E
alla fine ho deciso di postare questa cruda SasuSaku.
Il
titolo è preso dal film omonimo con Heath Ledger e questa
lunghissima one shot è ad esso liberamente ispirata. Le due cose
hanno davvero poco in comune.
Per capirci: la storia può apparire
surreale ma (ispirandomi al film che non è necessario aver visto per
capire la storia) ho voluto scriver della vita di due persone che
decidono di isolarsi dal mondo, dalla società e per farlo utilizzano
la via più pericolosa che esista, una via che dà solamente una
illusione di felicità. A breve termine.
Sasuke è piuttosto
inedito in questa fan fic. Vi avviso, per evitare dubbi
sull'IC del personaggio. Ho voluto concentrarmi non solo
sull'introspezione di Sakura ma specialmente nell'ultima parte su
quella di Sasuke che quasi sembra essere lei come compare in
innumerevoli storie con i suoi dubbi esistenziali, con la sua parte
fragile. E' come se si invertissero i ruoli.... Non so se sono
riuscita a spiegarmi ^^ probabilmente lo capirete leggendo la
storia.
Non per stomaci così delicati.
I
personaggi non mi appartengono, ovviamente. Sic.
Fatemi sapere
cosa ne pensate, ci tengo particolarmente.
Buona Lettura.
Dedicata
a tutti coloro che sanno fare delle scelte, nella vita.
Anche se
sbagliate.
E prenderne le conseguenze.
La
prima volta che aveva visto la neve Sakura aveva storto le labbra e
chiuso gli occhi per non vedere, le mani a pugno lungo i fianchi,
parole che uscivano sconclusionate dalla sua bocca.
“Si può
sapere che cosa ti è saltato in testa?” aveva domandato a Sasuke
Uchiha, il ragazzo che aveva conosciuto appena sei mesi prima,
all'inizio del College (che entrambi avevano appena lasciato) e di
cui si era pazzamente innamorata. Tanto da spiargli letteralmente la
vita, pretendendo di scoprirne i segreti. Era stata quella sua
determinazione a farle vedere la neve per la prima volta.
Era neve
su di uno specchio che rifletteva le narici dell'Uchiha.
“Hai
voluto venire qui” le aveva risposto il ragazzo, trafiggendola con
uno sguardo talmente intenso che s'era sentita bruciare dentro. “Hai
dimenticato a che patto, Sakura?”
Sakura allora aveva annuito,
presa da un moto di assurda docilità, e aveva voluto avvicinarsi al
tavolino e toccare i fiocchi bianchi, sottilissimi su quello
specchio che Sasuke vi aveva appena posato sopra.
Il tocco era
stato inconsistente, non aveva sentito alcunchè.
Sasuke Uchiha
l'aveva guadata con un nuovo brillio nelle iridi antracite, un
sorriso folle dipinto sulle labbra, una bellezza struggente.
Stava
vedendo una Dea e aveva assoluto bisogno di impossessarsi di lei.
“Senti” aveva detto però resistendo con impossibile tenacia
a quel mondo sciamanico che lo stava invadendo.
Quel mondo che
oramai era diventata la sua seconda casa.
“Dimmi”
Sakura
non voleva che egli la mandasse via. Non aveva paura, di quella neve
che aveva preso possesso del corpo del ragazzo e che la attirava
chiamandola con voci soavi.
Con la neve lui era ancor più
struggente.
“Ti ripeto per l'ultima volta che se vuoi puoi
tornare indietro” le aveva detto severo.
Sakura si era sentita
colpita nel profondo, ma aveva incassato il colpo con un amaro
sorriso, pensando che lei era meno debole di quanto pensassero tutti
quanti, sempre pronti a giudicare.
Lei era lì, in una casa fuori
dal mondo che avrebbe presto imparato a conoscere molto bene.
“Ormai
sono qui”
Sasuke aveva sorriso di nuovo.
Si
era sciolta come neve al sole.
“Ormai sei qui, Sakura” le
aveva fatto eco.
Lui, il ragazzo dei sogni proibiti.
Paradiso
più Inferno
SasuSaku
Mese
1.
Scrisse
la parola “amore” almeno una decina di volte sulle pareti della
loro
camera. Aveva scelto una bella vernice rosa su disapprovazione del
suo ragazzo che avrebbe voluto riempire le pareti di scritte
nere.
“Non ti pare che si intreccino benissimo il nero e il
rosa?” domandò a Sasuke, appoggiando il pennello nel barattolo e
indietreggiando qualche passo per osservare l'operato.
“Uhm”
mugugnò lui, alzando lo sguardo da un libro di poesie che stava
leggendo da mezz'ora buona. Ogni notte Sakura gli chiedeva di
leggergliene una.
“Uh sì davvero, alla faccia di chi dice che
il rosa stona con il nero!” esclamò Sakura e si sistemò un ciuffo
di capelli dietro le orecchie, sporcandolo di vernice.
Quando
faceva così – pensò Sasuke – sembrava una bambina alla quale è
stato appena presentato il mondo. Più passavano i giorni e più lei
regrediva ma a Sasuke ciò non faceva dispiacere: era una bambina in
un corpo di donna. Una Dea.
“Vieni qua” le ordinò,
indicandole il letto su cui era adagiato mezzo nudo.
Era passato
da tempo mezzogiorno, ma a casa Uchiha non c'erano orari.
“Devo
scrivere quelle righe...di quella poesia di ieri sera...” asserì
Sakura fattasi seria nel tentativo di ricordare le parole della
splendida poesia del suo autore preferito di quegli ultimi tempi,
Wilde.
“Ah!
La forza delle donne deriva da qualcosa che le psicologia non può
spiegare. Gli uomini possono essere analizzati, le donne …solo
adorate” pronunciò Sasuke Uchiha in tono solenne, per poi
abbandonarsi ad una leggera risata.
“Che ti ridi?!” esclamò
la donna che con un balzo felino piombò in ginocchio sul letto e
prese tra le mani un cuscino.
“Voi donne siete tutte quante
sciocche” mormorò Sasuke, portando le braccia davanti al volto per
respingere il cuscino che lei gli tirò.
“E vuoi uomini siete
pesanti”
Lottarono
per un po' in un corpo a corpo sul letto sfatto, ansimanti, fino a
quando Sasuke non decise che era ora di farla finita e imprigionata
la donna sotto al suo corpo prese a baciarle il collo.
“Puzzi di
vernice” constatò, risalendo con la lingua fino al contorno della
bocca
di rose.
“E
tu di alcool” asserì lei in risposta e per ripicca con forza
sovrumana si sottrasse dalla prigionia del ragazzo e scivolò
sull'altro lato del letto, mettendosi su di un fianco e dandogli le
spalle.
Sakura osservò le pareti che in quel mese avevano quasi
finito di dipingere: erano tappezzate di frasi su frasi, di nomi, di
citazioni, urla, follia, segreta disperazione dei loro animi
artistici. Le piacque un sacco quella visione.
“Ho un'idea!
Esclamò improvvisamente.
Sasuke sbuffò mentre si alzava dal
letto e indossava i jeans.
“Se si tratta di farmi un set
fotografico come l'altro giorno... no non ci sto” sibilò sgranando
gli occhi per il terrore. Aveva dovuto stare agli ordini femminili
per ben tre ore.
Il salotto era infatti tappezzato di primi piani
dell'Uchiha. Primi piani che erano il nutrimento per l'anima
innamorata della donna.
“Bè...vorrei che ci facessimo una foto
noi due. Con l'autoscatto... come non ci abbia pensato prima non lo
so” disse Sakura tra sé e sé, rannicchiandosi in posizione fetale
e assaporando tutto quello.
Tutto
quello.
“Ok.
Domani” disse Sasuke ponendo fine a quel discorso, perentorio e
uscì dalla camera da letto per andare a prendere ciò che ancora non
gli aveva chiesto esplicitamente
Le avrebbe portato la neve in
camera.
Mese
4.
Il
suono del violino non aveva eguali al mondo.
Lo dilettava come
solo lei poteva fare.
“Ancora” disse Sasuke quando il silenzio
tornò ad avvolgere i loro corpi.
In piedi al centro del salone
Sakura sorrise luminosa e attaccò un altro pezzo, leggermente più
malinconico.
Era una violinista dilettante eppure suonare in
presenza del ragazzo era come suonare davanti a commissioni di fama
internazionale, davanti a centinaia di spettatori. Si sentiva potente
e al contempo piccola, piccola dinnanzi a tanta magnificenza
maschile.
Anzi, lei era al suo primo importantissimo concerto e
lui era lo spettatore che valeva per mille.
Tutto in Sasuke valeva
il doppio. A cominciare da quegli occhi neri.
“Non smettere”
le ordinò il ragazzo senza mai staccarle lo sguardo di
dosso.
Vestita di un prendisole rosso che le lasciava scoperte le
lunghe gambe la Dea suonava per lui che aveva una gran voglia di
andare lì davanti a lei e stringerla con veemenza, sentire il seno
appena pronunciato della donna premere sul suo petto. Ma a ritmo
della musica. Avrebbe dovuto registrarla, però non sarebbe mai stata
la stessa cosa: visione e ascolto si completavano in un tutt'uno
sublime“
“Ora basta, Sas'ke” decise di smettere Sakura e con
sicurezza ripose lo strumento nella custodia sopra il divano e si
mise a vagare per la stanza senza quasi toccare terra.
Sasuke si
fece severo.
“Ti ho detto di continuare” ripeté trafiggendola
con gli occhi, ma lei sorrise, un sorriso ingenuo eppure consapevole.
Che era una donna, che aveva potere.
Dopo quattro mesi di stretta
convivenza con l'Uchiha Haruno Sakura si poteva anche permettere
certi
atteggiamenti.
“Voglio
fare dell'altro, ora” mormorò battendo più volte ciglio.
Con
fare entusiasta
si
avvicinò all'uomo seduto sulla poltrona; non sapeva essere maliziosa
nemmeno in quei momenti.
Sasuke schiuse le labbra, sentì una
scarica elettrica
dentro.
Che bambina capricciosa aveva tirato sù - pensò mentre
lei gli riempì il respiro e l'intero essere.
“Sesso e neve o
neve e sesso?” domandò, accogliendola sulle sue gambe.
Sakura
scosse la testa facendo vibrare i selvaggi capelli rosa.
“Nè
quello né quello” mentì, appoggiando le proprie labbra su quelle
dell'Uchiha. Ma con la mano tastò il tavolino esattamente affianco
alla poltrona in cui erano abbracciati e vi trovò la polvere bianca
già stesa sul solito specchietto (non aveva ancora domandato a
Sasuke del perchè usasse sempre quel supporto) ed due banconote da
venti già arrotolate.
Prese il tutto e staccatasi un po' dalla
morsa di Sasuke diede a questi una banconota.
Sasuke si specchiò
per un attimo negli occhi speranza di lei, gli ricordavano un'epoca
davvero ingenua ormai scomparsa per sempre.
Trovò gli stessi
occhi nello specchio. Vicino ai propri. Gli occhi di Sakura erano più
luminosi dei suoi, non avevano ancora perso la luce.
Sasuke non si
spinse oltre col pensiero pericoloso, non voleva intaccare la sua
– la loro felicità.
Fu l'ultima cosa concreta che vide.
“Ormai
sei qui, Sakura”
Perchè
il Paradiso si aprì a loro con squilli
di violino.
Mese 6.
Pioveva
a dirotto da due giorni durante i quali loro due non avevano messo
mai il muso fuori di casa.
Le poche provviste erano quasi sparite
del tutto, ma loro poco importava. Non avevano una fame di quel
tipo.
La villa risuonava un momento di risate femminile, un altro
di gemiti, uno di musica stereo o dal vivo, un altro momento ancora
di profondi silenzi.
Ormai era quasi metà anno che Sakura aveva
raggiunto Sasuke nella villa, la fine di novembre era
arrivata.
“Questa estate strana...” canticchiò Sakura
sommessamente, mentre scolava la pasta sul lavandino.
Dietro di
lei, ad osservare ogni suo gesto, stava Sasuke dagli occhi neri
solcati da due pesanti occhiaie scure.
“...ancora con questa
canzone?” la rimproverò, visto che odiava gli autori di quella hit
dell'estate in corso. Accese la radio.
“...che
mi porta ancoraaaa”
“Ma
cazzo” sibilò guardando in cagnesco lo stereo, pronto a cambiare
stazione ma Sakura con un movimento quasi impercettibile gli sfilò
il telecomando dalle mani e se lo mise nella tascona del maglione
nero tre volte più grande di lei – appartenente a lui -
“Questa
estate strana che mi porta ancora...con
te” mormorò la ragazza, posando il suo amorevole sguardo sul suo
ragazzo. Sorrideva radiosa.
Sasuke pensò che quel sorriso dovesse
nascondere un velo di amarezza, che non era possibile che quei sei
mesi – per quanto fossero stati intensi
– non
le avessero ancora lasciato segni del loro passaggio.
Pensò anche
che fosse più dura
di quanto aveva creduto incontrandola il primo giorno di College.
Ricordava ancora la sorpresa negli occhi della ragazza allorchè
aveva lo aveva conosciuto. Per poco non lo mangiava con gli occhi.
Sasuke sorrise debolmente senza darlo a vedere.
“Sai, ho finito
il racconto” disse Sakura servendo in tavola la pasta al pomodoro e
prendendo posto di fronte a lui, in quel piccolo tavolo
quadrato.
“Quando? Stanotte?” le domandò Sasuke che a quanto
sapeva quella notte avevano fatto ben altro.
Sakura arrossì,
incredibilmente imbarazzata nonostante fossero ormai tutt'altro che
vergini.
“Stamattina mentre dormivi” rispose, abbassando la
testa.
“E come l'hai intitolato?”
“Lo scoprirai!”
esclamò vaga la donna e si versò un gran bicchiere d'acqua,
chiedendo al ragazzo se ne volesse anche lui. Questi scosse la testa,
optando invece per il vino, rossissimo.
Sakura fissò con
attenzione il bicchiere che Sasuke stava portando alla bocca, si
inumidì le labbra.
“Avanti, lo so che ne vuoi un po' anche tu”
La gola le bruciava, in quei due mesi aveva scoperto di amare
alla follia non solo Sasuke e la neve, ma anche il rosso, il vino
rosso.
“Ma ho sete, Sasuke_kun...” si giustificò la donna,
socchiudendo gli occhi “e poi...sai che c'è? Vorrei provare a
resistere”
concluse.
“Mi stai prendendo in giro?”
Sasuke la guardò
con sospetto, improvvisamente sull'attenti.
“Oh no. Ci ho
pensato... non pensi che sarebbe tutto più accentuato con un po' di
resistenza?”
ragionò Sakura, con un velo di eccitazione nella voce
limpida.
Sasuke senza rendersene conto tirò un sospiro di
sollevo, per un attimo aveva pensato che Sakura lo volesse tradire.
Che volesse arrendersi.
“Non sei la prima che pensa una cosa
del genere” la informò facendo svanire ogni entusiasmo femminile.
Lei lo guardò malissimo.
“Non ho mica detto che avevo avuta
un'illuminazione!” gli urlò contro facendo roteare gli occhioni
verdi.
“Facciamo così, resisteremo più avanti, ok?” propose
Sasuke. Stava pensando che invece lei era cambiata, che quei giorni
avevano inesorabilmente scalfito la sua razionalità
testarda.
“Stupida Sakura” disse tra sé, ma un po' troppo a
voce alta.
La donna gli puntò un dito contro.
“Cosa hai
detto??”
Sasuke alzò le spalle e rincarò la dose.
“Che
sei una stupida, Sakura” disse.
“Ah sì?!”
La ragazza si
alzò senza dire una parola e portò il suo piatto e quello di
Sasuke, ancora mezzi pieni, nel lavandino. Dopo di che indossò il
cappuccio della magliona e puntò in direzione del portone.
“E
adesso cosa intende fare, sciocca signorina?” le disse contro il
ragazzo, alzandosi con assoluta calma.
Scalzo, a torso nudo e coi
jeans che gli cadevano uscì nel pianerottolo fuori casa.
La
trovò in mezzo al giardino, a metà tra la casa e il cancello
d'uscita, sotto una pioggia scrosciante.
“Avanti, non fare la
stupida più di quanto tu non lo sia” la apostrofò avanzando in
sua direzione, facendo finta di non sentire il fango che gli invadeva
i piedi.
Dopo un silenzio incalcolabile Sakura si voltò in sua
direzione:
“Allora sai che ti dico? Me ne vado!” disse ad alta
voce e in segno di sfida riprese a camminare.
Sasuke sbuffò
sonoramente e con calma tentò di inseguirla nella strada fuori
casa.
Un vecchio vicino che passava di lì li guardo come fossero
matti da legare, l'Uchiha gli lanciò un'occhiata fulminante.
A
Sakura piaceva starsene sotto la pioggia, tutta bagnata, inseguita
dal suo ragazzo. Fece ancora qualche veloce passo sul marciapiede
dopo di che si fermò e rimase immobile, un po' rannicchiata su se
stessa.
“Torniamo a casa, avanti” le giunse all'orecchio la
voce di lui. Le era alle spalle, poteva sentire il suo respiro sul
collo.
Sorrise, nascosta da ciuffi di capelli rosa. E stette
immobile.
“Oh...che succede?” la voce di Sasuke si fece più
bassa, meno rigida.
Sakura sorrise ancor di più.
Stava
aspettando che lui le circondasse la vita con le braccia. Sasuke lo
fece.
“Che c'è...non vuoi più stare con me?” le domandò a
brucia pelo, stringendola forte forte a sé.
Sakura pensò che era
caduto in trappola e decise che era il momento di smettere di fare la
cretina.
“Voglio stare solo con te” disse nel modo più
convinto le fosse possibile e volle essere portata a casa in braccio,
come la sposa alla prima notte di nozze.
Sakura pensò che lei –
probabilmente – si sarebbe sposata molto presto.
“Per farti
perdonare mi devi far leggere il racconto”
“Io farmi
perdonare? No mio caro. Piuttosto tu devi ricevere il mio perdono...e
per questo non ti farò leggere niente fino a che lo decido”
Sì,
si sarebbe sposata molto presto. E quel giorno avrebbe nevicato.
Mese
7.
Dieci
racconti, dieci canzoni, dieci dipinti, mille emozioni.
Sakura
enumerò uno ad uno tutte le
opere d'arte
che in quei sette sfrenati mesi aveva prodotto assieme con Sasuke e
annuì soddisfatta.
“Non mi sembra vero” asserì ad occhi
lucidi.
“Lo è” le assicurò il ragazzo, chiudendo l'ennesimo
libro di poesie letto in un battibaleno e appoggiandolo accanto a lui
lì sul letto.
“E' la vita che sognavi, vero?” gli domandò la
ragazza, sedendosi a bordo letto, ai suoi piedi.
Sasuke ci pensò
su. Doveva ammettere che sì, quella era la vita che aveva sempre
desiderato, ma per ottenerla aveva dovuto intraprenderne un'altra
pericolosa, molto pericolosa. E in quel vicolo oscuro aveva fatto
entrare anche lei, la Dea dalle iridi speranzose.
“L'arte è
eccesso” rispose senza però rispondere alla domanda, continuando
il flusso dei propri pensieri.
“E' irrazionalità” aggiunse
Sakura che di razionale aveva ancora piuttosto poco, come quel fatto
di enumerare le cose per tenerle a mente, di enumerare i
ricordi.
“Una vita che sembra eterna, niente impegni: il sogno
di ogni artista maledetto” disse ancora lei.
Sasuke fu
d'accordo. Si tirò leggermente su facendo scricchiolare il letto,
appoggiando i gomiti sulle lenzuola non stirate.
“Una volta gli
artisti maledetti non avevano padri e madri miliardari”
Sakura
sembrò sorpresa all'udire dopo tanto le parole padre e madre.
“Uhm
perchè no...noi abbiamo solo un piccolo aiuto al nostro produrre
arte” disse cercando di visualizzare il volto della madre
imprenditrice che aveva sempre visto così poco nella sua breve vita.
Non ci riuscì e nemmeno si sforzò più di tanto.
Anche questa
volta lui fu d'accordo, concordava con quel modo di vedere le cose.
Perchè complicarsi la vita a pensare che stavano vivendo a spese di
altri? In fondo a quegli altri stava solo che bene.
E non volle
nemmeno complicarsi la vita a pensare in quel momento: era
stanco.
“Non vieni?” le domando, indicandole la parte di letto
alla sua sinistra.
“In effetti...”
Sakura fece il giro del
letto e si stese su di un fianco accanto al suo ragazzo. Non aveva
sonno, cominciava a non averne più, eppure era stanca.
Le sembrò
che le pareti urlassero tutte le scritte che avevano addosso.
“Se
qualcuno entra qui dentro...” non finì la frase perchè le
scapparono le parole.
“Tanto lo pensano già, non hai visto la
faccia dei vicini? Quegli stronzi perbenisti...” sibilò Sasuke
facendosi arrabbiato.
La donna lo percepì irrigidirsi e allora
allungò un braccio e gli accarezzò il viso pallido.
“Shh...lasciali
perdere, Sas'ke...” sussurrò e gli tappò la bocca con le
mani.
Sasuke leccò le dita dita di Sakura, non potendo farne a
meno.
“Mmm...senti, ti va se proviamo dell'oro?” domandò
bloccandole il polso.
“Eh?”
Sasuke non si stupì che lei
non avesse colto la metafora e non si preoccupò nemmeno dei risvolti
che essa avrebbe potuto avere su di lei.
Stava passando il
periodo della neve.
“Domani ci portano l'oro colato, Sakura, oro
colato” disse e Sakura ripetè quelle parole quasi in una ninna
nanna che però non li avrebbe mai fatti dormire.
“Oro colato,
Sas'ke, oro colato”
Mese
8.
La signora Haruno teneva
sua figlia per un braccio, stavano attraversando la navata principale
della chiesa sotto agli occhi dei pochi intimi lì a presenziare il
matrimonio di Sakura e Sasuke.
Gli occhi della signora balenarono
lungo le file di banchi più o meno vuoti fino a che raggiunsero la
prima riga e videro il padre del presto marito di sua figlia.
Si
conoscevano ed erano anche rivali in lavoro: due marchi
differenti.
L'uomo lanciò alla donna un'occhiata eloquente,
lunghissima. Fu meglio di centomila parole: nessuno dei due avrebbe
mai voluto essere lì a prendere parte a quel matrimonio
folle.
Probabilmente lo stavano facendo solo per i numerosi
rimorsi che avevano accumulato in lunghi anni di lontananza dalla
rispettiva prole, cos'altro potevano fare? Non avrebbero mai potuto
dire di no.
La signora Haruno lasciò il braccio di sua figlia: la
lasciò a Sasuke, il ragazzo dagli occhi dell'oscurità che ora stava
osservando Sakura in un modo talmente possessivo che
la madre ebbe quasi paura.
“Siamo qui riuniti oggi...”
Il
prete cominciò la sua parte e nessuno volle chiedersi il perchè
avesse accettato di celebrare quel matrimonio così sbagliato in
partenza, che presto sarebbe finito.
La signora Haruno l'avrebbe
fatto finire – pensò andandosi a sedere accanto al signor Fugaku
che in soli cinquantanni aveva perso moglie e figlio, l'una di
cancro, l'altro di incidente (alcool).
Chissà cosa non era
funzionato – si chiese e si perse nei suoi pensieri tristi fino a
che le voci dei due giovani non la destarono improvvisamente.
Era
già scoccata l'ora dell'eterno giuramento.
“Sì,
lo voglio” chiosò la limpida voce di Sakura.
Per un attimo la
signora Haruno sperò che Sasuke Uchiha non dicesse di sì, che fosse
meno egoista, che salvasse la sua bambina.
Fu un effimero attimo, Sakura e Sasuke divennero marito e
moglie.
Fuori dalla chiesa li aspettava una colte bianca che
attutiva ogni rumore e sotto i vortici dei fiocchi se ne stava un
ragazzo biondo, ansante, un vecchio amico d'infanzia di Sakura;
evidentemente aveva saputo all'ultimo dell'improvviso matrimonio.
La
signora Haruno non fu mai così felice di vederlo.
Aveva appena
riposto in lui la sua ultima speranza.
Sì, tutto quello
sarebbe finito presto – giurò
a se stessa.
La
prima volta che aveva visto l'oro Sakura aveva sgranato gli occhi e
schiuso le labbra secche, le mani che esitavano nel prendere la
siringa dalle mani di Sasuke.
“Ricorda Naruto, non è così?”
aveva domandato e finalmente si era decisa a stringere tra le dita il
contenitore dell'oro fuso.
Non aveva pensato all'effetto che
avrebbe fatto dentro di lei il pronunciare il nome del suo amico
d'infanzia.
“Intendi quel ragazzo biondo che mi rompeva le
scatole per i corridoi del College?” si era informato il ragazzo
mentre stringeva il laccio emostatico attorno al braccio
sinistro.
“E' vero, tu non l'hai conosciuto” aveva detto quasi
subito Sakura cercando di capire a cosa fosse dovuta quell'improvvisa
voglia di far conoscere Naruto al suo ragazzo.
In fondo se ne
erano andati via così presto dal College.
“Tieni”
Sasuke
le aveva passato un laccio emostatico; lei lo aveva imitato fino a
che tutto non era stato a posto.
Erano seduti l'uno accanto
all'altro sul lungo divano blu, le teste appoggiate ai morbidi
schienali, le rispettive braccia sinistre abbandonate su morbidi
cuscini.
“Vuoi che faccia io?” le aveva domandato Sasuke
girandosi per un attimo a guardarla intensamente, forse preso da una
remota preoccupazione, una remota vena di compassione.
Sakura
allora aveva annuito un po' imbarazzata, rendendogli grazie con un
debole sorriso.
Lui aveva visto i suoi occhi farsi meno luminosi
in quei mesi eppure gli piacevano ancora come la prima volta, il
verde rimaneva.
“Va bene” aveva mormorato.
Dopo di che le
aveva preso la siringa di mano e, dopo un lungo istante in cui aveva
cercato qualche segno di paura o rimorso nel volto pallido della
ragazza, le aveva iniettato l'oro nel sangue.
“Aaah
Sasuke...”
Aveva accolto l'oro anch'esso.
Inizialmente era
stata la confusione il perno centrale del loro organismo, Sakura
l'aveva osservato ad occhi dilatati, l'ampia fronte sudata.
Sasuke
le aveva accarezzato il volto.
Successivamente era sopraggiunto
l'orgasmo, avevano goduto l'uno dell'altro senza mai sfiorarsi con un
dito.
Loro, i ragazzi maledetti.
Mese
10.
Si puntellava i gomiti
mentre osservava la donna pallida e ossuta che aveva dinnanzi.
Quel
volto asciutto, gli zigomi insolitamente pronunciati e gli occhi
enormi le fecero fare una smorfia di disappunto. Sciolse la coda alta
che le imprigionava i capelli selvaggi e questi ricaddero
disubbidienti sulle quelle spalle minute.
Ci mise un po', Sakura,
a realizzare che quella donna al di là dello specchio fosse proprio
lei.
“Si può sapere che cosa ti è saltato in testa?”
la voce di sua madre le risuonò roca nella mente. L'ultima volta che
le aveva parlato era stato due mesi prima al matrimonio, le aveva
chiesto di non fare domande ma a fine giornata le domande erano
arrivate a fiume.
“Ti prego, smettila qui”
aveva cercato invano di implorarla Sakura, prendendole le fredde mani
tra le sue.
“Ti sta rovinando la vita”
le aveva inveito contro quell'estranea che le sembrava essere sua
madre. Per quanto l'aveva vista accanto a lei? Una giornata in tutta
la sua vita?
“Mamma, non tirare in ballo lui, per
piacere”
“Tu
padre si sta rivoltando nella tomba...”
Era
stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
“Non
ti permetto nemmeno di tirare in ballo papà. Ora smettila”
Sakura
aveva mollato bruscamente la presa sulle mani di sua madre e si era
allontanata dal bagno bruscamente, non vedendo l'ora di porre fine a
quel pranzo intimo ed estenuante che aveva voluto il padre
dell'Uchiha e al quale pure Naruto si era aggregato all'ultimo
minuto.
“E per tua informazione...semmai mi sto
rovinando la vita. Non mi sta”
aveva aggiunto infine e aveva sfoderato un sorriso da rivolgere al
suo amico d'infanzia affinchè non cominciasse a
preoccuparsi per lei.
Non si
era accorta minimamente, però, delle complici occhiate che questi e
sua madre si erano scambiati durante tutto il pranzo.
Aprì il
rubinetto e si lavò la faccia con l'acqua fredda, più e più volte.
S'asciugò e tornò a guardarsi: una figura sbiadita, seppur
bella.
Sakura pensò che quei dieci mesi l'avessero resa bella.
Un
bagliore le illuminò i grandi occhi: aveva avuto un'idea. Passò i
minuti successivi a truccarsi come mai aveva fatto in vita sua: un
forte rossetto rosso, matita nera,mascara, fard. Non ricordava di
aver mai posseduto un set di trucchi così, poi le venne in mente che
quello era il regalo di matrimonio di Ino – un'amica delle
superiori - arrivato via posta due settimane prima. E sì che mica le
aveva detto di essersi sposata.
“Ci sei?”
L'intensa voce
di Sasuke al di là della porta chiusa del bagno la fece
rabbrividire, adorava tale voce maschile.
“Arrivo subito!”
Sakura si guardò un'ultima volta e si chiese se gli sarebbe
piaciuta, se sarebbe piaciuta anche così a suo marito. Si chiese
anche se lui avesse notato la sua magrezza. Doveva averlo fatto e
perchè non glielo aveva detto?
Fu con una certa paura che
fulmineamente pensò che fosse la copia sbiadita di se stessa, non
fosse per quegli occhi enormi che volevano urlare al mondo chissà
che cosa.
Fortunatamente lo sguardo di Sasuke addosso a lei le
fece per un po' dimenticare tale paura.
Mese
11.
“Sakura dove
sei?”
Sasuke tornò a vedere se per caso sua moglie si trovasse
in camera ma non la trovò nemmeno lì.
Erano cinque minuti buoni
che la cercava.
Poi gli venne in mente che non aveva guardato in
bagno e quasi correndo vi si diresse.
“Sakura...”
La donna
era stesa nella vasca, la testa abbandonata sul bordo, un braccio
sporgeva fuori, un rivolo di bava scendeva dalla bocca semi aperta.
Fu mentre le teneva i dilatati occhi puntati addosso nella semi
oscurità che Sasuke Uchiha ricordò cosa fosse il terrore, come
fosse sentire il gelo alzarsi da dentro il corpo e propagarsi in ogni
vena, in ogni arteria.
“Dannazione, Sakura!”
Era stato
grazie a quell'urlo che credette non appartenergli se riuscì a
smuoversi dall'immobilità che il terrore puro gli aveva
procurato.
Si scaraventò in ginocchio accanto alla vasca, prese
il volto di Sakura tra le mani, cercò di raddrizzare quella testa
che sembrava un peso morto.
La percepì respirare molto
lentamente, ma respirava.
“Svegliati, cazzo, svegliati!”
Fu
mentre le dava schiaffi sulle guance fredde che ricordò cosa fosse
il senso di impotenza, quella cosa che ti faceva venire voglia di
urlare e strappare tutto. Era dai tempi in cui suo fratello era morto
di incidente stradale che non lo provava. Quella volta i poliziotti e
i medici lo avevano trovato - ferito ma non grave - aggrappato al
corpo immobile di Itachi, piangeva e strattonava quel corpo.
“Non
devi fare così, avanti torna in te... avanti cazzo! Cazzo!” urlò
Sasuke e, mettendo a fatica una mano sulla schiena di Sakura e
l'altra su una spalla, la raddrizzò.
Furono i cinque minuti più
lunghi della sua vita.
La Dea giaceva viva ma priva sensi su di
lui, la testa sul suo petto. Sembrava voler tornare nell'Olimpo, ma
lui non l'avrebbe mai permesso. Quella stupida ragazzina era cosa
sua, era l'unica cosa veramente sua che credeva di possedere.
E fu
solo grazie al terrore che non pensò nemmeno per un istante ai sensi
di colpa, di averla tratta in inganno, di averle mostrato una vita
impossibile.
Così non perse tempo.
“Non mi avevi forse
detto che eri più dura di quanto tutti immaginassimo? Dove cazzo
sono andate a finire quelle parole?”
Diede uno strattone e poi
un altro al corpo della donna mentre senza rendersene conto stava
bevendo lacrime, le sue lacrime.
Fu un Sasuke Uchiha inedito
quello che chiese disperatamente il risveglio di
Sakura.
“Sasuke...”
Una
voce lontana, quasi ultra terrena. Ma era la sua.
“Non
ti permetto mai più di farmi una cosa del genere”
Fu
per un Sasuke inedito che gli Dei non si tennero Sakura nella loro
casa.
Mese 12.
“Non
me ne dà più” disse quasi in un ringhio Sasuke mentre buttava giù
la vodka direttamente dalla bottiglia, sotto lo sguardo assente di
Sakura. “Hai sentito?” le domandò fissandola con astio.
“Sì”
“E allora perchè non dici niente?” le si rivolse
spazientito.
La ragazza allora attraversò tutto il salone e sparì
dalla sua vista, nel corridoio, per ricomparire solo cinque minuti
dopo, livida in volto.
“Allora?” incalzò l'Uchiha, che negli
ultimi tempi - nei momenti in cui non era sotto effetto della droga –
era diventato più loquace di Sakura.
“Ho chiamato mia madre. I
soldi arrivano domani” asserì quest'ultima e dal nulla ecco
arrivare un sorriso di soddisfazione, debolissimo, ma pur sempre un
sorriso.
Sasuke rilassò le spalle e si lasciò cadere sulla
poltrona abbandonando sul tavolo accanto ad essa la bottiglia di
vodka ancora mezza piena.
“Bene”
Sakura tornò a farsi
assente, prese a camminare sù e giù per il salotto, torturandosi le
mani.
Si stava chiedendo tante di quelle cose che a stento
riusciva a rispondersi.
Era da dodici mesi che non le scoppiava la
testa a quel modo, e in più c'era quel senso di vomito che la stava
divorando da tutto il giorno: erano passate settantadue ore dacchè
si era iniettata l'ultima dose.
“Solo settantadue ore” disse
tra sé, fissando la parete dinnanzi a lei nella quale vi era scritto
il verso di quella canzone che era stata la colonna sonora
dell'estate appena trascorsa.
Sasuke udì quelle parole e allora
andò verso la donna portando con sé l'alcool.
“Di queste ce ne
sono ancora” le disse in un orecchio, presentandole davanti al naso
la bottiglia.
Sakura alzò su di lui un paio di occhi
profondissimi, ci sprofondò in quegli occhi, cadendo giù, sempre
più giù. Avevano perso la luce, s'erano riempiti di
oscurità.
Sicuramente però nello specchietto quegli occhi
l'avrebbero fatto restare coi piedi per terra ancora una volta, se
solo li avesse fatti specchiare...erano la sua cartina tornasole: lo
specchietto gli restituiva l'immagine di occhi immacolati, intoccati.
Gli venne la voglia di fare una prova, ma non ricordava dove lo aveva
messo.
“E' il primo giugno, giusto?” domandò Sakura
rifiutando l'alcool.
Sasuke finì la bottiglia in un lungo sorso e
con un tiro lungo e magistrale la buttò nel cestino in fondo
all'inizio della cucina.
Il rumore del vetro che si rompeva a
contatto con le pareti del cestino rimbombò forte nella testa
pesante della donna che si portò le mani alle tempie.
“E' il
primo giugno, giusto?” ripetè cercando a tutti i costi lo sguardo
di suo marito.
Sasuke avrebbe tanto voluto ritardare quei
momenti ma alla fine eccoli lì
in tutta la loro tristezza.
Non
c'era da scherzare con le sostanze,
non si potevano fare piani, dopotutto loro due erano esseri umani e
non avrebbero potuto né saputo resistere all'astinenza in quelle
condizioni. Specialmente lei – pensò l'Uchiha – che in fondo era
così debole, eccola lì a tenersi la testa e a chiedersi
perchè.
Sasuke ebbe un moto di nausea potentissimo e disgustato
tornò a sedersi sul divano.
“Sì, è il primo giugno” rispose
a voce bassissima ed accese la televisione che s'aprì a pieno
volume.
“Abbassa” gli ordinò subito Sakura, girandosi di
scatto verso di lui.
Sasuke esitò un po' giocherellando col
telecomando, sfidandola con gli occhi. Poi abbassò.
“E' un
anno” asserì lei e una vena di stupore le incrinò la voce.
Sasuke
la osservò avvicinarsi alla televisione senza capire.
“Sul
serio non ti dice niente questo giorno, Sas'ke?” gli domandò
posizionandosi davanti allo schermo.
Sasuke rimase in un'immobile
indifferenza scalfita solo da quell'aria severamente pensierosa che
aveva assunto. Faceva una gran fatica a realizzare che giorno fosse
concretamente, al di là di una semplice data, faceva fatica a
focalizzare l'attenzione sui singoli ricordi.
Sakura si portò le
mani davanti alla bocca, aveva gli occhi sgranati.
“E' il primo
giugno, Sas'ke!” disse con veemenza, incurvando un po' le spalle
ossute.
La nausea, i sudori freddi, i giramenti di testa: era così
difficile per lui capire che cosa lei stesse dicendo.
In quel
momento la odiò.
“Basta, Sakura” le disse, impulsivo.
La
donna scosse la testa, lo sguardo le si oscurò definitivamente.
“E
io che ci sto a fare in questa tua vita da artista?” mormorò ma le
parole le uscirono smorzate, tappate dalle dita e dal respiro
affannoso tanto che egli non riuscì a capire nemmeno quelle.
La
odiò ancor più, perchè aveva intuito che lo stava
disprezzando.
“Cosa
ti è preso?” le sibilò contro.
“Niente, assolutamente
niente”
Sakura cominciò a correre e sparì dietro una porta
sbattuta.
Sasuke volle correre da lei a prenderla per un braccio e
chiederle chi si credeva di essere per atteggiarsi così, perchè mai
facesse la misteriosa, perchè mai anche lei si fosse rivelata
debole.
Non
riusciva a resistere al richiamo dell'oro colato, l'oro era diventato
più importante. E lui che l'aveva creduta una Dea.
E mentre si
diceva tutto ciò non sapeva andare al di là di sé stesso per
rendersi conto che essa pensava le stesse cose di lui.
“Vaffanculo”
sibilò Sasuke. Ora
ricordava.
Era passato esattamente un anno dacchè avevano
cominciato la loro intensa vita a villa Uchiha.
Dodici
mesi e mezzo.
“Naruto mi ha
solo chiesto di venirci a trovare!”
La voce di Sakura risuonò a
lungo per villa Uchiha.
Un lamento limpido e imperativo.
“Va'
tu da lui”
Sasuke le aveva indicato la porta con un gesto
lento, dopo di che si era diretto in camera voltandole le
spalle.
“Verrà e se ne andrà veloce come è arrivato, me lo ha
promesso” provò a insistere la donna, inseguendolo.
“Non
dovresti nemmeno rispondere alle sue chiamate” sibilò la voce di
Sasuke che nonostante tutto le rispondeva ancora.
Sakura pensò
che fosse l'ennesimo litigio che si sarebbe risolto in sesso di lì a
poco.
Ce ne erano state tante, in quegli ultimi giorni, di
situazioni così.
“Non intaccherà la nostra vita, Sasuke”
asserì più calma, osservando il ragazzo sedersi a bordo letto e
portare lo sguardo alla finestra.
Fuori c'era un sole
cocente.
Dentro un'aria consumata ma fredda, condizionata
in tutti i sensi.
“Credici,
mi raccomando”
Sasuke non la degnava di uno sguardo, eppure
rispondeva ancora.
Allora lei andò a sederglisi accanto,
lentamente.
Lasciò passare qualche minuto di silenzio.
“Sai
che amo te” disse infine, sospirando.
Sasuke rimase a lungo
immobile, statuario, tanto magro quanto bello, con gli occhi chiusi,
i capelli raccolti in una coda bassa, le spalle larghe, gli
addominali scolpiti, le braccia forti, le mani grandi. Tutto in lui
valeva il doppio, ed era così vero.
Sakura non volle pensare a
quanto tempo ancora gli rimaneva da passare con una creatura del
genere. Si era messa in testa questo pensiero diversi giorni prima,
quando cercava di resistersi, tra un sudore freddo ed un altro. Una
notte insonne si era detta, straordinariamente lucida di nuovo: tutta
quella loro energia, quell'essere senza limiti, quella passione
doveva avere per forza una fine.
Era troppo per poter
durare in eterno.
Ma in quel
momento pensò solo all'immagine dell'uomo che aveva accanto, alla
fisicità di suo marito, alle sensazioni che solo lui le faceva
provare. Come quella sensazione di essere proprietà di
qualcuno.
“Scusami” mormorò.
Sasuke fu addosso a lei prima
di quando avesse immaginato.
E i minuti si
rincorrevano veloci verso la fine, in un susseguirsi
impazzito.
Scorreva via da loro, la vita.
La
prima volta che Sakura aveva visto gli occhi di Naruto – l'avrebbe
saputo successivamente, che si trattava proprio di lui - aveva
pensato di essere morta, di essere giunta in un bel paradiso immerso
nel sole e nell'azzurro cielo.
Gli aveva sorriso, invitandola ad
andarle vicino.
“Sakura, mi senti?”
Si muoveva lento, il
ragazzo, ondeggiava al ritmo di una tiepida brezza verso di lei.
Ad
un certo punto era diventato una palla infuocata, un sole che ruotava
e stava per raggiungerla con la sua luce.
Aveva paura di
scottarsi.
“Non farmi del male” gli aveva detto
indietreggiando di qualche passo, le braccia incrociate davanti al
viso.
“Come potrei fare del male ad una creatura come te”
aveva risposto dolcemente Naruto e allora lei aveva sentito una
grande esplosione dentro, era caduta.
Addosso al sole che aveva
smesso di vorticare ed era così caldo da toglierle il respiro.
“Cosa
ci fai tu qui?”
La voce era bassa, non era quella di
prima.
Sakura aveva riconosciuto il suo petrolio che stava colando
verso di loro, verso Naruto.
E allora non era morta?
Ogni cosa
aveva ripreso a ruotare.
“Non avvicinarti a lei” aveva
continuato la voce bassa, nera.
E il calore attorno al suo corpo
fragile s'era fatto il doppio più intenso.
Si sentiva bene,
Sakura. Avrebbe voluto fermare il petrolio, parlare, eppure non era
capace.
Lei era una stella senza voce in un universo nel quale
esistevano solo loro tre.
Petrolio, sole, stella.
“No!”
La
voce del sole era potente, bollente e l'aveva scottata.
“Vattene
da questa casa”
Il petrolio aveva macchiato il sole, lei lo
poteva vedere nel vorticare della luce che però non si faceva
fregare dal buio.
“Lasciala a me, ti prego Sasuke” aveva
cantato Naruto e lei si era stretta con forza a quel caldo elemento,
sentendo l'altro gridare.
Il petrolio colava ovunque,
infermabile.
“Stai rubando, lo sai questo vero? Sequestro di
persona”
“Tu, hai rubato”
“Vattene, te lo dico per
l'ultima volta”
Non aveva distinto più niente, tutte voci senza
senso, tutti suoni che via via si erano fatti più acuti.
Aveva
sentito un terzo corpo toccarla, stringerla a sé e in quel nuovo
tepore le era parso di ritornare bambina e abbracciare sua madre.
Era
la terra, la sua casa, la patria che l'aveva messa al mondo e che ora
l'accoglieva di nuovo a sé.
“Mamma..”
Ogni cosa aveva
cominciato a girare più veloce, sempre più veloce e a lungo era
stato così.
Al suo risveglio il petrolio non c'era più.
Otto
mesi dopo.
Sasuke guardò
l'ora: le sette meno un quarto.
Sakura era in ritardo di due
minuti.
Ordinò e bevve una birra intanto che la
aspettava.
Cominciò a contare i secondi, sembravano così eterni.
Si disse che non sarebbe venuta, che ormai quelli le
avevano fatto il lavaggio del cervello, che oramai lui non era che il
nemico cattivo dal quale stare lontano.
Non credette neanche un
istante ai suoi pensieri e infatti eccola lì, Sakura, stretta in una
giacca di jeans dal colletto tirato su, i capelli puliti e ordinati
tagliati a caschetto, un cerchietto rosso a lasciarle libera l'ampia
fronte.
Gli fece un effetto strano vedersela arrivare davanti
così, meno bambina di come l'aveva lasciata ma pur sempre una
Dea.
Una maledettissima Dea sulla quale aveva scommesso
e fatto fin troppo.
“Ciao”
disse lei, prendendo posto di fronte a lui su quel piccolo tavolino
quadrato nell'angolo più remoto del bar in cui erano soliti venire
spesso, loro due, i
primi mesi.
“Come stai?” domandò Sakura fissando il volto
pallido del ragazzo senza paura.
Gli sembrava di aver di fronte un
personaggio dei suoi sogni, dei suoi incubi, qualcuno che credeva
essere solo frutto della sua fantasia.
“Abbastanza” rispose
secco Sasuke osservando con superbia gli occhi speranzosi della
donna, ritornati luminosi.
Notò anche che aveva messo su già
quasi tutti i chili persi in quei dodici mesi, ebbe un moto di nausea
che si espresse in una piccola smorfia a livello delle labbra.
Sakura
la notò, allungò le mani sul tavolo e andò ad appoggiarle su
quelle dell'uomo.
Si sporse col busto e si avvicinò col volto a
quello di lui.
“Tutto bene?” gli domandò abbassando la voce
in un preoccupato sussurro.
Sembrava una donna matura, così
matura da premurarsi di fargli da madre.
Sasuke
abbandonò con un gesto secco la presa di lei sulle mani,
s'irrigidì.
“Se pensi a quella,
ho smesso” mentì spudoratamente.
Sakura alzò un sopracciglio
rosa.
“Se vuoi...” cominciò Sakura ma per un po' lasciò la
frase sospesa a metà, cercava di mettere insieme le parole più
semplici che potesse trovare.
Gli occhi di Sasuke erano rossi e
sembravano urlarle qualcosa che lei adesso non riusciva a
comprendere.
Che fine aveva fatto l'artista senza limiti? Dov'era
Sasuke Uchiha?
Era una figura sbiadita e debole, quella che aveva
dinnanzi.
Lui afferrò al volo i pensieri della ragazza e provò
il forte desiderio di trattarla male, farle vedere cosa significava
essere abbandonati tutta una vita...farle patire.
“Se vuoi puoi venire dove sono io” disse Sakura affievolendo
la voce sul finale.
L'aveva detto. Ma senza nessun
trasporto.
Sasuke se ne avvinse, di quella freddezza.
La guardò
con odio.
Chissà cosa le aveva detto Naruto, chissà cosa le
aveva detto la madre.
Chissà cosa si ricordava di quei dodici
mesi.
Era proprio una ragazza debole.
“No” disse,
perentorio.
Sakura si morse il labbro inferiore, si guardò
attorno.
“E' dura, durissima, non so se ce la farò mai ma...lì
ti aiutano, Sas'ke. Almeno ci puoi provare con me, cosa dici?”
S'era
fatta più dolce, Sakura. Era come se una parte dell'antico trasporto
verso quell'uomo fosse riapparso improvvisamente.
Ecco che
qualcosa dentro di lei s'accendeva: ad osservare quegli occhi
antracite stava rimanendo ipnotizzata. Come fossero una droga.
Avrebbe voluto specchiarvisi per l'eternità.
Sasuke ne fu
compiaciuto, allungò un braccio e le mise un dito sulle labbra
sentendola rabbrividire.
“Sshh Sakura...”
La percepì
fremere, la osservò rimanere rapita. Pensò che poteva tornare tutto
come prima, che lei era di più.
Che era stato uno stronzo. A dubitarne.
Ma tutto ciò durò
davvero poco, giusto il tempo di un battito di ciglia e lei tornò
rigida, estranea, un manichino.
Avrebbe voluto rompere quel
manichino, lui, mandare in frantumi il mondo di bambole in cui
l'avevano fatta tornare.
Poi un'idea lo pervase.
“Ripartiamo”
disse.
Sakura non intese subito, però ci arrivò presto piegando
leggermente le labbra. In un sorriso o in una smorfia? Il confine tra
le due era ben sottile.
S'era rotto l'incantesimo.
“No,
Sasuke_kun, non si può”
Glielo disse lentamente, come se
stesse parlando con un bambino. Che era decisamente tutto finito.
“Lo
dici tu, che credi di sapere tutto. Cosa ti hanno detto sul mio
conto, eh? Che sono solo un drogato senza possibilità di fuga?”
asserì con violenza l'Uchiha e strinse un pugno sul tavolo.
Odiava
quel mondo che sapeva solo giudicare, che credeva di analizzarlo, di
fargli da psicologo, di intrappolarlo in stereotipi schifosi. Quel
mondo che prima ti accoglieva e stava ad ascoltare il tuo primissimo
vagito e poi ti voltava le spalle. Odiava la vita che c'era e poi non
c'era. Quella vita che aveva sentito così pulsante in Sakura e che
aveva creduto di possedere anche lui e che ora non era che nulla, una
miseria. Odiava la neve, l'oro, l'alcool. Quella neve che lo aveva
illuso, quell'oro che non gli aveva portato la ricchezza,
quell'alcool che aveva portato via suo fratello e che presto avrebbe
portato via anche lui.
Ma era troppo coglione per morire.
“Avanti
dimmelo, che sono stato un coglione” e lo disse pure, lo sguardo
infuocato sulla donna.
“No, Sas'ke, mai” rispose subito pronta
lei.
Odiava pure Sakura. Quella che si era intrufolata nella sua
esistenza e facendo armi e bagagli aveva voluto trasferirvici
dentro.
In fondo era tutta colpa sua, lui non aveva colpe nei suoi
confronti.
“E' la tua ultima occasione per dirmi tutto quello
che pensi, Sakura” insistette Sasuke cercando di trafiggerla con la
sola forza degli occhi.
Ma essa era un manichino anti proiettile,
corazzata della sua razionalità ritornata agli antichi
splendori.
Sakura allora fece una cosa che lo mandò su tutte le
furie: sorrise.
Un
sorriso di compassione. Lui odiava la compassione e c'erano stati
tempi in cui anche lei l'aveva odiata.
“Sono venuta per dirti
questo”
“Ti sembro tipo da centro di riabilitazione?” sputò
Sasuke, sorridendo sadico.
Sakura scosse la testa,
contrariata.
“Staremmo assieme, non lo vuoi capire?” disse con
voce insolitamente roca.
Pareva sincera.
Sasuke allora fece una
cosa che fece a pezzi il cuore di Sakura, quel cuore che ancora
segretamente credeva di poter dare una speranza al loro matrimonio, e
davvero lei non aveva avuto idea di ciò mentre si dirigeva
all'appuntamento con Uchiha Sasuke.
Sasuke allora alzò le
spalle.
“Stai sbagliando”
Sakura si alzò facendo
strisciare la sedia sul pavimento umido, un suono che svegliò
entrambi dalle proprie furie.
Rimase a lungo occhi negli occhi con
lui. Sentendo i propri bruciare, bruciare, bruciare.
Se ne
avvinse, Sasuke, delle lacrime che stavano per sgorgare dalle iridi
speranza. Non le voleva vedere.
“Sakura...”
Sakura lasciò
che le stille le rigassero le guance, le bagnassero il giubbotto,
cadessero a terra. Addio Sasuke – pensava
– guarda queste lacrime –
Cercava almeno di trattenere i singhiozzi.
Era la prima volta
che piangeva dacchè Naruto e sua madre erano venuti a portarla via
da Villa Uchiha.
Piangeva
davanti a lui che non aveva mai visto degli occhi femminili così
tempestosi in vita
sua.
“Sei proprio una stupida ragazzina” le disse Sasuke
gelido, abbassando la testa per non vederla più.
Sakura se ne
andò sferzando l'aria, proprio quando una silente lacrima cadde sul
tavolino. Una. Unica. La prima e ultima lacrima che Sasuke avesse mai
speso per una donna.
E per chiunque altro al mondo.
Stette a
lungo nel bar, quel pomeriggio tardo, ed ordinò altre birre. Ma non
sentì il bisogno né dell'oro né della neve e l'illusione di non
averne mai più bisogno lo cullò fino a casa. Lo cullò anche quando
si ritrovò solo davanti alla gigantografia del loro primo
piano appeso alla parete della cucina. Sorrideva, lei. La osservava,
lui.
L'illusione lo cullò anche quando prese in mano la siringa e
la lasciò sospesa per aria per un arco di tempo che gli parve
eterno.
Non aveva bisogno dell'oro.
Era più forte di quella
stupida ragazzina.
Aveva resistito un'eternità, perso a fissare
gli occhi enormi di Sakura in centinaia di primi piani, oramai aveva
vinto.
Se solo Sakura fosse tornata indietro.
Non sapeva ancora
il titolo del racconto, non lo aveva ancora letto.
Se solo Sakura
fosse tornata indietro.
Non le aveva mai detto che l'amava.
In
realtà si trattò di due ore, dopo di che prese il laccio
emostatico e si iniettò la dose.
La
prima volta che aveva rivisto i fogli sui cui aveva scritto il suo
primo vero racconto le erano caduti di mano, sparpagliandosi a
terra.
Sakura li aveva presi su a mani tremanti.
Erano scritti
in una grafia fitta fitta e narravano di artisti.
“Zia! Che cosa
sono questi?” le aveva domandato la sua nipotina acquisita, figlia
del suo migliore amico Naruto.
“Un racconto” le aveva risposto
ed uno strano bagliore le aveva illuminato gli occhi.
Naruto -
appena entrato nella stanza – se ne era accorto all'istante.
“Uno
nuovo?” aveva domandato ancora la piccola.
“Avanti, basta dar
fastidio a Sakura_chan, Mizuki!” Naruto aveva rimproverato sua
figlia, prendendola per un braccio.
“Lasciala in pace” aveva
detto Sakura, stringendo al petto i fogli “è il mio primo
racconto, Mizuki cara” aveva concluso con un sorriso.
Mizuki si
era fatta raggiante e aveva chiesto al padre il permesso di
parlare.
I due adulti si erano guardati.
Dopo di che la piccola
aveva ripreso parola.
“E di cosa parla zia?”
Sakura ci
aveva pensato su, sforzandosi di ricordare quel periodo della sua
vita che percepiva dentro sé come un sogno.
Senza consistenza,
volatile, eppure bellissimo.
Straziante.
“Parla di artisti,
di uomini e donne che vivono dipingendo, scrivendo, suonando e
volendosi bene” aveva detto Sakura, non soddisfatta di quella mera
sintesi.
Che cosa era stata la sua vita in quel sogno?
Non
aveva parole da dire in merito.
Era stato un sogno,
dopotutto.
Aveva sentito il braccio bruciare, le era venuta alla
testa l'immagine di uno specchietto.
Si era allora resa conto di
non aver mai più saputo perchè Sasuke usasse lo specchietto.
E
si era resa pure conto di ricordare chi fosse il protagonista di
quello strano sogno.
“Un giorno la zia ci racconterà tutto”
aveva detto improvvisamente Naruto, sorridendo alla volta della
donna. Pensando che prima o poi Sakura avrebbe dovuto buttar fuori i
frammenti di quell'esperienza che si era sempre rifiutata di dire ad
anima viva.
La donna aveva guardato l'uomo con la sorpresa negli
occhi speranza, ma aveva annuito senza quasi accorgersene.
Mentre
il sogno piano perdeva il suo effimero significato per tornare ad
essere chiuso in chissà quale spazio del suo cervello.
O del suo
cuore?
Sakura aveva voglia di scrivere altri racconti, era
stufa dei romanzi fantasy che però tanto piacevano ai suoi
lettori.
Si era detta che avrebbe riletto quel primo racconto e ne
avrebbe fatto una serie.
Una serie di racconti incentrata sul
sogno.
Si era detta che l'avrebbe dedicata a quel nome.
A quel
protagonista.
A Sasuke Uchiha.
Paradiso
più Inferno
- A Sasuke -