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Autore: Aesir    29/05/2011    0 recensioni
[Aliens/Predator]
Racconto che si svolge nell'universo fantascientifico di Alien e Predator, o rispettivamente come si chiamano xenomorfi e yaut'ja.
La storia segue il film Alien vs Predator, ma va a cancellare i vari Alien seguenti.
La storia comincia con un'oscura profezia.
E' il 2012.
E gli xenomorfi... stanno arrivando...
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scena Sette (VII): IL RAPIMENto
 
Vicino a Washington DC, Terra
 
“Sergente, sergente dovete venire a vedere!”
“Cosa c’è, soldato… e… riposo, soldato.”
“Grazie signore!
Stamattina sono andato con i miei compagni a prestare soccorso sul campo di battaglia….”
“COSA HAI FATTO?! Ma è stato proibito!!!”
“Sì signore, ma io ho prestato il giuramento di Ippocrate, non posso lasciar morire un uomo…”
“Discuteremo più tardi la tua azione.
Ora, cosa devi farmi vedere?”
“E’ qui, signore…”
“Oh mio Dio…”
Lì c’erano i corpi di tre xenomorfi.
Erano già abbastanza ripugnanti senza bisogno di aiuto.
Ma ciò che era davvero orribile era ciò che gli era stato fatto.
Erano stati appesi a testa in giù ad un albero, legati per la coda, come pendagli giganti.
Non parevano colpiti da proiettili, bensì da armi bianche di qualche tipo, eccetto il terzo che aveva un foro grosso come un melone che gli attraversava il torace da insetto.
La carne era cauterizzata, non colava acido.
Anche in questo caso, armi decisamente non convenzionali.
Tutti e tre erano stati privati della testa.
Il sergente deglutì.
“Morris, fa sparire quei corpi, non posso permettere che il morale della truppa venga intaccato.”
“Sì signore”
Bene, poi prenditi una pausa e cerca di capire che cosa potrebbe aver conciato quei mostri così.
Voglio sapere chi sia.”
E voglio il suo autografo, soggiunse mentalmente.
 
La navetta yaut’ja solcava silenziosa ed invisibile l’atmosfera terrestre.
Al suo interno la creatura osservava il risultato della missione secondaria: non solo era stata portata a termine efficacemente, ma riportava anche tre trofei supplementari, ciò che restava degli xenomorfi che avevano commesso l’errore di scambiare un membro della specie più pericolosa dell’universo, assieme alla loro, per un normale umano, probabilmente.
Oppure avevano fatto qualche altro errore di valutazione, come crederlo disarmato.
Comunque fosse, l’avevano pagato con la vita.
I tre crani erano stati accuratamente ripuliti e attendevano solo di essere montati sul giusto supporto, ma di questo si sarebbe occupato una volta tornato sul suo pianeta.
Restava una cosa da fare.
Si diresse verso i comandi dell’astronave, localizzò un particolare segnale e inserì un codice a svariate cifre.
In una cassetta di sicurezza, un tempo tenuta sotto sorveglianza armata in un installazione militare segreta, un’arma yaut’ja si sciolse in una pozza di acido.
Dietro la maschera l’alieno ricontrollava, non senza un certo compiacimento, gli obiettivi della seconda missione.
Presto sarebbe stata portata a termine anch’essa…
 
La ragazza giaceva nel letto in un bagno di sudore.
L’uovo, come i petali di un fiore, cominciava ad aprirsi.
Un lieve movimento si intravedeva appena all’interno.
Zampe simili a dita scavalcarono il bordo.
Il facehugger era pronto a spiccare il balzo.
Urlò, ma nel suo sonno non c’erano suoni...
L’uomo si contorceva, legato alla parete dell’alveare.
Qualcosa si muoveva dentro di lui.
Sentì le sue ossa spaccarsi e vide il chestburster che ne squartava il torace.
Urlò, ma nel suo sonno non c’erano suoni…
Lo xenomorfo, accucciato e pronto a saltare, sembrava quasi sorridere.
Spalancò le fauci mettendo il mostra la lingua dentata interna.
La mascella scattò verso l’esterno.
Urlò, ma nel suo sonno non c’erano suoni…
Si svegliò di soprassalto, i capelli in disordine, i vestiti incollati al corpo.
Respirava in fretta.
Cercò di controllarsi.
Quasi ogni notte era così…da quando quei mostri erano tornati…
Da quando aveva dovuto fingere di vederli la prima volta…
Da quando aveva visto, di persona, uno di quegli esseri, orribili, schifosi mostri.
Ogni giorno si aspettava che sfondassero le fortificazioni e li aggredissero.
Ma finora non era successo niente.
Era solo questione di tempo, lo sapeva.
Era già sfuggita una volta ai mostri, non si aspettava che accadesse di nuovo.
E poi quella volta c’erano i Cacciatori, come chiamava l’altra razza con cui aveva avuto contatto.
I Cacciatori!
Ci sarebbero proprio voluti loro, in quel momento.
Erano di sicuro gli esseri più indicati per trattare con quelle orride bestiacce nere.
Ma stare a supplicare le stelle era inutile, lo sapeva.
Ora era sola.
Sola…
Si riaddormentò a fatica, piangendo.
Ma una cosa non sapeva.
Ad invocare gli dei, questi a volta rispondono.
 
Un’ombra nera come la notte, dall’alto di una sporgenza rocciosa, osservava la fortificazione.
Lo yaut’ja spense lo schermo, poi passò l’ambiente a vari filtri, finchè non trovò quello termico.
Grazie al bioelmo poteva ingrandire senza fatica i dettagli che gli interessavano.
Solo tre guardie.
Nessuno xenomorfo.
Le appendici cutanee sul cranio, simili alle vibrisse dei gatti, gli confermarono quest’opinione.
Sorrise, dietro la maschera.
Ingrandì la visuale.
I tre membri di quella specie inferiore stavano parlando tra di loro.
“Va tutto bene?”
“Sì, certo.
Tutto ciò di cui ho bisogno sarebbe ora un caffè e un letto caldo…”
Si avvicinò alla fortificazione e, dopo averla osservata accuratamente, la scavalcò con un balzo.
In un angolo della sua mente eccezionale, molto più sviluppata di quella umana, rifletté: Di certo il pianeta dei prode amedha è invaso dai kainde amedha, non hanno neppure idea di come difendersi da una simile minaccia. Ringhiò, in segno di disprezzo.
Ripescò un file audio dalla memoria del bioelmo. “chrrrhhh >andiamocene…. Via, via, VIA!!!< crrhh…”
Risaliva alla caccia su quello stesso pianeta, anni prima.
Nel continente ghiacciato che si estendeva molto più a sud.
Adeguato.
Quando le due Prede che gli avevano rubato le armi stavano scappando da lui, e una creatura aveva osato attaccarlo alle spalle nonostante l’avesse risparmiata.
I miei compagni avevano ragione… gli umani non meritano compasssione… affogheranno tutti nel loro sssangue...pensò Miyrth ‘Feriij, irato, dando sfogo per un momento all’odio che provava per quella specie e la loro stupidità …le acque resteranno rosssse, sse quesssto è il colore del liquido che ssscorre nel loro corpo, per sssettimane… chrrrrhhh!!!
Non sarebbero più scappati da nessuna parte.
Riattivò la schermatura e fece scattare le armi.
Le dita delle mani si contrassero.
La stagione di caccia apre di nuovo.
 
La guardia, infagottata nel parka, girava il fucile nell’oscurità.
Aveva visto qualcosa muoversi, ne era sicuro.
“Dio, e se quegli incubi fossero arrivati fin qui?” si chiese.
“Esci, chiunque tu sia, fatti riconoscere!” strillò terrorizzato verso le ombre.
“Crrrrrhhh!” fu la risposta.
Il milite imbracciò il fucile e sparò due volte verso il punto da dove proveniva la voce.
Si sentì qualcosa tintinnare.
”WOOOAARRRHH!!”
Lo yaut’ja ruggì, poi passò a sua volta al contrattacco.
Ritornato invisibile, concentrò i 150 chilogrammi di peso sulla punta delle lame retrattili, una superficie fatta apposta per squarciare carne, ossa e corazzature senza incontrare la minima resistenza.
La forza dell’impatto fu tale da sfondare completamente la cassa toracica dell’uomo, uccidendolo all’istante.
La creatura fece leva un attimo e liberò le lame dal corpo.
Quindi si chinò sul cadavere e gli strappò la testa.
 
I due soldati di guardia conversavano amabilmente, discorrendo di argomenti di massima importanza quali lo sport, la politica e le donne.
In una Terra in mano agli xenomorfi, quei miserabili nemmeno si preoccupavano!
Un fruscio si udì appena, simile a tutti gli altri che occupavano la notte.
Non ci badarono neppure.
Errore fatale.
Uno dei due venne sollevato con violenza da terra, il corpo trafitto dalle lame retrattili, visibili solo in quanto sporche di sangue.
L’altro imbracciò il mitragliatore e fece per sparare ma venne mandato da una forza immensa a sbattere contro la parete di un edificio.
Qualcosa lo trafiggeva.
Era buffo, però non provava alcun dolore.
Strinse le mani attorno al “qualcosa”.
L’invisibilità della lancia rapidamente scomparve.
L’uomo osservò stupito quell’arma di un altro mondo.
Poi giacque, esanime.
Lo yaut’ja si rese di nuovo visibile, e osservò i cadaveri.
Allontanandosi verso l’obiettivo indicato sul segnalatore del bioelmo, si lasciò alle spalle due cadaveri appesi a testa in giù da un albero, lascianti cadere gocce di sangue dai corpi spellati, che toccando la neve esalavano un lieve sbuffo di fumo.
 
Lo yaut’ja osservava l’abitazione.
Riconosceva un primitivo e banale sistema d’antifurto, collegato alla porta.
Un semplice circuito chiuso, del tutto inutile.
Cavi, che barbari.
La sua specie aveva smesso di usare l’elettricità da milioni di anni.
E in ogni caso, non aveva nessuna intenzione di passare per la porta.
Estrasse dal cinturone che portava attorno alla vita un’ampolla di liquido azzurrino, luminescente al buio.
Ne versò poche gocce contro la finestra, e subito questa si dissolse.
Era un acido potentissimo, più potente addirittura di quello che componeva il sangue degli xenomorfi.
Lo yaut’ja scavalcò agilmente il davanzale e penetrò all’interno della casa.
Grazie al rilevatore termico non ci mise molto a trovare la sua preda.
Dormiva.
E si assicurò che continuasse a dormire, con la pressione di un dito artigliato su un nervo alla base della nuca.
La osservò rapidamente.
La bellezza umana non significava assolutamente niente per lui.
Passò ad un altro filtro e non ci mise molto a trovare l’arma yaut’ja che le era stata fatta in dono.
La incastrò in un punto dell’armatura.
“Forsse un dono troppo grande per una ssspecie cossì indegna…” disse fra sé e sé, ma poi scacciò quel pensiero.
Non tutti gli umani erano vili e codardi.
Alcuni sapevano farsi onore.
Come quell’umana in particolare.
L’unica umana marchiata da uno yaut’ja da centinaia di anni terrestri.
Dallo stesso yaut’ja che in quel momento covava pensieri nefasti nei confronti del genere umano.
Ironia della sorte.
Il suo yin’itekai non ne aveva risentito ufficialmente, ma comunque l’orgoglio bruciava, per quell’esperienza.
Avrebbe avuto altre possibilità di redimersi, si disse.
Poi, sollevata la ragazza come se non pesasse più di un cuscino di piume si dileguò nella notte.
E se qualcuno avesse osservato attentamente il cielo avrebbe scorto una stella luminosa che si allontanava rapidamente fino a svanire… diretta verso un pianeta lontano. 
   
 
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