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Autore: RachelWantsToGoToBroadway    25/05/2011    0 recensioni
La storia può presentare un lieve, lievissimo Shoujo-ai...dipende dal punto di vista del lettore, personalmento non ho sentito il bisogno di inserirlo tra gli avvertimenti^^.
Citazione:La verità, era che, a volte, mi considerava così forte da credermi invulnerabile, finendo inevitabilmente per non comprendere le torture alle quali mi sottoponevo ogni giorno solo per vederla felice, a partire dal fatto che, nonostante l'odio che nutrivo verso gli anemoni, gliene comprassi ogni giorno solo per la gioia di vederla illuminarsi e sostituire il mazzo del giorno precedente con quello appena ricevuto sussurrando “i miei preferiti...”.
La storia è stata riveduta e corretta perchè non riuscivo proprio a pubblicarla nella forma originale con la quale, comunque, è arrivata settima al contest Flowers For Life, indetto da Ss904.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Originariamente, la storia era un po' diversa, meno approfondida e particolareggiata, sono riuscita a migliorarla anche grazie ai consigli della giudice del concorso (Ss904) , e, come ho detto, è arrivata settima al contest Flowers For Life indetto dalla stessa Ss904, nel quale i partecipanti dovevano scegliere un fiore ed il relativo significato e sviluppare una trama e dei personaggi che avessero le medesime caratteristiche del fiore scelto.
Io ho scelto l'anemone che significa malattia ed abbandono. Per quanto riguarda lo Shoujo-ai a cui ho accennato, ci tengo a chiarire che, a seconda delle prospettive, il rapporto tra le due protagoniste può apparire come un'amicizia molto profonda o come un velatissimo Shojo-ai, ma talmente velato che non vedo neanche il bisogno di includerlo tra gli avvertimenti, ma questa è solo la mia interpretazione del mio testo, perciò la considero molto imprecisa^^.

Beh, Buona Lettura^^

 

Elettricità nell'aria malinconicamente sadica, spezzata solo dai suoi amari singhiozzi.

Parole dure e risate taglienti ferivano quella delicata creatura rannicchiata in un angolo della palestra scolastica, inerme di fronte ai colpi che venivano inferti alla sua anima.

Circondata solo da volti a lei ostili, Lucretia non poteva far altro che piangere cercando inutilmente di coprirsi con le mani il viso percorso da solchi bagnati, mentre, intorno a lei, le parole che tanto la ferivano non cessavano, anzi, si riversavano su di lei come una cascata di lame appuntite che laceravano il suo fragile corpo. In fin dei conti, il pianto era la sua unica, debole arma.

Dal lato opposto della palestra, un'altra bambina scrutava la scena con grandi e profondi occhi color cielo invernale prendendo lunghi respiri. Stropicciandosi nervosamente l'orlo della manica del maglioncino rosa, si sorprese del fatto che, nonostante il mese prima aderisse a meraviglia, adesso era diventato così grande che riusciva perfino ad infilarci uno dei suoi orsacchiotti di pezza senza che il tessuto le aderisse sulla schiena.

Sua madre l'aveva chiamata Essence, uno di quei nomi significativi che sono belli solo incisi sulla lapide mortuaria, come aveva commentato ironicamente suo fratello più grande prima di essere zittito dalle occhiatacce del padre e dai singhiozzi della madre.

Il ragazzo, però, non aveva tutti i torti ed aveva solo espresso ad alta voce ciò che gli altri temevano di far uscire dai propri cuori: quella bambina era stata considerata bella che morta appena nata, quando le era stata diagnosticata una rara forma di leucemia.

Ad otto anni, Essence era ridotta ad uno scheletro che camminava, retto in piedi solo da un'insormontabile voglia di vivere e dai mille trattamenti e trasfusioni che riceveva all'ospedale pediatrico della sua piccola cittadina, i quali le donavano dei rari periodi di tempo in cui riusciva a recuperare qualche chilo ed un po' di colore sulle guance.

Inizialmente, i suoi compagni di classe l'avevano presa in giro per la sua magrezza, per il pallore cadaverico e per i radi capelli biondi che lasciavano trasparire il fragile cuoio capelluto, ma un giorno le maestre avevano spiegato loro che Essence era una bambina molto malata ed andava lasciata in pace, perciò iniziarono semplicemente ad ignorarla.

Essence non diede tanto peso a quella situazione, era abituata ad isolarsi, ma per la prima volta si interpellò sul significato della frase che più di una volta era uscita dalla bocca dei suoi genitori che, evidentemente, avevano previsto che la loro bambina non sarebbe mai riuscita ad inserirsi con facilità nel mondo dei suoi coetanei.“I bambini possono essere davvero crudeli”.

Per un lungo periodo di tempo nessuno venne più canzonato, ma una fredda mattina di dicembre, la maestra portò al cospetto della classe una bambina minuta dai lunghi capelli corvini e gli occhi verdi velati d'inquietudine. E' arrivata da poco, ci disse la vecchia maestra posando una mano sulla spalla della bambina che scoprimmo chiamarsi Lucretia, siate carini con lei e fate amicizia, concluse l'anziana signora assegnando alla nuova arrivata un posto in prima fila, accanto ad un bambino dai capelli castani che non sembrò provare simpatia verso la nuova arrivata.

Durante l'intervallo, tutti i bambini uscirono dalla classe e corsero verso il cortile, nessuno si offrì di tenere compagnia a Lucretia, la quale rimase in classe, seduta composta al suo banco mangiando la sua merendina, finché sentì un piccolo starnuto alle sue sue spalle e, voltandosi, incrociò lo sguardo con quello di una bambina pallida -perfino più mingherlina di lei- seduta in un banco solitario in fondo alla classe.

_ Ciao _, esclamò la morettina alzandosi dal suo banco e dirigendosi titubante verso quella bambina che, a prima vista, le era sembrata una sorta di personaggio dei racconti di fantasmi che raccontavano nei campeggi estivi al fine di spaventare i bambini più piccoli.

Lucretia, però, possedeva un carattere particolarmente curioso ed una naturale propensione verso il mistero e qualsiasi cosa inusuale o velata d'inquietudine riusciva a smuoverle qualcosa dentro, più di qualsiasi melenso racconto fiabesco di quelli che le leggeva sua madre alla sera con voce trasognante.

_ Ciao..._, rispose l'altra in tono incerto guardando Lucretia avvicinarsi.

_ Come ti chiami? Perchè non sei fuori con gli altri? _, chiese la curiosa bambina dagli occhi verdi dando un morso alla sua merendina al cioccolato.

_ Ehm...mi chiamo Essence e...non posso uscire con gli altri perchè la mamma mi ha detto che, per ora, sono troppo debole per correre _, sussurrò la biondina senza staccare gli occhi dalla merendina della compagna.

_ Debole? Come fa tua mamma a sapere se ti senti debole? Non può mica entrare nel tuo corpo e sentire se stai male _, constatò Lucretia, sentendosi immediatamente attratta da quella strana bambina che trasudava turbamento e sembrava essere a conoscenza di qualcosa che la maggior parte dei suoi coetanei ignorava.

Essence aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse subito pensando che, dopotutto, quella bambina appoggiata al suo banco non aveva tutti i torti.

_ Comunque _, disse Lucretia attirando l'attenzione di Essence, _io mi chiamo Lucretia _, annunciò porgendole la mano che non reggeva la merendina all'altezza del banco.

La biondina fissò assorta per un secondo quella mano molto più bronzea della sua e si decise a stringerla nonostante la fragilità della sua mano facesse somigliare quella stretta ad un soffio.

Quando Lucretia ebbe quella manina fredda nella sua si meravigliò di quanto le ossa delle nocche sporgessero, di quanto quelle dita candide fossero fragili e, senza pensarci due volte, lasciò la merendina sul banco e attorniò la mano di Essence, strofinando per riscaldarla.

_ Come sei fredda! _.

_ Lo so, mio fratello dice che sono un vampiro _, ridacchiò la bambina pallida beandosi di quel contatto caldo.

_ Ma non lo sei, giusto? _, chiese con circospezione la morettina fermandosi di colpo, pensando seriamente di aver scoperto la vera natura della sua nuova amica.

_ No...o almeno, non credo _.

_ Bevi il sangue? _, chiese Lucretia impassibile senza però lasciarle la mano.

_ No! _, pigolò Essence, disgustata dal pensiero di bere quel liquido rosso che le prelevavano e le immettevano continuamente nelle vene ogni qual volta si recava all'ospedale.

_ Ah, bene...beh, mi rendo conto di averti fatto una domanda stupida, se tu bevessi il sangue lo avresti portato per merenda e...a proposito, perchè non stai mangiando niente? _, le domandò Lucretia sentendosi tanto come il Detective Conan.

_ Oh, l'ho dimenticata a casa...comunque non la mia merenda non era sangue! _, ribatté scocciata la bambina bionda mettendo il broncio.

_ Ok, ok! Ti credo, non sei un vampiro...vuoi la mia merendina? A me non va più! _, disse la morettina lasciando momentaneamente la mano infreddolita per agguantare la merendina che aveva appoggiato sul banco e tornare, poi, a porgerla alla biondina.

_ Sì, grazie! _, esultò Essence afferrando la merendina senza badare troppo al fatto che vi mancasse qualche morsetto.

Le due bambine parlarono, risero e scherzarono per tutta la ricreazione ed entrambe sentirono che quello avrebbe potuto essere l'inizio di un'ottima amicizia, non che ne sapessero chissà cosa, fra tutte e due era impossibile decidere chi fosse più esclusa. L'unica differenza stava solamente nei motivi che le inducevano all'isolamento: mentre Essence era vogliosa ma impossibilitata a farsi degli amici, Lucretia era troppo distaccata dal mondo per desiderare compagnia. Tuttavia, con Essence era diverso, non ne comprendeva il motivo, sapeva solo che le era piaciuto parlare con lei ed averla accanto.

Quando suonò l'ultima campanella della giornata, si lasciarono con un abbraccio impacciato e la timida promessa di passare insieme la ricreazione del giorno successivo.

Purtroppo, il giorno dopo Essence non venne a scuola, nemmeno il giorno seguente e neanche il giorno dopo ancora e così Lucretia rimase sola per due settimane, affrontando tutta sola gli altri bambini.

Due settimane dopo, Essence tornò a scuola più smunta di prima e cupa come non mai. Aveva passato un brutto periodo e si era sentita così male da non riuscire a sorreggersi sulle proprie gambe. Adesso, comunque, si sentiva molto meglio, ma dubitava del fatto che la bambina dai capelli neri -della quale serbava un ricordo speciale che sarebbe rimasto marchiato a vita nel suo cuore- le avrebbe parlato nuovamente. Magari si era offesa per la sua assenza prolungata ed aveva pensato che lei stesse cercando di evitarla, pensò Essence una volta entrata nella palestra scolastica.

La bambina bionda si sedette su una delle panchine situate in un angolo della palestra, quello più lontano dalle spalliere e dai palloni, e osservò da lontano gli altri bambini prendere i palloni ed iniziare a giocare chi a palla a volo, chi a calcio, chi a pallacanestro.

Solo una bambina era rimasta isolata dal gruppo e, appena il maestro di ginnastica uscì dalla palestra per sbrigare alcune commissioni, gli altri bambini la circondarono costringendola in un angolo.

Essence ricordava bene la sensazione che si provava a stare nell'esatto centro di quel vortice di sofferenza: la solitudine che si univa al disprezzo, le parole crudeli che sembravano intrecciarsi alle risate sadiche, le quali riecheggiavano nella testa e costringevano a chiudere gli occhi lucidi di lacrime e tapparsi le orecchie con le mani, sperando che quell'inferno finisse il più in fretta possibile.

Lei aveva dovuto affrontare tutto questo da sola ed in futuro la sua autostima ne avrebbe sicuramente risentito, ma forse se avesse avuto qualcuno accanto per lenirle il dolore -chi sa- magari non sarebbe stato così terribile, magari gli altri si sarebbero resi conto che non era più da sola e...magari avrebbero smesso.

In quel momento, un gemito acuto di dolore spezzò l'aria e fu quello a far scattare qualcosa nel cuore di Essence.

Qualcosa che donò al suo corpo la forza di accantonare la malattia che lo soggiogava.

Qualcosa che la fece sentire come mai si era sentita prima di quell'istante.

Qualcosa che la fece correre per la prima volta.

Qualcosa che la fece gridare.

Quella cosa che fece voltare tutti i suoi compagni di classe che, intimiditi, aprirono un varco nel semicerchio che avevano creato attorno a Lucretia, seduta a terra, che fissava allibita la scena con gli occhi gonfi a causa delle tante lacrime versate.

Una piccola, fragile bambina passò spavaldamente in mezzo al corridoio formato da bambini robusti che la superavano in altezza e forza, permettendosi perfino di fulminare tutti con occhiatacce di rimprovero, si inginocchiò accanto alla sua nuova amica e le prese la mano, aprendo così i cancelli di un mondo magico, fatto a posta per loro, dove non esistevano né malattie, né umiliazioni. Nel loro mondo perfetto, l'unica cosa che aveva senso erano i loro sguardi complici e le loro mani intrecciate.”

 

Appena ebbi letto l'ultima parola, una lacrima scivolò silenziosa lungo la mia guancia e, percorrendomi il mento, si depositò sotto ad esso, cadendo finalmente sulla mia maglietta grigia ed espandendosi lentamente come una macchia d'inchiostro su un foglio di carta.

_ Allora? Cosa ne pensi? _.

La sua voce flebile mi risvegliò da quei dolci ricordi infantili e mi riportò alla dura realtà.

Essence, la mia migliore amica, mia sorella, una parte di me, se ne stava andando.

La vita le scivolava lentamente ed inesorabilmente via dalle mani, penetrava gli sterili muri dello squallido ospedale di provincia nel quale era ricoverata e si dissolveva nel cielo perennemente grigio di quella città che ci aveva mostrato solo il suo lato più crudele.

Abbassai il foglio scritto in bella calligrafia che tenevo davanti al volto ed incontrai quegli occhi azzurri immensi che mi avevano donato tutta la felicità di cui erano capaci e quel viso scavato che non voleva abbandonare la consueta solarità.

Era sdraiata sul lettino dell'ospedale, la testa ormai calva sorretta da molti cuscini bianchi sembrava scomparire inghiottita dalle pieghe di essi, così come il corpo stremato dal mostro che lo rodeva dall'interno, del quale si faticava ad indovinare la presenza sotto alle coltri ospedaliere.

_ Sembra una fiaba nera, eppure è stata la realtà...mi piace _, sorrisi amaramente mentre l'elettrocardiogramma scandiva i secondi con degli acuti bip che si susseguivano ad intervalli talmente regolari da causarmi delle forti emicranee e la sensazione che quell'irritante suono non mi abbandonasse nemmeno fuori dall'ospedale.

_ Sono felice che ti piaccia, ma, diciamocelo, tu sei molto più brava con le parole e lo sei sempre stata, ricordi?_, chiese puntando lo sguardo sul suo braccio destro, trafitto dalle varie flebo.

_ Quanto tempo è passato? _, domandai a mia volta appoggiandomi al rigido schienale della sedia sulla quale ero seduta e posando il foglio sul comodino invaso da decine di flaconi di penicillina ed antidolorifici, tra i quali spiccava un grande vaso arancione -l'unico punto luce di quella camera incolore- contenente un fresco mazzo di anemoni dai petali bianchi che sfumavano verso l'azzurro.

Essence andava pazza per gli anemoni, diceva che un po' le somigliavano, in fin dei conti, mi aveva confessato in più occasioni di sentirsi come se la sua vita ruotasse intorno all'attesa della morte ed alla paura di non potersi congedare degnamente dalle persone a lei care.

Talvolta, sembrava non accorgersi di quanto mi ferissero le sue parole di rassegnazione che ero comunque costretta ad ascoltare, cercando di scacciare prepotentemente l'idea malsana di darle ragione , di lasciare ogni speranza e passare ogni singolo giorno in quell'ospedale a piangere, abbandonando tutto il resto: scuola, famiglia e progetti futuri, distruggendo definitivamente gli ultimi brandelli di vita che erano rimasti in me. La verità, era che, a volte, mi considerava così forte da credermi invulnerabile, finendo inevitabilmente per non comprendere le torture alle quali mi sottoponevo ogni giorno solo per vederla felice, a partire dal fatto che, nonostante l'odio che nutrivo verso gli anemoni, gliene comprassi ogni giorno solo per la gioia di vederla illuminarsi e sostituire il mazzo del giorno precedente con quello appena ricevuto sussurrando “i miei preferiti...”.

No, Essence non avrebbe mai compreso il mio dolore che, se paragonato al suo, arrivava prefino a sfiorare il ridicolo, ma che riusciva comunque a strappare alla mia anima gemiti acuti di dolore. Questo perchè non ero forte come lei e non lo ero mai stata, tuttavia non riuscivo ad uscire da questo vortice di masochismo psicologico perchè ero accecata dall'amore e drogata dai suoi sorrisi, ma rimanevo una vigliacca che celava i tormenti dietro ad una maschera di sorrisi e belle -ma vuote- parole.

Essence chiuse gli occhi ed un'espressione beata comparve sul suo viso, rasserenandolo notevolmente.

_ Domani saranno dieci anni. Sono passati nove anni e trecentosessantaquattro giorni dalla quella mattina in cui corsi verso di te..._, aprì cautamente gli occhi e mi fece cenno di darle la mano.

Mi avvicinai ubbidientemente al suo lettino con la sedia e depositai sofficemente la mia mano nella sua, appoggiandomi con il mento al bordo del letto affinché Essence potesse accarezzarmi i capelli.

_...da quel giorno non ci siamo più lasciate _, conclusi io al suo posto, deliziandomi delle sue dita tra i miei capelli lunghi e scuri.

Come avrei potuto vivere senza quelle mani?

Come avrebbe potuto un drogato vivere senza la sua dose?

Chiusi gli occhi ed ascoltai Essence ridacchiare sommessamente mentre continuava ad accarezzarmi.

_ Hai dei capelli bellissimi, non li tagliare mai..._.

_ Se è quello che vuoi, allora non lo farò _.

Rimanemmo in quella posizione, immerse in un silenzio che diceva più di mille parole, finché un'infermiera irruppe nella spoglia stanza d'ospedale per avvertirmi che l'orario delle visite era terminato.

Sospirai rumorosamente, infastidita dalla poca delicatezza dell'infermiera e mi alzai di malavoglia dalla sedia, sciogliendo la nostra posizione accoccolata.

Sotto lo sguardo stranamente vigile di Essence, indossai sciarpa e cappotto, raccolsi la borsa e presi dal comodino il foglio con su scritta la fiaba nera.

_ Perchè mi fissi? _, le chiesi affettuosamente abbassandomi per lasciarle un bacio sulla guancia.

_ Diventi ogni giorno più bella _, mi disse a pochi centimetri dal mio viso, _non sei più la bambina mingherlina della mia fiaba, sei la bella ragazza dei miei sogni _, sussurrò baciandomi la fronte e stringendomi in un debole abbraccio.

Le sue parole mi lasciarono di stucco e, dato che non seppi cosa dire, mi limitai a stringerla facendo attenzione a non ferire quel corpicino da canarino che sembrava volersi sgretolare sotto i miei tocchi, perfettamente ignara che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrei potuta abbracciare.

Se solo avessi saputo che, il giorno dopo, a quell'ora, lei sarebbe stata dichiarata ufficialmente morta.

Se solo ci fosse stato un modo per evitarmi il profondo dolore di arrivare trafelata all'ospedale con il solito mazzo di anemoni tra le mani e scoprirla in fin di vita in sala operatoria, forse sarei riuscita a risparmiarmi l'orrore di vedere concretizzarsi le paure che condividevamo, ma dire che la paura era l'unica emozione che condividevamo era un eufemismo. Eravamo arrivate ad un punto in cui vivevamo praticamente in simbiosi ed io le permettevo, senza obbiettare, di usufruire della mia linfa vitale, finendo per prosciugarmi sia interiormente che esteriormente, ritrovandomi ad essere un burattino attraverso il quale lei poteva tornare a vivere.

Ma adesso la mia burattinaia stava morendo, e cos'è un burattino senza il suo burattinaio? Legna da ardere.

Durante quell'infinito arco di tempo che passai seduta insieme ad i genitori di Essence nella sala d'attesa dell'ospedale, mi aggrappai ad ogni ricordo, ad ogni promessa che ci eravamo fatte, sperando di trovare certezza e conforto in qualcosa, ma, improvvisamente, sentii una fitta lancinante, un colpo di mannaia mia aveva colpita tagliando i fili da marionetta che mi legavano ad Essence.

Pochi secondi dopo, un medico entrò in sala d'attesa comunicandoci ciò che già sapevo.

La mia unica fonte di luce mi aveva abbandonata, lasciandomi inerme di fronte all'oscurità che albergava nel mio cuore da troppo tempo, come il fiume nel quale, quella notte, tornando a casa, gettai il mazzo di anemoni.

Possibile che non mi fossi mai accorta di quanto fosse vuoto mio cuore?

Per anni avevo imparato a costruire la mia vita intorno a lei, mattone dopo mattone avevo innalzato pareti macchiate di sangue intorno alla sua esistenza e, adesso che lei se n'era andata, dentro alle pareti c'era il nulla.

Le delicate corolle azzurre sparirono sotto il nero specchio d'acqua, privo di ogni qualsivoglia luce e impossibilitato a riflettere luminosità in quella notte senza luna e senza stelle.

Mi avvicinai ulteriormente alla riva ed estrassi dalla borsa il foglio scritto a mano che mi aveva consegnato Essence il giorno prima. Premetti le labbra contro il centro esatto del foglio e gettai anch'esso nel fiume, mimando con le labbra un leggero “ci vediamo dopo”.

Un burattino che è stato troppo tempo sotto il giogo del suo -dolce- burattinaio, una volta liberato, non sa far altro che seguire istruzioni e permettere alla sua ragione di vita di impartirgliele, o meglio, permettere al suo burattinaio di vivere attraverso lui, ma se esso viene a mancare improvvisamente, come può fare la povera, disgraziata marionetta che non ha mai imparato a destreggiarsi da sola tra le insidie della vita?

Beh, può tentare con ogni mezzo disponibile di ricongiungersi al suo burattinaio, pensai inginocchiandomi sul bordo della riva e fissando morbosamente l'acqua torbida nella quale, a causa dell'oscurità, non riuscivo a specchiarmi.

Sai, Essence, ti ho mentito ieri quando ti ho detto che il tuo racconto mi piaceva. In realtà mi ha solo arrecato ulteriori sofferenze, ecco perchè mi è scesa una lacrima.

Era una lacrima di sangue, non di commozione.

Una lacrima per non essere riuscita a riconoscermi nella bambina che ero una volta, per essermi resa conto di non avere più un carattere, per essermi resa conto che, da quando ci siamo conosciute, tu non hai fatto che soggiogarmi morbosamente giorno per giorno, in modo che dipendessi in tutto e per tutto da te.

Sapevi che saresti morta, ma non potevi sopportare l'idea di rimanere di nuovo sola, volevi qualcuno disposto a morire per passare il tempo con te. La cosa assurda è che ce l'hai fatta, Essence. Io non posso più vivere senza di te.

Congratulazioni per esserti dimostrata più scaltra di ciò che sembravi...o forse sono io che ho sempre cercato di ignorare questo tuo lato sadicamente furbo.

Non me ne sorprenderei, ho ignorato molte cose negli ultimi dieci anni della mia vita, ma adesso, mi resta un'ultima curiosità, una di quelle cose che condividevamo.

Una sola domanda.

 

Cos'è la morte?, si chiese Lucretia prima di abbandonarsi.


 
 

 

   
 
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