbagliato di quello per far battere il cuore, ma che poteva farci? Quello batteva e basta, fregandosene bellamente di quello che avrebbe dovuto o non dovuto fare.
In silenzio, precedette Tebaldo verso il piccolo, claustrofobico e puzzolente ufficio dove insieme all’addetto del canile sbrigarono alla sventa le pratiche per l’adozione. Sancho li seguì passivamente, ancora spossato per la lotta con Serena la quale si offrì spontaneamente di accompagnarlo fino alla macchina, una Mercedes con autista che aspettava scintillante fuori dai cancelli del canile. L’autista non sembrò per niente turbato quando Sancho gli trottò intorno annusandolo con sospetto.
“Dobbiamo caricarlo” gli ordinò Tebaldo con un gesto vago della mano “Vedi tu dove e come.”
Mentre l’autista eseguiva gli ordini senza perdere un solo grammo della sua impalata eleganza, Tebaldo allungò una mano verso Serena che per un attimo da capogiro pensò volesse toccarla: poi intuì che aspettava il passaggio di consegne del guinzaglio, così glielo mollò in mano come se scottasse.
“Ecco qua” disse precipitosamente arrossendo “A parte le puzze, Sancho è un bravo cane, a tua nonna piacerà.”
“Lo credo anche io” rispose Tebaldo con un sorriso mentre Sancho osservava con altera curiosità le manovre dell’autista “Mi sembra abbastanza scafato da non deprimersi troppo per le future sfuriate della nonna, e credo che alla fine si guadagnerà il suo rispetto. Ma continuo a pensare che il nome più azzeccato per lui sarebbe Furia Miasmatica: ricordati del possibile business, quando cercherai un lavoro retribuito.”
“Non mancherò.” rispose Serena con un sorriso.
Tebaldo alzò la mano come per salutarla e un attimo dopo lui e Sancho erano già stati inghiottiti dal macchinone fumé che si allontanava ronzando discretamente.
Serena, come una scema, restò lì per diversi secondi, chiedendosi perché d’un tratto si sentisse così inspiegabilmente sola, poi scrollò le spalle e rientrò decisa nel canile.
 *         *          *
Veronica smise di botto di camminare e quasi fece cadere la racchetta da tennis che stava svogliatamente facendo dondolare.
“E quello cos’è?” chiese con voce genuinamente sorpresa.
Tebaldo, praticamente sdraiato su una elegante poltroncina di rattan all’ombra della veranda di casa della Torre, aprì un occhio e lanciò uno sguardo di sufficienza alla cugina.
“Veronica cara, capisco che ti risulti difficoltoso recuperare l’archivio mentale delle lezioni di scienze subito dopo una partita a tennis, ma questo è davvero troppo.”
Veronica posò la racchetta e incrociò le braccia davanti a Sancho che si degnò di scodinzolarle felicemente intorno annusandola con entusiasmo.
“Cosa ci fa questo cane in casa mia?” ribadì Veronica allontanando il cane con un calcetto oltraggiato.
“Prima di tutto, questa non è casa tua” rispose Tebaldo annoiato “E’ la casa della nostra cara bisnonna, gentilmente concessa in prestito d’uso al debosciato nipote, ovvero tuo padre, visto che costui di suo non possiede una fissa dimora. A proposito, dov’è adesso il tuo carissimo genitore?”
Veronica non lo sapeva, forse in Svizzera dove c’era la centrale amministrativa della casa farmaceutica che dirigeva o forse in un atollo polinesiano a dettare lettere su lettere alla sua bella segretaria diciottenne. Il punto era che Tebaldo stava tergiversando e Veronica decise di non permetterglielo.
“Il cane” ripeté dura “Chiedevo cosa ci fa qui in questa dimora dove io abito pur non possedendone le mura.”
Tebaldo le lanciò uno sguardo irritato.
“Si chiama Sancho e l’ho preso al canile per fare compagnia a nonna.”
Veronica ci mi se un po’ a elaborare l’informazione.
“Hai fatto prendere un cane al canile?”
“No, l’ho preso io. Guarda i miei pantaloni: reperto dell’accusa protocollo 15/a.”
“Tu sei andato al canile?”
“Sì. Siediti, cugina diletta, mi sembri pallida…”
“Sei andato al canile. Tu, Tebaldo. Perché?”
“Scusami, forse non era così ovvio come sembrava: al canile ci si va per prendere un cane. Ora carissima rilassati, che ti insegno qual è la mano destra e qual è la mano sinistra.”
“Non trattarmi da stupida solo perché ti sto facendo delle domande ovvie! Tu, Tebaldo, non andresti al canile nemmeno per salvare il mondo da un disastro nucleare. E l’idea di un cane per nonna Veronica, andiamo! O hai subito un trapianto di cervello, o stai macchinando qualcosa.”
“Ah, io starei macchinando qualcosa… Gladi?”
Veronica arrossì ma non mollò la presa.
“C’entra la Colombi?”
“Forse” rispose Tebaldo dopo una breve pausa “Fatto sta che la nonna non ha gradito il mio pensiero affettuoso.”
“Te lo dico. Nonna odia i cani.”
“Nonna odia tutti.”
“Compresi i cani, quindi. Questo poi…”
Girarono entrambi gli occhi su Sancho che, sentendosi osservato, scodinzolò e fece un allegro “uof!” sgocciolando di bava le preziose piastrelle di cotto fiorentino ed emettendo un singolare lezzo di caverna tutto intorno.
“Puzza come il demonio” informò Veronica brutalmente “E per quanto qualsiasi cosa infernale possa accomunarlo a quella vecchia diavola di nonna Veronica, non credo che lei gli permetterà mai di avvicinarsi a meno di un chilometro.”
“Esattamente quello che mi ha detto nonna” sorrise Tebaldo “Devo ammettere che è stato uno spettacolo senza prezzo vederla così oltraggiata… le si sono persino arruffati i capelli.”
Veronica tentò di immaginare la cupolosa cofana argentata di nonna Veronica tutta arruffata, ma per quanto si sforzasse non ci riuscì.
“Potresti lasciarlo in custodia alle scuderie.” propose dubbiosa.
“Negativo. Nonna ha bandito Sancho da qualsiasi sua proprietà vicina alla sua persona, pena la decapitazione. Mia, non del cane. Quindi, niente scuderie.”
“Sul serio era così arrabbiata?”
Tebaldo si lasciò scappare un sorrisetto maligno.
“Subito era solo offesa. Ma poi Sancho ha pensato bene di marcare il territorio contro il vaso Ming in veranda e a nonna è partito un ingranaggio: ha maledetto tutte le razze canine una per una, compresa la nostra progenie lei inclusa. Dal nervoso nemmeno se n’è accorta.”
Veronica tentò di immaginarsi nonna Veronica fuori dalle grazie di Dio mentre Sancho urinava contro un vaso da un milione di dollari e le scappò lo stesso sorriso maligno del cugino.
“Povero cane” gorgogliò perfidamente “Chissà com’è rimasto traumatizzato dall’attacco di nonna.”
“Non più di tanto” rispose Tebaldo con una nota di riottosa ammirazione nei confronti del cane, che scodinzolò soddisfatto “Mentre lei eruttava improperi lui annusava il sedere della cameriera, che si è imbarazzata a morte e ha rovesciato il tè.”
“Santo cielo! Nonna non è svenuta?”
“No, ma ha bandito Sancho a vita pena lo scuoiamento, ha licenziato la cameriera e ha bandito anche me, almeno finché non smetterà di schiumare al ricordo del suo vaso Ming violato.”
“Una vera tragedia. Almeno ne è valsa la pena?”
Tebaldo fece una faccia enigmatica e allungò le gambe: Sancho gli si piazzò sotto fedelmente, giusto per ribadire a chi si doveva chiedere il permesso per alzarsi in piedi.
Non aveva ancora capito se ne era davvero valsa la pena: a ripensarci, quella ragazzina gli stava rendendo le cose troppo facili. Se solo pensava a quanto erano sembrati enormi i suoi occhi mentre lui faceva la sceneggiata del nipote scapestrato ma fondamentalmente buono… Fastidiosamente enormi. E puliti. Così puliti da accecare, da dare fastidio.
“Ne è valsa la pena” rispose infine Tebaldo “Voi femmine siete di una prevedibilità impressionante: bastano due frasi smozzicate, un’espressione appena un po’ assorta e vi imbrigliate da sole come delle asinelle da soma.”
“Già, noi femmine siamo proprio patetiche” lo assecondò Veronica a denti stretti “Ma ritornando a una femmina molto poco asinella: come farai con nonna?”
“Aspetterò qualche giorno poi tornerò a trovarla” rispose Tebaldo con noncuranza “Nel frattempo qualche cameriera avrà lucidato male la sua argenteria o la galleria d’arte non le avrà incorniciato l’ultimo aborto di uno dei suoi pupilli artistoidi, e lei si sarà dimenticata di me e della mia Furia Miasmatica.”
“Nome molto più appropriato di Sancho.”
“Lo penso anche io, mio cuore. Come siamo affini nella nostra sublime raffinatezza.”
“Nel frattempo che nonna sbollisca, dove pensi di lasciare quel cane?”
Tebaldo la guardò con gli occhi sgranati e innocenti.
“Cuore mio, se sono qui mollemente adagiato su una tua sedia è perché ovviamente qui sarà la nuova dimora di Sancho!”
Veronica smise di colpo di essere divertita.
“Scordatelo.”
“Vorresti essere crudele con un povero cane indifeso?”
“No, voglio essere crudele con te. Tu l’hai preso, tu te lo tieni in casa, capito?”
Tebaldo rispose con un lezioso sventolio della mano e uno sguardo a palpebre socchiuse molto freddo e calcolatore.
“Suvvia, amor mio, pensaci bene. Credi che la segretaria Gladi sia nella posizione di poter rifiutare una così accorata supplica dal parte del tuo adorato cugino?”
Veronica serrò la mascella per non protestare: dopotutto non era affatto sorpresa, era scontato che Tebaldo avrebbe finito per ricattarla. Lanciò uno sguardo ostile a Sancho che sollevò il muso e la ricambiò, pieno di altezzoso sospetto.
“C’è un piccolo problema. Non credo che Byron sarà contento di avere un ospite.”
“Non credo neanche io” ammise Tebaldo con un sorriso da schiaffi “Prima è arrivato qui, ha visto Sancho, l’ha annusato ed è corso a svenire in quel cespuglio. Tra parentesi, non ne è più uscito, forse sarebbe il caso di dare un’occhiata.”
“Byron!”
Veronica corse a tuffarsi nel cespuglio seguita dalla risata beffarda di Tebaldo.
“Eddai, Veronica, scherzavo” le gorgogliò mentre lei, appurato che Byron non era lì, tornava indietro con gli occhi scintillanti di rabbia “E’ andato a svenire in casa. Comunque Sancho non sarà un problema per voi due: tu e Byron vivete a palazzo, lui vivrà qui nel giardino. Ho già allertato i domestici, provvederanno loro al mantenimento in vita di Sancho. E anche che il suo odore rimanga sotto il livello di guardia: ho già fatto chiamare il disinfestatore per domani.”
Veronica capì di essere stata sconfitta: ma anche questo non la sorprese, sapeva di essere in svantaggio per colpa di Gladi. E comunque, aveva già una mezza idea di come rendere il favore a quella serpe velenosa di suo cugino.
“Molto bene” rispose dopo un breve silenzio che le servì per ingoiare a fatica il rospo “Sancho rimane. Ma solo per qualche giorno: nel frattempo, ti trovi qualche altra volenterosa cugina pronta a farsi ricattare. Sono stata chiara?”
“Cristallina come acqua sorgiva.” ironizzò Tebaldo e Sancho suggellò il patto di sangue con un ultimo “uof!” trionfante.
*          *          *
Il telefono di Serena squillò a lungo prima che si decidesse a rispondere.
“Pronto?”
“Ciao, sono Paolo.”
“Ciao.”
Che gli dico adesso?, pensarono entrambi con insospettabile sincronia.
“Tutto ok?”
“Si si, tutto ok, e tu?”
“Ok.”
Il dialogo di due tuberi lessati: Paolo si fece forza schiarendosi la voce.
“Senti, volevo dirti che ho qualche problema a vederci questa settimana. Sto… sto pensando di dare ripetizioni a uno stud… a una studentessa e sono un po’ incasinato.”
“Nessun problema” cinguettò Serena con tanto trasparente sollievo che Paolo ne fu quasi mortificato “Allora, ehm… ci sentiamo domani?”
“Si, domani, ok.”
Riattaccarono, sentendosi entrambi mortalmente in colpa.
Paolo proprio non riusciva a capire perché continuava a ronzargli nella testa la voce incerta della segretaria Gladi. Chissà perché, quella voce l’aveva rapito subito con quel qualcosa di estraneo e conosciuto allo stesso tempo che aveva pervaso ogni frase.
Serena continuava a pensare a due occhi obliqui e verdognoli incastonati in una faccia da stronzo che non se ne andava mai dalla sua testa, rimanendo fastidiosamente ai margini delle sue percezioni e inquinando la sua pacifica e tranquilla visione della vita.
Tutti e due inconsapevoli di stare facendo un passo in direzioni opposte ma simili.
  
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