PROLOGO
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... I suoi occhi non sono
visibili, un velo nero gli copre il volto ma io sento il suo sguardo
penetrarmi fin nelle membra tanto da farmi cedere le ginocchia e non
potermi sorreggere più. Se mai potessi vedere il suo viso,
credo che
ricorderebbe i petali di un fiore avvizzito che cresce nella neve
d'inverno, il cui gambo, il suo corpo, è
fragile e piegato, sorretto da un filo d'erba, anch'esso
sopravvissuto appena al gelo.
Io cerco di sfuggire da questo
“essere”, ma sembra avvicinarmisi sempre di
più. Corro e corro
ma le forze mi vengono a mancare e, cosa molto curiosa, vengo sempre
affetta da un dolore lancinante al braccio sinistro, proprio dove ho
il tatuaggio. Vedo il dragone ingrandirsi, nonostante sia impossibile
che un tatuaggio possa cambiare dimensione, trasformando pure colore
e forma. Questo diventa più articolato e decorato... mi
stringo
forte il braccio perchè ho paura e perchè fa
male. Nel frattempo
l'essere si avvicina sempre di più finché non mi
raggiunge e si
sente un urlo agghiacciante. Forse sono io stessa.
Qui tendo sempre a svegliarmi e il
sogno termina. E' sempre lo stesso tutte le notti da quando ho memoria.
Il tatuaggio l'ho sempre avuto, è una tradizione di
famiglia, e tutte le notti mi sveglio in un bagno di sudore con la mano
destra che stringe il braccio tanto da farmelo addormentare
poiché
impedisce la circolazione del sangue. Cosa mi consiglia dottoressa?
ormai mi conosce... >> .La signorina Lamberti
esitò un
istante prima di rispondere.
Ormai
sono mesi che Ester frequenta lo studio della dottoressa ma non
sembrerebbe essere migliorata la situazione.
Lei viene da una famiglia ricca di tradizioni, e avvolta anche da molto
mistero. La dottoressa ha sempre domandato perchè dei
genitori
dovrebbero tatuare un dragone sul braccio di una docile bambina
indifesa di soli 2 anni, rischiando di causarle dei danni irreversibili
alla delicatissima pelle. Otteneva però risposte come "si
vergogni, questo non le riguarda! pensi al suo lavoro e racconti
qualcosa a nostra figlia affinché non si crucci troppo! Non
c'è più discrezione neanche dallo psicologo.." Il
che
è alquanto bizzarro, poiché è proprio
il mestiere
di uno psicologo cercare di entrare nei meandri più oscuri e
segreti delle persone perché queste possano essere aiutate.
Peccato che la signorina non abbia mai voluto interferire
troppo.
Il lavoro da psicologa non era la sua vera vocazione, aveva preso una
piccola laurea in un paesino di campagna per guadagnarsi da vivere. La
sua vera passione erano i dolci, ma questa fu abbandonata quando decise
di seguire il suo grande amore in una altrettanto grande
città.
<< Io credo, che tu debba solo riposare. Le vacanze estive sono ormai alle porte. Divertiti. Passi tutti i tuoi giorni concentrata sullo studio, lasciati andare e starai meglio. Adesso la seduta è finita e aspetto un altro paziente. Ci vediamo martedì prossimo? >>
<< Mhh, capisco... credo che per martedì prossimo avrò da fare >> rispose schietta Ester. "Ma pensa te se devo spendere tutti 'sti soldi per sentirmi dire che devo dirvertirmi e rilassarmi. Buffona." Questo fu il suo primo pensiero che le balenò subito in testa. "Da questa non ci torno".
Fuori dallo studio l'aspettavano delle sue amiche. Ester era solita frequentare con loro vecchi mercatini dell'usato situati in posti decisamente poco raccomandabili, ma non se ne preoccupava. Le piacevano il vintage e le cose vecchie, usate, che avessero una storia da raccontarle o un passato da scoprire.Quel pomeriggio trovò un vecchio diario rilegato in pelle di camoscio chiuso da un legaccio coordinato con le pagine sbiadite. Poche parole erano ancora decifrabili e solo le prime pagine sembravano scritte.
Arrivata a casa lo lesse: narrava di una fanciulla vissuta in un epoca apparentemente ricca di povertà quanto di misteri. Difficile era risalire a un periodo storico preciso. Forse si trattava di una storia iniziata bene ma abbandonata poiché l'autore mancava di ispirazione.
Ester decise di continuare a scriverci e di farlo diventare il suo tesoro più prezioso, annotandoci tutte le cose che più la turbavano. Queste però erano pressocchè tutte uguali. Tutte avevano un fattore in comune: quel sogno.