1.
«Catherine Lyndon, torna immediatamente in casa!» urlava un’imponente donnone
dai capelli rossicci e dal ventre prominente. L’oggetto delle sue grida, una
ragazzina smilza con lunghi capelli neri e un mare di lentiggine sul viso e
sulle braccia pallide, proseguì la sua corsa. Le scarpe affondavano nel fango,
schizzando il bel vestito di mussola bianca. Non le interessava. Correva verso
il muretto che segnava i confini della terra di suo padre, verso la collina
ancora sporca dell’ultima nevicata. Grosse nuvole bianche solcavano il cielo
grigio, grossi sbuffi di vapore bianco mostravano la sua respirazione resa
febbrile dalla corsa. Andò avanti così finché le grida non furono un ricordo
lontano, poi iniziò a camminare a passo svelto. Saltò un piccolo canale nascosto
fra le erbacce, evitò alcune buche scavate dalle talpe. Si arrampicò brevemente
sulla collina, e per un attimo, da uno squarcio nella nebbia, la balia dalla
porta di casa ebbe la visione di un uccello bianco che volava verso la cima del
rilievo. Poi la foschia si ricompattò, cancellando l’immagine.
«Questa volta si caccerà davvero nei guai – bofonchiò la donna, tornando al
caldo del focolare – poco ma sicuro. E a chi toccherà sopportare le sue urla? A
me, sissignori, proprio a Sue Mirren, per servirvi». Si fermò in mezzo alla
stanza contemplando le proprie mani rosse e rovinate. Povera, povera bambina…
proprio così dovevano andare le cose?
Catherine intanto si rintanò in un rifugio di legno. Si coprì con alcune coperte e iniziò a darsi da fare per accendere un piccolo fuocherello. Era sempre pericoloso lasciare fiamme libere lì dentro – lo aveva imparato anni prima rischiando di dare fuoco all’intera struttura. Ma la situazione era estrema: se non si fosse scaldata e asciugata difficilmente avrebbero potuto darla in sposa al figlio dei Lloyd l’anno successivo. In effetti, difficilmente avrebbe visto che solo un giorno successivo. Le fiamme attaccarono presto nonostante la legna umida e Kate trasse un sospiro di sollievo. Non sarebbe potuta restare lì per molto, ma aveva bisogno di pensare. E soprattutto di sfogarsi: con che diritto quell’uomo l’aveva venduta? Come gli era passato per la mente di comportarsi così? Alcune parole estremamente volgari imparate dai bimbi di strada negli anni della sua infanzia le attraversarono la mente. Era destinata a un matrimonio di convenienza, e questo, arrivata ai sedici anni, era un pensiero che poteva assimilare. Ma comunicarglielo così…quando tutto era già sistemato! E poi con un uomo di vent’anni anni più di lei! Ricco, ma notoriamente stupido, illetterato, tirchio! Gliel’avrebbe pagata. Eccome se gliel’avrebbe pagata. Suo fratello questa volta non l’avrebbe passata liscia. E, come se ciò non bastasse, quei supponenti ricconi di città si permettevano perfino di inviare qualcuno per assicurarsi che Catherine fosse all’altezza di Julian. Ridicolo.
Soffiando come un gatto si sdraiò accanto al cerchio di pietre che tratteneva il fuoco, lasciandosi cullare dal rumore del vento. Mentre si assopiva le parve di sentire come il rumore di zoccoli all’esterno, ma non se ne curò: la sua famiglia la conosceva, l’avrebbero lasciata sbollire. E degli estranei non si preoccupava: da anni usava quella baracca come rifugio e mai nessuno aveva scoperto o si era preoccupato della sua esistenza. Il sonno la prese, portandola in un mondo strano: suo fratello vestiva di trine e si atteggiava a gran donna, mentre i servi, seduti su comode poltrone, bevevano the. Intanto lei, stava china sullo scrittoio, a compilare file e file di numeri. Poi il sogno cambiò, si ritrovò al freddo in mezzo alla brughiera, mentre cadeva la neve. Stranamente, però, sentiva chiaramente il profumo dell’erica.
Si svegliò dolorante per aver dormito raggomitolata sul pavimento. Da una
fessura constatò che doveva essere quasi sera: la luce era sensibilmente
diminuita. Le braci lanciavano ombre rossastre sui muri, dando un aspetto
vagamente inquietante a quell’ambiente tanto famigliare. Stava per alzarsi in
tutta tranquillità quando un grugnito la paralizzò. Letteralmente. Con il cuore
in gola e la sensazione che tutto ciò che si trovava all’interno della sua
pancia si fosse liquefatto, si voltò. Qualcosa – qualcuno – dormiva avvolto in
una coperta, esattamente accanto a dove si trovava lei.
Urlò. Non ricordava di aver mai urlato tanto, nemmeno quando Joshua le aveva
infilato una rana nel vestito o quando suo fratello Tom le aveva dato fuoco alla
treccia…
…il fagotto si mosse, sedendo di soprassalto. Un viso delicato, soffici
labbra pallide, lunghi capelli biondi che in tempi migliori dovevano essere
ricci e che adesso parevano più un cespuglio di bosso.
«Che succede? Perché urli? È entrato un animale?» chiese anche lei con tono via
via più acuto e isterico. Si guardarono. Gli occhi sembravano pozzi neri
nell’ombra. Sempre osservando con diffidenza la sconosciuta, ma rassicurata
dall’aria fragile che dava l’impressione fosse facile tenerla ferma, Catherine
si alzò in piedi e accese alcune lampade a olio. Socchiuse gli occhi per
abituarli alla luce. La sconosciuta era vestita elegantemente, sebbene
sgualcita, la pelle bianchissima pareva seta. Non poteva essere una serva.
«Chi sei? Perché sei entrata qui? » le domandò Catherine cercando di dare
alla voce un tono feroce.
La sconosciuta si alzò, sollevando il mento con aria di sfida. «Mi chiamo
Heather Llloyd, figlia della più famosa famiglia di banchieri e assicuratori di
Londra, se hai intenzione di farmi del male sappi che la polizia di Londra verrà
qui e ti rinchiuderà nella Torre! ».
«Nessuno viene rinchiuso nella Torre da secoli – rispose sollevando un
sopracciglio – se tu fossi veramente chi dici di essere dovresti saperlo».
Colta in fallo, la bionda abbassò gli occhi arrossendo furiosamente:
probabilmente voleva proteggersi con quella scusa, pensando di avere davanti una
semplice paesana. Intanto Catherine pensava: Lloyd… una coincidenza?
«Non voglio farvi del male-
riprese in tono più gentile e cortese – però spiegatemi perché vi trovate in
questo capanno di caccia: i vostri genitori saranno preoccupati, non credete?».
«I miei genitori sono morti – disse Heather dopo una pausa – sono stati i miei
zii a mandarmi qui, mio cugino sposerà la proprietaria di queste terre fra
qualche mese…una selvaggia, mi hanno detto. Incapace di muoversi come conviene a
una Lady. Così sono stata mandata per tentare di affinarla abbastanza da non
fare brutta figura al matrimonio… anche se inizio a capire che, persa fra tutto
questo fango e queste piante e con tutti questi animali feroci, una ragazza non
possa certo dedicarsi alle buone maniere – proseguì arricciando il naso –
inoltre non mi sorprenderei di trovarla a pascolare gli animali. Povero cugino
Jul! Che triste fato…l’unione con lo studio però porterà grossi vantaggi a
entrambe le famiglie, e questo è l’importante. Quanto a me… Ero stanca di stare
al passo con i due servitori che mi accompagnavano, ho galoppato per un tratto
da sola e mi sono persa. Non puoi capire che paura ho avuto! Poi ho visto una
luce, mi sono avvicinata e attraverso la finestra ho visto una ragazza che
dormiva. Ero tanto stanca e spaventata! Sono entrata per scaldarmi…e devo
essermi assopita.»
Rialzò gli occhi, senza capire
la furia che riempiva quelli della mora. Quando alla fine questa parlò, lo fece
con un tono gelido che inizialmente la ferì: nessuno osava rivolgersi così a
lei!
«Siete davvero fortunata, Madame, si dà il caso che io abiti nella casa dei
Lyndon e che possa condurvici in pochi minuti. Perdonatemi, ma dovrete andare al
passo giacché io non ho con me una cavalcatura. E non credo che una selvaggia
come me, che sicuramente passa le giornate pascolando animali, possa permettersi
di salire in groppa con Vossignoria» e detto questo, calpestò le braci rimaste,
vi rovesciò dell’acqua e uscì, senza che Heather facesse alcunché per scusarsi.