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Autore: Destroya    28/05/2011    1 recensioni
Un innocenza che pareva esortarti a distruggerla senza pietà.
Graffiandola, mordendola, tagliandola, scarnificandola.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Cara Arte,
 
Questa lettera non è mirata a lusingarti. Non è mirata a farti sentire importante o inutile, perfetta o ignobile.
Infondo, lo sappiamo tutti che la perfezione non esiste.
Ma, a parer mio, tu sei l'essere che più si avvicina al concetto umano della cosa perfetta, sopra tutte le altre.
Bellissima. Pura. Di un innocenza ai limiti del perverso.
Un innocenza che pareva esortarti a distruggerla senza pietà.
Graffiandola, mordendola, tagliandola, scarnificandola.
In tutti i modi, senza un attimo di sosta. 
Ma gli altri, idioti, ne erano talmente abbagliati da riuscire solamente a rimirarti da lontano.
E non vedevano la tua luce spegnersi. La tua aura morire. Morire per cosa, poi? 
Solamente perché degli zotici, dei ciechi non vedevano di cosa tu avessi bisogno.
Tu avevi bisogno di essere distrutta. 
Avevi bisogno di vedere quel bianco intaccarsi, prendere colore; prima roseo, poi vermiglio.
Un rosso umido, bollente, che pareva vomitare emozione.
Cos'eri, tra gli altri? 
Una magnifica tela gettata nel fango, ma esso non ti macchiava. Eri impermeabile alla normalità.
Ti conservavi, lottavi strenuamente per continuare a emanare quel lieve luccicio, pregando sottovoce che qualcuno arrivasse e ti vedesse davvero.
La terra umida, il pantano ascoltava le tue invocazioni, i tuoi requiem. 
La gente ti ignorava, ti passava accanto e presa com'era dalla sua incommensurabile arroganza non ti vedeva, o faceva finta di non vederti.
Il sole ti osservava, assisteva impotente a quello sfacelo che gli altri avevano il coraggio di chiamare "vita".
Una vita buttata, sprecata, una statua marmorea e impareggiabile nascosta dalla tediosa e banale normalità.
Lo spreco più assoluto e totale.
Ma sono arrivato io.
Ti ho salvato.
Raccogliendoti da terra, ripulendoti dall'immonda sozzeria di un mondo che non capiva e non ti esaltava abbastanza.
Già tra le mie mani, mi parevi più bella. Stupenda. Ti adattavi a loro con facilità disarmante, che m'incantava.
Avrei perso giorni, mesi, anni a contemplare la tua rinascita.
Come uno di quei fiori che si schiudono una volta ogni decennio, ora rifulgevi solo per me.
Nelle quattro mura che chiamavo casa, camminavi sul pavimento che sembrava provare piacere ogni volta che lo sfioravi.
Ogni oggetto, ogni emozione, sensazione, in mano a te pareva modificata, a tal punto che per un attimo di breve smarrimento, mi persi.
Sono davvero io il pittore? 
O sei tu, tela immacolata, che con i tuoi suadenti bisbiglii mi soggioghi senza che io me ne accorga?
Ma, come ho detto, è stato solo un attimo.
Non appena ti sei ripresa dal lordume inutile che ti avvolgeva, io ti ho dipinto.
Ogni notte.
Ogni, singola, solitaria notte del nostro tempo ti dipingevo, e vederti così, macchiata di colore era uno spettacolo impagabile.
Indecente, senza alcun dubbio, ma di una bellezza tanto selvaggia da togliermi il fiato di gola.
Mentre dormivi, contemplavo le mie opere. 
Le carezzavo più volte, seguivo i contorni in rilievo con i polpastrelli.
Avvertivo ogni singolo rialzo, ogni depressione, fino ai contorni più marcati dove gli arabeschi s'intrecciavano.
Rabbrividivi, gemevi, ti contorcevi e pregavi sotto le mie mani.
Ma no, non pregavi di smettere. 
Mi pregavi di andare avanti. Di consumarti, di non lasciare uno spazio libero.
Che eri stata innocente e candida troppo a lungo, e ora volevi sentirti sporca.
Sporca, violata, macchiata, seviziata.
E se la gente ti derideva, con l'orgoglio di una fiera ringhiate li facevi tacere.
Ti lanciavi in appassionanti discorsi sul quanto fosse bello appartenermi, su cosa non capissero loro e si come li compativi a non essere mia proprietà.
Gli sputavi addosso e ti abbandonavi a gutturali risate che mi faceva socchiudere gli occhi, con un ghigno compiaciuto in viso.
Eri mia. Solamente mia.
La mia arte.
Poi, qualcun'altro è arrivato. Ha visto i segni che portavi addosso ed è inorridito.
Tu non capivi perché, mentre io mi limitavo a squadrarlo con freddezza, perché lui era diverso.
Non solo cieco, ma sordo e storpio. Un moralista che non lasciava spazio agli altri, ottuso e oscenamente chiuso nelle sue convizioni.
Il peggio del peggio.
E, lui, proprio lui, ti ha portata via da me.
Ti ha strappata in mille pezzi perché tu non capivi.
Ma, in realtà era lui che non capiva. Affatto.
Ti ha tagliata, senza pietà. Ti ha fatta a brandelli e li ha lasciati marcire sul pavimento.
Io ti ho trovata, di nuovo. Ti ho trovata e i conati di vomito mi hanno scosso le spalle.
La mia Arte era stata distrutta.
Era morta.
Sai, Arte, il desiderio di vendicarsi è forte in qualsiasi uomo.
Il mio è stato selvaggio e repertino.
Non volevo credere di averti persa per qualcuno di così infimo livello, la categoria più bassa dell'essere umano.
No, ammetto di non averci pensato molto.
Sai, non avevo mai dipinto una gola. E' stato divertente, ma forse il pennello è affondato un po' troppo.
Quella tela improvvisata sul momento si è rotta tra le mie mani.
Probabilmente dovrei dire "Che peccato", ma non me ne importa niente.
Perché tu, Arte, eri l'unica tela che voglio e che volevo.
Degli altri, non me ne importava niente.
Ho cambiato studio, sai?
Questo è ancora più spoiglio di prima, e uno di loro continua a guardarmi.
E' tutto bianco, c'è solo un letto e una finestra enorme, ma non ci vedo attraverso.
Loro vedono me.
C'è sempre almeno una persona, la sento.
Mi guarda mentre vergo queste righe.
Poi so che entrerà e le vorrà leggere. La cosa mi disturba un po', ma forse, leggendo capirà.
 
Stanno arrivando. 
E' ora di salutarci. Mi spiace che il nostro tempo sia così breve.
Come? Sì, certo.
 
Ti amo tanto, Arte.
   
 
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