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Autore: diamantrouge    23/05/2011    1 recensioni
[Langziska]
«A me, invece, sembra in difficoltà», replicò Lang, sorridendo appena «Qualcosa è andato storto nella sua perfetta giornata?», domandò poi.
A quelle parole, Franziska lo fissò. Gli rivolse uno sguardo eloquente, di quelli che o li comprendi o sei morto.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Franziska von Karma
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rain


Bella giornata.
Sì, una bella giornata di merda.
L’ira di Dio aveva deciso di scendere dal cielo tutta insieme, senza pietà, pioveva ininterrottamente da circa tre ore e lei non aveva l’ombrello. Come avrebbe potuto mai sospettare, visti il cielo terso e l’aria mite del primo mattino, che il diluvio universale sarebbe avvenuto proprio quel giorno?
Questione di cattivo karma, si diceva, tentando di razionalizzare il tutto. No. Colei che incarna la perfezione non poteva essere stata vittima di un banalissimo, sciocco colpo di sfortuna.
Franziska sbuffò sonoramente, imprecando in tedesco contro il cielo e coprendosi con la valigetta di pelle pur di non bagnarsi i capelli (missione miseramente fallita). “La pelle non è impermeabile, stupida sciocca, rovinerai tutto il materiale!”, pensò, digrignando i denti, spostando lo sguardo da parte a parte per trovare una fermata dell’autobus sotto la quale ripararsi. Prese a correre, tentando di non incespicare sui tacchi alti che portava di solito – a cui era tanto abituata, ma che quel giorno le stavano tremendamente scomodi; la fermata le sembrava poco più che un miraggio, offuscata dall’impeto della pioggia che non accennava a cessare. Nonostante il desiderio di ripararsi, sperò che il punto dove la luce rossa del semaforo immediatamente accanto alla fermata brillava ancora più vivida fosse effettivamente un miraggio, nel momento in cui vide qualcuno che non voleva assolutamente vedere, e meno che mai quel giorno.
L’agente Lang, riparato sotto un grande ombrello nero, se ne stava accanto al palo a fissare il vuoto – o a fissare lei che si affrettava ad attraversare col rosso dato il poco traffico. Franziska, bagnata fino all’osso, si augurò che l’agente avesse poca voglia di scherzare. Digrignando i denti e continuando ad imprecare, la ragazza giunse dall’altro lato del marciapiede per poi fermarsi di botto, lasciando cadere per errore la valigetta. «Verdammt », sibilò, chinandosi a raccoglierla, dando la schiena alla strada. Avrebbe dovuto aspettarsi che, in una bella giornata come quella, una macchina sarebbe passata a tutta velocità schizzandole una pozzanghera dritta sulla schiena. Al contatto con l’acqua fredda e sporca, Franziska tentò di non scomporsi, ma il suo viso era tutt’altro che calmo e rilassato. Avrebbe distrutto chiunque a frustate, se ne avesse avuto la forza e la voglia, ma era fin troppo incazzata anche per quello.
Il livello di rabbia salì a livelli anche peggiori quando udì la voce di Lang.
«Serve una mano, procuratore?», le aveva chiesto, fissandola dall’alto del suo metro e ottantacinque – se non di più (la sua statura la metteva terribilmente in soggezione, ma non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura). Non l’aveva stuzzicata, né altro, ma era riuscito a farla incazzare ancora di più.
«Nein, danke agente Lang», aveva risposto con tono seccato, senza neppure degnarsi di guardarlo, mentre tentava di controllare ciò che era rimasto intatto all’interno del bagaglio. La sua frusta c’era, le prove erano chiuse ermeticamente in sacchetti di plastica, e per fortuna la sua agenda era ancora in buone condizioni. Tuttavia, l’agente non parve accorgersi del suo disagio.
«A me, invece, sembra in difficoltà», replicò Lang, sorridendo appena «Qualcosa è andato storto nella sua perfetta giornata?», domandò poi.
A quelle parole, Franziska lo fissò. Gli rivolse uno sguardo eloquente, di quelli che o li comprendi o sei morto. Non voleva essere aiutata, e si vergognava come una ladra a dover prendere un mezzo pubblico.
“Tra tanti giorni, quello stupido sciocco di uno sciocco detective sciattone doveva decidere di ammalarsi PROPRIO OGGI?”, pensò, furente, andando a ripararsi sulla panchina coperta della fermata. Era squallida, imperfetta, totalmente inadatta a lei.
«Da quando la perfezione in persona prende mezzi pubblici?», chiese l’agente in tono provocatorio. Stava accadendo esattamente quello che Franziska non voleva accadesse. Lui la stava istigando.
All’agente Lang piaceva osservare quasi intenerito le reazioni del giovane procuratore. In quella giornata piovosa, stava adottando la tecnica del silenzio stampa, cosa che lo intrigava moltissimo. Tuttavia, lui era un uomo generoso, così pensò di domandarle ciò che qualsiasi galantuomo avrebbe domandato ad una giovane donna in difficoltà.
«Se ha problemi, vuole che la accompagni a casa, procuratore?», chiese, facendola sobbalzare. La ragazza sollevò il viso, tentando tuttavia di restare indifferente al pasticcio creato dal trucco irrimediabilmente rovinato e i capelli ormai ridotti ad una massa quasi collosa ed informe, orribilmente attaccati al capo. “Mi ha appena offerto aiuto?”, si domandò Franziska, perplessa, osservando il viso sorridente dell’agente. Per una volta, il suo sorriso gli parve gentile e non arrogante.
Tuttavia, una perfetta von Karma non aveva bisogno dell’aiuto di un qualsiasi agente dell’Interpol, quindi scosse la testa in segno di rifiuto – anche se il groppo allo stomaco causato dal rimorso iniziava già a farsi sentire. Lang sospirò, guardando altrove. Era così facile farlo desistere da un giusto proposito?
«Per una volta, procuratore, non faccia l’orgogliosa e mi stia a sentire», disse, posando nuovamente lo sguardo su di lei «Si prenderà un malanno, se aspetta l’autobus in queste condizioni. Venga e non faccia storie. Non le farò del male, se è questo che sta pensando», aggiunse, avvicinandosi rapidamente a lei ed offrendole il braccio libero.
“CHE COSA PENSA DI FARE?”,pensò Franziska, assumendo un colorito paonazzo pur tentando disperatamente di nasconderlo, “Mi sta VERAMENTE aiutando? Lui? Proprio lui?”. Spostava lo sguardo incredulo dal braccio che le stava offrendo al viso, che le parve improvvisamente ingentilito. Possibile mai?, si disse, posando la mano avvolta nei guanti di pelle – fradici anch’essi – sull’avambraccio dell’uomo, stringendo appena mentre si sollevava, tenendo la valigetta stretta nella destra.
Insieme attraversarono la strada che lei aveva percorso poco prima di corsa, per giungere ad un parcheggio semideserto dove la Lamborghini gallardo nera dell’agente era posteggiata in malo modo (probabilmente doveva aver parcheggiato di fretta, pensò Franziska) accanto ad altre due o tre macchine molto più anonime.
“Vuole sempre farsi notare”, rifletté il procuratore, sospirando leggermente, tuttavia senza che Lang se ne accorgesse.
«Prima le signore», disse lui quasi tutto d’un fiato, tentando con finta naturalezza di aprirle lo sportello, prima che uno schiaffo gli fermasse la mano. Proprio non gli riusciva di fare il gentiluomo, ma Franziska lo aiutava ben poco. Con i suoi modi da primadonna riusciva a mandare in bestia anche lui. Era quella che poteva definire, affettuosamente e non, bestiolina. La ragazza entrò nella vettura fin troppo velocemente, sedendo compostamente al posto del passeggero; teneva la valigetta e l’inseparabile frusta sulle gambe, che teneva più serrate di quanto non le tenesse di solito. L’automobile di Lang era grande e spaziosa, ancora odorava di nuovo, doveva averla comprata da pochissimo, ma questo a Franziska non importava. A Franziska interessò tutto d’un tratto psicanalizzare l’agente partendo da come teneva sistemata l’auto: era perfettamente in ordine, i suoi particolari occhiali da sole erano posti in bella mostra sul cruscotto, i documenti erano nel vano che le stava di fronte, e ai lati vi erano una decina di CD, tutti di artisti sconosciuti – e Franziska pregò in cuor suo che Lang non ne inserisse nessuno; non era dell’umore giusto per ascoltare la musica spaccatimpani che probabilmente era il genere preferito dell’agente. Così assorta nei suoi pensieri, non si accorse di essere rimasta a fissare la “X” al centro degli occhiali da sole di Lang, tanto che l’agente la scosse leggermente per riportarla sulla terra.
Non avrebbe dovuto farlo.
Franziska gli scostò bruscamente la mano, e gli rivolse il secondo sguardo minaccioso della giornata. “La principessina è incazzata”, pensò Lang divertito, inserendo la chiave nel cruscotto. Prima di ingranare la retromarcia, scrutò la passeggera per un attimo con la coda dell’occhio: la postura era quella composta e quasi rigida – da “palo”, come la definiva mentalmente – in cui era abituato a vederla, ma aveva qualcosa di diverso; Franziska era praticamente rannicchiata contro il vetro, e lo stava leggermente sporcando di rimmel colato, dato che vi aveva schiacciato la guancia, come a volersi nascondere da lui. Lang sorrise leggermente, imboccando Alvarado street. «Di grazia, mi direbbe dove è diretta?», le chiese, ovviamente accentuando il finto tono da gentleman, tanto per fare il simpatico.
Si beccò il terzo sguardo minaccioso. «Alameda Street. Una delle villette nella parte nord.», bofonchiò Franziska, tornando a fissare la pioggia che non accennava a smettere di battere ticchettando sui vetri. «Lei sa che non ho intenzione di farle del male, vero?», domandò l’agente.
Nessuna risposta.
La ragazza fissava il vuoto, non voleva parlargli.
L’uomo non sapeva cosa dire o fare, così si concentrò sulla strada, una parte della mente assorta in pensieri e ricordi che non credeva sarebbero riaffiorati in quel modo. Ripensò a quando aveva incontrato per la prima volta il procuratore von Karma: feeling zero. Quel caso era stato particolarmente complesso, e la presenza di una donna tanto giovane quanto arrogante non era d’aiuto, anzi, quasi lo ostacolava, anche se aveva dovuto concentrarsi più su quello che lei chiamava affettuosamente “Bruder”, il procuratore Edgeworth. Lang non sapeva praticamente niente su di loro, era consapevole soltanto del mare di grane che gli avevano dato. Premette le mani sul volante ricordando le notti insonni trascorse a tentare di trovare un modo per incastrare Alba, ed accelerò, vedendo la strada stranamente percorribile e poco trafficata. Franziska trattenne un piccolo conato.
“Ed è pure debole di stomaco…”, pensò Lang quasi divertito. Non era solito mentire a se stesso, quindi riconosceva la curiosità – quasi pari all’antipatia – che Franziska gli suscitava. Era diventata procuratore a soli tredici anni, ed era ossessionata dall’idea della perfezione. Si era anche chiesto più volte quali fossero gli usi che faceva di quella frusta da cui non si separava mai, oltre all’autodifesa e all’impartire ordini, si intende. Le labbra gli si arricciarono in un ghigno soddisfatto, quando ricordò l’espressione attonita e furente della ragazzina nel momento in cui aveva tentato di frustarlo e lui aveva fermato la frusta con la mano sinistra come se nulla fosse. Lo aveva ricoperto di insulti, ma era tutto per una buona causa.
Però, oltre al procuratore affetto da una perenne sindrome premestruale, si era sempre domandato chi fosse in realtà Franziska von Karma. Non era cosa da poco incontrare un soggetto con quel caratterino, specie se poi doveva averci a che fare un giorno sì e l’altro pure.
Vederla in quelle condizioni, nella sua macchina, impaurita, ma con l’ostinazione cieca di nascondere il suo timore, infreddolita, ma con la tenacia di resistere, lo inteneriva. Dopotutto, Franziska era poco più di un’adolescente, e in quella giornata particolarmente uggiosa era possibile notarlo con particolare chiarezza: il trucco sciolto – dal quale si era detersa con un fazzolettino ormai ridotto a un mucchietto sporco che si rigirava tra le mani inguantate – aveva lasciato spazio ai lineamenti efebici e delicati del suo volto; la pelle quasi priva di imperfezioni, diafana, delicata come tutta la sua figura, gli occhi azzurri assenti come quelli di tutte le liceali o neouniversitarie che gli era capitato di vedere. Franziska era una ragazza cresciuta troppo in fretta, che si atteggiava a donna per autocompiacimento ed aveva avuto un’infanzia difficile – come aveva appreso da Miles.
Ripensando alla conversazione avuta col procuratore Edgeworth poco tempo prima, comprese che Franziska un’infanzia vera e propria non l’aveva mai vissuta. Sempre all’ombra del “fratello prodigio”, con un padre che pretendeva l’impossibile, una madre e una sorella praticamente mai viste; non era inspiegabile quella corazza di freddezza che si era creata, alla fine.
Lang, nonostante l’apparenza rude, era il tipo che non amava particolarmente farsi gli affari suoi, così se socializzava con altri era principalmente per farsi gli affari loro, non perché nutrisse effettivo interesse ad avere rapporti di amicizia. Miles Edgeworth era l’esempio perfetto di ciò che intendeva. Per quanto fosse un procuratore formidabile ed avesse una dialettica da far invidia, era né più né meno che un qualunque uomo sofisticato e a modo, che aveva ben poche cose interessanti o esperienze da raccontare. Insipido, insomma.
Ed era l’impressione che aveva avuto anche di Franziska, salvo poi ricredersi quando Miles gli aveva parlato di lei. Non che fosse interessato per qualche motivo particolare, aveva chiesto per sapere. Persino l’inflessibile Edgeworth aveva avuto qualche perplessità riguardo la curiosità che Lang aveva mostrato nei confronti della sua sorellina, ma non si era fatto problemi di sorta e gli aveva raccontato la sua vita fin nei minimi dettagli (e ricordò di aver soffocato una risata quando aveva scoperto che, per quanto ne sapeva Miles, Franziska era ancora vergine). In fondo, un po’ di sani pettegolezzi non avevano mai fatto male a nessuno; tuttavia, si riservò di non menzionare mai al procuratore von Karma le sue allegre scoperte – soprattutto quella riguardante la sua integrità.
Nonostante quelle riflessioni lo avessero accompagnato per un bel tratto di strada, mancava ancora praticamente metà tragitto, e Franziska non dava segni di vita di alcun tipo. Sembrava ipnotizzata, ed era ancora rigida come un tronco.
Una parvenza di brivido scosse l’uomo, che si ritrovò improvvisamente nel panico a causa del silenzio imbarazzante che si era creato. Sudava leggermente freddo, probabilmente era arrossito. E se c’era qualcosa che odiava quanto il tradimento, sicuramente era arrossire, o andare nel pallone con una donna (specie se più piccola di lui). «Tutto bene?», tentò di domandare con nonchalance, ottenendo come risposta un silenzio ancor più gravoso di prima. “Cazzo”, pensò “Perché non riesco ad intavolare una discussione decente con una ragazzina?”. Si sentì improvvisamente troppo vecchio per lei. Non gli parve vero di essersi lasciato andare a riflessioni sulla ragazza che gli sedeva accanto; avevano circa otto anni di differenza, era praticamente impossibile che accadesse qualcosa. Ma, per quanto antipatica e scontrosa potesse sembrargli, di una cosa era certo: la trovava attraente. Non quanto la sua ex segretaria, Shih Na, ma Franziska aveva un fascino tutto particolare, quasi ambiguo; sebbene si ostinasse a chiamarla ragazzina o bimba, addirittura, non riusciva effettivamente a classificarla come tale. Forse, aveva pensato, era lei stessa a non voler essere classificata, giudicata o etichettata, nonostante fosse una maniaca dell’ordine. Forse voleva essere libera.
All’imbarazzo del silenzio si aggiunse un vago senso di malinconia ed impotenza, dovuto alla consapevolezza di non poter fare nulla per lei. Perché era lei stessa a non volere l’aiuto di nessuno. Probabilmente sarebbe finita come tutte quelle donne in carriera piene di frustrazioni e rimorsi: sul lettino di un analista. E avrebbe occultato il tutto con un sorriso tanto falso quanto sicuro. Neanche al “fratello” doveva importare gran che di come si sentiva, dato che era stato disposto a narrare per filo e per segno le sue disgrazie, con un tono meccanico che, una volta scemata la curiosità, lo aveva enormemente infastidito. Si sentì lontano da Franziska anni luce, nonostante le gambe esili di lei arrivassero quasi a sfiorargli la mano che teneva sul cambio.
Prima che la sensazione di leggero malessere si amplificasse ulteriormente, Lang fu estremamente sollevato nel vedere le indicazioni per Almeda Street. Los Angeles non era troppo grande, se percorsa in compagnia. Quanto tempo doveva essere passato da quando l’aveva vista correre dall’altro lato della strada, zuppa fradicia, incazzata nera e più in disordine che mai? Un’ora? Due?
Si guardò il polso: le tre. Era passata esattamente un’ora e trenta minuti. Molto in ritardo per il pranzo, ma non troppo per uno spuntino. Sarebbe andato in una qualsiasi tavola calda, e si sarebbe sistemato senza troppo stare a pensare a Franziska e alle sue frustrazioni nascoste decisamente male.
«Stiamo entrando adesso in Almeda Street, procuratore.», si limitò a dire con voce quasi inespressiva. «Mi dica il civico. E non accetto proteste: parta dal presupposto che ho il dovere di scortarla fin sotto casa», aggiunse poi, assumendo un tono fermo. Franziska si risvegliò come da una trance, sussultando appena e volgendo lo sguardo verso l’agente – che dovette distoglierlo prima che accadesse l’irreparabile.
«Uh, ja…217», disse a voce bassa la giovane donna, tenendo lo sguardo stranamente basso. “Dovrei ringraziarlo? Come si fa in questi casi? Dovrei invitarlo a salire e prendere un caffè?”, pensò, mordicchiandosi il labbro inferiore per il nervosismo, scossa da un brivido insolito “No, uno come lui sarebbe capacissimo di pensare male…”, si disse poi, scuotendo la testa con gli occhi serrati. Lang tentò di ignorarla, col fermo sentore che se le avesse rivolto qualche domanda avrebbe soltanto peggiorato una situazione già precaria di per sé.
Dopo una decina di minuti, il procuratore indicò una villetta bianca che non si distingueva dalle altre se non per il numero civico.
Lang accostò al marciapiede, con aria quasi trepidante.
Silenzio imbarazzante.
«Dunque…», incominciò Lang, conscio di ciò a cui stava per andare incontro.
«Dunque.», ripeté Franziska, abbassando la testa per nascondere le vampate che le stavano tormentando il viso. “Non ce la faccio”, pensò l’agente, sospirando e tamburellando con le dita sul volante. Una parte di lui gli consigliava una cosa, l’altra gli consigliava di starsene fermo ad aspettare che scendesse. Per Franziska era la stessa, identica cosa: era spaccata in due tra l’invitarlo ad entrare per ringraziarlo e l’andarsene sdegnosamente come aveva sempre fatto.
«La accompagno al port-», incominciò Lang, ma vide Franziska scuotere nervosamente la testa ed aprire freneticamente lo sportello.
«Danke, agente. Grazie mille. C-credo sarei annegata se lei non mi avesse accompagnata», proferì tutto d’un fiato la ragazza, guardando indietro il tempo necessario a creare un contatto visivo che fece avvampare entrambi. Lang dovette nuovamente distogliere lo sguardo e bofonchiare un «Non c’è di che» stentatissimo, tenendo le mani serrate intorno al volante – tanto da sembrare un perfetto idiota.
Franziska si avviò correndo verso il portone.
Lang rimase a fissarla.
«Sarà per la prossima volta», mormorò Lang. «La prossima volta»

  
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