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Autore: jas_    26/05/2011    4 recensioni
If the heart is always searching, can you ever find a home?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Saaalvee *o*
Non aggiorno da un pezzo ma sono impegnata con un'altra fan fiction che però vorrei concludere prima di pubblicare.
Continuate a recensire che mi riempite il cuore di gioria *-*
Questo capitolo è un po' corto ma è di.. "transizione" a quella che sarà la pre-fine della fan fiction, infatti prevedo di finire in due o tre capitoli più l'epilogo.
Spero che vi piaccia, Jas ♥


Ronnie;
«Ti prego fermiamoci» lo pregai per l’ennesima volta, «Non mi sento più le gambe per quanto ho camminato mentre il naso mi si è ibernato.»
Erano ore che stavamo gironzolando per Dallas, Nicholas mi stava mostrando tutti i posti che frequentava quando viveva qua e, per quanto fosse interessante, non ce la facevo più. Dovevo sedermi in un posto al caldo per riprendermi.
«Non fa così tanto freddo dai.»
Mi fermai di scatto, Nick si girò.
«Stai parlando con una ragazza che non si è mossa dalla California, che d’inverno va in giro con la canottiera. Questo per me è il Polo Nord» osservai.
Nicholas si avvicinò a me baciandomi il naso per poi appoggiare la sua fronte alla mia, «Non è poi così congelato come dicevi» mi sussurrò.
Se non mi avesse tenuta per i fianchi sarei caduta per terra. L’effetto che mi faceva averlo vicino era sempre come la prima volta che lo vidi. 
Dopo mesi che, tra alti e bassi, stavamo insieme, i miei sentimenti per lui non erano cambiati anche se forse non glielo avevo sempre dimostrato nel migliore dei modi.
«Andiamo a prenderci una cioccolata? Dietro l’angolo c’è lo Starbucks migliore del mondo» disse trascinandomi per un braccio, come aveva fatto per tutto il giorno.
«Ma Starbucks è una catena. È uguale ovunque» osservai.
«Ma non qui.»
Non feci tempo a ribattere che entrammo nel locale. Mi sembrò di essere in paradiso. Aria condizionata che mi accarezzava la pelle congelata e meravigliosi divanetti che avevano l’aria di essere comodi. Non vedevo l’ora di testarli.
Il locale non era molto affollato, erano occupati giusto cinque o sei tavoli e dietro al bancone c’era un uomo, sulla sessantina, al quale gli si stampò un sorriso in faccia appena vide Nicholas.
«Jonas!» esclamò felice, «Qual buon vento?» chiese.
«Sono venuto per le vacanze di Natale e non potevo andarmene via senza passare da te.»
L’uomo, evidentemente contento della sua affermazione, ordinò qualcosa ad un ragazzo che lavorava lì per poi notarmi.
«E lei? Vuoi farle assaggiare anche a lei la miglior cioccolata del mondo?»
Nicholas sorrise divertito, poco modesto il tizio.
«Ecco.. Sì. È la mia ragazza.»
Sorrisi imbarazzata, sembrava mi stesse facendo la radiografia.
«Trattamelo bene» mi disse prima di invitarci, con un gesto della mano, a sederci.
«Simpatico il tipo» osservai dopo alcuni minuti di silenzio. Nicholas, assorto nei suoi pensieri, si voltò a guardarmi alcuni secondi dopo.
Capivo come si sentiva, tornare nel posto in cui sei cresciuto è come immergersi in un album di foto. Qualunque posto, persona, o anche situazione, ti fa pensare al passato, e anche se al momento si sta bene, ti resta sempre la malinconia di quella che prima era la tua vita.
Indipendentemente che questa sia cambiata in meglio o in peggio.
Gli presi la mano e gliela accarezzai, «Sai, Fred è stato l’unico che abbia mai capito come mi sentissi» cominciò. 
Non capivo a cosa si stesse riferendo, ma restai ad ascoltarlo.
«Quando scoprii di avere il diabete, nonostante avessi tutta la mia famiglia vicina, era come essere solo. Potevano dire di capirmi, ma non lo facevano veramente. Non potevano capire cosa volesse dire vivere con l’ansia di aver mangiato qualcosa che non potevi, e allora dovevi subito bucarti con una siringa la pancia. Non potevano nemmeno capire l’imbarazzo che provavo quando uscivo con qualcuno e dovevo tenere costantemente controllato il livello degli zuccheri nel sangue. Quando mi sentivo giù, venivo sempre qua, ed ho conosciuto Fred. Parlandoci, ho scoperto che anche lui aveva il diabete e da allora ho trovato qualcuno con cui potevo parlare ed essere consapevole del fatto che capisse tutto ciò che gli dicevo. Che le cose che io provavo, lui le aveva già provate sulla sua pelle.»
«Nicholas.. Io..» sussurrai. Non sapevo che dire. 
Ero a conoscenza della sua malattia ma non pensavo che ci stesse così male. Non me ne aveva mai parlato, sapevo solo che doveva stare attento a ciò che mangiava eccetera, ma a quanto pare non lo conoscevo abbastanza. O forse era un ottimo attore.
«Stai tranquilla» mi disse con un sorriso incerto, «Questo accadde alcuni mesi dopo che scoprii di essere malato, ero stordito, meravigliato, arrabbiato, preoccupato. Ora ho imparato a conviverci, e anche se è una noia dovere essere attento a tutte queste cose, fa parte di me. Non posso farci nulla. Ora sto bene con me stesso.»
Ora ad essere stordita ero io. Non mi aveva mai detto queste cose, e mi sentivo una stupida per non averle capite da sola.
«Se hai bisogno di qualunque cosa..» esordii per poi lasciare la frase in sospeso. Poi cosa? L’avrei guarito magicamente? Ero come tutti i suoi parenti, non potevo capire. Potevo provarci, far finta di farlo, ma non lo avrei mai fatto.
Nicholas fece per rispondermi ma restò con lo sguardo fisso alle mie spalle. Sembrava incredulo a ciò che stava vedendo. Mi girai curiosa, non c’era niente di che. Niente di “anormale”.
Gli sventolai una mano davanti agli occhi prima che si disincantasse, «Tutto a posto?» chiesi leggermente preoccupata.
Nicholas annuì, anche se evidentemente scosso.
«Non è che possiamo andarcene?»
Lo guardai per alcuni secondi, era evidentemente a disagio.
«Certo, ma dimmi che c’è.»
«Non c’è niente, voglio solo andare a casa Ronnie. Sono stanco.»
Non me la dava a bere. Non questa volta.
Aveva passato questi mesi a mentirmi, o come diceva lui a “omettere” certi particolari. In qualunque caso ero sempre l’ultima a sapere le cose, e casualmente mai da lui ma da altri e mi ero rotta di essere la scema del villaggio.
La sua ragazza ero io e le cose dovevo venire a saperle da lui.
«Smettila di essere così riservato! Ti ricordo che in un rapporto di coppia siamo in due e se c’è qualcosa che non va se ne parla. Non si fa i finti tonti, non si mente, non si inventano bugie stratosferiche. Non si fa niente, si dice soltanto la verità. Ne si parla.»
«E se non fossi pronto a parlarne?»
«Allora non sei pronto ad avere una ragazza» dissi cupa in viso, per poi prendere la borsa ed uscire sbattendo la porta.
Ero stufa.
   
 
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