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Autore: Ziggie    28/05/2011    4 recensioni
"Scappai di casa a 13anni. Venire picchiato da mattino a sera, da un padre padrone e ubriacone, mi aveva stancato. Non avevo avuto un’infanzia, non sapevo cosa volesse dire essere un bambino, io non lo ero mai stato; non conoscevo l’affetto, io non l’avevo mai ricevuto. Non conobbi il volto di mia madre, morta dandomi alla luce, ma conobbi l’ira del mio vecchio, che ogni sera non mi risparmiava botte e bastonate, così feci quanto andava fatto".
Questa fic parla della vita di Hector Barbossa, sono frammenti che il capitano scrive sul suo diario di bordo quando ancora non è diventato uno tra i temibili pirati dei sette mari. Svariate informazioni sono di mia invenzione, ma la maggiorparte vengono dalle rare informazioni che ci sono pervenute, molti spunti biografici sono presi da questo sito (http://pirates.wikia.com/wiki/Hector_Barbossa) E ora a voi, buona lettura e spero di leggere qualche recensione :)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hector Barbossa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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           Frammenti: dal diario di un futuro capitano
        1.  “La strada in salita di un semplice ragazzino”


Giunsi per la prima volta a Tortuga quando decisi di disertare dalla file della marina, avevo 16 anni. Una vita piena di regole non faceva per me, è il  mare che detta leggi sul suo territorio, non l’uomo, e tutti coloro che vogliono solcare le sue acque devono essere liberi e non segregati sotto il comando di qualcuno come sua maestà reale, che del mare, a dirla tutta, non sa proprio nulla.

Scappai di casa a 13anni. Venire picchiato da mattino a sera, da un padre padrone e ubriacone, mi aveva stancato. Non avevo avuto un’infanzia, non sapevo cosa volesse dire essere un bambino, io non lo ero mai stato; non conoscevo l’affetto, io non l’avevo mai ricevuto. Non conobbi il volto di mia madre, morta dandomi alla luce, ma conobbi l’ira del mio vecchio, che ogni sera non mi risparmiava botte e bastonate, così feci quanto andava fatto.

L’ennesimo litigio, l’ennesima ubriacatura. Ero con le spalle al muro, me lo sentivo, ci avrei rimesso la pelle, ma la mia mano afferrò la spada di quell’uomo brutale e si mosse da sola, colpendolo dritto al petto. L’uomo cadde in un tonfo sordo, io mi alzai. Non mi faceva ribrezzo quanto avevo appena compiuto, se lo meritava.
- Salutami il creatore – sputai sul corpo inerte del mostro e con la spada in vita, mi diressi al porto. Dissi addio al passato, agli incubi che avevo vissuto, a quel piccolo paese della costa nord spagnola che mi aveva dato i natali: presi il mare.

Conoscevo il mare attraverso alcune storie di taverna che mi erano giunte all’orecchio: molte inventate su due piedi, molte possibilmente vera. Mi aveva da sempre affascinato quell’infinita distesa blu, ma ero un semplice ragazzino, non sapevo niente di come si governava una nave: dovevo e volevo imparare se un giorno volevo diventare un capitano coi fiocchi e contro fiocchi.
Mi imbarcai a bordo di un mercantile, che compiva la rotta mediterranea, come mozzo; mi spaccavo la schiena da mattino a sera, divenni abile nel sistemare le cime e nell’arrampicarmi sulle sartie, ma non era abbastanza così, una volta giunto in Inghilterra, decisi di prendere parte all’accademia della marina, grazie ad un piccolo aiuto finanziario da parte del capitano del mercantile: non credevo di stargli tanto simpatico!

Non fu una vita facile, i requisiti li avevo, ma ero un poveraccio, non un nobile, non uno di loro, ma non mi arresi: il mare mi richiamava e io volevo lui. Passai tre anni in queste file di signorini, affrontai viaggi, imparai ad affrontare le condizioni climatiche, dal vento alla tempesta; migliorai le tecniche di combattimento, imparai a leggere le carte e ad usare adeguati strumenti di navigazione; divenni timoniere. Un ruolo che apprezzavo, un compito importante; dovevo mantenere in rotta la nave, gran parte della buona riuscita dl viaggio dipendeva da me; sentivo il vento sulla faccia e la spuma dell’onda solleticarmi la pelle, ero un tutt’uno con la nave, con le acque sotto di me. Potevo pilotare ad occhi chiusi, talmente ero sicuro, che non avrei perso la rotta. Avevo tutto ciò che un ragazzo della mia età potesse desiderare, ma nonostante ciò, mi sentivo vuoto: non ero libero.

Eravamo al largo di Hispaniola, Tortuga. L’isola dei piaceri, della perversione, regno di pirati, quando fuggii calandomi da un boccaporto di tribordo, mentre la nave scivolava veloce verso Puertorico: prima usciva da quelle acque immonde, più tranquillo sarebbe stato l’equipaggio, che fifoni! La notte mi aiutò a nascondermi nella sua oscurità, nuotai con tutte le forze che avevo in corpo fino all’isola; avevo indosso giusto stivali, pantaloni e camicia e, ovviamente, i miei effetti, di certo non mi sarei presentato come un giovane allievo di marina!
-
Una bella nuotata in mare aiuta a riprendersi dalla sbronza, eh ragazzo! – mi disse un vecchio,  ubriaco fradicio, abbracciato ad un barile di rum sul molo.

- Non c’è niente di meglio, davvero – gli ressi il gioco, mentre mi strizzai i capelli e mi sciolsi il codino che ero solito tenere tra le file della marina. – Sapreste indicarmi la Sposa Devota? – chiesi, non avevo mai messo piede lì, ma ne avevo sentito parlare da molti di quella locanda: la più famosa dell’isola.

- Devi avere il rum ancora in circolo se non ti ricordi la strada – convenne il vecchio tra un sorso e l’altro. – Sempre dritto, quando vedi donne sgargianti e prosperose, sul balcone, intrattenersi con degli uomini, sei arrivato -. A quella descrizione mi sfregai subito le mani, avrei scoperto un nuovo mondo quella sera e la perdizione mi avrebbe accolto in seno, quella volta e per sempre.
Più volte mi ritrovai in mezzo ad una rissa, più volte ne scatenai una; ogni donna della Sposa sapeva il mio nome e non c’era sera che non fossi ubriaco: avevo perso anche le redini della mia vita.

Tornai in me, era la vita del pirata quella che cercavo, quella che volevo e un pirata che pianta le radici, seppur a Tortuga, non è degno di definirsi tale. Mi imbarcai a bordo della Nemesis, di cui fui e sono tutt’ora timoniere. Ho vissuto arrembaggi e abbordaggi, uno di questi proprio qualche giorno fa, per quello che ora mi ritrovo a scrivere su queste pergamene, sono ferito e il capitano mi ha obbligato a stare a riposo, peccato che io, fermo non ci so stare! Rischio di perdere un occhio, per quello che ora il mio occhio destro è bendato.
Durante il corpo a corpo dell’ultimo arrembaggio sono caduto vittima della lama di un energumeno, che mi ha sfregiato dalla guancia fin sopra la palpebra; se mai dovessi perdere l’occhio, me ne metterò uno di legno, lo sto già intagliando, tanto per portarmi avanti!
Ma la mia scorza da lupo di mare è dura, so che rimarrà soltanto una cicatrice, come segno di guerra e a furia di incappare in una tremenda punizione, per Giove, io devo imbracciare il mio timone!
  
 
  
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