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Autore: Reghina    23/05/2011    4 recensioni
SatchxMarco.
“Si narra che l'Universo sia stato creato da una divinità sola, talmente potente da splendere inavvicinabile come il sole. Costui era Hotaru, padre di dodici piccoli Dei destinati a vivere eternamente nel lusso sfrenato. Il minore e prediletto, Phoenix, fuggì dalla sua dimora alla ricerca della libertà, incappando nel pirata più forte del mondo dopo Gol D Roger...”.
Per anra
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Marco
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Si narra che l'Universo sia stato creato da una divinità sola, talmente potente da splendere inavvicinabile come il sole. Costui era Hotaru, padre di dodici piccoli Dei destinati a vivere eternamente nel lusso sfrenato. Il minore e prediletto, Phoenix, fuggì dalla sua dimora alla ricerca della libertà, incappando nel pirata più forte del mondo dopo Gol D Roger...”.

 “Come ti chiami?”.
Un pulcino spaventato e intirizzito di nome Marco aveva alzato lo sguardo, scrutando il bambino poco più grande di lui che gli stava davanti.
Aveva un ciuffo assurdo, ma lo colpì positivamente all'istante e decise di farsene uno simile.
I suoi capelli biondi erano infatti lunghi e lisci, però non gli piacevano affatto.
“Phoenix” pigolò.
L'altro bambino gli porse una coperta “Vuoi? Sembri avere freddo, fenice”.
“Phoenix. Pho-e-nix”.
“E io che ho detto, scusa?” rise il maggiore “Te la metto?” domandò poi.
“Come ti chiami?”.
“Mi chiamo 'Mettiti la coperta che sennò muori congelato' pulcino”.
Il minore chiuse di scatto gli occhi, quando la coperta gli arrivò dritta in testa.
“Ahi” si lamentò.
Quello con il ciuffo ridacchiò “Sei delicato, eh? Come vuoi farlo il pirata se sei così piccino?”.
Marco stava quasi affogando, ma dimenandosi riuscì a far spuntare la testolina, gli occhioni lacrimanti.
“Io non voglio fare il pirata. Voglio solo stare lontano da quel posto”.
“Che posto?” il maggiore si sedette davanti a lui, sistemandogli la coperta delicatamente.
“Quello!” esclamò il bambino, dimenandosi un po' sotto le mani dell'altro.
“Ora sì che è tutto chiaro, fenice”.
“Phoenix!!!!!!”.
L'altro rise “Sei adorabile quando ti arrabbi” lo prese in giro, con un ghignetto ironico.
Marco arrossì “Scemo!” si lamentò imbarazzato.
“Allora? Mi dici da dove esci pulcino?”.
“Non sono un pulcino!!”.
“Oh, non sei una fenice, non sei un pulcino, non sei un pirata. Cosa sei, allora?”.
“Io sono una divinità”.
“Ooooh”.
Il piccolo lo guardò perplesso “Mi credi?”.
“Non dovrei?”.
“Potrei essermelo inventato. I bambini le fanno queste cose, da quel che so”.
“E vabbé. Io ti credo lo stesso”.
“Allora me lo dici come ti chiami?”.
“Satch. Mi chiamo Satch”.

“Satch!!!!!!Pezzo di idiota!”.
“Eddai Phoenix, non l'ho fatta apposta”.
Un Marco di sì e no tredici anni stava rincorrendo furioso un altrettanto giovane Satch.
I capelli del figlio di Hotaru avevano la loro caratteristica forma ad 'ananas', il tatuaggio a croce con i baffi in bella vista sul petto che andava pian piano modellandosi.
“Non me ne frega niente!!! Volevi farti ammazzare cretino?!”.
Satch saltò sul parapetto, schivando l'ennesimo assalto del più giovane “Eddai Phoenix, non serve far tutto questo casino. Non mi sono fatto niente”.
“Sei un suicida! Andare in avanscoperta da solo contro cinquanta navi nemiche non vuol dire affondarle una a una senza chiamare rinforzi!!!!”.
“Non ti preoccuperai mica per me, fenicetta?”.
“SATCH!!!!” Marco si trasformò nell'animale mitologico, andando addosso all'altro.
Il maggiore schivò, senza aver previsto la cosa più importante “Phoenix!”.
La fenice cadde in acqua e Satch si buttò di scatto, recuperandolo.
“Possibile che tu non abbia ancora imparato a volare per bene?” si lamentò, tenendo in spalla Marco in versione umana, bagnata fradicia e semi-svenuta.
“Ho mangiato quel dannato frutto neanche un anno fa. Come pretendi sappia già usarlo?” si lamentò il figlio di Hotaru, ma poggiandosi a Satch.
“Sei un pirata di Barbabianca, dovresti imparare queste cose”.
“Non farmi la predica Satch”.
“Proprio non vuoi eh?”.
“Non m'interessa volare”.
Il maggiore scosse il capo, risalendo sulla nave “Devi imparare comunque. Se succede durante una battaglia sai cosa potresti causare?” rimproverò, aspro, ma nello stesso momento recuperò e sistemò una coperta al giovane.
“Tu sei più incosciente, ma non ti faccio la predica”.
“Non è questione d'incoscienza. In quanto tuo Comandante è mio dovere rammentarti che devi imparare a usare tutte le tue carte al meglio, o non sfruttarle mai”.
“Mi prometti che stai più attento anche tu però? Non voglio ti fai male Satch. Devo ammazzarti io”.
“Te lo prometto. Però tu impari a volare, in cambio”.
“Sì, Comandante”.

“Ragazzi, ho una notizia favolosa!” Satch sorrise radioso al resto della ciurma.
“Non esagerare” borbottò Marco, dietro di lui.
Il maggiore rise “Ragazzi, il nostro Phoenix ha una taglia!” disse, sbandierando l'avviso.
L'intera ciurma di Barbabianca esultò, lasciandosi coinvolgere dall'allegria di Satch.
“Lo so, lo so, è meraviglioso” Satch calmò le acque, teatrale “Ma non avete sentito tutto!”.
“Satch io ti ammazzo” sibilò il minore, cercando di scomparire sul posto.
L'altro sorrise ancor più radioso, battendo sul tavolo la taglia.
Tutti si radunarono intorno.
La foto di un Marco forse quindicenne, con le ali blu da fenice che parevano vorticare, un ghigno feroce e il tatuaggio ben in vista.
Il classico 'Vivo o morto' di rito, ma il bello veniva dopo.
“La fenice?” domandò Jaws, osservando il nome della taglia.
“Devono aver pensato sia il suo soprannome” fece Vista, lisciandosi i baffi.
Marco era scomparso dietro Satch, imbarazzato a morte.
“È un affronto bello e buono” si lamentava qualcuno, guerrafondaio.
“Suvvia, suvvia signori. Non possiamo dichiarare guerra alla Marina per un nome” Satch aveva un ghigno pericoloso.
“Ma Comandante...” iniziò qualcun altro.
“Guardate la cifra, piuttosto”.
Tutti gli occhi scesero sul numero.
“400.000.000 di Berry?!” fu l'urlo generale “Ad un ragazzino?”.
Satch scoppiò a ridere, ma Marco non la prese altrettanto bene.
“IO TI AMMAZZO SATCH!!!!!!!!!!!!!!!”.

“Ehi, che fai qua da solo Phoenix?”.
“Babbo ha detto che vuole nominarmi Comandante”.
“Cosa?! È una notizia fantastica! Dobbiamo dirlo ai ragazzi”.
“Sono troppo giovane per una cosa simile”.
“Oi, oi. Sei qui dai cinque anni, te lo meriti, sai?”.
“Non sono come te”.
Satch si grattò il capo “Neanche Vista o Jaws, però sono Comandanti uguali”.
“Ma loro sono grandi e hanno esperienza”.
“L'esperienza si fa vivendo. Non è che rimanendo a guardare il mare diventi più esperto”.
“Hai il dannatissimo difetto di sapere sempre cosa dire”.
“Qual'è il problema fenice?”.
“Mi sento come se non avessi un nome”.
“Aaaaah!!!!”.
Marco si voltò di scatto verso Satch sconvolto “Che c'è?”.
“Non mi sei saltato al collo quando ti ho chiamato fenice!!!!”.
Il minore scosse il capo, tornando a fissare l'orizzonte “Non mi ci chiamano forse tutti?”.
“Tu hai un nome. Phoenix”.
“Secondo loro è un soprannome datomi dalla Marina. I ragazzi mi chiamano 'Marmocchio', ma sennò mi chiamerebbero 'Fenice', lo sai anche tu”.
“Ti chiameranno Comandante, se la smetti di complessarti”.
“Comandante Fenice. È ridicolo”.
“Ti troviamo un nome!” il maggiore lo disse convinto, con un largo sorriso.
“Certo. Facciamo la conta con tutti i nomi che esistono e poi scegliamo. Morirò prima”.
“Marco”.
“Eh?”.
“Marco. Classico, corto, facile da ricordare”.
“Sei un cretino”.
“Marco la Fenice. Non ti suona bene?”.
Il ragazzo sbuffò, roteando gli occhi “Marco” ripeté, come a vedere se gli suonava.
“Comandante Marco” fece Satch, serenamente.
“Mi piace” il minore sogghignò “Comandante Marco la Fenice. Mi suona davvero”.
“L'ho scelto io, ovvio ti suoni” si vantò il maggiore.
“Per questo avevo i miei dubbi, Comandante Satch”.
“Così mi ferisci, Comandante Marco”.
Il figlio di Hotaru sorrise, sbuffando appena con aria scocciata.
Suo fratello era proprio un'idiota.

Erano riuniti tutti lì.
Marco incassò il capo tra le spalle, volendo tanto sparire.
L'avrebbero fatto Comandante.
Si vergognava a morte.
Millecinquecentonovantanove sguardi, più quello di Barbabianca, tutti su di lui.
Voleva morire all'istante, essere inghiottito dalla terra.
Tredici Comandanti su sedici lo guardavano male.
Gli pareva di sentirli “È solo un ragazzino, è troppo giovane, è ancora indegno”.
Ma lui era una divinità, non gli importava dei pareri dei comuni mortali.
Tranne che di due.
Barbabianca, il Capitano, che lo fissava con gli occhi d'oro pieno d'orgoglio, seduto con un ghigno, e Satch, il Comandante della Prima Divisione, che gli sorrideva solare invitandolo solo con lo sguardo a proseguire.
L'unica approvazione che voleva era la loro, e quindi mani in tasca e testa alta, era facile avanzare tra gli sguardi invidiosi.
Cosa gli importava? Il suo Babbo aveva deciso che lui doveva essere un Comandante e suo fratello aveva dato la piena approvazione.
Il resto non era importante.
La scalata cominciava dal basso, come tutte.
Non gli importava neanche di quello.
Era una divinità.
Aveva l'eternità per raggiungere la vetta.

Comandante Marco! Siamo attaccati!” il Comandante della nona divisione, Blenheim, si mise a urlare con forza.
Era un omone gigantesco, quasi quanto Barbabianca, ma si scostò in segno di rispetto quando chi aveva chiamato apparve.
Eppure Marco, sedici anni, era sì e no un dito di quel bestione.
Non sono ancora diventato cieco Blenheim. Dov'è il Comandante?”.
Quale?” chiese confuso il poveraccio.
L'unico che riconosco” fece arrogantemente il più giovane.
Non dovresti parlare così Marco” Satch saltò giù dall'albero, sorridendo.
Anche se erano sotto attacco e tutti scattavano a destra e a manca eseguendo gli ordini dei loro Comandanti, a vedere Satch interruppero, si misero sull'attenti composti.
Non è il momento di stare sull'attenti. Al lavoro! Coprite la cabina di Babbo! Non deve alzarsi, le sue condizioni sono gravi. Difendete la nave e il Capitano!” cambiamento dal giorno alla notte, tutti erano scattati ad eseguire gli ordini di Satch.
Parlo così quanto mi pare. Sei l'unico che rispettino” ribatté Marco, le mani in tasca, indifferente a tutto.
Sono il Comandante della prima divisione. È questione di gerarchia”.
Mi dici una cosa Satch?”.
Adesso?” chiese il maggiore, per poi voltarsi di scatto verso un piccolo gruppo di pirati A“Caricate i cannoni! Non state lì impalati!” urlò.
I pirati scattarono sull'attenti “Sì Comandante” e andarono ad eseguire di corsa.
Satch” chiamava insistentemente Marco.
Non hai nulla da fare Marco? I tuoi uomini non possono rimanere in balia di altri Comandanti!”.
La sesta divisione se la cava da sola. Voglio chiederti una cosa”.
I tuoi uomini dovrebbero venire prima dei tuoi capricci, Phoenix”.
Suddetto scattò sull'attenti come fulminato “Sì Comandante”.
Il maggiore gli sorrise, addolcendo il tono “Prima i ragazzi, Marco. Dopo potrai chiedermi tutto quello che vuoi”.
' Sono solo insetti per me. Non contano nulla ' pensò il figlio di Hotaru, ma non lo disse.
Il Comandante aveva dato un'ordine.
Vado Comandante” disse, congedandosi.
Satch sospirò “Virare a destra, allontanate la nave! La sesta divisione sta per attaccare, copritela!”.
Conosceva bene il suo imprudente e impulsivo fratellino.

“Non mi fido di lui”.
“Cosa ti ha fatto di male?”.
“Ti dico che non mi piace Satch. Dovremmo buttarlo fuori”.
“Nessuno qui viene buttato fuori se non fa del male ai ragazzi senza motivo”.
“Però se glielo chiedi tu Babbo...”.
“Dirà che sono impazzito”.
“A te dice sempre sì, Babbo”.
“Perché non gli chiedo di cacciare gente dalla famiglia”.
“A me quel Teach non piace”.
“Non deve piacerti per forza. Finché non fa nulla di male, può restare”.
“Bisogna tenerlo sotto controllo”.
“Marco, senti, non ho l'autorità per...”.
“Sei il Vice di Babbo. Hai tutte le autorità”.
“Vice?”.
“Eddai Satch. Lo sanno tutti. Non lo nascondere”.
“Tutti sanno male. Babbo non ha Vice. Io sono solo uno dei Comandanti, come gli altri”
“No, tu sei il Comandante della prima divisione”.
“Ma pur sempre un Comandante”.
“Però ti adorano tutti”.
“Anche io voglio bene ai ragazzi, ma non per questo siamo tutti Vice di Babbo”.
“Ma tu sai sempre cosa fare”.
“Faccio il pirata da una vita, come te”.
“Io non so mai come comportarmi però”.
“Stai imparando”.
“Però tutti ti obbediscono e finisce sempre bene”.
“Te l'ho detto. È questione di esperienza. Se mi obbediscono è perché sono un Comandante”.
“Non capisco proprio”.
“Cosa?”.
“Perché fai così?”.
“Così?”.
“Sembra non interessarti nulla che millecinquecento e più persone sono nelle tue mani”.
“Non ho nessuno nelle mie mani. Sono i miei compagni, i miei 'fratelli', non giocattoli”.
“Però puoi ordinargli ciò che vuoi. Tutti pensano che sei il Vice di Babbo”.
“E allora dirò a 'tutti' che sono solo un Comandante. Babbo non ce l'ha un Vice e comunque non sarei io”.
“Sei il suo preferito”.
“Non nego di andarci d'accordo, ma Babbo non ha preferenze tra i suoi figli”.
“Io proprio ti detesto quando fai così. È un comportamento assurdo”.
Satch gli scompigliò i capelli, sorridendo “Sono suo figlio e voi siete tutti miei fratelli, perché siamo una grande famiglia. Cosa c'è da capire?”.
Marco sbuffò, aggiustandosi la capigliatura.
Non sapeva mai come rispondere, al suo Comandante.

Un lieve bussare alla porta della cucina nel cuore della notte.
“Marco?” Satch si voltò dai fornelli con cui armeggiava, guardando perplesso il ragazzo A“Cosa fai sveglio?” chiese.
“È quello che voglio sapere anche io. Che combini?”.
“Come che combino. Sono il cuoco, cosa vuoi che stia facendo?”.
“Ma sono le quattro di notte”.
“Devo cucinare per millecinquecentonovantanove persone” fece notare il più grande, girando al volo delle omelette “Ognuna di esse ha gusti diversi e deve avere quello che vuole. Senza contare che c'è Babbo, che mangia per cinquanta” disse, girando della zuppa A“Ci vuole tempo per preparare al meglio per tutti quello che vogliono”.
“Non potresti preparare per tutti la stessa cosa?”.
“Cosa? Ti pare che questo sia un esercito?”.
“Ma così non ti stanchi?” Marco si era messo seduto, osservando il cuoco andare su e giù.
“Amo cucinare. Perché dovrei scocciarmi di una cosa che mi piace fare?”.
“Mangi anche tu?”.
“Perché me lo chiedi?”.
“Hai detto millecinquecentonovantanove più Babbo. Non ti sei contato”.
“Non dirmi che ti preoccupi per me Marco” lo prese in giro Satch, dolcissimo.
“Invece di dire idiozie vieni a dormire!” sbuffò il minore, arrossendo.
“Cos'è successo? Cucino tutte le notti, ma non vieni a sbuffare fin qui”.
“Mi va di sbuffare qui, ok?”.
“Ti sei preso una cotta?”.
Marco cadde dalla sedia “C..c..c..c..c..”.
“Cosa?”.
“Io ti ammazzo Satch!!!!!!!!!!!!!”.
“Ammazzami a bassa voce, è tardi” gli ricordò il maggiore, aiutandolo a rialzarsi.
“Non ho una cotta!!”.
“Per White Bay vero?”.
“E statti zitto!” Marco ormai era viola e si allontanò un po' da Satch, gonfiando le guance.
Il maggiore sorrise “Quanto sei cresciuto. Un giorno sei un pulcino, il giorno dopo hai una taglia, quello dopo ancora sei Comandante e ora ti innamori”.
“Dici che è grave? Insomma, è un miracolo sia nostra alleata visto che è una donna e lo sai che ne pensa Babbo”.
“Se ti piace, ti piace. L'amore che io sappia non è ancora diventato una malattia”.
“Neh, Satch?”.
“Mh?”.
“Puoi aiutarmi a conquistarla?”.
Il maggiore mise su un'aria poco convinta “Se vuoi...”.
“Ti prego Satch”.
“Ma certo che ti aiuto, Marco”.
Il minore fece un sorrisone genuino “Grazie!” disse felice.
“Torna a dormire. Ci penso io” assicurò il maggiore, facendogli l'occhiolino.
Marco era al settimo cielo, tornò saltellando nella sua cabina.
Satch sospirò divertito, scuotendo il capo, tornando a cucinare.
“Lasciami Satch!” un Marco diciassettenne disperato si dimenava dalle braccia del maggiore, che lo stringevano con forza.
“Sta buono Marco. Ormai non possiamo fare nulla” il cuoco guardava davanti a sé, stringendo l'altro “Non guardare”.
“Anche se non guardo è lo stesso!” gridò il minore, scalciando.
“Che facciamo Comandante?” chiese qualcuno della Ciurma, osservando le lontane fiamme e colonne di fumo che si levavano verso il cielo in ghirigori.
“Voi invertite la rotta. Vado io” disse Satch, scuro in volto.
“Erano nostri alleati. Non possiamo...” cominciò Jaws, infervorato anche dal vedere Marco piangere e dimenarsi come un bambino tra le braccia di Satch.
“Volete mandare a morte i vostri uomini per persone che non sono più vive? Accomodatevi. Io e la prima divisione andiamo” ringhiò il Comandante di suddetta flotta.
“Lasciami Satch!!” Marco ignorava tutto e tutti, dimenandosi “White!!” cominciò a chiamare disperatamente “White! White! White!!!!”.
Il maggiore rafforzò la stretta “Invertite la rotta!” ordinò.
Tutti immobili, non sapevano che fare.
Non si abbandonavano i compagni, ma quelli ormai erano cadaveri.
“È un'ordine!” ruggì Satch e a quel punto tutti scattarono.
“Comandante! Vengono verso di noi!” avvisò qualcuno dalla vedetta.
“LASCIAMI SATCH!!!!!!!!!!!!!!!!” Marco continuava a dimenarsi e lamentarsi.
Satch lo batté a terra “Smettila! Potrai disperarti dopo che avrai la pelle al sicuro!”.
“Devo salvarla!”.
“Non starò a guardarti mentre vai a farti ammazzare dai tre Ammiragli!”.
“Devo salvare White!!!!”.
“Comandante?!” la ciurma era nel panico.
“Che altro c'è?” sbottò Satch.
“Il Capitano non risponde!”.
“Ci mancava” il Comandante della prima divisione respirò affondo “Mandategli il medico, quello serio, non le sue infermiere svestite per l'amor del cielo. E invertite la rotta alla svelta!”.
“Satch!!! White!!! White!!! Fammi andare a salvare White!!” Marco si rialzò, come volesse andarci da solo.
Il maggiore lo ributtò giù spingendolo per una spalla “Sta fermo qui. Vado io” si arrese.
“Davvero?” pigolò il minore.
“Promettimi che fai andare via tutti da qui, te compreso”.
“Ma..”.
“Promettilo!”.
Marco fece sì con il capo e Satch sorrise “Allora io vado. Occupati tu dei ragazzi”.
Il minore annuì nuovamente, rialzandosi.
Satch andò.

Era la seccatura più grande della sua vita.
“Perché?” chiese Marco, guardando con astio il maggiore davanti a lui.
“Come perché? Desideravi tanto arrivare fin qui” Satch aveva il suo solito sorriso, forse un po' amaro.
“Non così Satch. Mi rifiuto di accettare il tuo posto”.
“Ormai sei il Comandante della seconda divisione e se chiedi ti diranno che sei il Vice di Babbo. Perché no?”.
“Sei tu quello bravo con i marmocchi. Anche l'ultimo arrivato, ci stai pensando tu”.
“L'hai accolto tu”.
“Ho copiato te”.
“E allora? Bisogna imparare. Ripetere le azioni degli altri non è sbagliato, se sono cose che vogliamo fare”.
“Non voglio diventare Comandante della prima divisione. Non per tua concessione almeno”.
“Io mi prendo la quarta”.
“Cosa?!” Marco aveva l'aria sconvolta.
“Perché quella faccia?”.
“Dalla prima alla quarta? Satch, non...”.
“Non lo faccio per te”.
“E allora spiegami”.
“Marco, mi risulterebbe difficile mantenere il posto”.
“Però...”.
“Il mese scorso, quando gli Ammiragli hanno attaccato...”.
Marco indietreggiò “Non dirlo” sussurrò.
L'altro sospirò, lasciando perdere.
Per andare a controllare qualcosa che già sapeva si era trovato davanti i tre Ammiragli.
Non aveva trovato nessuno vivo, ovviamente, anzi era un miracolo fosse riuscito a tornare.
Infondo comunque non lo volevano morto, non ne avevano motivo.
E neanche gli Ammiragli avrebbero rischiato di mettersi contro un Barbabianca a cui hanno ucciso il Comandante della prima divisione.
Nessuno era così folle.
“Come vuoi. Però almeno pensaci. Quel posto rimarrà comunque vagante, infondo”.
Era rimasto profondamente segnato, non solo dall'orribile spettacolo.
Però sapeva perfettamente che nelle condizioni in cui versava ancora dopo un mese di cure, fare il Comandante della divisione più importante sarebbe stato per lui impossibile.
E poi ormai Marco era pronto.
Ne aveva viste tante, era cresciuto e vissuto il dolore della perdita dell'amata.
Aveva cominciato a tener più di conto i compagni, da quella volta.
Satch avrebbe preferito non essere più direttamente un Comandante, ma Barbabianca non voleva privarsi di un tipo con il carisma del cuoco.
Ovviamente il bene del figlio veniva prima, e se ci fosse stato bisogno l'avrebbe fatto curare meglio di quanto faceva con se stesso.
“Io non ti perdono, Satch. E so che mi farai avere quel posto, ma sappi che l'unico Comandante della prima divisione sarai sempre tu”.
“Te lo meriti quel posto, Marco”.
“Non ti perdonerò mai”.
Satch gli sorrise “Non te lo sto certo chiedendo” disse, tranquillamente “Sii un buon fratellone. Posso dirti solo questo, perché sei già un ottimo Vice”.
Marco infilò le mani in tasca, dandogli la schiena, ma prima di andarsene lo sussurrò piano “Agli ordini, Comandante”.

“Non è sicuro mandare Teach solo con Ace” Marco sbuffò, le gambe stese con i piedi poggiati su un tavolinetto.
“Sta composto Marco” lo riprese Satch, ma divertito, spaparanzato sul divano di fronte al minore.
“Ma senti chi parla. Sei in presenza di un superiore, sai?” lo derise la fenice.
“Oh, mi perdoni Comandante” ironizzò ampiamente il maggiore “Metti giù i piedi dal tavolo” fece di nuovo, poi.
Marco sbuffò, ma obbedì “Vado con Ace” decise.
“Sei il Capo qui, con Babbo in quelle condizioni. Vado io”.
“Tu non sei nelle condizioni di andare da nessuna parte”.
Satch si grattò il mento “Non esageriamo. È quasi un anno, ormai. Sto apposto”.
“L'universo intero potrà non notarlo, ma io lo vedo che fai fatica a muoverti. È da quel giorno che porti sempre foulard, prima li odiavi. Stai sempre con la schiena coperta, mentre prima sbandieravi il tatuaggio al mondo intero. Ieri stavi per bruciare l'arrosto di Jaws. Durante la vedetta stavi svenendo e cadendo giù. Per salvare Ace dall'annegamento a momenti affoghi. Non stai bene, Satch”.
“Capo, non esagerare. Badare a otooto ci riesco lo stesso”.
“Non sto mettendo in dubbio le tue capacità di balia di mocciosi. Sto dicendo che non mi fido di Teach, potrebbe attaccarti. E ti sopraffarebbe”.
“Succederebbe anche con te”.
Marco si alzò di scatto “Ritira subito quello che hai detto!”.
Satch scosse il capo “Non hai imparato nulla? Se non sei in grado, non c'è nulla di male nell'ammetterlo”.
“Ritiralo Satch! È un'ordine!”.
“Non usare la tua autorità di Vice per sciocchezze simili, Comandante Marco. C'è chi potrebbe non accettarlo e sai quanto Babbo odi gli abusi di potere”.
“Teach è l'ultimo al mondo che può mettermi KO! Non sono un debole come pensi, non più!”.
Satch scosse la testa “Va bene, Capo” disse, alzandosi.
“Dove vai ora?!”.
“Accompagno Portuguese D Ace nella sua missione insieme a Marshall D Teach, Comandante”.
“Chi ti ha dato il permesso di farlo?”.
Satch gli rivolse un bel sorriso “Il Capitano, Comandante”.
Marco aprì la bocca per protestare, ma ricadde seduto sul divano con aria di chi ha perso una partita fondamentale.
“Quello che decide qui, è Babbo. Non dimenticartelo Marco. Prima di dare gli ordini, controlla che lui non abbia dato il comando contrario. Sarebbe un bel problema, in battaglia”.
Marco osservò Satch uscire.
Come sempre, gli era superiore in tutto.

“Satch è...morto?” Marco lo disse incredulo, come fosse una cosa impossibile.
Lo sussurrò al vuoto, perché chi l'aveva avvisato era uscito di corsa, vedendolo come in trans.
Aveva trovato un frutto del diavolo, il cuoco, e con non-chalance l'aveva gridato ai sette mari.
Teach aveva visto che frutto era ed aveva attaccato.
Satch nelle condizioni in cui versava non era riuscito a difendersi.
Ace si era salvato, anche se ne aveva passate di brutte, ma al Comandante della quarta divisione non era andata così bene.
Aveva battuto la testa ed era morto.
Il bambino non ricordava nulla di quello accaduto alle isole Sabondy, neanche dell'esistenza stessa di Satch, doveva aver preso anche lui una bella botta.
Marco si mise seduto.
Era morto.
Era morto.
Era morto.
“Dannazione” mormorò, stendendosi.
Si sentiva male, come stesse morendo anche lui.
Un 'crack' netto, come qualcosa che si rompe.
Con Satch aveva un legame indissolubile, gli permetteva di capirsi a vicenda sempre, di sentire l'uno ciò che provava l'altro.
Dalla morte di White – della sua White – quel legame era andato corrodendosi e allenandosi.
Marco sentiva sempre freddo, si sentiva sempre più solo, come se tutti dovessero abbandonarlo e dovesse morire da un momento all'altro.
Percepiva più in ritardo le emozioni del maggiore, a volte non riusciva a capirle, altre le ignorava.
Si era allontanato sperando di star meglio, e invece stava sempre peggio.
E ora sentiva come se stesse morendo anche lui.
“Dannato idiota” singhiozzò, affondando il capo nel cuscino.
Chiuse gli occhi.
L'oblio della morte lo cullava dolcemente, allora perché non poteva lasciarsi andare?
'Giusto. Le divinità non possono morire' si ricordò, stancamente 'Dovrò vivere un'esistenza così...vuota?' si chiese, aggrappandosi a quell'oscurità.
La stessa che Teach aveva rubato a Satch.
Non che al cuoco interessasse, ma Marco sapeva che gli spettava di diritto.
Alle persone speciali come lo era Satch, spettavano sempre grandi poteri.
'Non voglio essere una divinità' pensò, il volto schiacciato contro il letto 'Voglio morire'.
Era da quella volta che lo trattava da schifo.
Da quando non gli aveva riportato White.
Che stupido.
Come avrebbe potuto farlo? Era morta.
Strano.
Ora che aveva perso Satch riusciva ad accettare che White fosse deceduta un anno prima.
Voleva dimenticare tutto.
Come si chiamava, chi era, da dove veniva.
Voleva dimenticare White e Satch.
Morire, almeno un po', perché il suo corpo non poteva, ma le sue ambizioni e le sue emozioni sì.
Barbabianca, quando entrò, lo trovò addormentato così.
Il volto bagnato e rosso, il corpo abbandonato, avvolto dalle piume della fenice che gli impedivano di morire come desiderava.
Vorticavano, come volessero cancellare tutto.
E cancellarono Phoenix, la sua esistenza e il suo ricordo.

"Esistono tanti frutti di tipo Zoo Zoo, che danno il potere della metamorfosi in un animale racchiuso in essi. Ma quell'uomo, un'insolita persona, di saggezza infinita in un corpo cosi giovane, ne prese il più immenso e leggendario potere. Costui è il Comandante della prima divisione dell' uomo più potente del mondo, noto come Barbabianca. Si fa chiamare Marco la Fenice...".

   
 
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