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Autore: Scaramouche    24/05/2011    4 recensioni
Quando fai un viaggio così pericoloso da rischiare la vita ti rendi conto di quanto valga la pena vivere, anche se ti capitano le peggiori disgrazie, anche se è troppo dofficile andare avanti sai che quando tornerai a casa sposerai la tua ragazza, darai tutti i tuoi soldi in beneficenza e farai un party solo per te e per la suocera.
Genere: Avventura, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Diario di campo di Sam Worthington

Giorno 1

Il rumore dei clacson mi rimbombò nelle orecchie in modo incredibilmente fastidioso. Il mal di testa cominciò a farsi insopportabile, sembrava che dentro il mio cervello marciassero schiere e schiere di soldati disciplinati che battevano sempre lo stesso ossessivo ritmo.

Mi presi la testa tra le mani. Maledetta Los Angeles, maledetto traffico e maledetto taxi che non voleva decidersi ad arrivare in fretta all’aeroporto. Sarei finalmente salito su un aereo e avrei lasciato queste caotiche città, per atterrare a Kathmandu, in Nepal.

Salii con un salto sulla metro un momento prima che le porte si richiudessero e mi lasciassero a terra. Mi feci largo tra i passeggeri sgomitando per cercare di afferrare un palo di metallo, come appiglio per non finire a terra alla prima frenata.

Poggiai la valigia a terra e mi persi nel guardare i volti annoiati, tristi, gioiosi, delle persone intorno a me. Mi soffermai su un uomo che guardava insistentemente l’orologio e che, a giudicare anche dal tremolio del ginocchio, era parecchio nervoso. Spostai lo sguardo oltre di lui e il nocciola chiaro dei miei occhi incontrò l’azzurro di quelli di un ragazzo –non tanto più giovane di me- che mi fissavano dall’altra parte del vagone. Restai a guardarlo e lui restò a guardare me. Era come se una forza sconosciuta ci impedisse di abbassare lo sguardo in preda all’imbarazzo. Ma mentre io ero ancora con gli occhi rivolti verso di lui, le porte della metropolitana si aprirono e alcuni uscirono fuori correndo, invece altri entrarono, facendomelo perdere di vista.

Ripresi la mia valigetta, pronto per scendere alla prossima fermata, che non tardò ad arrivare. Come prima per salire, mi dovetti fare largo con la forza per non essere sballottato dalla folla di gente che c’era all’ora di punta del mattino. Insieme a me un fiume di gente si riversò fuori, per poi spostarsi come un branco di sardine verso le scale. Nella confusione io mi muovevo con calma, ero in orario, non avevo bisogno di correre, al contrario di qualcuno davvero maleducato che mi urtò la spalla, superandomi, mentre cercava di svincolarsi tra le persone.

-Ehi!- gridai nella sua direzione, ovviamente senza aspettarmi una risposta. C’è qualcosa alle fermate dei treni che induce irritabilità e nervosismo –cosa che avevo notato dopo anni da pendolare-, e sinceramente non seppi nemmeno perché gli gridai qualcosa dato che nella migliore delle ipotesi non mi avrebbe nemmeno ascoltato. Ma mi stupì .

-Scusi…- rispose, e quando si girò per vedermi in volto sembrò riconoscermi, come io riconobbi lui. L’avevo visto meno di quindici minuti prima sul treno che entrambi avevamo appena lasciato.

Non indugiò oltre e riprese la sua corsa veloce verso l’uscita.

Non era una cosa che provavo spesso, il desiderio di seguire una persona intendevo, ma non seppi spiegare nemmeno io a me stesso perché quella mattina di un martedì di febbraio un uomo qualsiasi, incontrato sulla metro, avesse potuto scatenare il mio interesse. Era affascinante, certo, ma quel suo modo di scrutarmi mi aveva svuotato, come se fosse riuscito a leggermi fino in fondo all’anima, aprendomi come un libro, e piegando la pagina per tenere il segno quando l’afflusso di gente ci aveva fatto sciogliere il contatto visivo. Sentivo che doveva finire di leggermi.

Presi le valige del portabagagli del taxi, pagai la mia corsa e mi diressi all’entrata dell’aeroporto. Il mal di testa per fortuna era scomparso e mi rimaneva solo la voglia di partire. Controllai i voli sul grande tabellone che torreggiava su di un grande salone circolare, mentre qualche bambino mi sfrecciò accanto, per poi essere subito richiamato dalla mamma.

Tirai fuori il cellulare e composi un messaggio "parto tra poco, ci sentiamo quando atterro. Ti amo." Lo inviai al primo destinatario della lista, praticamente la persona con cui scambiavo messaggi quasi a tutte le ore del giorno. La mia fidanzata Natalie.

 

Lo seguii su per le scale, aumentando il passo per stargli dietro. Arrivato in cima vidi l’angolo del suo impermeabile beige scomparire tra la folla. Gettai una rapida occhiata all’orologio che mi confermò che avevo ancora mezz’ora di tempo prima di dover recarmi al solito lavoro.

Riuscivo a vedere le ciocche bionde dei suoi capelli muoversi tra la gente, finchè non arrivò ad un semaforo ed attraversò la strada.

Mi lanciai tra le macchine inseguito da qualche clacson, e mi infilai nello stesso bar affollato in cui era entrato anche lui.

Arrivai al bancone e mi misi in fila, notando che mi era proprio davanti . Era di qualche centimetro più alto di me, i suoi capelli erano di una tonalità di marrone molto chiara, tendente al giallo paglia verso la nuca, su cui feci vagare lo sguardo. Aveva la pelle bianca, e sotto all’impermeabile beige potevo vedere che indossava la camicia e una giacca blu scuro.

Finì di parlare con la commessa e si spostò per prendere la sua ordinazione.

Io ordinai in fretta un cappuccino e quindi mi misi accanto al biondo, che giocherellava con degli stuzzicadenti.

I nostri bicchieri arrivarono insieme e per finto errore presi il suo, leggendo il nome che c’era segnato con il pennarello nero: Jude. All’inizio pensai che non si chiamasse davvero così, da quanto ne sapevo quello era un nome da donna, e, a meno che i suoi genitori non fossero stati ubriachi mentre dettavano il nome all’anagrafe, il bicchiere che avevo in mano era di qualcun altro. Ma mi sbagliavo. Il biondo si accorse immediatamente dell’errore e mi strappò il contenitore dalle mani, per poi lanciarmi uno sguardo truce.

Mi passò il mio, e sparì di nuovo tra la folla. Io rimasi lì immobile mentre dentro di me sentivo crescere un sentimento di disgusto.

Mi presi un momento per guardare lo sfondo del mio cellulare. Era una foto mia e di Natalie durante una gita in montagna qualche mese prima. Aveva un sorriso stupendo, il più bello che avessi mai visto, mi ero innamorato di quel sorriso, e forse era anche per quello che le avevo chiesto di sposarmi così presto, solo dopo quattro mesi che ci conoscevamo e tre e mezzo che stavamo insieme. Ma l’amavo, e non potevo partire senza sapere che lei non mi avrebbe aspettato.

Riposi il telefonino in tasca e mi avviai al check-in, dove lasciai le mie valige. Mi fecero passare poi sotto un metal detector e trattenni il respiro, nonostante fosse tutta la vita che prendevo un aereo, la paura che il campanello suonasse e richiamasse l’attenzione di tutti mi sembrava una cosa altamente sgradevole.

Dovevo attraversare la frontiera, così un omone mi controllò i documenti e il passaporto. Gettai l’occhio alla foto incollata sulla mia carta d’identità, ero venuto proprio male, feci scorrere lo sguardo anche ai miei dati, solo così, per passare il tempo mentre l’armadio finiva di spulciare i libretti.

Nome: Sam

Cognome: Worthington

Occhi: Blu

E così via. La guardia mi ridiede indietro tutto con un cenno del capo che stava a significare "Puoi andare, sembri pulito, magari non ti sguinzagliamo dietro i cani antidroga". Mi facevano venire i brividi.

Recuperai anche il mio bagaglio a mano e mi affrettai per il corridoio che portava all’imbarco. Incrociai un paio di persone, e mentre correvo vidi un uomo ricurvo su una panchina, con il viso affondato nei palmi, che probabilmente piangeva. Rallentai, intenzionato ad aiutarlo, ma la voce all’autoparlante richiamò il mio volo, e lasciai perdere.

Una volta sull’aereo misi a posto il mio borsone nelle cappelliere e mi sistemai nel sedile vicino al finestrino, puntando lo sguardo sulla pista d’atterraggio. Ero eccitato, non riuscivo a stare fermo, e la prospettiva di un volo di quasi nove ore non era per niente buona.

Accano a me si sedette una signora di mezza età insieme a suo marito, probabilmente turisti. Li guardai con curiosità, provando una forte tenerezza vedendo che si tenevano la mano per la paura. Dovevano essere davvero molto innamorati, pensai, ma la malinconia mi assalì, facendomi distogliere lo sguardo e riportarlo al cemento fuori dall’abitacolo.

"Chissà come sta Natalie, chissà se mi pensa" conficcai le unghie nei braccioli al ricordo del nostro litigio alla mia partenza.

Io l’amavo troppo, ecco tutto. Non c’erano stati pianti, ne vetri rotti, solo grida e sbattimenti di porte, dopo nemmeno cinque minuti di discussione. Ero andato completamente fuori di testa, saperla con un altro mi aveva mandato in bestia più di quando mio padre mi negò la macchina per la prima volta. Ero geloso, possessivo e molto irascibile quando si trattava della mia donna.-Stupido, stupido, stupido! Cosa ti ha fatto pensare che quell’uomo fosse interessato a te?!- mi ripetevo a denti stretti per la strada verso il lavoro.

Camminavo a testa bassa e mi capitò più di una volta di essere sballottato dalla folla, come un cadavere inerme tra le onde dell’oceano. Mi sentivo esattamente così, un cadavere, un corpo senz’anima, un involucro senza sostanza.

La depressione aveva preso il posto della mia voglia di vivere trascinandomi in uno stato di passività totale. Semplicemente mi lasciavo trasportare.

Quando entrai nell’ascensore del palazzo dove mi recavo ogni giorno e mi guardai nelle pareti a specchio, quasi non mi riconobbi. Avevo i capelli spettinati, anche se era una cosa normale, le occhiaie profonde e una faccia da fare invidia ad una vedova.

Mi feci coraggio ed entrai nell’ufficio gremito di gente, cercando di nascondere a tutti la mia penosa condizione comprendoni con l’angolo del cappotto. Raggiunsi la mia scrivania in fretta e non appena poggiai la valigetta a terra Ioan mi arrivò alle spalle facendomi prendere un colpo.

-Ciao!- mi salutò, subito dopo, sorridendo raggiante.

-Ciao Ioan…-

-Ehi, hai un aspetto orribile…-

-Lo so, e se magari non lo fai notare sto meglio, grazie- non era giornata, ero nervoso e deluso, non volevo persone attorno, e risposi male a Ioan solo perché se ne andasse e mi lasciasse in pace, ma di solito ero gentile con lui.

Mi sistemai alla scrivania e mettendo a posto alcuni fogli poggiai lo sguardo su una vecchia fotografia, in piedi vicino allo schermo del computer.

Sentii subito una morsa allo stomaco mentre fissavo quel bel faccino, gli occhi marroni e i capelli scuri. Nella foto sorrideva, abbracciato a me, in una giornata di sole qualsiasi di, forse, un paio di mesi fa.

Strinsi i pugni quando sentii la rabbia montare, aveva davvero un bel sorriso, il bastardo figlio di puttana. Afferrai la cornice con dentro la foto e la scaraventai nel cestino,portandomi le mani al volto, deciso a lasciarmi tutto alle spalle e dimenticarmi di Todd.

Sapevo che non sarebbe stato facile, che avrei dovuto impiegare tutto me stesso per riuscire a non pensare più a lui, per abituarmi a tornare a casa e non trovare nessuno, se non ancora la sua posta.

Di sicuro non lo avrei mai perdonato, e se mai avessi avuto di nuovo occasione di vederlo credevo che gli sarei saltato addosso e l’avrei steso a cazzotti. Non mi sarei limitato a piangere sulla porta di casa, come il giorno in cui rompemmo, lo avrei fatto penare per bene. Doveva provare lo stesso dolore che avevo provato io quando ho saputo che si vedeva con un altro, con la scusa che non ero mai a casa –con il mio lavoro è normale- e che non lo soddisfacevo più tra le lenzuola. Si fosse mai lamentato una volta!

Comunque mi ero messo in pace la coscienza e mi ero detto "il mare è pieno di pesci" proiettandomi già verso una nuova storia con qualcuno. Ma non avevo calcolato quanto amore ancora provavo per quel lurido bastradello. Gli avevo dato tutto, il mio cuore, il mio corpo, la mia casa, e lui mi aveva ripagato scappando con Bradley il principe azzurro Cooper.

Lo odiavo, eppure non riuscivo a staccarmi da tutte le cose che me lo ricordavano, provando sempre un vuoto quando le guadavo.

Dovevo prendere la mia vita a due mani e cambiare strada, oppure mi sarei fatto trascinare via con lui, o meglio, con la sua mancanza.

Avrei dovuto buttare tutte le foto.

 

A/N Buonasera!!! :DDD Sono incredibilmente felice di aver postato questo capitolo perchè scriverlo è stato un parto .____. per un paio di motivi i quali: 1.Questa storia è mia figlia, e non volevo che mia figlia fosse concepita troppo in fretta (*W*) 2.Lo spazio tempo è complicato, e cioè, come avrete notato (spero!) le due storie (corsivo e non corsivo) non sono la stessa, ma sono due che si svolgono su piani diversi, anche temporalmente...ma capirete più avanti :) (spero!) Anche riguardo a questo, aspetto di sapere se capite lo svolgersi delle azioni e se c'è continuità, e se mi dite di sì continuerò allegramente ad alternare i due filoni, altrimenti ridurrò i cambiamenti, che però è d'obbligo che ci siano...
Mi auguro con tutto il cuore che vi piaccia perchè ho speso molto sudore, e so che ne spenderò molto su questa pazzia...
Ultime due cose...Come avrete notato Sam è Sam Worthington di Avatar (tra i tanti), vi dico solo, non andate in panico, e fidatevi di me (Se, come no!) :) Todd è Todd Philipps, regista di Due Date eThe Hangover 1/2...mentre Bradley Cooper ha recitato nei film di Todd...(è un figo *Q*)
Okay, ho finito...adesso smetto di rompervi le scatole :DD
Vi amo per aver letto questo capitolo <3

   
 
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