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Autore: Jacqueline    23/02/2006    1 recensioni
Le luci delle strade inglobano le pelli spettrali di coloro che guardano.
La penombra della stanza rinchiude i più semplici desideri.
Luce ed ombra non possono fondersi,se non per uccidersi...
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era stata in una sera come quella,con la pioggia che le bagnava i capelli,facendoli aderire fastidiosamente al volto,che l’aveva incontrato.

Camminava in fretta per raggiungere il proprio appartamento,ormai noncurante dell’acqua che le aveva inzuppato i vestiti. Si strinse ancora di più nel capotto di lana nera, cercando di riscaldarsi,invano.

La strada era buia e stretta : un vicolo in cui aveva cercato inutilmente riparo dal vento sferzante. Deserto,che stranamente le incuteeva paura.

Le ombre si delineavano sui muri dei palazzi,strisciando su per le saracinesche ormai abbassate dei negozi.

Un orologio,poco davanti a lei,batté undici rintocchi sonori,tutti con lo stesso timbro,che parvero cadere dal cielo con la pioggia,uno dopo l’altro.

Rabbrividì, guardandosi intorno, i propri passi che echeggiavano rumorosamente sull’asfalto bagnato del marciapiede.

“Smettila.”sussurrò a se stessa, ”non fare la bambina…è solo una strada buia.”

Il lampione della strada illuminata,poco più avanti,le fece tirare un sospiro di sollievo.

Improvvisamente colse con la coda dell’occhio un movimento alla sua sinistra,in alto,verso le finestre di una casa ormai disabitata da tempo,con le pareti ricoperte d’edera.

Si fermò,rabbrividendo,e alzò lo sguardo,cercando di distinguere qualcosa nell’oscurità che avvolgeva la casa e le finestre,impedendole di vedere se vi fosse qualcuno che la stesse osservando.

All’improvviso,in una delle finestre che si affacciavano sulla strada, si venne ad accendere una flebile luce, ancora più tenue di quella d’un candela, spettrale, quasi quanto la superficie bianca della luna.

Represse un gemito soffocato al che distinse i contorni di un volto,così pallido da apparire cadaverico…in mezzo al quale due occhi scuri la fissavano,ricolmi d’un luce che li animava e li rendeva vivi.

Indietreggiò,mentre come per magia il volto svaniva,facendo sì che la casa ripiombasse nella tenebra.

Rimase per qualche attimo a fissare l’oscurità e le ombre che giocavano sui muri,poi chiuse gli occhi e fece un respiro profondo,cercando di riprendere il controllo di sé e di non farsi turbare eccessivamente da ciò che aveva appena visto.

Semplicemente…era stata un’illusione…qualcosa che era frutto della sua mente e nulla più…

Doveva essere così…

Doveva…

Non poteva esistere una persona dalla carnagione così chiara…e poi,quegli occhi…

Così…belli

Così profondi ed inquietanti…affascinanti…

Ma cosa stava pensando?

Scosse la testa con forza,i lunghi capelli neri che ondeggiavano nel vento.

Ormai la pioggia era diventata tutt’uno con i suoi vestiti…sbuffò appena, scrutando la parete alla sua sinistra, alla ricerca di una porta che desse verso l’interno.

Poi la vide.

Vecchia e cadente, di legno ormai marcio. Si precipitò senza pensare minimamente a cosa stava facendo, spalancandola ed entrando nell’edificio, mentre tossiva violentemente, nell’avvertire l’odore della muffa e la polvere che aleggiava su ogni cosa.

Gli occhi ridotti a fessura, cercò d’intravedere qualcosa nel buio fitto dell’entrata. La sagoma di una scala…in fondo una porta che dava su un salone…una cassettiera appoggiata al muro di fronte con uno specchio sopra, ormai inutilizzabile…

Il piano superiore…lentamente si mosse, udendo un tuono che rombava, all’esterno.

Sorrise quasi…certamente, per quanto lugubre, questa stanza era preferibile alla pioggia scrosciante.

E poi…

Osservò i gradini di pietra che salivano e iniziò l’ascesa, i suoi passi che rimbombavano sinistramente fra le pareti.

Arrivò al pianerottolo, guardandosi intorno, gli occhi che iniziavano ad abituarsi all’oscurità.

Le sembò di vedere dei quadri appesi alle pareti…e due porte,una di fianco all’altra…

S’incamminò verso quella più vicina che era aperta,fermandosi sulla soglia e osservando l’interno.

Un letto…una scrivania e la finestra.

Nessuno…sorrise, dandosi della sciocca.

Chi credeva potesse esserci ?! Un fantasma, forse ?

“Perché no?”

La voce profonda la fece voltare di scatto, la bocca aperta,l’urlo silenzioso che le rimase in gola nel vedere quell’essere

Indietreggiò, inciampando in un tappeto ammuffito; per poco non perse l’equilibrio.

Con gli occhi sbarrati, continuò a fissarlo, cercando di capire cosa stesse succedendo.

Chi era? Come aveva fatto ad arrivarle alle spalle senza il minimo rumore? Cosa voleva da lei?

Il panico non le lasciava il tempo di riflettere lucidamente, e lui era lì che le sorrideva, sorrise,gli occhi neri che rilucevano nell’oscurità.

“Mi dispiace di averti spaventata così. Non era mia intenzione…”

I denti bianchissimi risplendettero per un attimo nel buio, prima che le labbra sensuali tornassero a coprirli.

Leonora deglutì, facendo passi frettolosi verso la finestra,tentando di calmarsi e di osservarlo.

La carnagione pallidissima del volto, quegli occhi magnetici, i capelli neri e lunghi fino alle spalle, che gli spiovevano sul volto…

Era bellissimo, e sembrava essere pericoloso…

E ovviamente era ben consapevole d’averla terrorizzata a morte…

“Cosa…cosa…”non riuscì a finire la frase, la voce tremante che risuonò nell’aria vibrando,per poi spegnersi,venendo avvolta di nuovo dal silenzio.

“Cosa sono? Cosa voglio da te?”

Oh,Dio,pensò lei,se non fossi in questa situazione…penserei che è stupendo…è l’uomo più bello che io abbia mai visto…

Non riusciva, nell’oscurità, a definirne l’età. Forse aveva venticinque,ventisei anni…

“Ti ringrazio,cherié… “si passò una mano sui capelli, scostandoseli dal volto, mentre rideva piano, compiaciuto.

Si avvicinò, lentamente, arrivando a pochi centimetri da lei.

La ragazza trattenne il respiro, mentre osservava la sua mano sollevarsi e posarsi delicatamente sulla propria guancia, accarezzandola.

Tiepida…la sua mano era tiepida…e dei brividi freddi le corsero lungo la schiena,mentre lo osservava da una così ravvicinata distanza.

Sì…avrebbe dovuto avere venticinque anni…il corpo robusto e asciutto, i muscoli che si potevano appena intravedere sotto la camicia blu scura.

Il suo cuore iniziò a battere normalmente…per quanto neanche lei se l’aspettasse.

Il ragazzo non smise di ridere, quasi stesse parlandole.

Che la prendendesse in giro?

“Leonora…” una sensazione strana la pervase, nell’udire pronunciato il proprio nome con tale chiarezza…come lo sapeva?

“Sì…Leonora…uno splendido nome…” Lui lasciò che i loro volti si avvicinassero, fissandola negli occhi con tale da incuterle paura.

Poi, inaspettatamente, ritrasse la mano e si scostò, lasciandole spazio.

Leonora respirò profondamente e prima ancora che si rendesse conto di ciò che faceva, corse come non aveva mai fatto fuori dalla stanza, scendendo velocemente le scale di marmo, per uscire da quella porta decadente e ritrovarsi sotto la pioggia scrosciante, cercando riparo dal turbine di pensieri che le martellavano in mente.

Il ragazzo la osservò tornare in strada e correre verso la strada illuminata, dal vano della finestra.

Sospirò, passandosi nuovamente una mano fra i capelli, prese il libro che stava leggendo prima d’averla vista camminare sotto la pioggia. Iniziò a sfogliare le pagine lentamente, una figura indistinta, pallida come un raggio di luna immersa nell’oscurità più assoluta.

Erano due notti, che non pioveva. Due giorni, che si ritrovava a camminare, la sera, da sola per le vie affollate della città.

Alzando il volto verso il cielo scuro, osservò la luna che era coperta parzialmente dalle nuvole, come un velo che copre il volto di una sposa.

La gente le passava accanto, camminando in fretta, quasi urtandola.

Si accostò alla vetrina di un negozio, osservandone l’interno : gli scaffali, gli appendiabiti, le persone che si aggiravano lentamente fra le commesse, osservando i vestiti, cercando qualcosa che facesse al caso loro.

Sereni, tranquilli…apparentemente senza problemi…

Distolse lo sguardo e continuò a camminare, i lampioni che illuminavano il marciapiede davanti a lei, i fasci di luce provenienti dai fari delle macchine che le sfrecciavano accanto che creavano ombre sulla strada.

Tutta la luce…quella luce che cercava di opporsi all’ombra…

Le tenebre che erano sovrane della notte, le tenebre che parevano non scalfire il volto d’avorio che la fissava.

Sussultò, guardandosi attorno, alla ricerca degli occhi magnetici del ragazzo, senza trovarli.

Scrutò i passanti, i cappotti scuri, i berretti calcati sugli occhi, le mani affondate nelle tasche, i volti infreddoliti, gli occhi vacui, senza trovar traccia di lui.

Ma cosa stava facendo ?

Lo stava forse cercando ?

Scosse la testa, cercando di eliminare dalla propria mente l’immagine di quel volto ed il calore delle mani, di come si scostava i capelli dal volto; doveva cercare di dimenticare quel sorriso.

La sensazione che aveva avvertito quando lui l’aveva toccata.

Il battito del cuore, e la sua voce…quella voce così profonda…

Prima che se ne rendesse conto si trovò a fissare la porta di legno marcio del palazzo in cui l‘aveva incontrato, due notti prima.

Era forse impazzita? Perché si trovava lì? Non avrebbe dovuto tornare per nessun motivo. Sapeva che poteva essere pericoloso…

Ma non poteva non farlo…

Intravide una flebile luce provenire dal fondo della stanza.

Attraversò la soglia mentre la parte razionale del suo cervello le ordinava di uscire ,di andarsene, di fuggire…quel ragazzo era diverso. Avrebbe fatto meglio a dimenticarlo…

Udì qualcosa che si muoveva, al piano di sopra, e si fermò tendendo l’orecchio.

Come due notti prima, la fitta oscurità le impediva di vedere molto. Lentamente iniziò a salire le scale, poggiandosi alla balaustra di pietra coperta di polvere.

I suoi passi riecheggiarono nuovamente attraverso il corridoio davanti a lei e la camera sottostante, rompendo il silenzio.

Improvvisamente, lo vide, nell’oscurità.

I grandi occhi grigi si fissarono sul volto, osservando quanto apparisse più umano e non così spettrale rispetto all’ultima volta…

Lo guardò sorridere, mentre sollevava una mano e la tendeva verso di lei.

Senza rendersene conto Leonora la prese, avvertendo il poco calore che emanava; per un istante pensò di ritrarsi, ma prima che potesse prendere una decisione lui l’attirò a sé, badando a tenere una certa distanza fra i loro corpi. Non aveva smesso neanche per un attimo di sorridere.

“Sei tornata.”

Solo allora comprese il significato dell’azione compiuta.

Esitò, prima di sorridere leggermente a quegli occhi gentili ed annuire.

“Sì.”

Più e più volte era tornata in quella casa decadente, solo per vederlo, per sentirlo parlare, per rimanere a contemplare la figura che pareva fatta di marmo mentre si muoveva per le stanze, mentre accendeva o spegneva questa o quella candela, mentre la osservava andar via da una delle numerose finestre.

Riusciva a trovarlo solamente di notte. Di mattina aveva sempre trovato la porta sbarrata, con travi che non riusciva a smuovere.

Rimaneva con lui dal tramonto fino all’alba, al che egli stesso la invitava gentilmente a lasciarlo riposare.

Spesso trascurava l’università, ma improvvisamente non considerava più il fatto rilevante.

Sentiva di meno le amiche e dormiva spesso durante il giorno, per recuperare le forze.

Trovava ogni scusa per evitare le cene fuori o qualcosa che potesse impedirle di vederlo.

Dopo neanche un mese la sua presenza aveva cambiato radicalmente il suo modo di vivere.

Una sera lo trovò ad aspettarla affacciato alla finestra, mentre osservava la strada vuota e piena di ombre.

Ormai da due ore il sole era calato e la luna dipingeva sulla sua camicia nera argentei fili che si dissolvevano come per magia.

“Adrien ?”

Lui non si mosse, limitandosi ad osservarla. Lei restò ferma sulla soglia, quasi turbata dal suo sguardo, poi entrò nella casa salendo lentamente i gradini come quel primo giorno,quasi si aspettasse di esser aggredita da colui che ormai la affascinava a tal punto da ossessionarla.

Lo scorse che la aspettava a braccia conserte sul pianerottolo; il capo era reclinato appena verso destra,gli occhi la guardavano con interesse. Le iridi scure si muovevano, lente, scorrendo sul suo corpo, sui pantaloni scuri e pesanti, sulla maglietta leggera di cotone, sotto a quella senza maniche di lana, bianca come il latte.

Fermò il proprio incedere, la mano sulla ringhiera di pietra, gelida al tocco.

“Adrien ?” mormorò nuovamente, come volesse chiamarlo, come se volesse chiedergli di avvicinarsi, di smettere di fissarla semplicemente. La metteva a disagio.

E, quasi le avesse letto nel pensiero, lui compì due passi per azzerare la distanza che incombeva fra loro, le mani gelide come non mai che le prendevano il volto fra le mani, le labbra bluastre che si posavano con arroganza sul suo collo. Avvertì una lieve fitta, alla quale sussultò, mentre qualcosa di bagnato le inumidiva la pelle. Caldo.

Cercò di scostarsi da lui, le mani che premevano con forza sul suo petto, invano. Avvertì il ragazzo leccare il sangue che le era sceso sul collo, lasciando una scia vermiglia. Indi la sua voce ora roca, la raggiunse.

“Vattene…Vattene.” Perentoria, così diversa da quella che era abituata ad ascoltare.

Adrien la lasciò andare, le mani che ricadevano sui fianchi, le labbra che erano stirate in un gelido sorriso. Un sorriso che si trasformò in un ghigno, divertito.

Istintivamente, le proprie dita corsero al collo, dove non avvertì nulla : né una ferita, né un graffio…Solo un lieve brivido che le percorreva la pelle intatta.

“Vattene.” Lo udì ancora dire, mentre le voltava la schiena con noncuranza, rientrando nella propria stanza.

Compì un passo indietro con incertezza, scendendo un gradino della scala. Solo allora si rese conto di quanto il proprio cuore stesse battendo. Voltandosi a sua volta, scese frettolosamente le scale di pietra, lasciando la casa senza guardarsi indietro, semplicemente correndo alla cieca verso il proprio appartamento, mentre cercava di distogliere la propria mente da ciò che ormai le sembrava impossibile accettare…lui era forse un vampiro ?

Pagine. Scritte con caratteri piccoli. Pagine e pagine che formavano racconti e libri.

Vampiro.

In pochi giorni si appropriò di qualunque cosa riuscisse a trovare su quelle creature irreali, a partire dal romanzo di Bram Stocker, che lesse in una notte non chiudendo occhio. Li studiò attraverso i più moderni libri di Anne Rice, confrontando le due versioni, immagazzinando tutto ciò che leggeva nei minimi dettagli.

Lasciò che un libro le cadesse di mani, finendo sul pavimento. Chiuse gli occhi, poggiando la testa sul cuscino, mentre sospirava appena.

Vampiro.

Scosse con forza la testa a quel pensiero. Non poteva essere. Era stato semplicemente uno stupido scherzo. Di cattivo gusto, orribile, l’aveva spaventata. Ma era uno scherzo.

Eppure…il suo chiederle di andar via, prima dell’alba, il suo essere nella casa solo dopo che il sole era tramontato. Il suo pallore, la pelle gelida…la sua forza, le labbra livide. E poi il suo bacio… il sangue.

Le tessere del puzzle lentamente si incatenavano l’una con l’altra, senza che lei potesse far nulla per fermarle.

Vattene. Quella parola…perché ?

Solo dieci giorni prima aveva compreso quanto lui potesse essere pericoloso. Quanto lo dovesse temere. Quanto potesse farle paura. Quanto la propria mente non riuscisse ad accettare ciò che leggeva, ora dopo ora.

Si alzò a sedere, la destra che lentamente passava fra i capelli scuri in un moto di stanchezza. A gambe incrociate, guardò fuori dalla finestra il pallido sole di fine dicembre che calava, oltre i bassi palazzi della città.

In fretta si mise le scarpe,afferrando uno dei tanti libri che giacevano sul letto, per poi uscire dalla porta principale, non curandosi di chiuderla a chiave.

Spalancò la porta di legno una scheggia che le si conficcava nel palmo della mano. Per un istante la fissò, come ipnotizzata dalla goccia rossa che sgorgava dal graffio. Poi distolse lo sguardo rapidamente, lasciando che gli occhi grigi si abituassero all’oscurità. Colse la propria immagine nello specchio coperto parzialmente dalla polvere. Jeans neri all’apparenza consumati, una camicia rosa chiaro a maniche lunghe, una sciarpa nera che le copriva il collo. Gli occhi chiari che la fissavano erano stanchi, tanto stanchi…I lineamenti del volto erano tesi.

Si ravviò i capelli e li legò in fretta in una coda di cavallo. Si avvicinò ulteriormente allo specchio, posandovi sopra il palmo aperto della mano, macchiando la cristallina superficie di sangue. Il proprio sangue. Poggiò la fronte al vetro polveroso, sospirando appena. Cosa ci faceva lì ? Ora le sembrava tutto così inutile e stupido.

Si sentì avvolgere da una morsa gelida, che la abbracciava, quasi immobilizzandola.

“Stupido..sì. Davvero molto. Tornare nell’antro della bestia...” Una mano, la destra,le afferrò con decisione il palmo tinto di carminio colore, accostandolo alle labbra. Lentamente, succhiò il poco sangue che macchiava la pelle, togliendo dal graffio la scheggia, con una premura che scomparì quasi del tutto quando le sfiorò il collo, mordendolo appena.

“Stupido davvero. Non credi ?”

Fredda e strisciante, la paura le penetrava come aria gelida attraverso i vestiti, quasi mozzandole il respiro. Gli occhi grigi che erano sgranati fissavano il riflesso nello specchio, il volto pallido che ora poggiava il mento sulla sua spalla osservandola, le iridi scure che brillavano d’una luce sinistra.

“Bambola” sillabò, in tono calmo, quasi caldo. “la mia Bambola..”

“La tua bambola…” un’altra voce risuonò, serpeggiando chiara fino a giungere alle sue orecchie.

Adrien voltò appena il capo, lasciando che le labbra si curvassero in un sorriso mentre osservava l’elegante figura di un ragazzo scendere le scale di pietra, i capelli chiari che parevano risaltare nell’oscurità della stanza. Gli occhi d’ametista si posarono dapprima su Adrien, poi su Leonora che rimase immobile.

Il ragazzo le si avvicinò, sollevò la mano destra per sfiorarle la spalla. Le sue dita erano fredde.

“La tua bambola… Allora io non ti basto ?” mormorò, velatamente ironico.

“Tu…tu. Avanti, Kurtz. Non potrai mai esser una bambola, tu.” Adrien rise appena, allentando la presa sulla ragazza.

“Ah no? Mi offendi.” il volto si modellò in un’infantile espressione di mera delusione e scontento. “Perché no ?”

Adrien rise. Era una risata diversa da quella che le rivolgeva, solitamente. Cristallina, che s’infrangeva sull’alto soffitto, ricadendo velocemente sul pavimento, mentre rimbalzava appena sul vetro dello specchio, che ancora stava fissando.

“Perché tu”voltandosi, andò verso il ragazzo che aveva chiamato Kurtz, sfiorandogli il volto con una mano, quasi lo stesse accarezzando.”Non puoi.”disse semplicemente.

Leonora respirò a fondo, appoggiandosi al ripiano su cui era lo specchio, socchiudendo gli occhi. Si sentiva stanca. Sollevò lentamente le palpebre e per un attimo sentì che il pavimento ondeggiava. Ma non poteva essere… Strinse con forza il bordo del ripiano, le mani che si sporcavano di polvere. Il silenzio era tutto quello che riusciva ad avvertire, mentre una insolita sensazione di leggerezza la invadeva.

Due occhi violetti la fissavano, come trattenendola dal cadere, mentre un buio totale le occultava qualsiasi visione, mentre avvertiva sotto il corpo la superficie fredda del pavimento venirle incontro.

Luci. Soffuse, che lambivano il buio ai bordi, come il sole che tramontava, lasciando scie rossastre sui contorni delle montagne. O come le luci iridescenti d’una città vista dall’alto. Accompagnate dal silenzio innaturale della sera. L’assenza di suoni bruschi le ricordava i locali piccoli e poco affollati nei quali era solita rifugiarsi con le amiche l’ultimo anno di liceo, il sabato sera. A bere e chiacchierare, ascoltando un po’ di blues, come quello che sentiva ora, provenire da qualche angolo nascosto attorno a lei. Dolce,melodioso. Struggente,pieno di nostalgia.

Lentamente socchiuse le palpebre, come a non voler spezzare l’incanto di quel risveglio. No,non era luce…non dell’alba ormai prossima, ma di una candela che tremolava appena lasciando distinguere la figura appoggiata al davanzale della finestra, che ascoltava la musica, i lunghi capelli biondi, scomposti, che ricadevano ai lati del viso, le iridi socchiuse.

Rimase a fissarlo, ipnotizzata,mentre le scorrevano davanti immagini di una città in pieno inverno, le strade coperte di neve, risate che aleggiavano nell’aria come echi avrebbero solamente desiderato di non spegnersi mai..

Freddo. Labbra fredde e scure le sfiorarono una guancia. Sobbalzò, tirandosi appena a sedere su un gomito.

Iridi nere come la notte appena passata, come il buio dal quale si era risvegliata, la guardavano. C’era un sorriso, un ghigno appena accennato sul volto dipinto di pallida opalescenza.

“Ben svegliata, bambola. Noi dobbiamo andare..”

La musica non si fermava, mantenendo la stessa nota di nostalgia, mentre la candela si spegneva, la fiamma estinta da una feroce brezza che entrava dalla finestra aperta. Il cielo si andava tingendo di porpora, mentre la voce di Adrien riempiva la stanza in modo sommesso.

“Kurtz, andiamo.” Gentile e fermo,quasi autoritario,come fosse un comando. Per un istante solo una traccia della musica aleggiò nella stanza, poi scomparve del tutto, dissolvendosi al che lui si mosse, come vi fosse stato un filo che veniva reciso.

“Bye, bambola. Dormi pure quanto vuoi...e se ti preme,resta qui. Ma fa attenzione...la bestia non è scomparsa, si è solamente assopita.” Adrien rise lievemente, mentre alzava una mano per scostarle i capelli dal viso.

Vide per un istante un sorriso anche sul volto di Kurtz, fermo vicino alla porta, poi entrambi, veloci, senza darle possibilità di replica, uscirono dalla stanza che piombò nel silenzio.

Sedette, raccogliendo le ginocchia al petto, coperte dalle lenzuola pesanti. Rimase sveglia a guardare sorgere il sole,il cielo che si tingeva via via di tonalità più chiare, delle nuvole rosee che l’attraversavano,prive di voce.
  
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