2. “Ciò che ogni uomo teme: naufragio”
Il cielo era di un nero pece, tuoni e fulmini si udivano e si scorgevano all’orizzonte, la pioggia iniziava a scendere copiosa.
Era un torbido pomeriggio d’estate, io ero al timone come al solito, fiero della mia posizione; il capitano, a pochi passi da me, studiava delle carte; ogni uomo sul ponte aveva il proprio compito. Mi passai una mano sul volto, ad asciugare il sudore che grondava, mi soffermai sulla mia cicatrice, ancora fresca: avevo appena compiuto 18 anni e mi sentivo già un uomo vissuto.Fu un attimo. Il vento si alzò e iniziò a soffiare forte, mantenni salda la presa sul timone, non era la prima tempesta che affrontavo e come le altre, ne sarei uscito vincitore. Tutti gli uomini quadruplicarono il loro lavoro, scattanti come gazzelle con alle calcagna un leone affamato. Chi ammainava i velacci, chi assicurava le cime, il tutto sotto gli ordini e le direttive di capitan James Sterling. Ne uscimmo indenni; per il mio sangue freddo e buon comando, venni nominato quartiermastro, ma non tutti ebbero la nostra stessa fortuna.
Sul nostro cammino trovammo i resti di una nave: albero maestro spezzato, corpi alla deriva; la tempesta rende al mare quanto esso reclama. Presi il cannocchiale, magari tra quel cimitero a cielo aperto c’era la possibilità di scorgere dei sopravvissuti, anche se ero io stesso restio a credere a quel mio pensiero. Scrutai ogni singolo angolo e quando stetti per abbassare l’oggetto, ecco che scorsi due uomini.
- Capitano! Uomini in mare! – avvertii e in men che non si dica, quegli uomini abbandonati da dio, si trovavano a bordo.
Uno era privo di sensi, magrolino e senza un occhio, era quello più conciato male della coppia; l’altro, più tozzo, era affannato e con qualche graffio qua e là.
- Vi saremo debitori a vita – si fece portavoce il grassottello, che stentava a reggersi in piedi.
- Non occorrerà. Ringraziate giusto il quartiermastro, se non fosse stato per il suo attento controllo, stareste ancora sguazzando in mezzo a quei relitti – tagliò corto il capitano, mentre il grassottello annuì guardandosi intorno, come se tentasse di capire chi dovesse ringraziare, mi feci avanti e mi caricai sulle spalle il mingherlino svenuto.
- Seguitemi, occorrerà che vi rimettiate in forze –
Non sapeva più in che lingua ringraziarmi, ne ero lusingato, ma iniziava a stancarmi, così gli posai davanti un buon boccale di rum, un pezzo di pane e della carne essiccata, stette zitto. Intanto misi lo smilzo su una delle amache libere e gli posai un panno bagnato sulla fronte, solitamente aiuta a riprendersi.
- E’ tanto che il tuo amico è senza un occhio? – chiesi curioso, studiandone la cavità.
- Qualche mese. Il poveretto lo ha perso in seguito ad un combattimento –
- Dovrei avere qualcosa che fa al caso suo – commentai mettendomi la mano in tasca, l’occhio di legno del marinaio, il mio capolavoro, c’era ancora.
- Siete voi il quartiermastro che ci ha avvistato? –
- Si, altrimenti non mi spiegherei il fatto di essere ancora chiuso qui a prodigarmi di voi – tagliai corto, mentre l’omuncolo sorrise.
- Io sono Pintel e lui è Ragetti – si presentò, facendosi ancora portavoce di entrambi.
- E io non vi ho chiesto niente – feci il duro, ma non riuscii a tenere quell’espressione a lungo, dato lo sguardo corrucciato del grassottello. – E va bene, sono Hector Barbossa. Come vedi ho un nome anche io, ma ora che lo sai, non sciuparlo per la minima richiesta che ti viene in mente, intesi? –
- Intesi – annuì l’uomo continuando poi a mangiare, placando la fame che lo stava attanagliando.
I nuovi membri della ciurma erano molto efficaci, disposti anche a compiere i lavori più umili e il mingherlino, era anche un cuoco niente male, molte sere ci riempiva gli stomaci con il suo stufato: davvero ottimo!
Consigliai a Ragetti di mettersi una benda sull’occhio, ma non ne volle sapere, diceva che mostrare la cavità lo rendeva più vissuto nonostante la giovane età, ridacchiai; eravamo molto simili sotto certi aspetti: io il duro, loro i bonaccioni. Gli diedi l’occhio di legno che avevo intagliato quando venni ferito e da quel momento se ne prese cura come fosse suo figlio. Anche con Pintel il rapporto migliorò. Ovvio, non sempre si ride e si scherza, il più delle volte tratto entrambi come degli stracci da ponte, ma è la gerarchia nautica, il gergo piratesco, a loro sta bene e a me altrettanto. Siamo amici nonostante tutto, compagni di viaggio, fratelli sotto il nome di un unico padre: il mare.