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Autore: Elle Douglas    30/05/2011    0 recensioni
Questo manoscritto nasce dall'amore profondo che provo per la saga di Twilight, e grazie alla saga di Stephenie Meyer se questa storia è nata in me, mi ha dato l'ispirazione giusta per far nascere il mio romanzo. E' così che Giselle è nata in me...
Prefazione
Giselle Hall è una vampira riluttante nei confronti della sua nuova natura, non perdona ancora a Peter, di essere stata trasformata. Nonostante abbia più di 100 anni ricorda ancora distintamente la sua vita da umana: ricorda i suoi genitori, a cui il pensiero percorre la maggior parte delle sue giornate, e sua sorella Sharon, della quale ha perso le tracce da quando lei aveva 15 anni. Non riesce ad accettare la sua immortalità, il fatto di aver recato sofferenze e dolori ai suoi genitori a causa della sua scomparsa. Ma in questa sua nuova vita, ci sarà un ragazzo che l’aiuterà, anche lui immortale e vampiro. Un ragazzo con la quale lei inizierà ad affrontare la “vita”, e un ragazzo della quale, non si sa quanto consapevole lei si innamorerà.
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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 Ero sempre stata una bella ragazza, prima. Lo ero, ma solo ora ne ero davvero consapevole forse perché ora non lo ero più. Forse perché era tutto cambiato, ora. Forse anche perché non riuscivo più a guardarmi allo specchio con lo stesso sorriso ora. Ero diversa, ero cambiata, ero un mostro.
Provenivo da una buona famiglia: mio padre imprenditore e mia madre era una stilista di modesto successo, essi mi avevano insegnato i veri valori della vita, ma anche i suoi piaceri, forse per questo ero stata anche un po’ viziata, forse. I miei non mi facevano mancare niente, avevo tutto ciò che volevo, tutto ciò che desideravo era mio, mi sentivo un po’ come una principessa, e forse lo ero davvero. La mia era sempre stata una vita fantastica al pari di nessuno, solo ora me ne rendevo conto, e solo ora mi rendevo conto di quanto i miei genitori mi mancassero e di quanto fossero fantastici. Se solo fossi riuscita a farli venire qui con me … forse le cose sarebbero state diverse, forse il mio sorriso sarebbe stato diverso.. ma non potevo, ormai tutto era perduto, non potevo fare nulla per loro, o forse per me. Ero molto legata a loro, più di quanto la gente comune, ai tempi, immaginasse. Ma non riuscivo a far altro che farmi prendere dalla malinconia, non potevo più piangere, non mi era permesso. Ricordavo di aver avuto degli occhi che sembravano smeraldi incastonati, definiti da alcuni, “occhi di ghiaccio” - il motivo non lo ricordavo quasi più - il loro colore era simile a quello dell’oceano, quel verde risplendeva più di mille stelle quando veniva illuminato dal sole, grazie all’eredità lasciatami da mia nonna materna Fallon. I miei capelli erano leggermente mossi e ondulati, che ondeggiavano con un movimento sinuoso ed elegante, così come il mio corpo simile a quello di una modella. Essi davano sul castano biondo, ma quando il sole ci posava i suoi caldi e penetranti raggi splendevano sembrando quasi oro fuso. Tutte mi invidiavano al liceo, avevo molti ammiratori e io ne andavo fiera dato che ero abbastanza vanitosa e piena di me, dicevano che ero bella da paura, uno schianto, non facevo altro che guardarmi allo specchio e vantarmi di ogni stupidaggine: un vestito appena comprato, una nuova acconciatura, un nuovo paio di scarpe, ecc senza mai dare valore alle cose vere, presenti e inafferrabile, che non sapevo di perdere un giorno… Ero una ragazza molto frivola e materialista, davo più importanza ai beni materiali che affettivi. Volevo stare sempre al centro dell’attenzione, in qualunque caso, nel bene e nel male.
Ma ora non era più così, ora vivevo in una non-vita. I miei occhi avevano perso il loro bellissimo colore verde smeraldo per lasciar posto ad un altro, brutto e opaco, che si alternava con un ulteriore color topazio, dovevo essere orribile. Non mi guardavo più allo specchio da un sacco di anni ormai, per l’immagine rivoltante che vedevo riflessa, ma sapevo che in me, in realtà, non era cambiato niente e mai sarebbe cambiato, ero sempre la stessa persona di prima ma con una nuova consapevolezza. Non sapevo neanche più se i miei capelli fossero quelli di una volta, magari erano diventati anche loro diversi, forse anche loro si erano opacizzati in quell’ incubo, non li vedevo più brillare visto che vivevo in un perenne buio, non ricordavo neanche più la luce del sole, quel sole meraviglioso che ogni mattina splendeva per tutti tranne che per me. Non ero più me stessa, ero cambiata. E in peggio.
Mio padre, o meglio, il mio “creatore”, Peter, sapevo solo questo di lui, anche perché non ci avevo mai scambiato una parola, dal fondo della sala mi guardava con occhi compassionevoli e miserevoli velati da un senso di colpa non indifferente mentre io e me ne stavo rannicchiata in un angolo della camera con le braccia intorno alle ginocchia da non so quanto tempo ormai. Lui credeva di avermi salvato, quella sera a central park, ma non era così, non sapeva come in quell’istante mi avesse condannata alla mia depressione e alla mia tortura eterna. Ricordo tutto perfettamente: fu l’ultimo giorno della mia vita, stavo tornando a casa dopo una serata con le amiche, quella sera eravamo state in centro e mi ero comprata tanti di quegli abiti che avevo persino perso il conto, non vedevo l’ora di correre a casa per farli vedere a mia madre.

   
 
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