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Autore: terrastoria    29/05/2011    4 recensioni
La prima volta che aveva visto la neve, Sakura aveva storto le labbra e chiuso gli occhi per non vedere, le mani a pugno lungo i fianchi, parole che uscivano sconclusionate dalla sua bocca.
“Si può sapere che cosa ti è saltato in testa?” aveva domandato a Sasuke Uchiha, il ragazzo che aveva conosciuto appena sei mesi prima, all'inizio del College (che entrambi avevano appena lasciato) e di cui si era pazzamente innamorata. Tanto da spiargli letteralmente la vita, pretendendo di scoprirne i segreti. Era stata proprio quella sua determinazione a farle vedere la neve per la prima volta.
[...]
Dodici mesi solo Sakura, Sasuke e la "neve".
Dodici distruttivi mesi SasuSaku.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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E alla fine ho deciso di postare questa cruda SasuSaku.
Il titolo è preso dal film omonimo con Heath Ledger e questa lunghissima one shot è ad esso liberamente ispirata. Le due cose hanno davvero poco in comune.
Per capirci: la storia può apparire surreale ma (ispirandomi al film che non è necessario aver visto per capire la storia) ho voluto scriver della vita di due persone che decidono di isolarsi dal mondo, dalla società e per farlo utilizzano la via più pericolosa che esista, una via che dà solamente una illusione di felicità. A breve termine.
Sasuke è piuttosto inedito in questa fan fic. Vi avviso, per evitare dubbi sull'IC del personaggio. Ho voluto concentrarmi non solo sull'introspezione di Sakura ma specialmente nell'ultima parte su quella di Sasuke che quasi sembra essere lei come compare in innumerevoli storie con i suoi dubbi esistenziali, con la sua parte fragile. E' come se si invertissero i ruoli.... Non so se sono riuscita a spiegarmi ^^ probabilmente lo capirete leggendo la storia.
Non per stomaci così delicati.

I personaggi non mi appartengono, ovviamente. Sic.
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo particolarmente.

Buona Lettura.



Dedicata a tutti coloro che sanno fare delle scelte, nella vita.
Anche se sbagliate.
E prenderne le conseguenze.





La prima volta che aveva visto la neve Sakura aveva storto le labbra e chiuso gli occhi per non vedere, le mani a pugno lungo i fianchi, parole che uscivano sconclusionate dalla sua bocca.
“Si può sapere che cosa ti è saltato in testa?” aveva domandato a Sasuke Uchiha, il ragazzo che aveva conosciuto appena sei mesi prima, all'inizio del College (che entrambi avevano appena lasciato) e di cui si era pazzamente innamorata. Tanto da spiargli letteralmente la vita, pretendendo di scoprirne i segreti. Era stata quella sua determinazione a farle vedere la neve per la prima volta.
Era neve su di uno specchio che rifletteva le narici dell'Uchiha.
“Hai voluto venire qui” le aveva risposto il ragazzo, trafiggendola con uno sguardo talmente intenso che s'era sentita bruciare dentro. “Hai dimenticato a che patto, Sakura?”
Sakura allora aveva annuito, presa da un moto di assurda docilità, e aveva voluto avvicinarsi al tavolino e toccare i fiocchi bianchi, sottilissimi su quello specchio che Sasuke vi aveva appena posato sopra.
Il tocco era stato inconsistente, non aveva sentito alcunchè.
Sasuke Uchiha l'aveva guadata con un nuovo brillio nelle iridi antracite, un sorriso folle dipinto sulle labbra, una bellezza struggente.
Stava vedendo una Dea e aveva assoluto bisogno di impossessarsi di lei.
“Senti” aveva detto però resistendo con impossibile tenacia a quel mondo sciamanico che lo stava invadendo.
Quel mondo che oramai era diventata la sua seconda casa.
“Dimmi”
Sakura non voleva che egli la mandasse via. Non aveva paura, di quella neve che aveva preso possesso del corpo del ragazzo e che la attirava chiamandola con voci soavi.
Con la neve lui era ancor più struggente.
“Ti ripeto per l'ultima volta che se vuoi puoi tornare indietro” le aveva detto severo.
Sakura si era sentita colpita nel profondo, ma aveva incassato il colpo con un amaro sorriso, pensando che lei era meno debole di quanto pensassero tutti quanti, sempre pronti a giudicare.
Lei era lì, in una casa fuori dal mondo che avrebbe presto imparato a conoscere molto bene.
“Ormai sono qui”
Sasuke aveva sorriso di nuovo.

Si era sciolta come neve al sole.
“Ormai sei qui, Sakura” le aveva fatto eco.
Lui, il ragazzo dei sogni proibiti.

Paradiso più Inferno

SasuSaku



Mese 1.
Scrisse la parola “amore” almeno una decina di volte sulle pareti della
loro camera. Aveva scelto una bella vernice rosa su disapprovazione del suo ragazzo che avrebbe voluto riempire le pareti di scritte nere.
“Non ti pare che si intreccino benissimo il nero e il rosa?” domandò a Sasuke, appoggiando il pennello nel barattolo e indietreggiando qualche passo per osservare l'operato.
“Uhm” mugugnò lui, alzando lo sguardo da un libro di poesie che stava leggendo da mezz'ora buona. Ogni notte Sakura gli chiedeva di leggergliene una.
“Uh sì davvero, alla faccia di chi dice che il rosa stona con il nero!” esclamò Sakura e si sistemò un ciuffo di capelli dietro le orecchie, sporcandolo di vernice.
Quando faceva così – pensò Sasuke – sembrava una bambina alla quale è stato appena presentato il mondo. Più passavano i giorni e più lei regrediva ma a Sasuke ciò non faceva dispiacere: era una bambina in un corpo di donna. Una Dea.
“Vieni qua” le ordinò, indicandole il letto su cui era adagiato mezzo nudo.
Era passato da tempo mezzogiorno, ma a casa Uchiha non c'erano orari.
“Devo scrivere quelle righe...di quella poesia di ieri sera...” asserì Sakura fattasi seria nel tentativo di ricordare le parole della splendida poesia del suo autore preferito di quegli ultimi tempi, Wilde.
Ah! La forza delle donne deriva da qualcosa che le psicologia non può spiegare. Gli uomini possono essere analizzati, le donne …solo adorate” pronunciò Sasuke Uchiha in tono solenne, per poi abbandonarsi ad una leggera risata.
“Che ti ridi?!” esclamò la donna che con un balzo felino piombò in ginocchio sul letto e prese tra le mani un cuscino.
“Voi donne siete tutte quante sciocche” mormorò Sasuke, portando le braccia davanti al volto per respingere il cuscino che lei gli tirò.
“E vuoi uomini siete
pesanti”
Lottarono per un po' in un corpo a corpo sul letto sfatto, ansimanti, fino a quando Sasuke non decise che era ora di farla finita e imprigionata la donna sotto al suo corpo prese a baciarle il collo.
“Puzzi di vernice” constatò, risalendo con la lingua fino al contorno della
bocca di rose.
“E tu di alcool” asserì lei in risposta e per ripicca con forza sovrumana si sottrasse dalla prigionia del ragazzo e scivolò sull'altro lato del letto, mettendosi su di un fianco e dandogli le spalle.
Sakura osservò le pareti che in quel mese avevano quasi finito di dipingere: erano tappezzate di frasi su frasi, di nomi, di citazioni, urla, follia, segreta disperazione dei loro animi artistici. Le piacque un sacco quella visione.
“Ho un'idea! Esclamò improvvisamente.
Sasuke sbuffò mentre si alzava dal letto e indossava i jeans.
“Se si tratta di farmi un set fotografico come l'altro giorno... no non ci sto” sibilò sgranando gli occhi per il terrore. Aveva dovuto stare agli ordini femminili per ben tre ore.
Il salotto era infatti tappezzato di primi piani dell'Uchiha. Primi piani che erano il nutrimento per l'anima innamorata della donna.
“Bè...vorrei che ci facessimo una foto noi due. Con l'autoscatto... come non ci abbia pensato prima non lo so” disse Sakura tra sé e sé, rannicchiandosi in posizione fetale e assaporando tutto quello.
Tutto quello.
“Ok. Domani” disse Sasuke ponendo fine a quel discorso, perentorio e uscì dalla camera da letto per andare a prendere ciò che ancora non gli aveva chiesto esplicitamente
Le avrebbe portato la neve in camera.

Mese 4.
Il suono del violino non aveva eguali al mondo.
Lo dilettava come solo lei poteva fare.
“Ancora” disse Sasuke quando il silenzio tornò ad avvolgere i loro corpi.
In piedi al centro del salone Sakura sorrise luminosa e attaccò un altro pezzo, leggermente più malinconico.
Era una violinista dilettante eppure suonare in presenza del ragazzo era come suonare davanti a commissioni di fama internazionale, davanti a centinaia di spettatori. Si sentiva potente e al contempo piccola, piccola dinnanzi a tanta magnificenza maschile.
Anzi, lei era al suo primo importantissimo concerto e lui era lo spettatore che valeva per mille.
Tutto in Sasuke valeva il doppio. A cominciare da quegli occhi neri.
“Non smettere” le ordinò il ragazzo senza mai staccarle lo sguardo di dosso.
Vestita di un prendisole rosso che le lasciava scoperte le lunghe gambe la Dea suonava per lui che aveva una gran voglia di andare lì davanti a lei e stringerla con veemenza, sentire il seno appena pronunciato della donna premere sul suo petto. Ma a ritmo della musica. Avrebbe dovuto registrarla, però non sarebbe mai stata la stessa cosa: visione e ascolto si completavano in un tutt'uno sublime“
“Ora basta, Sas'ke” decise di smettere Sakura e con sicurezza ripose lo strumento nella custodia sopra il divano e si mise a vagare per la stanza senza quasi toccare terra.
Sasuke si fece severo.
“Ti ho detto di continuare” ripeté trafiggendola con gli occhi, ma lei sorrise, un sorriso ingenuo eppure consapevole. Che era una donna, che aveva potere.
Dopo quattro mesi di stretta convivenza con l'Uchiha Haruno Sakura si poteva anche permettere
certi atteggiamenti.
“Voglio fare dell'altro, ora” mormorò battendo più volte ciglio.
Con fare
entusiasta si avvicinò all'uomo seduto sulla poltrona; non sapeva essere maliziosa nemmeno in quei momenti.
Sasuke schiuse le labbra, sentì una scarica
elettrica dentro.
Che bambina capricciosa aveva tirato sù - pensò mentre lei gli riempì il respiro e l'intero essere.
“Sesso e neve o neve e sesso?” domandò, accogliendola sulle sue gambe.
Sakura scosse la testa facendo vibrare i selvaggi capelli rosa.
“Nè quello né quello” mentì, appoggiando le proprie labbra su quelle dell'Uchiha. Ma con la mano tastò il tavolino esattamente affianco alla poltrona in cui erano abbracciati e vi trovò la polvere bianca già stesa sul solito specchietto (non aveva ancora domandato a Sasuke del perchè usasse sempre quel supporto) ed due banconote da venti già arrotolate.
Prese il tutto e staccatasi un po' dalla morsa di Sasuke diede a questi una banconota.
Sasuke si specchiò per un attimo negli occhi speranza di lei, gli ricordavano un'epoca davvero ingenua ormai scomparsa per sempre.
Trovò gli stessi occhi nello specchio. Vicino ai propri. Gli occhi di Sakura erano più luminosi dei suoi, non avevano ancora perso la luce.
Sasuke non si spinse oltre col pensiero pericoloso, non voleva intaccare la
sua – la loro felicità.
Fu l'ultima cosa concreta che vide.

Ormai sei qui, Sakura”
Perchè il Paradiso si aprì a loro con
squilli di violino.

Mese 6.
Pioveva a dirotto da due giorni durante i quali loro due non avevano messo mai il muso fuori di casa.
Le poche provviste erano quasi sparite del tutto, ma loro poco importava. Non avevano una fame di quel tipo.
La villa risuonava un momento di risate femminile, un altro di gemiti, uno di musica stereo o dal vivo, un altro momento ancora di profondi silenzi.
Ormai era quasi metà anno che Sakura aveva raggiunto Sasuke nella villa, la fine di novembre era arrivata.
“Questa estate strana...” canticchiò Sakura sommessamente, mentre scolava la pasta sul lavandino.
Dietro di lei, ad osservare ogni suo gesto, stava Sasuke dagli occhi neri solcati da due pesanti occhiaie scure.
“...ancora con questa canzone?” la rimproverò, visto che odiava gli autori di quella hit dell'estate in corso. Accese la radio.
...che mi porta ancoraaaa”
“Ma cazzo” sibilò guardando in cagnesco lo stereo, pronto a cambiare stazione ma Sakura con un movimento quasi impercettibile gli sfilò il telecomando dalle mani e se lo mise nella tascona del maglione nero tre volte più grande di lei – appartenente a lui -
Questa estate strana che mi porta ancora...con te” mormorò la ragazza, posando il suo amorevole sguardo sul suo ragazzo. Sorrideva radiosa.
Sasuke pensò che quel sorriso dovesse nascondere un velo di amarezza, che non era possibile che quei sei mesi – per quanto fossero stati
intensi – non le avessero ancora lasciato segni del loro passaggio.
Pensò anche che fosse più
dura di quanto aveva creduto incontrandola il primo giorno di College. Ricordava ancora la sorpresa negli occhi della ragazza allorchè aveva lo aveva conosciuto. Per poco non lo mangiava con gli occhi. Sasuke sorrise debolmente senza darlo a vedere.
“Sai, ho finito il racconto” disse Sakura servendo in tavola la pasta al pomodoro e prendendo posto di fronte a lui, in quel piccolo tavolo quadrato.
“Quando? Stanotte?” le domandò Sasuke che a quanto sapeva quella notte avevano fatto ben altro.
Sakura arrossì, incredibilmente imbarazzata nonostante fossero ormai tutt'altro che vergini.
“Stamattina mentre dormivi” rispose, abbassando la testa.
“E come l'hai intitolato?”
“Lo scoprirai!” esclamò vaga la donna e si versò un gran bicchiere d'acqua, chiedendo al ragazzo se ne volesse anche lui. Questi scosse la testa, optando invece per il vino, rossissimo.
Sakura fissò con attenzione il bicchiere che Sasuke stava portando alla bocca, si inumidì le labbra.
“Avanti, lo so che ne vuoi un po' anche tu”
La gola le bruciava, in quei due mesi aveva scoperto di amare alla follia non solo Sasuke e la neve, ma anche il rosso, il vino rosso.
“Ma ho sete, Sasuke_kun...” si giustificò la donna, socchiudendo gli occhi “e poi...sai che c'è? Vorrei provare a
resistere” concluse.
“Mi stai prendendo in giro?”
Sasuke la guardò con sospetto, improvvisamente sull'attenti.
“Oh no. Ci ho pensato... non pensi che sarebbe tutto più accentuato con un po' di
resistenza?” ragionò Sakura, con un velo di eccitazione nella voce limpida.
Sasuke senza rendersene conto tirò un sospiro di sollevo, per un attimo aveva pensato che Sakura lo volesse
tradire. Che volesse arrendersi.
“Non sei la prima che pensa una cosa del genere” la informò facendo svanire ogni entusiasmo femminile. Lei lo guardò malissimo.
“Non ho mica detto che avevo avuta un'illuminazione!” gli urlò contro facendo roteare gli occhioni verdi.
“Facciamo così, resisteremo più avanti, ok?” propose Sasuke. Stava pensando che invece lei era cambiata, che quei giorni avevano inesorabilmente scalfito la sua razionalità testarda.
“Stupida Sakura” disse tra sé, ma un po' troppo a voce alta.
La donna gli puntò un dito contro.
“Cosa hai detto??”
Sasuke alzò le spalle e rincarò la dose.
“Che sei una stupida, Sakura” disse.
“Ah sì?!”
La ragazza si alzò senza dire una parola e portò il suo piatto e quello di Sasuke, ancora mezzi pieni, nel lavandino. Dopo di che indossò il cappuccio della magliona e puntò in direzione del portone.
“E adesso cosa intende fare, sciocca signorina?” le disse contro il ragazzo, alzandosi con assoluta calma.
Scalzo, a torso nudo e coi jeans che gli cadevano uscì nel pianerottolo fuori casa.
La trovò in mezzo al giardino, a metà tra la casa e il cancello d'uscita, sotto una pioggia scrosciante.
“Avanti, non fare la stupida più di quanto tu non lo sia” la apostrofò avanzando in sua direzione, facendo finta di non sentire il fango che gli invadeva i piedi.
Dopo un silenzio incalcolabile Sakura si voltò in sua direzione:
“Allora sai che ti dico? Me ne vado!” disse ad alta voce e in segno di sfida riprese a camminare.
Sasuke sbuffò sonoramente e con calma tentò di inseguirla nella strada fuori casa.
Un vecchio vicino che passava di lì li guardo come fossero matti da legare, l'Uchiha gli lanciò un'occhiata fulminante.
A Sakura piaceva starsene sotto la pioggia, tutta bagnata, inseguita dal suo ragazzo. Fece ancora qualche veloce passo sul marciapiede dopo di che si fermò e rimase immobile, un po' rannicchiata su se stessa.
“Torniamo a casa, avanti” le giunse all'orecchio la voce di lui. Le era alle spalle, poteva sentire il suo respiro sul collo.
Sorrise, nascosta da ciuffi di capelli rosa. E stette immobile.
“Oh...che succede?” la voce di Sasuke si fece più bassa, meno rigida.
Sakura sorrise ancor di più.
Stava aspettando che lui le circondasse la vita con le braccia. Sasuke lo fece.
“Che c'è...non vuoi più stare con me?” le domandò a brucia pelo, stringendola forte forte a sé.
Sakura pensò che era caduto in trappola e decise che era il momento di smettere di fare la cretina.
“Voglio stare solo con te” disse nel modo più convinto le fosse possibile e volle essere portata a casa in braccio, come la sposa alla prima notte di nozze.
Sakura pensò che lei – probabilmente – si sarebbe sposata molto presto.
“Per farti perdonare mi devi far leggere il racconto”
“Io farmi perdonare? No mio caro. Piuttosto tu devi ricevere il mio perdono...e per questo non ti farò leggere niente fino a che lo decido”
Sì, si sarebbe sposata molto presto. E quel giorno avrebbe nevicato.

Mese 7.
Dieci racconti, dieci canzoni, dieci dipinti, mille emozioni.
Sakura enumerò uno ad uno tutte le
opere d'arte che in quei sette sfrenati mesi aveva prodotto assieme con Sasuke e annuì soddisfatta.
“Non mi sembra vero” asserì ad occhi lucidi.
“Lo è” le assicurò il ragazzo, chiudendo l'ennesimo libro di poesie letto in un battibaleno e appoggiandolo accanto a lui lì sul letto.
“E' la vita che sognavi, vero?” gli domandò la ragazza, sedendosi a bordo letto, ai suoi piedi.
Sasuke ci pensò su. Doveva ammettere che sì, quella era la vita che aveva sempre desiderato, ma per ottenerla aveva dovuto intraprenderne un'altra pericolosa, molto pericolosa. E in quel vicolo oscuro aveva fatto entrare anche lei, la Dea dalle iridi speranzose.
“L'arte è eccesso” rispose senza però rispondere alla domanda, continuando il flusso dei propri pensieri.
“E' irrazionalità” aggiunse Sakura che di razionale aveva ancora piuttosto poco, come quel fatto di enumerare le cose per tenerle a mente, di enumerare i ricordi.
“Una vita che sembra eterna, niente impegni: il sogno di ogni artista maledetto” disse ancora lei.
Sasuke fu d'accordo. Si tirò leggermente su facendo scricchiolare il letto, appoggiando i gomiti sulle lenzuola non stirate.
“Una volta gli artisti maledetti non avevano padri e madri miliardari”
Sakura sembrò sorpresa all'udire dopo tanto le parole padre e madre.
“Uhm perchè no...noi abbiamo solo un piccolo aiuto al nostro produrre arte” disse cercando di visualizzare il volto della madre imprenditrice che aveva sempre visto così poco nella sua breve vita. Non ci riuscì e nemmeno si sforzò più di tanto.
Anche questa volta lui fu d'accordo, concordava con quel modo di vedere le cose. Perchè complicarsi la vita a pensare che stavano vivendo a spese di altri? In fondo a quegli altri stava solo che bene.
E non volle nemmeno complicarsi la vita a pensare in quel momento: era stanco.
“Non vieni?” le domando, indicandole la parte di letto alla sua sinistra.
“In effetti...”
Sakura fece il giro del letto e si stese su di un fianco accanto al suo ragazzo. Non aveva sonno, cominciava a non averne più, eppure era stanca.
Le sembrò che le pareti urlassero tutte le scritte che avevano addosso.
“Se qualcuno entra qui dentro...” non finì la frase perchè le scapparono le parole.
“Tanto lo pensano già, non hai visto la faccia dei vicini? Quegli stronzi perbenisti...” sibilò Sasuke facendosi arrabbiato.
La donna lo percepì irrigidirsi e allora allungò un braccio e gli accarezzò il viso pallido.
“Shh...lasciali perdere, Sas'ke...” sussurrò e gli tappò la bocca con le mani.
Sasuke leccò le dita dita di Sakura, non potendo farne a meno.
“Mmm...senti, ti va se proviamo dell'oro?” domandò bloccandole il polso.
“Eh?”
Sasuke non si stupì che lei non avesse colto la metafora e non si preoccupò nemmeno dei risvolti che essa avrebbe potuto avere su di lei.
Stava passando il periodo della neve.
“Domani ci portano l'oro colato, Sakura, oro colato” disse e Sakura ripetè quelle parole quasi in una ninna nanna che però non li avrebbe mai fatti dormire.
“Oro colato, Sas'ke, oro colato”


Mese 8.
La signora Haruno teneva sua figlia per un braccio, stavano attraversando la navata principale della chiesa sotto agli occhi dei pochi intimi lì a presenziare il matrimonio di Sakura e Sasuke.
Gli occhi della signora balenarono lungo le file di banchi più o meno vuoti fino a che raggiunsero la prima riga e videro il padre del presto marito di sua figlia.
Si conoscevano ed erano anche rivali in lavoro: due marchi differenti.
L'uomo lanciò alla donna un'occhiata eloquente, lunghissima. Fu meglio di centomila parole: nessuno dei due avrebbe mai voluto essere lì a prendere parte a quel matrimonio folle.
Probabilmente lo stavano facendo solo per i numerosi rimorsi che avevano accumulato in lunghi anni di lontananza dalla rispettiva prole, cos'altro potevano fare? Non avrebbero mai potuto dire di no.
La signora Haruno lasciò il braccio di sua figlia: la lasciò a Sasuke, il ragazzo dagli occhi dell'oscurità che ora stava osservando Sakura in un modo talmente
possessivo che la madre ebbe quasi paura.
“Siamo qui riuniti oggi...”
Il prete cominciò la sua parte e nessuno volle chiedersi il perchè avesse accettato di celebrare quel matrimonio così sbagliato in partenza, che presto sarebbe finito.
La signora Haruno l'avrebbe fatto finire – pensò andandosi a sedere accanto al signor Fugaku che in soli cinquantanni aveva perso moglie e figlio, l'una di cancro, l'altro di incidente (alcool).
Chissà cosa non era funzionato – si chiese e si perse nei suoi pensieri tristi fino a che le voci dei due giovani non la destarono improvvisamente.
Era già scoccata l'ora dell'
eterno giuramento.
“Sì, lo voglio” chiosò la limpida voce di Sakura.
Per un attimo la signora Haruno sperò che Sasuke Uchiha non dicesse di sì, che fosse meno egoista, che salvasse
la sua bambina. Fu un effimero attimo, Sakura e Sasuke divennero marito e moglie.
Fuori dalla chiesa li aspettava una colte bianca che attutiva ogni rumore e sotto i vortici dei fiocchi se ne stava un ragazzo biondo, ansante, un vecchio amico d'infanzia di Sakura; evidentemente aveva saputo all'ultimo dell'improvviso matrimonio.
La signora Haruno non fu mai così felice di vederlo.
Aveva appena riposto in lui la sua ultima speranza.
Sì, tutto quello sarebbe finito presto – giurò a se stessa.



La prima volta che aveva visto l'oro Sakura aveva sgranato gli occhi e schiuso le labbra secche, le mani che esitavano nel prendere la siringa dalle mani di Sasuke.
“Ricorda Naruto, non è così?” aveva domandato e finalmente si era decisa a stringere tra le dita il contenitore dell'oro fuso.
Non aveva pensato all'effetto che avrebbe fatto dentro di lei il pronunciare il nome del suo amico d'infanzia.
“Intendi quel ragazzo biondo che mi rompeva le scatole per i corridoi del College?” si era informato il ragazzo mentre stringeva il laccio emostatico attorno al braccio sinistro.
“E' vero, tu non l'hai conosciuto” aveva detto quasi subito Sakura cercando di capire a cosa fosse dovuta quell'improvvisa voglia di far conoscere Naruto al suo ragazzo.
In fondo se ne erano andati via così presto dal College.
“Tieni”
Sasuke le aveva passato un laccio emostatico; lei lo aveva imitato fino a che tutto non era stato a posto.
Erano seduti l'uno accanto all'altro sul lungo divano blu, le teste appoggiate ai morbidi schienali, le rispettive braccia sinistre abbandonate su morbidi cuscini.
“Vuoi che faccia io?” le aveva domandato Sasuke girandosi per un attimo a guardarla intensamente, forse preso da una remota preoccupazione, una remota vena di compassione.
Sakura allora aveva annuito un po' imbarazzata, rendendogli grazie con un debole sorriso.
Lui aveva visto i suoi occhi farsi meno luminosi in quei mesi eppure gli piacevano ancora come la prima volta, il verde rimaneva.
“Va bene” aveva mormorato.
Dopo di che le aveva preso la siringa di mano e, dopo un lungo istante in cui aveva cercato qualche segno di paura o rimorso nel volto pallido della ragazza, le aveva iniettato l'oro nel sangue.
“Aaah Sasuke...”
Aveva accolto l'oro anch'esso.
Inizialmente era stata la confusione il perno centrale del loro organismo, Sakura l'aveva osservato ad occhi dilatati, l'ampia fronte sudata.
Sasuke le aveva accarezzato il volto.
Successivamente era sopraggiunto l'orgasmo, avevano goduto l'uno dell'altro senza mai sfiorarsi con un dito.

Loro, i ragazzi maledetti.




Mese 10.
Si puntellava i gomiti mentre osservava la donna pallida e ossuta che aveva dinnanzi.
Quel volto asciutto, gli zigomi insolitamente pronunciati e gli occhi enormi le fecero fare una smorfia di disappunto. Sciolse la coda alta che le imprigionava i capelli selvaggi e questi ricaddero disubbidienti sulle quelle spalle minute.
Ci mise un po', Sakura, a realizzare che quella donna al di là dello specchio fosse proprio lei.
Si può sapere che cosa ti è saltato in testa?” la voce di sua madre le risuonò roca nella mente. L'ultima volta che le aveva parlato era stato due mesi prima al matrimonio, le aveva chiesto di non fare domande ma a fine giornata le domande erano arrivate a fiume.
Ti prego, smettila qui” aveva cercato invano di implorarla Sakura, prendendole le fredde mani tra le sue.
Ti sta rovinando la vita” le aveva inveito contro quell'estranea che le sembrava essere sua madre. Per quanto l'aveva vista accanto a lei? Una giornata in tutta la sua vita?
“Mamma, non tirare in ballo lui, per piacere”
Tu padre si sta rivoltando nella tomba...”
Era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Non ti permetto nemmeno di tirare in ballo papà. Ora smettila”
Sakura aveva mollato bruscamente la presa sulle mani di sua madre e si era allontanata dal bagno bruscamente, non vedendo l'ora di porre fine a quel pranzo intimo ed estenuante che aveva voluto il padre dell'Uchiha e al quale pure Naruto si era aggregato all'ultimo minuto.
“E per tua informazione...semmai mi sto rovinando la vita. Non mi sta” aveva aggiunto infine e aveva sfoderato un sorriso da rivolgere al suo amico d'infanzia affinchè non cominciasse a preoccuparsi per lei.
Non si era accorta minimamente, però, delle complici occhiate che questi e sua madre si erano scambiati durante tutto il pranzo.
Aprì il rubinetto e si lavò la faccia con l'acqua fredda, più e più volte. S'asciugò e tornò a guardarsi: una figura sbiadita, seppur bella.
Sakura pensò che quei dieci mesi l'avessero resa bella.
Un bagliore le illuminò i grandi occhi: aveva avuto un'idea. Passò i minuti successivi a truccarsi come mai aveva fatto in vita sua: un forte rossetto rosso, matita nera,mascara, fard. Non ricordava di aver mai posseduto un set di trucchi così, poi le venne in mente che quello era il regalo di matrimonio di Ino – un'amica delle superiori - arrivato via posta due settimane prima. E sì che mica le aveva detto di essersi sposata.
“Ci sei?”
L'intensa voce di Sasuke al di là della porta chiusa del bagno la fece rabbrividire, adorava tale voce maschile.
“Arrivo subito!”
Sakura si guardò un'ultima volta e si chiese se gli sarebbe piaciuta, se sarebbe piaciuta anche così a suo marito. Si chiese anche se lui avesse notato la sua magrezza. Doveva averlo fatto e perchè non glielo aveva detto?
Fu con una certa paura che fulmineamente pensò che fosse la copia sbiadita di se stessa, non fosse per quegli occhi enormi che volevano urlare al mondo chissà che cosa.
Fortunatamente lo sguardo di Sasuke addosso a lei le fece per un po' dimenticare tale paura.

Mese 11.
“Sakura dove sei?”
Sasuke tornò a vedere se per caso sua moglie si trovasse in camera ma non la trovò nemmeno lì.
Erano cinque minuti buoni che la cercava.
Poi gli venne in mente che non aveva guardato in bagno e quasi correndo vi si diresse.
“Sakura...”
La donna era stesa nella vasca, la testa abbandonata sul bordo, un braccio sporgeva fuori, un rivolo di bava scendeva dalla bocca semi aperta.
Fu mentre le teneva i dilatati occhi puntati addosso nella semi oscurità che Sasuke Uchiha ricordò cosa fosse il terrore, come fosse sentire il gelo alzarsi da dentro il corpo e propagarsi in ogni vena, in ogni arteria.
“Dannazione, Sakura!”
Era stato grazie a quell'urlo che credette non appartenergli se riuscì a smuoversi dall'immobilità che il terrore puro gli aveva procurato.
Si scaraventò in ginocchio accanto alla vasca, prese il volto di Sakura tra le mani, cercò di raddrizzare quella testa che sembrava un peso morto.
La percepì respirare molto lentamente, ma respirava.
“Svegliati, cazzo, svegliati!”
Fu mentre le dava schiaffi sulle guance fredde che ricordò cosa fosse il senso di impotenza, quella cosa che ti faceva venire voglia di urlare e strappare tutto. Era dai tempi in cui suo fratello era morto di incidente stradale che non lo provava. Quella volta i poliziotti e i medici lo avevano trovato - ferito ma non grave - aggrappato al corpo immobile di Itachi, piangeva e strattonava quel corpo.
“Non devi fare così, avanti torna in te... avanti cazzo! Cazzo!” urlò Sasuke e, mettendo a fatica una mano sulla schiena di Sakura e l'altra su una spalla, la raddrizzò.
Furono i cinque minuti più lunghi della sua vita.
La Dea giaceva viva ma priva sensi su di lui, la testa sul suo petto. Sembrava voler tornare nell'Olimpo, ma lui non l'avrebbe mai permesso. Quella stupida ragazzina era cosa sua, era l'unica cosa veramente sua che credeva di possedere.
E fu solo grazie al terrore che non pensò nemmeno per un istante ai sensi di colpa, di averla tratta in inganno, di averle mostrato una vita impossibile.
Così non perse tempo.
“Non mi avevi forse detto che eri più dura di quanto tutti immaginassimo? Dove cazzo sono andate a finire quelle parole?”
Diede uno strattone e poi un altro al corpo della donna mentre senza rendersene conto stava bevendo lacrime, le sue lacrime.
Fu un Sasuke Uchiha inedito quello che chiese disperatamente il risveglio di Sakura.
Sasuke...”
Una voce lontana, quasi ultra terrena. Ma era la sua.

Non ti permetto mai più di farmi una cosa del genere”

Fu per un Sasuke inedito che gli Dei non si tennero Sakura nella loro casa.

Mese 12.
“Non me ne dà più” disse quasi in un ringhio Sasuke mentre buttava giù la vodka direttamente dalla bottiglia, sotto lo sguardo assente di Sakura. “Hai sentito?” le domandò fissandola con astio.
“Sì”
“E allora perchè non dici niente?” le si rivolse spazientito.
La ragazza allora attraversò tutto il salone e sparì dalla sua vista, nel corridoio, per ricomparire solo cinque minuti dopo, livida in volto.
“Allora?” incalzò l'Uchiha, che negli ultimi tempi - nei momenti in cui non era sotto effetto della droga – era diventato più loquace di Sakura.
“Ho chiamato mia madre. I soldi arrivano domani” asserì quest'ultima e dal nulla ecco arrivare un sorriso di soddisfazione, debolissimo, ma pur sempre un sorriso.
Sasuke rilassò le spalle e si lasciò cadere sulla poltrona abbandonando sul tavolo accanto ad essa la bottiglia di vodka ancora mezza piena.
“Bene”
Sakura tornò a farsi assente, prese a camminare sù e giù per il salotto, torturandosi le mani.
Si stava chiedendo tante di quelle cose che a stento riusciva a rispondersi.
Era da dodici mesi che non le scoppiava la testa a quel modo, e in più c'era quel senso di vomito che la stava divorando da tutto il giorno: erano passate settantadue ore dacchè si era iniettata l'ultima dose.
“Solo settantadue ore” disse tra sé, fissando la parete dinnanzi a lei nella quale vi era scritto il verso di quella canzone che era stata la colonna sonora dell'estate appena trascorsa.
Sasuke udì quelle parole e allora andò verso la donna portando con sé l'alcool.
“Di queste ce ne sono ancora” le disse in un orecchio, presentandole davanti al naso la bottiglia.
Sakura alzò su di lui un paio di occhi profondissimi, ci sprofondò in quegli occhi, cadendo giù, sempre più giù. Avevano perso la luce, s'erano riempiti di oscurità.
Sicuramente però nello specchietto quegli occhi l'avrebbero fatto restare coi piedi per terra ancora una volta, se solo li avesse fatti specchiare...erano la sua cartina tornasole: lo specchietto gli restituiva l'immagine di occhi immacolati, intoccati. Gli venne la voglia di fare una prova, ma non ricordava dove lo aveva messo.
“E' il primo giugno, giusto?” domandò Sakura rifiutando l'alcool.
Sasuke finì la bottiglia in un lungo sorso e con un tiro lungo e magistrale la buttò nel cestino in fondo all'inizio della cucina.
Il rumore del vetro che si rompeva a contatto con le pareti del cestino rimbombò forte nella testa pesante della donna che si portò le mani alle tempie.
“E' il primo giugno, giusto?” ripetè cercando a tutti i costi lo sguardo di suo marito.
Sasuke avrebbe tanto voluto ritardare
quei momenti ma alla fine eccoli lì in tutta la loro tristezza.
Non c'era da scherzare con le sostanze, non si potevano fare piani, dopotutto loro due erano esseri umani e non avrebbero potuto né saputo resistere all'astinenza in quelle condizioni. Specialmente lei – pensò l'Uchiha – che in fondo era così debole, eccola lì a tenersi la testa e a chiedersi perchè.
Sasuke ebbe un moto di nausea potentissimo e disgustato tornò a sedersi sul divano.
“Sì, è il primo giugno” rispose a voce bassissima ed accese la televisione che s'aprì a pieno volume.
“Abbassa” gli ordinò subito Sakura, girandosi di scatto verso di lui.
Sasuke esitò un po' giocherellando col telecomando, sfidandola con gli occhi. Poi abbassò.
“E' un anno” asserì lei e una vena di stupore le incrinò la voce.
Sasuke la osservò avvicinarsi alla televisione senza capire.
“Sul serio non ti dice niente questo giorno, Sas'ke?” gli domandò posizionandosi davanti allo schermo.
Sasuke rimase in un'immobile indifferenza scalfita solo da quell'aria severamente pensierosa che aveva assunto. Faceva una gran fatica a realizzare che giorno fosse concretamente, al di là di una semplice data, faceva fatica a focalizzare l'attenzione sui singoli ricordi.
Sakura si portò le mani davanti alla bocca, aveva gli occhi sgranati.
“E' il primo giugno, Sas'ke!” disse con veemenza, incurvando un po' le spalle ossute.
La nausea, i sudori freddi, i giramenti di testa: era così difficile per lui capire che cosa lei stesse dicendo.
In quel momento la odiò.
“Basta, Sakura” le disse, impulsivo.
La donna scosse la testa, lo sguardo le si oscurò definitivamente.
“E io che ci sto a fare in questa tua vita da artista?” mormorò ma le parole le uscirono smorzate, tappate dalle dita e dal respiro affannoso tanto che egli non riuscì a capire nemmeno quelle.
La odiò ancor più, perchè aveva intuito che lo stava
disprezzando.
“Cosa ti è preso?” le sibilò contro.
“Niente, assolutamente niente”
Sakura cominciò a correre e sparì dietro una porta sbattuta.
Sasuke volle correre da lei a prenderla per un braccio e chiederle chi si credeva di essere per atteggiarsi così, perchè mai facesse la misteriosa, perchè mai anche lei si fosse rivelata
debole.
Non riusciva a resistere al richiamo dell'oro colato, l'oro era diventato più importante. E lui che l'aveva creduta una Dea.
E mentre si diceva tutto ciò non sapeva andare al di là di sé stesso per rendersi conto che essa pensava le stesse cose di lui.
“Vaffanculo” sibilò Sasuke.
Ora ricordava.
Era passato esattamente un anno dacchè avevano cominciato la loro intensa vita a villa Uchiha.

Dodici mesi e mezzo.
Naruto mi ha solo chiesto di venirci a trovare!”
La voce di Sakura risuonò a lungo per villa Uchiha.
Un lamento limpido e imperativo.
“Va' tu da lui”
Sasuke le aveva indicato la porta con un gesto lento, dopo di che si era diretto in camera voltandole le spalle.
“Verrà e se ne andrà veloce come è arrivato, me lo ha promesso” provò a insistere la donna, inseguendolo.
“Non dovresti nemmeno rispondere alle sue chiamate” sibilò la voce di Sasuke che nonostante tutto le rispondeva ancora.
Sakura pensò che fosse l'ennesimo litigio che si sarebbe risolto in sesso di lì a poco.
Ce ne erano state tante, in quegli ultimi giorni, di situazioni così.
“Non intaccherà la nostra vita, Sasuke” asserì più calma, osservando il ragazzo sedersi a bordo letto e portare lo sguardo alla finestra.
Fuori c'era un sole cocente.
Dentro un'aria consumata ma fredda,
condizionata in tutti i sensi.
“Credici, mi raccomando”
Sasuke non la degnava di uno sguardo, eppure rispondeva ancora.
Allora lei andò a sederglisi accanto, lentamente.
Lasciò passare qualche minuto di silenzio.
“Sai che amo te” disse infine, sospirando.
Sasuke rimase a lungo immobile, statuario, tanto magro quanto bello, con gli occhi chiusi, i capelli raccolti in una coda bassa, le spalle larghe, gli addominali scolpiti, le braccia forti, le mani grandi. Tutto in lui valeva il doppio, ed era così vero.
Sakura non volle pensare a quanto tempo ancora gli rimaneva da passare con una creatura del genere. Si era messa in testa questo pensiero diversi giorni prima, quando cercava di resistersi, tra un sudore freddo ed un altro. Una notte insonne si era detta, straordinariamente lucida di nuovo: tutta quella loro energia, quell'essere senza limiti, quella passione doveva avere per forza una fine.
Era troppo
per poter durare in eterno.
Ma in quel momento pensò solo all'immagine dell'uomo che aveva accanto, alla fisicità di suo marito, alle sensazioni che solo lui le faceva provare. Come quella sensazione di essere proprietà di qualcuno.
“Scusami” mormorò.
Sasuke fu addosso a lei prima di quando avesse immaginato.

E i minuti si rincorrevano veloci verso la fine, in un susseguirsi impazzito.
Scorreva via da loro, la vita.


La prima volta che Sakura aveva visto gli occhi di Naruto – l'avrebbe saputo successivamente, che si trattava proprio di lui - aveva pensato di essere morta, di essere giunta in un bel paradiso immerso nel sole e nell'azzurro cielo.
Gli aveva sorriso, invitandola ad andarle vicino.
“Sakura, mi senti?”
Si muoveva lento, il ragazzo, ondeggiava al ritmo di una tiepida brezza verso di lei.
Ad un certo punto era diventato una palla infuocata, un sole che ruotava e stava per raggiungerla con la sua luce.
Aveva paura di scottarsi.
“Non farmi del male” gli aveva detto indietreggiando di qualche passo, le braccia incrociate davanti al viso.
“Come potrei fare del male ad una creatura come te” aveva risposto dolcemente Naruto e allora lei aveva sentito una grande esplosione dentro, era caduta.
Addosso al sole che aveva smesso di vorticare ed era così caldo da toglierle il respiro.
“Cosa ci fai tu qui?”
La voce era bassa, non era quella di prima.
Sakura aveva riconosciuto il suo petrolio che stava colando verso di loro, verso Naruto.
E allora non era morta?
Ogni cosa aveva ripreso a ruotare.
“Non avvicinarti a lei” aveva continuato la voce bassa, nera.
E il calore attorno al suo corpo fragile s'era fatto il doppio più intenso.
Si sentiva bene, Sakura. Avrebbe voluto fermare il petrolio, parlare, eppure non era capace.
Lei era una stella senza voce in un universo nel quale esistevano solo loro tre.
Petrolio, sole, stella.
“No!”
La voce del sole era potente, bollente e l'aveva scottata.
“Vattene da questa casa”
Il petrolio aveva macchiato il sole, lei lo poteva vedere nel vorticare della luce che però non si faceva fregare dal buio.
“Lasciala a me, ti prego Sasuke” aveva cantato Naruto e lei si era stretta con forza a quel caldo elemento, sentendo l'altro gridare.
Il petrolio colava ovunque, infermabile.
“Stai rubando, lo sai questo vero? Sequestro di persona”
“Tu, hai rubato”
“Vattene, te lo dico per l'ultima volta”
Non aveva distinto più niente, tutte voci senza senso, tutti suoni che via via si erano fatti più acuti.
Aveva sentito un terzo corpo toccarla, stringerla a sé e in quel nuovo tepore le era parso di ritornare bambina e abbracciare sua madre.
Era la terra, la sua casa, la patria che l'aveva messa al mondo e che ora l'accoglieva di nuovo a sé.
“Mamma..”
Ogni cosa aveva cominciato a girare più veloce, sempre più veloce e a lungo era stato così.

Al suo risveglio il petrolio non c'era più.



Otto mesi dopo.
S
asuke guardò l'ora: le sette meno un quarto.
Sakura era in ritardo di due minuti.
Ordinò e bevve una birra intanto che la aspettava.
Cominciò a contare i secondi, sembravano così eterni.
Si disse che non sarebbe venuta, che ormai
quelli le avevano fatto il lavaggio del cervello, che oramai lui non era che il nemico cattivo dal quale stare lontano.
Non credette neanche un istante ai suoi pensieri e infatti eccola lì, Sakura, stretta in una giacca di jeans dal colletto tirato su, i capelli puliti e ordinati tagliati a caschetto, un cerchietto rosso a lasciarle libera l'ampia fronte.
Gli fece un effetto strano vedersela arrivare davanti così, meno bambina di come l'aveva lasciata ma pur sempre una Dea.
Una maledettissima Dea sulla quale aveva scommesso e fatto fin troppo.
“Ciao” disse lei, prendendo posto di fronte a lui su quel piccolo tavolino quadrato nell'angolo più remoto del bar in cui erano soliti venire spesso, loro due, i primi mesi.
“Come stai?” domandò Sakura fissando il volto pallido del ragazzo senza paura.
Gli sembrava di aver di fronte un personaggio dei suoi sogni, dei suoi incubi, qualcuno che credeva essere solo frutto della sua fantasia.
“Abbastanza” rispose secco Sasuke osservando con superbia gli occhi speranzosi della donna, ritornati luminosi.
Notò anche che aveva messo su già quasi tutti i chili persi in quei dodici mesi, ebbe un moto di nausea che si espresse in una piccola smorfia a livello delle labbra.
Sakura la notò, allungò le mani sul tavolo e andò ad appoggiarle su quelle dell'uomo.
Si sporse col busto e si avvicinò col volto a quello di lui.
“Tutto bene?” gli domandò abbassando la voce in un preoccupato sussurro.
Sembrava una donna matura, così matura da premurarsi di fargli da
madre.
Sasuke abbandonò con un gesto secco la presa di lei sulle mani, s'irrigidì.
“Se pensi a
quella, ho smesso” mentì spudoratamente.
Sakura alzò un sopracciglio rosa.
“Se vuoi...” cominciò Sakura ma per un po' lasciò la frase sospesa a metà, cercava di mettere insieme le parole più semplici che potesse trovare.
Gli occhi di Sasuke erano rossi e sembravano urlarle qualcosa che lei adesso non riusciva a comprendere.
Che fine aveva fatto l'artista senza limiti? Dov'era Sasuke Uchiha?
Era una figura sbiadita e debole, quella che aveva dinnanzi.
Lui afferrò al volo i pensieri della ragazza e provò il forte desiderio di trattarla male, farle vedere cosa significava essere abbandonati tutta una vita...farle
patire.
“Se vuoi puoi venire dove sono io” disse Sakura affievolendo la voce sul finale.
L'aveva detto. Ma senza nessun trasporto.
Sasuke se ne avvinse, di quella freddezza.
La guardò con odio.
Chissà cosa le aveva detto Naruto, chissà cosa le aveva detto la madre.
Chissà cosa si ricordava di quei dodici mesi.
Era proprio una ragazza debole.
“No” disse, perentorio.
Sakura si morse il labbro inferiore, si guardò attorno.
“E' dura, durissima, non so se ce la farò mai ma...lì ti aiutano, Sas'ke. Almeno ci puoi provare con me, cosa dici?”
S'era fatta più dolce, Sakura. Era come se una parte dell'antico trasporto verso quell'uomo fosse riapparso improvvisamente.
Ecco che qualcosa dentro di lei s'accendeva: ad osservare quegli occhi antracite stava rimanendo ipnotizzata. Come fossero una
droga. Avrebbe voluto specchiarvisi per l'eternità.
Sasuke ne fu compiaciuto, allungò un braccio e le mise un dito sulle labbra sentendola rabbrividire.
“Sshh Sakura...”
La percepì fremere, la osservò rimanere rapita. Pensò che poteva tornare tutto come prima, che lei era
di più. Che era stato uno stronzo. A dubitarne.
Ma tutto ciò durò davvero poco, giusto il tempo di un battito di ciglia e lei tornò rigida, estranea, un manichino.
Avrebbe voluto rompere quel manichino, lui, mandare in frantumi il mondo di bambole in cui l'avevano fatta tornare.
Poi un'idea lo pervase.
“Ripartiamo” disse.
Sakura non intese subito, però ci arrivò presto piegando leggermente le labbra. In un sorriso o in una smorfia? Il confine tra le due era ben sottile.
S'era rotto l'incantesimo.
“No, Sasuke_kun, non si può”
Glielo disse lentamente, come se stesse parlando con un bambino. Che era decisamente tutto finito.
“Lo dici tu, che credi di sapere tutto. Cosa ti hanno detto sul mio conto, eh? Che sono solo un drogato senza possibilità di fuga?” asserì con violenza l'Uchiha e strinse un pugno sul tavolo.
Odiava quel mondo che sapeva solo giudicare, che credeva di analizzarlo, di fargli da psicologo, di intrappolarlo in stereotipi schifosi. Quel mondo che prima ti accoglieva e stava ad ascoltare il tuo primissimo vagito e poi ti voltava le spalle. Odiava la vita che c'era e poi non c'era. Quella vita che aveva sentito così pulsante in Sakura e che aveva creduto di possedere anche lui e che ora non era che nulla, una miseria. Odiava la neve, l'oro, l'alcool. Quella neve che lo aveva illuso, quell'oro che non gli aveva portato la ricchezza, quell'alcool che aveva portato via suo fratello e che presto avrebbe portato via anche lui.
Ma era troppo coglione per morire.
“Avanti dimmelo, che sono stato un coglione” e lo disse pure, lo sguardo infuocato sulla donna.
“No, Sas'ke, mai” rispose subito pronta lei.
Odiava pure Sakura. Quella che si era intrufolata nella sua esistenza e facendo armi e bagagli aveva voluto trasferirvici dentro.
In fondo era tutta colpa sua, lui non aveva colpe nei suoi confronti.
“E' la tua ultima occasione per dirmi tutto quello che pensi, Sakura” insistette Sasuke cercando di trafiggerla con la sola forza degli occhi.
Ma essa era un manichino anti proiettile, corazzata della sua razionalità ritornata agli antichi splendori.
Sakura allora fece una cosa che lo mandò su tutte le furie:
sorrise.
Un sorriso di compassione. Lui odiava la compassione e c'erano stati tempi in cui anche lei l'aveva odiata.
“Sono venuta per dirti questo”
“Ti sembro tipo da centro di riabilitazione?” sputò Sasuke, sorridendo sadico.
Sakura scosse la testa, contrariata.
“Staremmo assieme, non lo vuoi capire?” disse con voce insolitamente roca.
Pareva sincera.
Sasuke allora fece una cosa che fece a pezzi il cuore di Sakura, quel cuore che ancora segretamente credeva di poter dare una speranza al loro matrimonio, e davvero lei non aveva avuto idea di ciò mentre si dirigeva all'appuntamento con Uchiha Sasuke.
Sasuke allora alzò le spalle.
“Stai sbagliando”
Sakura si alzò facendo strisciare la sedia sul pavimento umido, un suono che
svegliò entrambi dalle proprie furie.
Rimase a lungo occhi negli occhi con lui. Sentendo i propri bruciare, bruciare, bruciare.
Se ne avvinse, Sasuke, delle lacrime che stavano per sgorgare dalle iridi speranza. Non le voleva vedere.
“Sakura...”
Sakura lasciò che le stille le rigassero le guance, le bagnassero il giubbotto, cadessero a terra.
Addio Sasuke – pensava – guarda queste lacrime –
Cercava almeno di trattenere i singhiozzi.
Era la prima volta che piangeva dacchè Naruto e sua madre erano venuti a portarla via da Villa Uchiha.

Piangeva
davanti a lui che non aveva mai visto degli occhi femminili così tempestosi in vita sua.
“Sei proprio una stupida ragazzina” le disse Sasuke gelido, abbassando la testa per non vederla più.
Sakura se ne andò sferzando l'aria, proprio quando una silente lacrima cadde sul tavolino. Una. Unica. La prima e ultima lacrima che Sasuke avesse mai speso per una donna.
E per chiunque altro al mondo.
Stette a lungo nel bar, quel pomeriggio tardo, ed ordinò altre birre. Ma non sentì il bisogno né dell'oro né della neve e l'illusione di non averne mai più bisogno lo cullò fino a casa. Lo cullò anche quando si ritrovò solo davanti alla gigantografia del
loro primo piano appeso alla parete della cucina. Sorrideva, lei. La osservava, lui.
L'illusione lo cullò anche quando prese in mano la siringa e la lasciò sospesa per aria per un arco di tempo che gli parve eterno.
Non aveva bisogno dell'oro.
Era più forte di quella stupida ragazzina.
Aveva resistito un'eternità, perso a fissare gli occhi enormi di Sakura in centinaia di primi piani, oramai aveva vinto.
Se solo Sakura fosse tornata indietro.
Non sapeva ancora il titolo del racconto, non lo aveva ancora letto.
Se solo Sakura fosse tornata indietro.
Non le aveva mai detto che l'amava.

In realtà si trattò di due ore, dopo di che prese il laccio emostatico e si iniettò la dose.



La prima volta che aveva rivisto i fogli sui cui aveva scritto il suo primo vero racconto le erano caduti di mano, sparpagliandosi a terra.
Sakura li aveva presi su a mani tremanti.
Erano scritti in una grafia fitta fitta e narravano di artisti.
“Zia! Che cosa sono questi?” le aveva domandato la sua nipotina acquisita, figlia del suo migliore amico Naruto.
“Un racconto” le aveva risposto ed uno strano bagliore le aveva illuminato gli occhi.
Naruto - appena entrato nella stanza – se ne era accorto all'istante.
“Uno nuovo?” aveva domandato ancora la piccola.
“Avanti, basta dar fastidio a Sakura_chan, Mizuki!” Naruto aveva rimproverato sua figlia, prendendola per un braccio.
“Lasciala in pace” aveva detto Sakura, stringendo al petto i fogli “è il mio primo racconto, Mizuki cara” aveva concluso con un sorriso.
Mizuki si era fatta raggiante e aveva chiesto al padre il permesso di parlare.
I due adulti si erano guardati.
Dopo di che la piccola aveva ripreso parola.
“E di cosa parla zia?”
Sakura ci aveva pensato su, sforzandosi di ricordare quel periodo della sua vita che percepiva dentro sé come un sogno.
Senza consistenza, volatile, eppure bellissimo.
Straziante.
“Parla di artisti, di uomini e donne che vivono dipingendo, scrivendo, suonando e volendosi bene” aveva detto Sakura, non soddisfatta di quella mera sintesi.
Che cosa era stata la sua vita in quel sogno?
Non aveva parole da dire in merito.
Era stato un sogno, dopotutto.
Aveva sentito il braccio bruciare, le era venuta alla testa l'immagine di uno specchietto.
Si era allora resa conto di non aver mai più saputo perchè Sasuke usasse lo specchietto.
E si era resa pure conto di ricordare chi fosse il protagonista di quello strano sogno.
“Un giorno la zia ci racconterà tutto” aveva detto improvvisamente Naruto, sorridendo alla volta della donna. Pensando che prima o poi Sakura avrebbe dovuto buttar fuori i frammenti di quell'esperienza che si era sempre rifiutata di dire ad anima viva.
La donna aveva guardato l'uomo con la sorpresa negli occhi speranza, ma aveva annuito senza quasi accorgersene.
Mentre il sogno piano perdeva il suo effimero significato per tornare ad essere chiuso in chissà quale spazio del suo cervello.
O del suo cuore?

Sakura aveva voglia di scrivere altri racconti, era stufa dei romanzi fantasy che però tanto piacevano ai suoi lettori.
Si era detta che avrebbe riletto quel primo racconto e ne avrebbe fatto una serie.
Una serie di racconti incentrata sul sogno.
Si era detta che l'avrebbe dedicata a quel nome.
A quel protagonista.
A Sasuke Uchiha.


Paradiso più Inferno

-
A Sasuke -




   
 
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