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Autore: Ziggie    29/05/2011    1 recensioni
"Scappai di casa a 13anni. Venire picchiato da mattino a sera, da un padre padrone e ubriacone, mi aveva stancato. Non avevo avuto un’infanzia, non sapevo cosa volesse dire essere un bambino, io non lo ero mai stato; non conoscevo l’affetto, io non l’avevo mai ricevuto. Non conobbi il volto di mia madre, morta dandomi alla luce, ma conobbi l’ira del mio vecchio, che ogni sera non mi risparmiava botte e bastonate, così feci quanto andava fatto".
Questa fic parla della vita di Hector Barbossa, sono frammenti che il capitano scrive sul suo diario di bordo quando ancora non è diventato uno tra i temibili pirati dei sette mari. Svariate informazioni sono di mia invenzione, ma la maggiorparte vengono dalle rare informazioni che ci sono pervenute, molti spunti biografici sono presi da questo sito (http://pirates.wikia.com/wiki/Hector_Barbossa) E ora a voi, buona lettura e spero di leggere qualche recensione :)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hector Barbossa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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              2. “Ciò che ogni uomo teme: naufragio”

Il cielo era di un nero pece, tuoni e fulmini si udivano e si scorgevano all’orizzonte, la pioggia iniziava a scendere copiosa.

Era un torbido pomeriggio d’estate, io ero al timone come al solito, fiero della mia posizione; il capitano, a pochi passi da me, studiava delle carte; ogni uomo sul ponte aveva il proprio compito. Mi passai una mano sul volto, ad asciugare il sudore che grondava, mi soffermai sulla mia cicatrice, ancora fresca: avevo appena compiuto 18 anni e mi sentivo già un uomo vissuto.

Fu un attimo. Il vento si alzò e iniziò a soffiare forte, mantenni salda la presa sul timone, non era la prima tempesta che affrontavo e come le altre, ne sarei uscito vincitore. Tutti gli uomini quadruplicarono il loro lavoro, scattanti come gazzelle con alle calcagna un leone affamato. Chi ammainava i velacci, chi assicurava le cime, il tutto sotto gli ordini e le direttive di capitan James Sterling. Ne uscimmo indenni; per il mio sangue freddo e buon comando, venni nominato quartiermastro, ma non tutti ebbero la nostra stessa fortuna.
Sul nostro cammino trovammo i resti di una nave: albero maestro spezzato, corpi alla deriva; la tempesta rende al mare quanto esso reclama. Presi il cannocchiale, magari tra quel cimitero a cielo aperto c’era la possibilità di scorgere dei sopravvissuti, anche se ero io stesso restio a credere a quel mio pensiero. Scrutai ogni singolo angolo e quando stetti per abbassare l’oggetto, ecco che scorsi due uomini.

- Capitano! Uomini in mare! – avvertii e in men che non si dica, quegli uomini abbandonati da dio, si trovavano a bordo.
Uno era privo di sensi, magrolino e senza un occhio, era quello più conciato male della coppia; l’altro, più tozzo, era affannato e con qualche graffio qua e là.

- Vi saremo debitori a vita – si fece portavoce il grassottello, che stentava a reggersi in piedi.

- Non occorrerà. Ringraziate giusto il quartiermastro, se non fosse stato per il suo attento controllo, stareste ancora sguazzando in mezzo a quei relitti – tagliò corto il capitano, mentre il grassottello annuì guardandosi intorno, come se tentasse di capire chi dovesse ringraziare, mi feci avanti e mi caricai sulle spalle il mingherlino svenuto.

- Seguitemi, occorrerà che vi rimettiate in forze –

Non sapeva più in che lingua ringraziarmi, ne ero lusingato, ma iniziava a stancarmi, così gli posai davanti un buon boccale di rum, un pezzo di pane e della carne essiccata, stette zitto. Intanto misi lo smilzo su una delle amache libere e gli posai un panno bagnato sulla fronte, solitamente aiuta a riprendersi.

- E’ tanto che il tuo amico è senza un occhio? – chiesi curioso, studiandone la cavità.

- Qualche mese. Il poveretto lo ha perso in seguito ad un combattimento –

- Dovrei avere qualcosa che fa al caso suo – commentai mettendomi la mano in tasca, l’occhio di legno del marinaio, il mio capolavoro, c’era ancora.

- Siete voi il quartiermastro che ci ha avvistato? –

- Si, altrimenti non mi spiegherei il fatto di essere ancora chiuso qui a prodigarmi di voi – tagliai corto, mentre l’omuncolo sorrise.

- Io sono Pintel e lui è Ragetti – si presentò, facendosi ancora portavoce di entrambi.

- E io non vi ho chiesto niente – feci il duro, ma non riuscii a tenere quell’espressione a lungo, dato lo sguardo corrucciato del grassottello. – E va bene, sono Hector Barbossa. Come vedi ho un nome anche io, ma ora che lo sai, non sciuparlo per la minima richiesta che ti viene in mente, intesi? –

- Intesi – annuì l’uomo continuando poi a mangiare, placando la fame che lo stava attanagliando.


I nuovi membri della ciurma erano molto efficaci, disposti anche a compiere i lavori più umili e il mingherlino, era anche un cuoco niente male, molte sere ci riempiva gli stomaci con il suo stufato: davvero ottimo!
Consigliai a Ragetti di mettersi una benda sull’occhio, ma non ne volle sapere, diceva che mostrare la cavità lo rendeva più vissuto nonostante la giovane età, ridacchiai; eravamo molto simili sotto certi aspetti: io il duro, loro i bonaccioni. Gli diedi l’occhio di legno che avevo intagliato quando venni ferito e da quel momento se ne prese cura come fosse suo figlio. Anche con Pintel il rapporto migliorò. Ovvio, non sempre si ride e si scherza, il più delle volte tratto entrambi come degli stracci da ponte, ma è la gerarchia nautica, il gergo piratesco, a loro sta bene e a me altrettanto. Siamo amici nonostante tutto, compagni di viaggio, fratelli sotto il nome di un unico padre: il mare. 
  
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