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Autore: Blake Hatsune    26/05/2011    2 recensioni
Fan Fiction ispirata a "Gekkou to Kuro", letteralmente "La luce lunare e il nero". La trama della storia è incentrata su un'unica morale: l'amore reca più dolore del disprezzo, rende il cuore vulnerabile alla sofferenza... spero vi piaccia, è la mia prima fan fiction.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaito Shion
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' notte.
Sparuti raggi di luna coloravano di candido l'erba scintillante di rugiada, gli aghi degli imponenti pini che costeggiavano il sentiero con la loro mole, come gigantesche guardie poste a nascondere, nelle viscere del bosco, qualcosa di mostruoso, qualcosa di orribile.
Una bambina camminava lungo il sentiero, cercando tra il folto dell'erba i fiori del colore più vivace. Aveva il capo coperto da un cappuccio scuro, in tinta con il cielo notturno.
Camminava, ignorando con facilità i richiami della paura, che sussurravano nel vento, nella corteccia dei pini, nell'erba, nel buio.
La bambina sapeva che i fiori più belli erano dentro il bosco, e non in quel sentiero a cielo scoperto.
Così, si voltò a destra, tra gli alberi alti... i pini sembravano darle un oscuro presagio, un avvertimento, che lei però non riuscì a cogliere.
Trotterellando allegra, si addentrò tra i pini scuri. La luce della luna si fece più flebile, accarezzando con più delicatezza il paesaggio della foresta.
Continuò a cercare in lungo e in largo i fiori che desiderava. Gli unici suoni che riusciva a sentire erano il fruscio insistente dei pini, il vociare del vento che faceva ondeggiare gli aghi verdi, e il morbido calpestio dell'erba sotto i suoi piedi.
Dopo vari passi, il suo sguardo frenetico si posò su un piccolo spiazzo circolare, esposto, nella semioscurità circostante, alla più intensa luce lunare. Gli steli d'erba lì erano così che chiari che sembravano bagnati nel latte.
Estasiata da quella vista, la bambina aprì le labbra in una muta esclamazione di sorpresa: immersi nella luce lunare sbocciavano candidi e teneri fiori, con il sottile gambo sinuoso che esplodeva in una fila di petali bianchi formati a goccia.
La bambina si affrettò a inginocchiarsi sui fiori. Tirò delicatamente un gambo verso di sé, finché quello non si strappò con un debole schiocco. Era così delicato...
Un grugnito famelico strisciò fra i pini fino a raggiungere le orecchie della bambina. Lei sussultò, con il fiore in mano, e alzò lo sguardo dritto davanti a sé.
I suoi occhi incontrarono quelli color notte di una creatura grande almeno il doppio di lei. Dalla morbida peluria blu, scura, ingrossata dal vento, stridevano in contrasto due chiostre di denti affilati. La creatura si reggeva su due zampe, come un uomo, ma la postura era diversa: rachitico, racchiuso nel suo corpo. Il suo sguardo era di curiosità mista a sospetto.
La bambina, per nulla spaventata, gli sorrise.
«Ciao!» disse.

Un bellissimo uomo. Una bellissima donna. Ridevano. Spensierati. La donna aveva il ventre rigonfio, l'uomo le sorrideva. Aspettavano con ansia il giorno in cui sarebbe nato il bambino. Sotto le ali protettive del loro amore, sarebbe cresciuto perfettamente, sarebbe diventato perfetto. Perfetto. Promisero a se stessi di rimanere fedeli al figlio, qualunque cosa avrebbe deciso di diventare. Ne sarebbero stati sempre orgogliosi, e non lo avrebbero mai abbandonato. Parole felici.
Parole superficiali.
Luna Nera, Luna Nuova, nascosta in alto nel cielo, incombente tra le nuvole scure, osservò il ventre gonfio della donna. Profondamente disgustata dall'amore materiale dei due, la Luna Nera decise di dimostrare che la promessa non era all'altezza dei loro cuori superficiali.
Così, con l'odio trasudante negli occhi e un sorriso macabro dipinto in viso, lanciò loro una maledizione.
Dall'unione perfetta di un uomo e la sua donna, nacque un essere mostruoso, un neonato con il pelo azzurro, un lupo mannaro.
La donna si suicidò per il trauma del parto, l'uomo impazzì, la Luna sorrise. Quegli uomini superficiali non erano stati capaci di reggere l'orrore di un figlio innaturale. Venne abbandonato nella foresta, come un reietto.
Ma gli umani si sarebbero presto pentiti di quella scelta...
Infatti, il cucciolo di lupo crebbe, cibandosi prima di uccellini e scoiattoli del bosco, poi di umani. La sua tana era nei pressi del sentiero che univa il villaggio alla miniera d'oro, sempre affollato, per cui aveva sempre lo stomaco pieno.
Gli umani, testardi e ambiziosi, erano pronti ad affrontarlo piuttosto che rinunciare al loro preziosissimo oro. A volte venivano in gruppi sperando di ucciderlo, a volte venivano soli, sperando di non essere visti.
Nessuno era mai sopravvissuto.
Il mannaro gioiva, nel lacerare carni, strappare pelli,sentire il calore liquido e grondante del sangue sui suoi artigli neri. Gli piaceva uccidere, era il suo talento, il dono oscuro della Luna Nera. Sotto il sorriso perverso di essa, squartava, mordeva, strappava via quanta più carne poteva, finché il cadavere aveva ancora sangue e muscoli in corpo. Con estrema soddisfazione percepiva la vita lasciare le membra di chi gli urlava contro.

«Mostro!» era l'unica cosa che riuscivano ad articolare, prima di morire.
Quella parola... faceva scattare in lui l'odio, la gioia di massacrare, uccidere... la sua ira veniva alimentata dalla stupida paura negli sguardi delle sue vittime.
Quando i suoi sensi non erano eccitati, avrebbe provato disgusto nell'uccidere. Ma tutto quell'odio, quel terrore nei suoi confronti... lo facevano sentire un errore, uno sbaglio, un
mostro, e in lui scattava l'istinto omicida.

La luce bianca, pura, di una luna piena, cospargeva di chiaro il minuscolo corpicino di una bambina, innocente, sorridente, tranquilla... Nella calma e nel silenzio assoluto del bosco, il suo sguardo era fermo, leggero, verde con gli aghi dei pini suoi padri.
«Ciao!» disse la bambina, avvicinandosi a lui. La luce lunare scorse lungo il suo esile corpo, accompagnandola nei movimenti, finché la bambina fu a un passo da lui.
Il lupo si raddrizzò, senza capire.

«Non ti spaventa il mio aspetto?»
«No...» rispose lei, con una vocina dolce e flebile, come il vento che sferzava il manto blu del mannaro.
Lui, allibito, non avvertì nessun desiderio di sangue. Si stava chiedendo come mai, quando la bambina allungò verso di lui la piccola mano che stringeva il fiore.

«Tieni, è per te.» disse la bambina, rivolgendogli un sorriso di miele.
Il mannaro allungò lentamente, anche lui, la mano felpata, e per un istante le dita dei due si toccarono.
Lui non aveva mai toccato qualcuno con tanta delicatezza. Calore salì al viso, vertigine gli scombussolò le membra, lo stomaco si sciolse e il cuore prese a battergli furiosamente nell'ampio petto.
Osservò meravigliato il fiore bianco stretto sui suoi artigli... era così bianco.

Bianco. Il riposo, il silenzio dell'assassino stanco.

Iniziarono a vedersi ogni giorno, il lupo e la bambina. Quando lei se ne andava, il vento del bosco sembrava farsi più freddo e ostile e qualcosa gli schiacciava il petto come un macigno: il mannaro non aveva mai provato solitudine.
«Non preoccuparti, ritornerò! Non ti abbandonerei mai.» diceva lei.
Quando tornava, la bambina aveva sempre dei fiori per lui...
Il lupo era più felice che mai. Si chiese come aveva fatto per tutto quel tempo a vivere senza di lei.
In quel periodo non era riuscito ad uccidere o mangiare nessun uomo: aveva paura di poter uccidere senza saperlo il padre della bambina.
Si ridusse a mangiare, come quando era un cucciolo, scoiattoli e uccellini, che però non riuscivano a soddisfarlo del tutto.
Tuttavia, era felice...
Ma alla Luna Nera non piaceva la sua felicità. Provava disgusto verso quella bambina, verso quelle emozioni calde che correvano sulla pelle del lupo suo figlio... così intervenne, come già fatto, per distruggere.

Passeggiavano nel bosco, strusciando con la mano, entrambi, gli aghi freschi e docili, morbidi e appuntiti dei pini. Al mannaro piaceva accarezzare i pini. Si voltò verso la bambina, che gli sorrise.
Una gentile brezza trasportò l'odore denso della resina, il silenzio della notte. Da uno squarcio in alto, tra le vette degli alberi, vide che il cielo era scuro, la luna nera... e sorrideva, con due occhi bui, enormi, con lo sguardo folle, con le labbra piegate in un gesto insano. Sorrideva, maniaca, perversa, assassina.
Il lupo si fermò all'improvviso, con una mano immersa nel folto del petto. La bambina, fermatasi anch'ella, si voltò incuriosita...

Fame.
Il lupo mannaro aveva fame. Non una fame qualsiasi, non di cibo. Fame di carne, di sangue, di morte. I suoi occhi dilatati fissavano famelici quelli spaventati della bambina.
La luna sorrideva.

No!
Gli artigli tremarono, incerti, verso le carni della piccola. Una parte di lui voleva assaggiare il suo corpo, una parte la amava. Un ronzio assordante fermava la sua mano tremante e gelida dall'omicidio.
«Vattene!» urlò il lupo.
«No!» strillò la bambina, in lacrime, immobile, i piedi puntati a terra.
Non ti abbandonerei mai...”
Il cuore del lupo sussultò e lui ruggì, un ruggito stridente, intenso, che si ripercosse nei tremiti del vento, negli steli docili dell'erba, nella rugiada, nell'atmosfera di pace impossibile.
Le mani strette nelle tempie, il lupo tremava, ululando, combattuto dalla struggente disperazione che gli annientava il cuore, le interiora, tutto sfrigolava di dolore, che esplose in lacrime, in urla, nel silenzio arreso della notte.
Guardò la bambina, per l'ultima volta, terrorizzata. Il volto candido orlato di lacrime richiamò alla mente tanti ricordi dolci e dolorosi. Guaì, negli occhi la Luna Nera, nel sangue gli spasmi violenti e omicidi, alzò gli artigli verso quel corpo immacolato, piccolo, esile, innocente come gli aghi dei pini, che piansero con lui, per lui, nel vento, nella rugiada, nelle stelle, nelle cortecce, nel viso sottile di una bambina indifesa...

Addio.

E' notte.

La lieve luce delle stelle incupiva di ombre i tronchi, inumidiva di nero la rugiada dell'erba, come lacrime di disperazione, poste a ricordare, nel bosco, qualcuno di straordinario, qualcuno di magnifico.
Una bambina camminava tra i pini, che sussurravano parole di commiato e compassione.
Aveva il volto scuro, senza espressione, privato dell'innocenza, mutato, maturato in fretta.
Continuò a camminare in lungo e in largo finché, dopo vari passi, il suo sguardo triste si posò su un piccolo spiazzo circolare esposto, nella semioscurità circostante, al buio appena chiaro delle stelle.
Colpita al cuore da quella vista, la bambina scoppiò a piangere singhiozzando senza tregua: immersa nel nero, dalla terra smossa di una tomba si innalzava una solidale croce di pietra bianca.
La bambina cadde in ginocchio, senza smettere di piangere. Con mani bianche e delicate donò il mazzo di fiori che aveva in mano alla tomba.
Lui, il mostro che tutti disprezzavano, si era ucciso per non ucciderla. Per non spargere il sangue di chi amava, sparse il proprio.
Tanti uomini, chi più valoroso chi più vigliacco, cercarono di ucciderlo con l'odio. Una bambina, senza volerlo affatto, lo uccise con l'amore...
Gli aghi dei pini sussurrarono addii, il prato, ondeggiando con il vento, fece le sue condoglianze, gli alberi accarezzarono con gli aghi la spalla della giovane, in gesto di solidarietà.
Il paesaggio del bosco, l'odore dell'erba e della terra bagnata, la mole robusta dei pini, le lacrime della bambina, cadevano inermi, al suolo, sottomesse e costrette a terra dalla congiura dell'inquietante Luna Nera. La Luna Nera sorrise.

  
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