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Autore: wistaria    22/02/2006    4 recensioni
A mind lost in his brain.
Lui, una bimba, e riflessioni a ruota libera, per una storia non tanto impegnata ma nemmeno da sottovalutare.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A 15 anni mi “arrogo” il diritto di essere ancora un po’ bambina

A 15 anni mi “arrogo” il diritto di essere ancora un po’ bambina. Di non sapere tutto quello che accade così com’è.

Non ho mai scritto di yaoi [tranne un tentativo] perché temevo, come lo temo adesso, di parlare di fatti o cose che mi sono estranee, e di cui non conosco le dinamiche.

A volte le storie di amori omosessuali che leggo mi sembrano incatenate ad uno schema banale e melenso, dal quale è difficile uscire.

Io, prima fra tutte, non pretendo di riuscire ad eluderlo.

Così, senza lanciarmi in una storia della quale non so tracciare la trama, ho esposto semplicemente i miei pensieri, in POV maschile.

Quindi uno scusa prima di iniziare a tutti coloro che si sentiranno offesi, o in disaccordo.

Wistaria.

 

 

 

 

I Capitolo.

 

_Schifo_

 

 

-Com’è…? Intendo…. Baciarlo.-

 

Me lo hanno chiesto molte volte.

Io, personalmente, non ho mai saputo rispondere.

 

Tutti, dal primo all’ultimo, si aspettavano una dichiarazione compromettente.

Del tipo…

-Mh. Viscido… fa un po’ schifo all’ inizio.-

 

In realtà, è proprio come baciare una donna.

Per me, poi, è ancora meglio.

 

Quando baciavo Luke, certamente non pensavo al fatto che fosse un uomo.

Baciavo quello che volevo baciare.

E a me bastava.

 

-Allora…? Non dirmi che ti vergogni…?-

 

Mi incalzavano così, aspettando che rispondessi.

No ragazzi, è solo che voglio provare pietà per voi in religioso silenzio.

 

Pietà.

 

Alla parte dei miei amici a cui non ispiravo schifo, ispiravo questo.

Loro, cari, si trinceravano dietro sorrisi un po’ asciutti e un po’ tirati.

 

Mi fa sorridere l’idea che loro provassero pietà per me.

Per me.

Io, che ne provavo per loro almeno il doppio.

 

-Ma non ti senti a disagio…?-

 

E perché dovrei?

Siete voi i coglioni, non io.

 

Per il momento, nessun dizionario cita come coglione un omosessuale.

Quindi, tante grazie, ma nessun disagio.

 

Solo una volta, la prima.

Poi, voi e le vostre facce da idioti siete diventati solo ombre.

Con cui passare il tempo sovrabbondante.

 

 

II Capitolo.

 

_Luna Park_

 

 

Un bambino mi sbatte un palloncino in faccia.

Io lo guardo storto, lui mi sorride.

Non posso fare a meno di cedere al suo sguardo un po’ timido e un po’ sfrontato.

L’aria che si respira qui, al parco giochi, sa un po’ di plastica, ma non mi dispiace affatto.

Poi uno strillo alla mia destra mi stordisce.

C’è una bambina sola, per terra, con un ginocchio sbucciato.

Lei guarda per terra, mentre inghiotte dolorosamente per mandar giù il grido che cerca di uscirle dalla gola.

-Ciao.- mi fissa, e io già mi sento un idiota.

Sbatte gli occhi incredibilmente scuri. Tende le labbra.

Sta sorridendo.

-Sei sola qui…?- annuisce, il capo chino e le manine strette al petto.

-E sei caduta mentre cercavi il papà?- praticamente le sto estorcendo a sorrisi la sua situazione attuale.

-La mamma.- mi corregge.

Piccola saputella!

-Continuiamo a cercarla insieme, ti va? Magari con un bel gelato.-

-La mamma mi ha detto di non accettare caramelle dagli sconosciuti…-

-Oh, ma io ti sto offrendo un gelato…- la bambina rimane a fissarmi, divisa fra la voglia di mangiare il cono e la faccia severa della madre.

-Però grande, eh?-

-Enorme.- le confermo, allargando le braccia per accogliere simbolicamente una maxi pallina di gelato.

 

Se Damon non mi avesse lasciato, forse nel giro di un anno saremmo giunti alla conclusione comune di adottare un figlio.

Meglio non pensarci.

Devo ancora ritrovare la madre alla bimba, che ho scoperto chiamarsi Louise.

È vulcanica, tremendamente viva e esuberante.

Perfino carina, con quegli occhi scuri che sembrano andare al di là della carne e leggerti dentro la testa, e i capelli a boccoli neri.

Sembra così dolce…

 

Invece è diabolica.

Dopo il gelato ha preteso i pop corn, e a questi sono seguiti lo zucchero filato e le caramelle.

E mi sembra che abbia ancora fame.

 

-Uh, zio Nat.- mi tira per la camicia nera, costringendomi a fermarmi per non farla cadere a terra. Da un paio di minuti siamo passati a < Zio Nat >.

-Dimmi Louise.-

Si avvicina al mio orecchio, indicando con il ditino indice una ragazza bionda davvero carina.

-Ti piace…? Se vuoi te la faccio conoscere!-

Ma quanti anni ha questa bambina..? sei o venti?

-No, vedi Louise…-

 

Oddio, vengo colto dal panico. E adesso cosa le dico?

Non vorrei che sua madre mi desse del cretino o peggio, se poi la piccola si mette a parlare di gay e altro in sua compagnia.

E se poi cerca davvero di presentarmela…?

 

-Zio Nat…?- con gli occhi mi chiede una tacita conferma riguardo al mio stato –momentaneamente- critico.

-Si Louise?-

-Non ti piace…?- chiede, un misto fra il deluso e l’incredulo. –Non è possibile zio, sembra una Barbie…- cavilla cercando di convincermi.

Mi concedo il lusso di un respiro.

-Vedi, Louise, a me piacciono gli uomini.-

-Come te, Zio Nat?- mi scruta un po’ perplessa, forse ancora non conosce bene il concetto che sto cercando di spiegarle.

Sondo la sua espressione. Scommetto che tra un po’ la sua testolina scura comincerà a mandare segnali di fumo…

-Allora quella ragazza no, zio?-

-No Louise…-

Mi tira di nuovo per la camicia, afferrando anche i miei capelli scuri per farmi abbassare al suo livello.

-Zio Nat, Zio Nat…- strilla tutta eccitata, che diavolo vorrà mai adesso?

-Si…?-

-E quel ragazzo che c’è alla nostra destra…?-

Adesso piango, lo giuro.

Me ne strafrego dell’impressione che do di uomo virile, e scoppio a piangere.

Lo faccio.

 

 

 

III Capitolo.

 

_Louise_

 

 

Louise crebbe dopo quello strano incontro al luna park.

Non l’ho più rivista, ma quello sguardo è sempre fisso nella mia testa; così scuro e dannatamente penetrante, a cornice di un nasino arricciato e una boccuccia di rosa.

Così angelica, e così vivace, che per un pomeriggio mi ero completamente dimenticato di me.

Ero tutto, ogni mia singola cellula del corpo, proiettato verso di lei.

Ad ascoltare quegli strani discorsi da bimba cresciuta troppo presto, che incantavano nella loro disarmante e rigorosa semplicità.

 

Non l’ho mai dimenticata.

Un pensiero alla mattina, e uno alla sera.

Mentre mi acciambellavo nel tepore del letto, con la mente volta a quando mi aveva salutato con un sorriso genuino.

Il suo dolce viso contro quello diffidente della madre.

 

A volte, è proprio vero, è con l’ingenuità che si accettano molte cose.

Me lo chiedo, come sarà diventata adesso, fanciulla di venti anni contro i miei trentaquattro, contaminata dal mondo e dalla voglia di integrarsi col gruppo.

 

Preferisco ricordarti così, nasino arricciato e boccuccia di rosa, prima di andare a letto, e prima di levarmi la mattina.

 

 

 

IV Capitolo.

 

_Sogno sconcertante_

 

 

Questa notte, beato tra le mie coperte color malva, ho fatto un sogno assurdo.

Per certi versi, direi quasi sconcertante.

Non eravamo noi i “diversi”. Noi omosessuali, signori, eravamo le creature create da Dio.

Voi, eterosessuali, venivate marchiati come “sbagliati”.

Un mondo che girava all’incontrario.

 

Ricordo distintamente quell’orrore.

Secondo per secondo.

Tutti noi, lesbiche e gay, eravamo seduti attorno ad un tavolo circolare, chiacchierando tranquillamente, e scambiandoci carezze che non ho mai potuto fare in pubblico.

Lo ammetto, ogni tanto, io mi vergognavo.

Io – mi – vergognavo. Tante grazie, mondo del cazzo.

 

Ad un certo punto entravano un ragazzo e una ragazza per mano.

Zompettavano furtivi come ladri, incassati nelle loro stesse spalle, vergognosi della loro stessa natura.

 

Noi, vigliacchi, li schernivamo.

Un mondo all’incontrario, che però funzionava esattamente come questo.

Avrei voluto scomparire. Che sia davvero un mio desiderio nascosto?

Essere come quelli che ho sempre odiato?

Rimarrò per tutta la mia vita con questo interrogativo, lo so.

Non avrò mai il coraggio di affrontarlo direttamente, prendendolo di petto.

Per la paura, la codardia, di ammettere che sono come loro.

 

Un mondo all’incontrario, che girava come questo.

Non l’ho mai trovato il mondo perfetto.

 

Una volta ci sono andato vicino, ed è stato solo per un pomeriggio.

In un luna park, immerso nel bagno di folla indifferente.

Con una bimba, boccuccia di rosa e nasino arricciato.

 

 

 

 

 

 

Onestamente, mi rendo conto del grave difetto di tutto ciò. Non ha una trama. Come detto prima, non era questo il mio scopo.

Tratto dalla conversazione con un mio amico inglese. Spero di aver interpretato correttamente ciò che cercava di dirmi in quella strana lingua che è la sua.

A Ian

Con affetto, Wast.

 

 

 

  
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