A 15 anni mi “arrogo” il diritto di essere ancora un
po’ bambina. Di non sapere tutto quello che accade così com’è.
Non ho mai scritto di yaoi [tranne un tentativo] perché
temevo, come lo temo adesso, di parlare di fatti o cose che mi sono estranee, e
di cui non conosco le dinamiche.
A volte le storie di amori omosessuali che leggo mi
sembrano incatenate ad uno schema banale e melenso, dal quale è difficile
uscire.
Io, prima fra tutte, non pretendo di riuscire ad eluderlo.
Così, senza lanciarmi in una storia della quale non so
tracciare la trama, ho esposto semplicemente i miei pensieri, in POV maschile.
Quindi uno scusa prima di iniziare a tutti coloro che si
sentiranno offesi, o in disaccordo.
Wistaria.
I Capitolo.
_Schifo_
-Com’è…? Intendo…. Baciarlo.-
Me lo hanno chiesto molte volte.
Io, personalmente, non ho mai saputo rispondere.
Tutti, dal primo all’ultimo, si aspettavano una
dichiarazione compromettente.
Del tipo…
-Mh. Viscido… fa un po’ schifo all’ inizio.-
In realtà, è proprio come baciare una donna.
Per me, poi, è ancora meglio.
Quando baciavo Luke, certamente non pensavo al fatto che
fosse un uomo.
Baciavo quello che volevo baciare.
E a me bastava.
-Allora…? Non dirmi che ti vergogni…?-
Mi incalzavano così, aspettando che rispondessi.
No ragazzi, è solo che voglio provare pietà per voi in
religioso silenzio.
Pietà.
Alla parte dei miei amici a cui non ispiravo schifo,
ispiravo questo.
Loro, cari, si trinceravano dietro sorrisi un po’ asciutti
e un po’ tirati.
Mi fa sorridere l’idea che loro provassero pietà per me.
Per me.
Io, che ne provavo per loro almeno il doppio.
-Ma non ti senti a disagio…?-
E perché dovrei?
Siete voi i coglioni, non io.
Per il momento, nessun dizionario cita come coglione un
omosessuale.
Quindi, tante grazie, ma nessun disagio.
Solo una volta, la prima.
Poi, voi e le vostre facce da idioti siete diventati solo
ombre.
Con cui passare il tempo sovrabbondante.
II Capitolo.
_Luna Park_
Un bambino mi sbatte un palloncino in faccia.
Io lo guardo storto, lui mi sorride.
Non posso fare a meno di cedere al suo sguardo un po’
timido e un po’ sfrontato.
L’aria che si respira qui, al parco giochi, sa un po’ di
plastica, ma non mi dispiace affatto.
Poi uno strillo alla mia destra mi stordisce.
C’è una bambina sola, per terra, con un ginocchio
sbucciato.
Lei guarda per terra, mentre inghiotte dolorosamente per
mandar giù il grido che cerca di uscirle dalla gola.
-Ciao.- mi fissa, e io già mi sento un idiota.
Sbatte gli occhi incredibilmente scuri. Tende le labbra.
Sta sorridendo.
-Sei sola qui…?- annuisce, il capo chino e le manine
strette al petto.
-E sei caduta mentre cercavi il papà?- praticamente le sto
estorcendo a sorrisi la sua situazione attuale.
-La mamma.- mi corregge.
Piccola saputella!
-Continuiamo a cercarla insieme, ti va? Magari con un bel
gelato.-
-La mamma mi ha detto di non accettare caramelle dagli
sconosciuti…-
-Oh, ma io ti sto offrendo un gelato…- la bambina rimane a
fissarmi, divisa fra la voglia di mangiare il cono e la faccia severa della
madre.
-Però grande, eh?-
-Enorme.- le confermo, allargando le braccia per
accogliere simbolicamente una maxi pallina di gelato.
Se Damon non mi avesse lasciato, forse nel giro di un anno
saremmo giunti alla conclusione comune di adottare un figlio.
Meglio non pensarci.
Devo ancora ritrovare la madre alla bimba, che ho scoperto
chiamarsi Louise.
È vulcanica, tremendamente viva e esuberante.
Perfino carina, con quegli occhi scuri che sembrano andare
al di là della carne e leggerti dentro la testa, e i capelli a boccoli neri.
Sembra così dolce…
Invece è diabolica.
Dopo il gelato ha preteso i pop corn, e a questi sono
seguiti lo zucchero filato e le caramelle.
E mi sembra che abbia ancora fame.
-Uh, zio Nat.- mi tira per la camicia nera, costringendomi
a fermarmi per non farla cadere a terra. Da un paio di minuti siamo passati a
< Zio Nat >.
-Dimmi Louise.-
Si avvicina al mio orecchio, indicando con il ditino
indice una ragazza bionda davvero carina.
-Ti piace…? Se vuoi te la faccio conoscere!-
Ma quanti anni ha questa bambina..? sei o venti?
-No, vedi Louise…-
Oddio, vengo colto dal panico. E adesso cosa le dico?
Non vorrei che sua madre mi desse del cretino o peggio, se
poi la piccola si mette a parlare di gay e altro in sua compagnia.
E se poi cerca davvero di presentarmela…?
-Zio Nat…?- con gli occhi mi chiede una tacita conferma
riguardo al mio stato –momentaneamente- critico.
-Si Louise?-
-Non ti piace…?- chiede, un misto fra il deluso e
l’incredulo. –Non è possibile zio, sembra una Barbie…- cavilla cercando di
convincermi.
Mi concedo il lusso di un respiro.
-Vedi, Louise, a me piacciono gli uomini.-
-Come te, Zio Nat?- mi scruta un po’ perplessa, forse
ancora non conosce bene il concetto che sto cercando di spiegarle.
Sondo la sua espressione. Scommetto che tra un po’ la sua
testolina scura comincerà a mandare segnali di fumo…
-Allora quella ragazza no, zio?-
-No Louise…-
Mi tira di nuovo per la camicia, afferrando anche i miei
capelli scuri per farmi abbassare al suo livello.
-Zio Nat, Zio Nat…- strilla tutta eccitata, che diavolo
vorrà mai adesso?
-Si…?-
-E quel ragazzo che c’è alla nostra destra…?-
Adesso piango, lo giuro.
Me ne strafrego dell’impressione che do di uomo virile, e
scoppio a piangere.
Lo faccio.
III Capitolo.
_Louise_
Louise crebbe dopo quello strano incontro al luna park.
Non l’ho più rivista, ma quello sguardo è sempre fisso
nella mia testa; così scuro e dannatamente penetrante, a cornice di un nasino
arricciato e una boccuccia di rosa.
Così angelica, e così vivace, che per un pomeriggio mi ero
completamente dimenticato di me.
Ero tutto, ogni mia singola cellula del corpo, proiettato
verso di lei.
Ad ascoltare quegli strani discorsi da bimba cresciuta
troppo presto, che incantavano nella loro disarmante e rigorosa semplicità.
Non l’ho mai dimenticata.
Un pensiero alla mattina, e uno alla sera.
Mentre mi acciambellavo nel tepore del letto, con la mente
volta a quando mi aveva salutato con un sorriso genuino.
Il suo dolce viso contro quello diffidente della madre.
A volte, è proprio vero, è con l’ingenuità che si
accettano molte cose.
Me lo chiedo, come sarà diventata adesso, fanciulla di
venti anni contro i miei trentaquattro, contaminata dal mondo e dalla voglia di
integrarsi col gruppo.
Preferisco ricordarti così, nasino arricciato e boccuccia
di rosa, prima di andare a letto, e prima di levarmi la mattina.
IV Capitolo.
_Sogno sconcertante_
Questa notte, beato tra le mie coperte color malva, ho
fatto un sogno assurdo.
Per certi versi, direi quasi sconcertante.
Non eravamo noi i “diversi”. Noi omosessuali, signori,
eravamo le creature create da Dio.
Voi, eterosessuali, venivate marchiati come “sbagliati”.
Un mondo che girava all’incontrario.
Ricordo distintamente quell’orrore.
Secondo per secondo.
Tutti noi, lesbiche e gay, eravamo seduti attorno ad un
tavolo circolare, chiacchierando tranquillamente, e scambiandoci carezze che
non ho mai potuto fare in pubblico.
Lo ammetto, ogni tanto, io mi vergognavo.
Io – mi – vergognavo. Tante grazie, mondo del cazzo.
Ad un certo punto entravano un ragazzo e una ragazza per
mano.
Zompettavano furtivi come ladri, incassati nelle loro
stesse spalle, vergognosi della loro stessa natura.
Noi, vigliacchi, li schernivamo.
Un mondo all’incontrario, che però funzionava esattamente
come questo.
Avrei voluto scomparire. Che sia davvero un mio desiderio
nascosto?
Essere come quelli che ho sempre odiato?
Rimarrò per tutta la mia vita con questo interrogativo, lo
so.
Non avrò mai il coraggio di affrontarlo direttamente,
prendendolo di petto.
Per la paura, la codardia, di ammettere che sono come
loro.
Un mondo all’incontrario, che girava come questo.
Non l’ho mai trovato il mondo perfetto.
Una volta ci sono andato vicino, ed è stato solo per un
pomeriggio.
In un luna park, immerso nel bagno di folla indifferente.
Con una bimba, boccuccia di rosa e nasino arricciato.
Onestamente, mi rendo conto del grave difetto di tutto
ciò. Non ha una trama. Come detto prima, non era questo il mio scopo.
Tratto dalla conversazione con un mio amico inglese. Spero
di aver interpretato correttamente ciò che cercava di dirmi in quella strana
lingua che è la sua.
A Ian
Con affetto, Wast.