«
Sei ancora
tra noi? » la voce di Pam mi ridestò dalle nuvole
che aleggiavano allegre e
felici intorno ai miei pensieri.
Annuii
forse
un po’ troppo velocemente e presi a scrivere una lista di
punti da seguire per
la stesura del saggio. Non riuscivo proprio a concentrarmi.
«
No, non ci
sei. » Da quando era così irritante?
«
Senti, ok,
non ci sono, ma smettila. » urtata, mi alzai di scatto e
andai dritta verso la
mia stanza, sbattendo la porta una volta che ebbi varcato la soglia,
facendo sì
che lo scatto della chiave segnasse una chiara e netta separazione.
Non
sapevo
esattamente per quale motivo mi avesse dato tanto fastidio. Forse il
fatto di
non essere pienamente cosciente di quello che avevo per la mente, la
voglia nulla
di rispondere a qualunque domanda e la mia mancata capacità
di riconoscermi nei
comportamenti che avevo avuto negli ultimi giorni. Non ero io,
semplicemente.
Li
sentivo
bisbigliare dall’altra stanza, preoccupati dalla mia
reazione, fino a quando
non sentii una delle sedie strisciare contro il pavimento e alcuni
passi che si
avvicinavano nella mia direzione. Seguiti da un rumore di nocche che
battevano
sul legno della mia porta.
«
Vai via »
dissi secca, senza neanche sapere chi fosse di loro.
«
Apri. » era
Pete. Era il tono categorico di Pete, per l’esattezza. Quello
che non ammetteva
repliche, a meno che tu non volessi litigare e non parlargli mai
più.
Mi
alzai
lentamente, avviandomi verso la porta e feci scattare la serratura, e,
senza
aprire la porta, tornai a sedermi sul letto. Pete la aprì
piano, qualche
secondo dopo, per poi sporgere la testa e fare capolino nella mia,
disordinata,
stanza.
«
Posso? »
chiese con voce bassa. Lo guardai malissimo; gli avevo aperto la porta,
cosa
voleva dire secondo lui? Entrò e si sedette di fronte a me
ai piedi del letto.
«
Che ti
prende? » disse. Io sbuffai. Sempre quella domanda. Sempre la
stessa da giorni.
«
Non mi
prende niente. » Stavolta fu lui a sbuffare. Si
avvicinò leggermente per
poggiare la sua mano sulla mia.
«
Gabi. Per
favore. » era preoccupato. Non era da me fare
così. « Vieni qui dai. »
A
quelle
parole fui io ad avvicinarmi ed abbracciarlo con tutta la forza che
avevo
dentro. Lo adoravo, così per com’era.
«
Ti piace? »
sussurrò « Dominic intendo. »
«
No. »
risposi, monosillabica.
«
Ne sei
sicura? » chiese ancora, con voce calma. Sapeva che quel
discorso non mi
piaceva e non voleva farmi arrabbiare.
«
N-Sì. »
risposi istintivamente. E mi morsi la lingua per quello che, forse,
stava per
uscir fuori dalle mie labbra.
Pete
scoppiò
a ridere di scatto, rideva di gusto.
«
Quando
imparerai ad essere decisa tu? » mi diede uno schiaffetto
sulla guancia « Gabi,
non c’è niente di male se ti piace. Lo sai vero?
»
Non
era vero.
C’era molto di male. Eravamo amici, prima di tutto il resto.
Mai innamorarsi di
un amico. Tanto meno di Dominic, che passava le sue giornate a
prendermi in
giro. E poi, non ci vedevamo mai. Lui studiava lontano, e i nostri
incontri si
limitavano a quelle quattro o cinque occasioni in cui la vecchia classe
si
riuniva. E per nostra disgrazia, la meravigliosa
idea di Rebecca Danwoody di organizzare una specie di ballo a
Marzo per chi
si era appena diplomato, oltre alla consueta festa per gli ex alunni
per chi
aveva lasciato il liceo da più di quindici anni.
Un’occasione per non perdersi,
dice lei. E se io avessi voglia di perderti di vista?
Scossi
la
testa e mi allontanai dall’abbraccio per appoggiarmi alla
testata del letto.
«
Sei una
cretina » mi disse soltanto.
«
Grazie. »
ribattei secca « Mi ci voleva proprio una bella carrellata di
insulti
affettuosi da parte tua. »
Lui
si alzò,
andò verso la porta e disse solo « Muoviti e torna
di là a deprimerti con noi. »
ed uscì, chiudendo la porta.
Aveva
ragione. Dannatamente ragione. Ero una cretina. Ero lì da
settimane a pensare
al motivo per cui si era comportato in quel modo. Ero lì da
settimane a pensare
a lui. Ero lì da settimane a perdere sonno per colpa sua.
La
risposta
appariva troppo semplice, eppure non avevo mai osato considerarla.
Forse perché
implicava troppe cose che cambiavano, e io ero
un’abitudinaria. Non volevo
pensare a quell’eventualità.
Andai
in
bagno, mi sciacquai la faccia e tornai in cucina.
«
Grazie. »
dissi semplicemente, voltandomi verso Peter.
«
Ah, perché?
Ho fatto qualcosa? » disse, continuando a scrivere
chissà cosa su un foglio,
alzando di tanto in tanto lo sguardo per cogliere informazioni dal
libro di
fronte a lui.
Istintivamente
risi per poi rispondere in maniera negativa. Non aveva fatto niente,
avevo
fatto tutto io. Era un’idiota.
«
Ah, Gabi.
Nel caso in cui avessi ragione, ti consiglio di mandare un messaggio ad
Erin.
Non sia mai che io sappia qualcosa prima della tua migliore amica.
» disse
facendomi l’occhiolino.
Questo
fece
rizzare le orecchie alle altre tre nella stanza.
«
Cosa? »
fece Pam istintivamente, seguita da Stacey che miracolosamente smise di
secchioneggiare per seguire la
discussione.
«
Ci siamo
perse qualcosa, miei cari? » disse infine Meg, con fare
accigliato e poco
incline ad accettare un mio solito “niente”.
Alzai
gli
occhi al cielo e maledissi Pete per il suo poco tatto nel rivelare
informazioni
a bruciapelo senza pensare ad un possibile calvario da parte delle
ragazze.
«
Ti odio. »
sibilai nella sua direzione, mentre lui se la rideva come un matto per
ciò che
aveva appena scatenato. « Ragazze, davvero, non è
niente. »
«
Mi hai
seccato tu! Ragazze, posti di combattimento! »
urlò Stacey che si alzò e mi
venne vicino con tutta la sedia. Poco dopo, mi ritrovai accerchiata da
tutte e
tre. Non avevo via di scampo.
«
Dominic. »
dissi soltanto, sperando di zittirle. Inutile dire che
quest’affermazione ebbe
l’effetto contrario.
«
Cosa? È
vivo? Si è scusato? » Pam parlava a raffica, senza
darmi il tempo di dire
qualsiasi cosa volessi dire.
«
Lasciala
vivere! » disse Meg « continua, dai. Ti ascoltiamo.
»
«
Ecco.
Insomma… come dire… beh, è difficile
spiegarlo… » temporeggiavo, perché non
ero
neanche sicura anch’io di cosa volessi in realtà
dire. Ero una frana.
«
Ecco.
Insomma… come dire… la signorina
s’è presa una cotta coi fiocchi a quanto pare.
» disse l’unica voce maschile nella stanza,
facendomi il verso.
Le
tre
ragazze cominciarono a ridermi in faccia. Perché loro ne
erano sempre state
convinte come Erin. A quel punto feci l’unica cosa sensata da
fare.
Presi
il
cellulare e digitai « Dobbiamo
parlare.
Chiamami appena puoi! xxx » Destinatario: Erin.
Le
altre
ancora ridevano e Pete con loro.
Ma
che razza
di migliore amico mi sono scelta?
«
Allora,
quando avresti intenzione di dirlo a lui? » chiese Stacey
dopo essersi
ricomposta.
«
Chi vi dice
che io abbia intenzione di farlo? » dissi io con nonchalance,
mentre
rosicchiavo la matita con cui avevo ripreso a scrivere.
Silenzio.
«
Che vuol
dire che non vuoi? » chiese, prendendo la mia matita e
impedendomi di scrivere.
«
Oh andiamo
Stacey, come credi che io possa finire il saggio in una settimana se mi
impedite di studiare? » dissi esasperata « Non ho
intenzione di dirglielo,
punto e basta. Fine della storia. Mi passerà e
sarà come se niente fosse
successo. ».
Mi
ripresi la
mia matita e ripresi a studiare. Più o meno.
Perché i loro bisbigli mi
innervosivano. Cosa era peggio? Affrontare il discorso una volta per
tutte o
non finire il saggio per
«
Ragazze, io
e lui siamo amici. Non posso rovinare cinque anni…
così! » dissi finalmente
dopo un po’ di tempo.
«
Definisci
il così, grazie. » disse Pete con la bocca piena
di pop-corn presi dalla
ciotola al centro del tavolo.
«
Oh avanti,
se glielo dicessi cambierebbe tutto. In negativo. Mi eviterebbe, e
trascinerebbe in qualche modo tutti gli altri. » dissi
ponderando tutte le
opzioni che mi affollavano la mente, evitando accuratamente la prima: mi vergogno e non so come dirlo.
«
Oppure
potrebbe andare bene e vi ritrovereste a darci dentro come conigli dopo
poco
tempo, chi lo sa… » disse Peter. Lo guardai con
aria allibita.
«
PETE! »
urlammo in coro tutte. Lui rise ma biascicò qualcosa che
implicava una “possibilità
da non escludere”.
«
Non dire
idiozie. Per favore. Siamo troppo uguali per interessarci a vicenda
» dissi convinta.
«
A te piace
però. » affermò Pam.
Era
vero. A
me piaceva, ma non potevo piacergli io. Aveva sempre avuto un altro
ideale di
ragazza. Ricordavo perfettamente Shelly.
Degna rappresentazione di come sarebbe potuta essere la sorellina di
Barbie in
versione cresciuta.
Vediamo
un
po’: lei bionda, dalla pelle ambrata e un fisico da bambola,
io bassina, color
mozzarella e degli anonimi capelli castani. E volevano anche fare un
paragone?
Per
carità,
non che mi giudicassi orrenda, è che proprio il paragone era
impensabile in
questa situazione precisa. Decisi di evitare la domanda. Non volevo
sentire
ragioni.
«
Non glielo
dico. Punto. » sperando che la discussione finisse
lì.
«
Io l’avrei
valutata l’opzione dei conigli…sarebbe stato
interessante. » disse
Pete, serissimo.
L’avevo
già
detto che lo odio, vero?
~
Grazie a
chi ha letto. Chi ha recensito. Chi segue la storia. Grazie.
@BlackMoonRising
–
I
primi due capitoli erano più pensati come una
presentazione dei vari personaggi con cui si andrà ad
interagire. Sono contenta
che ti abbia incuriosito, e spero che le aspettative non deludano :)