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Autore: St. Jimmy    25/05/2011    6 recensioni
"D-davvero?" chiese il bambino.
"Certo. Succedeva anche a me quando ero al quarto anno alla Hillcrest..."
"Alla Hillcrest? La Hillcrest d-di Rodeo?"
"Sì, perché?"
"Perché io vado a scuola lì"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Billie J. Armstrong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'UOMO NELLO SPECCHIO



Maledetto freddo... pensò mentre camminava lungo Stuart Street, la lunga via di Berkeley, quella sera stranamente deserta. Non c'era un cane in giro, ma a lui andava bene così, in fondo. Quel giorno non gli andava per niente di avere gente tra i piedi e se gli fosse capitato qualche fan impazzito a tiro o solo qualcuno che avesse cercato di accaparrarsi un autografo dal cantante dei Green Day, probabilmente lo avrebbe preso a cazzotti fino allo sfinimento. Una folata di vento gelido lo investì, insinuandosi tra le fibre dei jeans scuri e facendolo rabbrividire. Si strinse di più nella giacca di pelle nera.
Sì, faceva proprio un freddo fottuto per essere solo il 9 Settembre, un bastardo freddo fottuto...
Provò ad ignorarlo e continuò per la sua strada. Non si ricordava con precisione perché fosse uscito, se per noia o per qualcos'altro, ma pensò che un po' d'aria non gli avrebbe certo potuto fare male. Era così tanto tempo che non si prendeva un attimo per sé...
Passò davanti ad un vicolo cieco e si fermò sul marciapiede che precedeva l'incrocio con la Telegraph Avenue, alzando lo sguardo. Grandi nuvole grigie si rincorrevano lassù, non lasciando quasi intravedere nemmeno il colore del cielo sotto di esse. Sembrava quasi che tutto fosse pesante, come se dovesse crollare da un momento all'altro.
Ad un tratto udì un rumore provenire da poco più indietro, e qualcosa lo distolse dai suoi pensieri. O meglio non qualcosa, ma qualcuno. Quello era un rumore di pianto...
Rimase fermo sul posto, a valutare cosa sarebbe stato meglio fare, ma alla fine la curiosità vinse e decise di voltarsi e tornare a quella che sembrava la fonte di quel suono. Era sempre stato un tipo curioso...
Guardandosi attorno con circospezione camminò fino al vicolo cieco che aveva appena superato e lentamente, intimorito, si sporse in avanti, fino ad essere investito dall'ombra di quel luogo angusto.
Un altro singhiozzo.
Facendosi coraggio avanzò ancora, seguito solo dal rumore delle sue scarpe che toccavano il terreno e, dopo pochi passi, scorse una piccola e scura figura rannicchiata contro il muro di mattoni sulla destra del vicolo.
Era un gracile bambinetto dai capelli ricci, seduto con le gambe raccolte al petto e le ginocchia strette tra le braccia. Non se lo sarebbe mai aspettato... Quale bambino si sarebbe mai rifugiato a piangere in un vicolo cieco così isolato? Nessuno. Nessuno che conoscesse, almeno. O nessuno che ricordasse.
Si schiarì la voce con un impercettibile colpo di tosse e, cercando di non spaventarlo, parlò. Ora che lo aveva trovato non poteva fare finta di niente, non voleva fare la parte dello stronzo insensibile.
-Ciao- disse con il tono più rassicurante che riuscisse a tirare fuori, -che... che cosa ci fai qui?-. -N-niente- singhiozzò il ragazzino in risposta. Il cantante si avvicinò ancora e si inginocchiò di fronte a lui. Aveva il viso nascosto tra le braccia, perciò non riuscì a guardarlo in volto.
-Ma se non stai facendo niente allora non c'è bisogno che tu sia qui... Sbaglio?- provò ancora. Non gli piaceva vedere i bambini piangere, che fossero i suoi due figlioletti o no. Gli metteva tristezza.
-F-forse... Ma a lei c-cosa interessa?- disse, la voce attutita dalla stoffa della maglietta a maniche lunghe che indossava. Era troppo grande per lui, ora che la guardava meglio, e avrebbe giurato di averne avuta una uguale da piccolo...
-Beh ecco, vorrei cercare di aiutarti, se posso-
-E in c-che modo?-
-Non saprei...- rispose, cercando di non sembrare troppo avventato, -potresti provare a raccontarmi perché sei qui... non è un bel posto per un ragazzino...-.
Il suo giovane interlocutore sospirò.
-D-due del q-quinto anno mi hanno picchiato... volevano i s-soldi del pranzo, ma io n-non glieli ho v-voluti dare... non sono r-ricco, mi servono... poi sono s-scappato e mi sono nascosto qui... n-non mi cercherebbero mai in u-un posto del genere...- disse, iniziando a calmarsi. Che strano, pensò il vocalist dopo averlo ascoltato, è successo diverse volte anche a me...
-Capisco- mormorò semplicemente.
-D-davvero?- chiese il bambino alzando finalmente la testa e guardandolo negli occhi. Non appena i loro sguardi si incrociarono, il moro trattenne il respiro per un momento, disorientato. Verdi. I suoi occhi erano verdi. Verdi e terribilmente familiari. Ma in fondo c'erano milioni di persone con gli occhi di quel colore al Mondo, no? E probabilmente erano tutti così familiari, giusto? Ok, devo calmarmi...
-Certo. Succedeva anche a me quando ero al quarto anno alla Hillcrest...-
-Alla Hillcrest? La Hillcrest d-di Rodeo?- domandò ancora il ragazzino, strofinandosi sul naso un fazzoletto appena estratto dalla tasca dei pantaloni neri.
-Sì, perché?-
-Perché io vado a scuola lì- disse, drizzandosi a sedere -e sono al quarto anno. Sa, non ho molti amici in classe e sono sempre il bersaglio preferito dei bulli...-
-Oh. Mi dispiace... Ma dammi pure del tu, ehm...-
-Billie Joe- concluse lui.
-C-come hai detto scusa?- chiese il cantante, spalancando gli occhi e deglutendo. Quel ragazzino aveva il suo stesso... No, non poteva essere, non era decisamente un nome comune, questo era poco ma sicuro. Chi poteva aver avuto l'idea di chiamarlo così? Chi cavolo...
-Billie Joe. È il mio nome. Billie Joe Armstrong, a dire il vero.- continuò, senza accorgersi minimamente della reazione dell'altro, -Mia madre è un'appassionata di musica country, così lo ha preso da una vecchia canzone che adora, Ode to Billie Joe credo- buttò lì distogliendo lo sguardo dall'uomo davanti a sé.
Ma che cosa diavolo sta succedendo!? Io sono... no, cioè, lui è... Cazzo, con chi sto parlando?! È-è uguale a me a dieci anni! No, è me a dieci anni! E mia madre, il mio nome... Pensò il moro. Avrebbe creduto di essere pazzo, se non lo avesse visto con i suoi occhi. Eppure era proprio di fronte a lui, non era un sogno...
-E tu come ti chiami?- domandò il ragazzino, interrompendo il flusso di pensieri che gli affollava la mente.
-Beh a-anche io mi- mi chiamo Billie Joe Armstrong- rispose spaventato. Il piccolo Billie Joe lo fissò incredulo.
-A-anche tu?-
-Sì-. Tra i due piombò il silenzio, spezzato solo dai loro respiri e dal vento che soffiava tra le foglie degli alberi sul ciglio della strada.
-Ma... quanti anni hai?- riprese il ragazzino, senza distogliere lo sguardo da quello del cantante.
-Trentaquattro-
-E a scuola...-
-Andavo alla Hillcrest-. Rimasero entrambi immobili ad osservarsi per un tempo che a loro sembrò non finire mai, spaesati. Poi il più giovane si fece coraggio ed alzò la piccola mano sinistra all'altezza del petto, per poi avvicinarla tremante al Billie Joe adulto, ancora inginocchiato sul freddo cemento del vicolo. Lui lo imitò alzando la mano destra e piano le loro dita si toccarono e i loro palmi aderirono l'uno all'altro, così diversi, così uguali.
-Hai una cicatrice sul polso- disse il Billie trentaquattrenne, perso nei suoi pensieri.
-Me l'ha lasciata...-
-James Bowers-. Finì la frase e lentamente ruppe il contatto tra loro, alzando la manica sinistra della giacca. Una cicatrice orizzontale di quattro centimetri fece capolino tra i tatuaggi colorati che ricoprivano il polso del vocalist. Il Billie più piccolo la guardò sconcertato.
-Te l'ha fatta perché gli hai tirato un pugno nello stomaco dopo che ha insultato tuo padre- disse il più grande.
-Sì... È successo due mesi fa, davanti al Rod's Hickory Pit, mentre mamma era dentro a lavorare- spiegò l'altro.
-Già, adesso ricordo...-. Il ragazzino tornò a fissarlo. Pareva aver capito tutto, eppure non sembrava così turbato.
-Tu sei... sei me da grande, non è vero?-
-Credo di sì.-
-E dimmi, com'è? Cioè, cosa diventerò? Un idraulico, un meccanico o, non so...-
-In realtà, tu farai musica. Sarai un cantante e un chitarrista famoso, un giorno- rispose Billie adulto.
-Mitico! E avrò una moglie? E dei figli?-
-Oh sì! Avrai una moglie bellissima che si chiamerà Adrienne e due fantastici figli maschi, Joey e Jakob-
-Adrienne... è un nome splendido... e Joey! Joey Ramone!- esclamò felice Billie bambino, con quella sua vocetta adorabile.
-Proprio lui. Ma come stanno Alen, Holly, Marcy, Anna e David?-
-Loro bene, Alen poi si è appena trasferito ad Oakland, ma mamma...-. Tutto a un tratto parve incupirsi ed iniziò a guardare nuovamente in basso, sulle sue scarpe. Probabilmente quel gesto se lo sarebbe portato dietro a vita.
-Mamma cosa?-.
-È preoccupata per papà. Passa la maggior parte del tempo da sola in casa a guardare le foto del loro matrimonio e sono cinque giorni che sembra sempre così assente... Io le continuo a dire che andrà tutto bene, che so che papà ha una malattia grave, e che però i dottori lo riusciranno a curare e che poi tornerà a casa e mi insegnerà a suonare bene la chitarra, ma lei non mi vuole ascoltare... Però ora so che ho ragione io, se no come ho fatto a diventare un grande chitarrista?-. L'altro tacque. Solo in quel momento aveva capito che giorno fosse. Se n'era quasi dimenticato. Come poteva essersene dimenticato?
(faceva proprio un freddo fottuto per essere solo il 9 Settembre. Il 9 Settembre...)
E lui aveva dieci anni. E dal pomeriggio seguente nulla sarebbe più stato uguale.
-Allora, ho ragione io vero?- continuò il ragazzino, speranzoso.
Senza dire un parola il Billie Joe adulto si alzò e si risedette accanto a lui, abbracciandolo teneramente. Gli accarezzò il viso e i capelli biondi e spettinati ed iniziò a cullarlo dolcemente tra le sue braccia. Dio, se solo avesse saputo... Era ancora piccolo, troppo piccolo per affrontare una cosa simile! Ma forse stavolta poteva essere diverso, forse stavolta poteva riuscire ad aiutarlo, poteva riuscire ad aiutarsi...
-Ho- ho ragione io, vero?- chiese nuovamente, ora con una vena di preoccupazione.
-No idiota, papà domani morirà. Non l'hai ancora capito?- disse una voce che proveniva dall'entrata del vicolo. Si udirono dei passi leggeri e poi davanti ai due comparve un ragazzo dall'aria trasandata, trascurata, più che altro, che indossava solo dei jeans strappati con dei buchi all'altezza delle ginocchia ed una felpa grigia scolorita della Pinole Valley High, troppo larga per il suo esile corpo.
-Tu chi sei per dirlo?!- gridò il più giovane, scattando dritto a sedere. Il nuovo arrivato fece una risata ironica.
-Ma moccioso, io sono te- disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, -Io sono Billie Joe Armstrong, meglio conosciuto da queste parti come Two Dollar Billie!-.
-No, tu sei solo un sedicenne frustrato che crede di essere il re di Berkeley- si intromise il Billie Joe più grande.
-E tu che cazzo ne sai eh?-.
-Moccioso, io sono te!-.
-Non. Mi. Chiamare. Moccioso!- scandì Two Dollar, adirato, lanciandogli un'occhiata di fuoco.
-Ah, ti dà fastidio allora! E perché lo chiami così, sentiamo?- disse Billie adulto, indicando il ragazzino accanto a lui.
-Perché sono cazzi miei!-. Era strano il suo modo di rispondere. Non ricordava si essere così aggressivo da ragazzo, tranne quando...
-Aspetta, aspetta, aspetta, frena Two Dollar! Non è che Eggplant ti ha rifornito di roba particolarmente invitante oggi?- domandò accigliato, -Sai che non sta bene consumare la merce prima di metterla sul mercato!-.
-E va bene, mi sono fatto una canna o due, e quindi?! Sono. Cazzi. Miei.-.
Durante la discussione nessuno dei due si era accorto che il Billie bambino li stava osservando, confuso e spaventato.
-I-io diventerò un...un...un drogato?- mormorò, stringendosi nuovamente al Billie adulto, che lo accarezzò in un gesto protettivo.
-No, tu non...- sospirò, cercando di rassicurarlo.
-Ancora menti?!- sbraitò Two Dollar con un'espressione incredula dipinta sul volto magro.
-Stà zitto, moccioso!-
-Oh no, no, no! Ora il moccioso sei tu! Non sei capace di dire la verità nemmeno a te stesso, ti rendi conto di questo?!-
-Io non mento a me stesso- disse l'altro serrando i pugni.
-E allora avanti, digli come diventerà tra qualche anno, digli come domani suo padre morirà!-.
Il Billie adulto rimase in silenzio, zittito da quelle parole che bruciavano nella sua mente come carboni ardenti. Il piccolo vicino a lui alzò lo sguardo lucido per le lacrime che gli stavano riempiendo i grandi occhi verdi.
-No, fallo smettere, fallo smettere, per favore! Digli di lasciarci in pace, digli di andarsene e di non raccontare più bugie su papà!- disse, implorandolo.
-Non mi ascolterebbe... ma tu non devi credere a quello che dice, non devi farlo.-.
Sentendolo pronunciare quelle parole, Two Dollar ridacchiò.
-Oh, invece dovresti! Avanti, guardami piccoletto, guarda come sono ridotto!- esclamò spalancando le braccia, -Credi che saresti mai diventato così se non ti fosse mancato qualcuno che portasse il pane a casa, qualcuno che ti amasse veramente?! Credi che ti saresti mai drogato se non per dimenticare la merda in cui vivi, la vita del cazzo che conduci?! Su dai, rispondi piccoletto!-.
Il ragazzino lo guardò e poi guardò il Billie che lo stava abbracciando, il Billie bugiardo. Aveva capito tutto. Quel ragazzo così conciato era lui tra sei anni e lui tra sei anni non avrebbe mai mentito, non su cose del genere per lo meno. Perché altrimenti avrebbe dovuto dirgli così? Non parlava solo di suo padre, ma anche del proprio, che motivo avrebbe avuto per dire che se ne sarebbe andato, se non fosse stato vero?.
Con le guance solcate dalle lacrime si allontanò dal Billie adulto, si alzò e corse verso Two Dollar, che lo accolse con un sorriso vittorioso sulle labbra rosee.
-Tu mi hai mentito! Papà morirà!- singhiozzò puntando l'indice contro il Billie Joe seduto con la schiena al muro.
-Sai, da piccoli non eravamo per niente dei bambini stupidi- disse il ragazzo, scompigliando i capelli al più giovane.
-Perché lo hai fatto, perché?- continuò il piccolo.
-Volevo solo proteggerti-
-Non puoi proteggerlo da sé stesso- fece Two Dollar.
-Tu stà zitto! Pensa a crescere prima!-
-Se te l'unico che deve crescere tra noi! Tra meno di sette mesi sarà il tuo trentacinquesimo compleanno e ancora ti comporti come un poppante!- disse cattivo, -Guardati-, ed indicò con un cenno del capo il ragazzino accanto a lui, -hai perso la fiducia in te stesso... Nessuno si fiderebbe mai di un bambino di trentacinque anni...-.
-Brutto bastardo!- gridò Billie adulto, scagliandosi contro Two Dollar con l'intenzione di fargli davvero male, di farlo soffrire più di quanto già non soffrisse ogni giorno.
Stava per raggiungerlo, gli era a qualche centimetro dal volto, quando il ragazzo si dissolse nel nulla sorridendo beffardo, assieme al Billie di quarta elementare, lasciandolo solo nel vicolo di Stuart Street.
(Nessuno si fiderebbe mai di un bambino di trentacinque anni...)
Allora Billie, crescerai?




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