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Autore: VaniaMajor    27/05/2011    1 recensioni
Ultimo capitolo della trilogia dello Scettro dei Tre. Le rinascenti forze di Takhisis continuano a minare la vita dei fratelli Majere. I Cavalieri di Solamnia premono per avere Steel in custodia, mentre Katlin cerca di recuperare la sua magia e Crysania viene messa alla gogna a causa della sua relazione con Raistlin. Sul futuro grava la minaccia di una totale distruzione...
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ritorno dei Gemelli'
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CAPITOLO 2

RAPPORTI SPEZZATI

Dalamar camminava tra le ombre della notte nel quartiere disabitato che faceva da anticamera al Boschetto di Shoikan. Stava tornando alla Torre dopo un breve incontro con un messo di Crysania, il quale aveva mostrato tutto il suo disagio nell’avere a che fare con una Veste Nera dandogli la lettera e allontanandosi velocemente senza nemmeno chiedergli una mancia.
L’elfo oscuro sorrise con ironia, tirandosi giù il cappuccio nonostante il freddo gli gelasse il volto e passandosi una mano tra i capelli neri. Avvertiva sempre un sottile piacere nel sortire tali effetti su coloro che non seguivano le vie della magia. Si era preparato ad incontrare Dama Crysania stessa, ma evidentemente la chierica non lo aveva considerato opportuno. Forse era meglio così. L’ultima volta che si erano visti, due settimane prima, Crysania l’aveva bersagliato di domande scomode e irritanti, e l’elfo non aveva intenzione di portare avanti quella discussione.
Dalamar corrugò la fronte, contrariato per essersi lasciato andare a certi pensieri. Bastava poco perché l’immagine di Katlin e il suono della sua voce tornassero a inondargli la mente, riempiendolo di bruciante sete di vendetta e facendogli dolere il petto in modo insopportabile. Dalamar strinse i denti, torcendo la bocca in una smorfia involontaria che rese sgradevole il suo viso. Non aveva più visto Katlin dal momento in cui lo spettro di Kitiara gli aveva affondato in corpo il suo pugnale mortifero. L’ultimo ricordo che aveva di lei era il suo volto pallido, i suoi occhi blu che seguivano la sua caduta sul freddo pavimento di pietra…
Il contorto odio che provava deformava il ricordo e gli faceva vedere una luce di soddisfazione negli occhi di lei, anche se oggettivamente sapeva che le cose erano andate diversamente. Il suo Shalafi gli aveva raccontato ogni cosa, anche se in una versione priva di particolari, quando si era finalmente svegliato dal sonno comatoso in cui aveva vagato per settimane. Katlin e Raistlin avevano battuto i maghi di Takhisis, poi la sorella dello Shalafi aveva cercato di soggiogare il pezzo di roccia nera proveniente dal trono di Neraka dando in cambio la sua magia e la sua vita. Il sacrificio della kender Kyaralhana le aveva risparmiato la vita, ma non il potere magico. Esso si era solidificato in una pietra magica di colore rosso sangue, che da mesi Katlin tentava senza successo di riassorbire. Dopodiché, ognuno era tornato alla sua dimora per portare avanti le indagini o risolvere i propri problemi personali.
Il messaggio tra le righe, benché lo Shalafi non ne avesse fatto alcun cenno, era che Katlin l’aveva lasciato perché convinta di dover morire. Dalamar non era uno sciocco: l’aveva compreso benissimo. Ciononostante, non poteva né voleva perdonarla. Katlin era stata egoista e vigliacca, aveva orchestrato il loro litigio in maniera da umiliarlo davanti allo Shalafi, rifiutandosi di dividere con lui sia la conoscenza di ciò che li attendeva, che i suoi ultimi momenti. Dalamar non aveva più intenzione di stare al gioco di quella donna contorta, degna sorella di Raistlin Majere. Si sarebbe vendicato di lei, in un modo o nell’altro…non appena fosse stato certo di poterla guardare in faccia mostrando nient’altro che gelido disprezzo.
Mentre si avviava tra i primi alberi maledetti, la mano di Dalamar scese in una delle tasche della sua veste, stringendo con un movimento convulso l’oggetto che conteneva: un piccolo visore magico a forma di stella a otto punte. Dalamar se lo era ritrovato in tasca la prima volta che aveva potuto vestirsi da solo, dopo la convalescenza. La sua sete di vendetta verso Katlin gli aveva tolto per un attimo la vista, nello scoprire che lei aveva suggellato la fine del loro rapporto con la restituzione di quel regalo che le aveva fatto a Solace, in una notte nevosa…qualcosa come un milione di anni prima, sembrava.
«La pagherà. Devo solo riprendere il controllo e agire con prudenza.» mormorò a se stesso, e gli spettri del Bosco sospirarono come a dargli ragione.
Davanti alla Torre, Dalamar prese un profondo respiro, alzò il mento in una posa aristocratica e quindi entrò, di nuovo in grado di nascondere allo Shalafi il suo turbamento interiore. Non voleva che egli capisse cosa stava tramando...e non si poteva mai sapere fino a che profondità fossero in grado di scavare quegli occhi dorati.
Non molto dopo, si trovava nel laboratorio, dove Raistlin tracciava disegni di rune e circoli magici su un foglio, controllando al contempo tre grossi volumi sparsi sul tavolo.
«Dunque?» chiese Raistlin, seccato, lanciandogli uno sguardo glaciale dalle pupille a clessidra. Dalamar estrasse una lettera dissigillata dalla tasca e la porse al suo maestro.
«Dama Crysania riferisce di averla ricevuta da Tanis Mezzelfo.- disse l’elfo oscuro, mentre Raistlin la prendeva con ruvida decisione e la apriva- Pare sia per i vostri fratelli, Shalafi. Dama Crysania si scusa per averla letta prima di voi, ma era preoccupata.»
Raistlin annuì distrattamente, mentre leggeva il contenuto della lettera. Giunto alla fine, espirò dal naso e gettò la lettera sul tavolo con noncuranza.
«Un Cavaliere di Solamnia cavalca a spron battuto verso Solace per riportare Steel Brightblade in seno all’Ordine di suo padre.- spiegò, sbuffando- Dovrei avvisare Caramon e Katlin? Bah, tutto questo trambusto per una comunicazione inutile!»
«Perché Tanis Mezzelfo lo dice a voi?» chiese Dalamar, perplesso.
«Sa che ho contatti magici con Solace e una lettera spedita a Caramon sarebbe arrivata a destinazione quasi certamente dopo l’inopportuno visitatore. In ogni caso, non mi interessa.» tagliò corto Raistlin, facendo cenno di tornare ai suoi studi.
«Non lo direte a…ai vostri fratelli?» chiese Dalamar, ricordandosi all’ultimo istante di non nominare Katlin. Uno scintillio negli occhi del suo Shalafi gli comunicò che lui se ne era accorto e si maledisse.
«Lo farò quando avrò tempo. Adesso ho cose più importanti da fare.- fu l’aspra replica di Raistlin- Sia Caramon che Katlin sono capaci di far levare le tende a uno scocciatore senza bisogno di essere avvisati in anticipo.»
Dalamar chinò il capo per mostrare che aveva capito. Raistlin tornò a fare i suoi calcoli sul foglio e Dalamar, comprendendo di essere di troppo, fece per andarsene. Il suo Shalafi lo richiamò sulla porta.
«Le nuove elezioni in seno al Conclave si sono bloccate a causa dell’emergenza, Dalamar.- gli disse Raistlin, senza alzare il capo- Vai a Wayreth e tasta il polso ai maghi. Ho bisogno di sapere quanto tempo abbiamo.»
«Va bene, Shalafi…ma perché?» chiese Dalamar. Raistlin lo guardò e l’elfo oscuro riconobbe l’oscura cupidigia che si annidava in fondo alle iridi dorate.
«Perché Katlin non è ancora fuori dai giochi, apprendista.- sussurrò l’arcimago, con un sorrisetto che comparve e subito svanì- E quando sarà di nuovo in possesso della sua magia, voglio che la conquista del seggio delle Vesti Rosse non sia altro che una formalità.»


***


Come poteva riappropriarsi di ciò che era suo?
Più passava il tempo, meno Katlin riusciva a farsene un’idea chiara. Mormorò qualche parola magica, mentre prendeva appunti sul taccuino su cui stava segnando ogni più piccolo spunto le venisse in mente riguardo agli incantesimi rivolti agli oggetti magici. Non che la pietra rossa che era posata sullo scrittoio fosse esattamente un oggetto magico: quella era la sua stessa magia solidificata, motivo per cui non esisteva un incantesimo che vi si potesse adattare…non ancora.
Katlin corrugò la fronte nell’osservare le rune che aveva vergato, poi le depennò con decisione, voltò pagina e ricominciò. Lei e Raistlin stavano lavorando a quel progetto da mesi, ormai. In qualche modo si stavano avvicinando ad un parziale risultato, ma troppo lentamente secondo i parametri di Katlin. Non ne poteva più di sentire che le parole magiche le morivano in bocca come una lista della spesa. Restare tanto tempo imprigionata nel proprio corpo le stava dando uno strano senso di claustrofobia che la rendeva costantemente nervosa.
Katlin corrugò la fronte e tornò indietro di una decina di pagine, scrutando poi il cerchio magico disegnato con inchiostro rosso. Quella parte dell’incantesimo era quasi a posto. Lei e Raistlin, utilizzando i libri che il fratello portava dalla Torre, avevano ideato un circolo che univa tratti evocativi, viaggio nel tempo e modificazione di forma degli oggetti magici. Era un circolo mai visto prima e non era ancora perfetto. Raistlin aveva individuato la pecca con occhio di falco e da un paio di settimane ci stava lavorando alla Torre di Palanthas. Sarebbe passato a condividere i risultati con lei entro un giorno o due. Restavano da stabilire le parole magiche e il rituale adatto.
Katlin sospirò, stanca, e chiuse il taccuino, pulendo poi la penna con uno straccetto. Quel lavoro certosino le faceva sempre venire il mal di testa. Desiderava andare alla Torre di Palanthas, immergersi nel suo oscuro silenzio e nella sua atmosfera magica, che di sicuro l’avrebbero aiutata a concentrarsi. A Solace aveva troppe distrazioni: Caramon e Tika che la viziavano, i due nipotini che volevano le sue attenzioni, Tasslehoff che la trascinava qua e là…e Steel, che necessitava di supporto e di addestramento.
Bah, era inutile che si lamentasse. Era la loro presenza a garantirle la sanità mentale, visto che tutto ciò che le sembrava di avere ormai in pugno l’anno prima le era scivolato tra le dita a causa della vendetta di Takhisis. Katlin si guardò le mani, come se potesse vedervi le tracce di ciò che aveva perduto.
Raistlin le aveva assicurato che le sue chance riguardo a Wayreth erano invariate, perché le nuove elezioni si erano fossilizzate fino a nuovo ordine. I sospetti di Raistlin riguardo alla Gemma Grigia e la ricerca dei maghi traditori che ancora si confondevano tra le fila regolari degli usufruitori di magia richiedevano un’organizzazione che non avrebbe funzionato con l’insediamento di nuovi capi. Par-Salian, Ladonna e Justarius sarebbero rimasti dov’erano fino al rientrare dell’emergenza.
Katlin ne era lieta, in quanto non aveva abbandonato la sua brama per il seggio di Par-Salian, ma era ben altro ciò che le pesava aver perso. Per quello, non c’era rassicurazione che Raistlin potesse farle…e difatti non ci aveva nemmeno provato.
«Dalamar…» mormorò Katlin, stringendo le mani a pugno.
Era stata lei a lasciarlo. Ad umiliarlo. Questo era vero e innegabile. Katlin credeva di non sopravvivere allo scontro con la volontà della Regina delle Tenebre, ma Kyaralhana si era sacrificata, donandole una nuova possibilità di vivere. Paladine stesso le aveva detto che il suo lavoro su Krynn non era ancora finito.
Anche se era sopravvissuta, Katlin aveva saputo che non c’era speranza di recuperare ciò che aveva volontariamente lasciato ancora prima che Dalamar si svegliasse da quel sonno che lo aveva quasi ucciso. Conosceva l’elfo oscuro meglio di quanto lui stesso supponesse: conosceva il suo orgoglio, la sua oscurità e il suo spirito che facilmente si lasciava dominare dal rancore. No, Dalamar non l’avrebbe voluta mai più.
Katlin non era più andata alla Torre per evitare di vederlo. Vi sarebbe tornata solo una volta riavuta la sua magia…solo quando il tempo le avrebbe concesso di lasciarsi i sentimenti alle spalle come roba ormai vecchia.
Scuotendo il capo nel pensare a quel tarlo che la rodeva, Katlin si alzò dallo scrittoio, si sciolse i capelli, poi afferrò la pietra rossa e si buttò a sedere sul letto, rigirandosi nel palmo quell'oggetto prezioso quanto la sua stessa vita. Immersa nei suoi pensieri, impiegò qualche istante per capire che qualcuno stava bussando alla porta.
 «Zia Katlin?»
Katlin alzò lo sguardo cupo dalla gemma che teneva in mano, reagendo al lieve bussare e al richiamo.
«Zia Katlin? Posso disturbarvi? Siete sola?» chiese ancora Steel.
«Entra, Steel.» rispose Katlin, infilando la gemma irregolare in una tasca dei calzoni. Steel chiedeva sempre se fosse sola prima di entrare. Aveva conosciuto Raistlin e ne era rimasto alquanto scosso. Preferiva non trovarsi nella scomoda posizione di disturbare una conversazione fra i due maghi.
Il ragazzino aprì la porta e chinò la testa in un rispettoso cenno di saluto, strappandole un sorriso mesto. Steel aveva una visione della vita molto formale, come suo padre prima di lui. Aveva faticato per quasi due mesi prima di riuscire a farsi chiamare ‘zia Katlin’ e non ‘mia signora’, ma in quanto ad abbandonare il voi per un approccio più confidenziale sembrava non ci fosse speranza. Katlin non aveva più insistito, decidendo che anche quella era una scelta di Steel.
«So che è tardi, zia, ma avrei desiderio di parlare con voi.» disse Steel, serio e rigido.
«Siediti, Steel. Non è così tardi.- disse Katlin, facendogli cenno di occupare la sedia dello scrittoio- Sara sa che sei qui?»
Steel annuì, prendendo la sedia che gli veniva offerta. Poco tempo dopo il ritorno di Katlin e Caramon a Solace, Steel aveva spedito loro una lettera in cui chiedeva di poter passare del tempo con i parenti di sua madre. Caramon e Tika avevano accolto Steel con tutto l’amore possibile e il ragazzino stava trascorrendo l’inverno da loro, alloggiato alla Locanda insieme alla donna che l’aveva allevato, in mancanza di altre stanze libere nella casa dei Majere.
L’ambiente caloroso della famiglia di Caramon, ormai arricchita di ben due figli, aveva ammorbidito un po’ la severità di Steel e stare a stretto contatto con Tasslehoff gli stava dando un’idea del fatto che esistevano nature diverse da quella umana. Era stata una lezione utile per Sturm e Katlin non vedeva perché questo non dovesse funzionare per il figlio.
«Ti riaccompagnerò, quando avremo finito.» aggiunse.
«Non è necessario…» iniziò a protestare Steel, ferito nell’orgoglio.
«È necessario, in quanto non hai ancora compiuto dodici anni e non voglio che ti accada qualcosa.- lo frenò- Ma se ti vergogni di essere scortato da una donna, chiederemo a Caramon.»
«Non è questo, zia. Vorrei solo essere in grado di badare a me stesso.» disse Steel, arrossendo appena. Il sorriso di Katlin fu sincero.
«Non avere fretta, Steel. Hai appena iniziato il tuo cammino per diventare un uomo.» disse, notando quanto Steel fosse cresciuto già solo in quei mesi. Se avesse continuato così, presto l’avrebbe superata in altezza!
Steel Brightblade ricambiò lo sguardo, a sua volta pensando a quanto la zia fosse cambiata da quando l’aveva vista per la prima volta, dopo essere uscito dalla tomba di suo padre alla Torre del Sommo Chierico. Allora Katlin Majere era una maga delle Vesti Rosse che gli ricordava vagamente sua madre, dal cuore sensibile e la mente acuta.
Quell'inverno la maga si era trasformata in una donna comune, ancora più simile a sua madre nell’abbigliamento, nel modo di fare e, stando ai racconti del kender, negli esplosivi scatti di nervi. Steel aveva saputo che la zia aveva momentaneamente perduto la sua magia e questo doveva averla destabilizzata di molto. La sofferenza che le leggeva in viso, la sua determinazione nel non arrendersi, gliela rendevano più cara. Steel ogni tanto si scopriva a rimpiangere che Katlin non fosse davvero sua madre. Lei gli voleva bene in modo sincero e diretto.
Inoltre, mentre suo zio Caramon lo istruiva sull’uso della spada e sulla lotta, la zia lo addestrava a usare pugnali e bastoni. Proprio quel pomeriggio avevano avuto una discussione in merito.
«A cosa mi serve, zia?- aveva chiesto Steel, frustrato, dopo essere stato atterrato dal bastone di Katlin- Un vero Cavaliere usa la spada!»
«Sicché diventerai Cavaliere? Hai già deciso?» gli aveva chiesto lei, appoggiata con noncuranza al suo bastone. Steel aveva abbassato lo sguardo.
«No, non ancora…- aveva ammesso- ma comunque sarò un guerriero, e perché un combattente dovrebbe usare qualcosa di meno nobile di una spada?»
Katlin aveva sospirato con impazienza, ma senza irritazione.
«Cosa succede al Cavaliere se la sua spada si spezza, o va perduta?- gli aveva chiesto- Si arrende e muore perché non intende maneggiare un’arma indegna di lui?»
Steel era rimasto senza parole per replicare. La scena che lei aveva descritto era molto vivida…e imbarazzante.
«Un Cavaliere privilegerà la spada, ma potrà capitargli di trovarsi in una situazione in cui ciò che lui vuole non ha alcun significato. Situazioni di vita o morte.- aveva continuato Katlin, con una luce dura negli occhi- In quelle situazioni, il Cavaliere dovrà saper usare ciò che ha attorno come arma…e ripeto: saper usare. Ciò significa che un addestramento come quello che stai compiendo ora è tutt’altro che inutile, Steel. Più saprai maneggiare ogni arma che ti troverai a dover usare, più il rischio che tu venga ucciso dal tuo avversario decrescerà.»
Steel si era trovato a doverle dare ragione. Sua zia era sempre in grado di spiegargli le cose con parole semplici e concetti limpidi, su cui poi lasciava che lui pensasse da sé. Quel pomeriggio, infatti, aveva troncato il loro allenamento nonostante le sue proteste, dicendogli che avrebbero ricominciato se e quando lui si fosse trovato d’accordo con le sue parole.
Katlin Majere non era ligia all’onore come un Cavaliere di Solamnia, né piena di brama di potere come una Signora dei Draghi, ma aveva le idee molto chiare su cosa significava vivere in un mondo in cui anche la più piccola scelta poteva essere decisiva. Occorreva essere versatili e di mente aperta, se si voleva diventare una persona degna e in grado di badare a se stessa. Steel stava imparando molto da lei e dalle persone che la circondavano.
Quel pomeriggio, però, al kender Tasslehoff era scappata qualche informazione che aveva gelato il sangue del ragazzo. Aveva ponderato a lungo se parlarne o meno con la zia, in quanto non era nella sua natura impicciarsi nei fatti privati altrui, ma sua madre aveva legami con quanto aveva da chiedere e sua zia gli aveva sempre detto di farle liberamente le sue domande. Prese quindi fiato e sedette dritto e rigido.
«Zia, quest’oggi Tasslehoff mi ha raccontato una cosa che…mi ha sorpreso. Non favorevolmente, temo.» esordì, con voce pacata.
«Tasslehoff?- chiese Katlin, perplessa- Di che si tratta? Riguarda qualcuna delle sue avventure, o…»
«In realtà Tas mi ha raccontato della vostra missione dello scorso autunno, dopo il nostro incontro alla Torre del Sommo Chierico.» disse Steel. La vide rabbuiarsi e i suoi occhi chiari furono velati da pensieri che a lui non era dato conoscere.
«Così ti ha raccontato della pietra del trono di Takhisis? E della morte di Kyaralhana?» chiese Katlin. C’erano amarezza e rimorso nella sua voce. Ancora non riusciva a capacitarsi che la kender si fosse sacrificata al posto suo. Steel annuì e sua zia fece altrettanto. «Qualcosa ti è poco chiaro? O hai domande specifiche per me?» chiese Katlin, pensando che la storia del loro combattimento potesse aver destato qualche curiosità nel nipote.
«In verità, zia, Tasslehoff mi ha involontariamente rivelato una cosa che…» Steel si bloccò, imbarazzato, corrugando la fronte in un gesto che lo accomunò terribilmente al padre. Katlin sorrise.
«Parla pure, Steel. Non temere.» disse. Steel alzò bruscamente gli occhi su di lei, deciso.
«Zia, è vero che voi avete una…relazione…con l’elfo oscuro Dalamar?»
La domanda giunse tanto inaspettata che per reazione Katlin impallidì e quindi divenne paonazza, facendo temere a Steel che stesse per svenire o per sbatterlo fuori dalla camera a calci. Katlin chiuse gli occhi e si passò una mano sul volto. Non si era aspettata nulla del genere.
«Perché mi chiedi questo, Steel? Come conosci Dalamar?» chiese, a voce bassa.
«Tanis mi ha raccontato come è morta mia madre.- spiegò Steel, ora pentito di aver affrontato l’argomento- Mi sembra impossibile che voi e colui che ha ucciso mia madre possiate…stare insieme.»
«Tanis ti ha raccontato che Dalamar ha ucciso Kitiara per salvarsi la vita?» chiese Katlin, sempre con una mano sugli occhi. Steel rispose affermativamente. «E porti rancore verso l’apprendista di Raistlin?» chiese di nuovo. Questa volta Steel rifletté più a lungo.
«Non lo so.- ammise infine- Ha combattuto per la sua vita, questo lo capisco. D’altra parte, ha ucciso mia madre. Non so se lo odio, né quanto.»
Katlin lasciò scivolare la mano in grembo e guardò suo nipote.
«Sappi che io e Dalamar avevamo una relazione, che è durata pochissimo e poi è stata bruscamente troncata. Non c’è più niente fra noi. Puoi stare tranquillo, Steel.» gli disse, con voce atona che non le sembrò nemmeno uscita dalla sua bocca.
Steel annuì, abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Arrossì un poco, riportando un po’ di tenerezza nel cuore di Katlin.
«Vi chiedo scusa, zia. Non erano fatti miei.» mormorò, contrito. Katlin si alzò e gli accarezzò i capelli.
«Hai diritto di sapere.- lo tranquillizzò- Ora ti accompagno da Sara, va bene? Sarà preoccupata.»
Steel si alzò, precedendo la zia fuori dalla camera. Non vista, Katlin si morse le labbra per non mettersi a piangere. Tasslehoff non l’aveva fatto apposta, ma le sue chiacchiere senza freni stavolta l’avevano danneggiata. Non aveva mai pensato a quale terribile spettro accomunava Steel e Dalamar. La risposta che aveva dato a suo nipote era l’assoluta verità…ma faceva male.
Faceva terribilmente male.

 

   
 
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