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Autore: L_Fy    30/05/2011    23 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il giorno dopo Veronica ci mise ben quarantacinque minuti a decidere cosa indossare. La povera Inocencia stava per darle una mestolata in testa e ficcarle un saio addosso, tanto era esasperata e persino Byron, intuendo la sua agitazione, non faceva altro che abbaiare e addentare qualsiasi scarpa trovasse sul suo cammino, comprese la Manolo Blahnik nuove che le erano costate l’intero assegno di mantenimento mensile. Sancho faceva sentire la sua presenza miasmatica uoffando contro il vetro della veranda ricoperto ormai da una poltiglia grigiastra di chiara origine aliena.
“Señorita, si decida!” sbottò alla fine Inocencia, esasperata e visto che ormai era tardissimo per davvero, Veronica si decise: avrebbe indossato i jeans. Di Cavalli, certo, con le bordature di pitone autentico, ma pur sempre jeans. E una camicetta. Bianca. Senza firma. Gliel’aveva prestata Inocencia senza fiatare, ma dalla faccia stava sicuramente pensando che doveva avere una meningite in corso. Bilanciò con le scarpe di Gucci: ok l’implebeimento volontario, ma senza esagerare! Si truccò pochissimo e lasciò i capelli naturalmente mossi. Sembrava quasi una qualunque, pensò guardandosi orgogliosa allo specchio. Maria Beatrice probabilmente sarebbe svenuta dalla costernazione, doveva portarsi dietro i sali. Ma lui… cosa avrebbe pensato lui?
*          *          *
Un bell’emerito niente, ecco cosa aveva pensato lo scherzo della natura. Bianchi non si era nemmeno girato a guardarla, né quando era entrato, né durante tutte le prime due ore di letteratura. Veronica non sapeva bene se bruciarlo come eretico o liquefarsi in lacrime di umiliazione. In compenso Maria Lucrezia non riusciva a capacitarsi dell’orrore rappresentato dalla sua camicetta bianca e continuava a fissarla come se avesse addosso un cadavere putrefatto. Veronica era talmente abbattuta che durante l’intervallo aveva ceduto la posizione centrale del gruppetto a Maria Vittoria che quasi era inciampata per la sorpresa.
“Vero, stai bene?” chiese preoccupata Maria Beatrice posandole la mano sul braccio (evitando accuratamente il suo aborto di camicetta non firmata).
“Non tanto” ammise subito Veronica di pessimo umore “Doveva esserci qualcosa nel sushi di ieri sera che…”
La sua voce venne interrotta dallo squillo di un telefonino: era uno squillo anomalo, imperioso, seguito dal frenetico rovistare nelle rispettive borsette di tutte le quattro ragazze.
“Non è il mio.” certificò Maria Vittoria, ma Veronica aveva già estratto il suo I-Phone e lo stava guardando come se fosse una bomba a orologeria col timer inserito.
“E’ il mio.” balbettò incerta mentre un nome piccolo piccolo lampeggiava sul display, gettandola in un autentico vespaio di confusione.
“Non è la suoneria delle emergenze?” domandò Maria Lucrezia blandamente sorpresa ma Veronica aveva già girato i tacchi e si stava già allontanando a passo spedito, dimenticandosi per una volta di sfilare in passerella e mancando lo stipite della porta per un pelo.
“Pr… ehm, pronto?” rispose affannata quando arrivò fuori dalla portata delle tre Marie (e cioè lontana almeno cento metri: le Marie avevano un udito che rasentava il livello radar, e in più sapevano leggere il labiale, quindi Veronica doveva stare attenta a rimanere di spalle mentre parlava).
“Gladi? Ciao, sono Paolo!”
Che diamine, stava telefonando dalla scuola? Guardandosi intorno febbrilmente, Veronica individuò Bianchi nell’atrio, vicino alle vetrate aperte sul giardino: aveva la mano libera in tasca e col piede disegnava piccoli cerchi per terra. Rapidamente si mimetizzò dietro a una colonna, sperando che le Marie che la osservavano da lontano non si chiedessero se era improvvisamente uscita di cotenna.
“P-Paolo… ciao. Che sorpresa una tua telefonata, adesso.”
“Volevo essere sicuro di trovarti da sola, senza Grimilde in circolazione e siccome so di per certo che adesso è in giro a regalare mele avvelenate qui a scuola... Ti dispiace?”
“Certo che no!”
Glissando sulle mele, ci aveva messo un po’ troppo entusiasmo ma improvvisare non le era mai venuto molto bene.
“Hai già pensato alla mia proposta?” chiese con voce più professionale, giusto per rimediare.
“Più o meno” rispose Paolo prudentemente: mentre Veronica lo osservava di sottecchi da lontano, continuava a fare cerchi con la punta del piede e fissava assorto il pavimento.
“Ancora non hai deciso?”
“Non so. Tu con Grimilde ci hai già parlato?”
“A dire il vero non ancora: si fida del mio giudizio, lei. Dovrei parlarle di te?”
“No, aspetta. Sai… oggi l’ho osservata.”
Quando?, pensò Veronica arrossendo affannata. Non se n’era minimamente accorta! Era stata lei a guardarlo per tutto il tempo fissando con aria truce il suo dannato collo e ordinandogli mentalmente di girarsi ad adorarla senza evidenti risultati apprezzabili.
“E?” chiese con la bocca secchissima, temendo la risposta come un fucile puntato.
“E, effettivamente, sembra non mordere.”
Consolante. Più o meno.
“Direi. Almeno finché non calano le tenebre.”
Paolo rise e Veronica lo vide da lontano gettare indietro la testa: incantata si chiese come facevano quei dannati capelli a sembrare luminosi come un’aureola anche a quella distanza…
“E al calar delle tenebre che succede?”
“Indossa un mantello nero per coprire le ali membranose che le spuntano al tramonto e vola in giro a succhiare sangue alla gente.”
“E tu come lo sai?”
“Io prendo gli appuntamenti, no?”
“Diamine. E io che pensavo si mettesse una tiara in testa e combattesse le forze del male a suon di American Express.”
“Vedi che di lei non sai niente?”
Paolo rise di nuovo e Veronica lo fissò ancora senza quasi respirare.
 “… del compenso.”
“Come? Scusa, mi ero distratta.”
“Ho detto che non ricordo l’ammontare del compenso.”
Nemmeno Veronica se lo ricordava: sparò una cifra a caso, evidentemente ancora più esosa di quella sparata la sera prima.
“Stramerda! Certo che ne hanno di soldi da buttar via gli Scarlini della Torre, eh?”
“Non sono soldi buttati via: sono soldi investiti per l’istruzione.” ribatté Veronica con sussiego.
“Sono buttati via, ti dico: la verità, in confidenza, è che Grimilde non ha affatto bisogno di un tutor…”
Per un attimo Veronica perse il battito cardiaco e trattenne il respiro: lui non pensava che lei avesse bisogno di un tutor! Magari pensava che lei fosse intelligente? Sveglia? Ricettiva?
“Davvero…?”
“Certo. Chiariamo, Grimilde finora ha esternato il livello intellettivo di un paramecio, ma a suo favore c’è da dire che non ha mai dovuto dimostrare il contrario perché primo, il consiglio di classe la promuoverebbe anche se all’esame si limasse le unghie senza profferire verbo, secondo, una parvenza di istruzione è assolutamente sprecata per una che nella vita farà solo shopping, lifting e finti ricevimenti di beneficienza e terzo, fosse anche vero che per qualche strana congiunzione astrale volesse studiare sul serio, il suo caratteraccio la porterebbe a licenziare chiunque osasse anche solo pensare di contraddirla. ”
Mentre parlava faceva di nuovo cerchi col piede e aveva l’aria assorta: Veronica invece stava lottando furiosamente contro un improvviso e inopportuno desiderio di piangere. Quella debolezza era sicuramente tutta colpa dell’influenza nefasta di Gladi, la segretaria sfigata!
“Adesso sei ingiusto” mormorò quando riuscì a non far tremare la voce “Tu… non la conosci affatto.”
“Nemmeno lei mi conosce, ma questo non le ha mai impedito di chiamarmi scherzo della natura. E sgorbio, obbrobrio, mostro…”
Aveva ragione: come contestare una verità così cristallina?
“La gente può cambiare, se gli si dà la possibilità.” tentò Veronica stringendo il telefono con entrambe le mani: lui aveva smesso di fare cerchi col piede e sembrava solo assorto.
“Sei molto saggia e leale, Gladi.”
E opportunista, pensò Veronica con un piccolo moto di vergogna.
“Beh, io parto avvantaggiata. Ho a che fare con la suddetta Grimilde tutti i giorni e non la trovo così terribile. Io la trovo simpatica.”
“Simpatica? Grimilde? A questo punto scommetto che trovi simpatico anche farti infilzare i bulbi oculari con aghi arroventati.”
Il suo scetticismo era davvero avvilente.
“Tu hai mai provato?”
“La faccenda degli aghi arroventati? Francamente no.”
“A parlare con Veronica.”
“A parlare con Grimilde?”
Rise. Così sinceramente da spezzare il cuore.
“Sei di nuovo ingiusto.”
“Scusa. Pensavo a me e a Grimilde che parliamo; come vedere Alien e Biancaneve che prendono il tè insieme.”
“Potrebbe essere. Per lo meno Veronica è un po’ meno antiestetica di Alien.”
“Hai ragione. Sarà anche insopportabile, fredda e snob, ma esteticamente c’è tutta.”
C’è tutta. Era una cosa buona o cattiva?
“Descrivimi con parole tue il concetto di esserci tutta, per favore.”
“Beh, si vede che è bella, sotto lo strato di cerone e la messa in piega. E anche il telaio non è male.”
Il telaio. La carrozzeria. Come quella della Rolls di suo padre? Il respiro di Veronica era corto e affannato come quello di un uccellino. Era un complimento: spurio, debole, forzato ma pur sempre un complimento e la giovane ci si attaccò come una cozza allo scoglio.
“Anche la tua… ehm, f-fidanzata c’è tutta?”
Ecco, l’aveva nominata. L’innominabile Colombi, che la stitichezza se la portasse. Da lontano, Veronica vide Bianchi alzare lentamente la testa con espressione pensosa e socchiudere la bocca per rispondere: poi la campanella suonò e Bianchi si scosse come se si svegliasse da un sogno.
“Scusami, Gladi, è suonata la campanella; devo andare.” sentenziò quasi con sollievo.
“Ok.” Che delusione!! “Mi… ehm, mi chiamerai di nuovo?”
Che mendicante: ma la piccola Gladi se lo poteva anche permettere, no?
“Posso?”
Sembrava contento anche lui: i suoi fondi di bottiglia scintillavano come gemme riflettendo la luce che entrava dalle finestre.
“Certo.”
Non osò dire di più: a Gladi quel giorno era andata davvero alla grande. Alla povera Veronica un po’ meno… per quel giorno aveva ricevuto abbastanza insulti da bastarle per tutta la vita, ma paradossalmente con quel “c’è tutta” c’era ancora una speranza che brillava come un faro nella notte.
*          *          *
Prima ancora di gettare un’occhiata al giardino, la tragedia fu preannunciata da Inocencia che le corse incontro in pieno affanno asmatico.
“Senorita!” strillò mollando di botto l’accumulo di aplomb Scarliniano e recuperando la sua tragica natura sudamericana.
“Calmati Inocencia. Che è successo?”
“Ese perro… quel… cane!”
In un attimo a Veronica si piegarono le ginocchia.
“Sancho…? E’ entrato in casa…?”
La visione orrorifica della Furia Miasmatica a passeggio per le preziose stanze della casa le diede la nausea: quando lo immaginò nei pressi del suo guardaroba, iniziò a sudare freddo.
“No es mi culpa! Ero en la cocina e non ho visto che avevano aperto la puerta…”
“E’ entrato? O santissimi santi! Inocencia, se quella latrina abbaiante si è avvicinata anche solo di un metro al mio guardaroba giuro che…”
“Senorita, no! Sancho non està entrato: è Byron che està uscito!”
“Byron! Gli ha fatto del male? L’ha azzannato?”
“No, senorita, no… non proprio…”
Il sollievo fu tale che per poco Veronica non sorrise.
“Allora è ancora vivo.”
“Purtroppo si, che tragedia!”
“Byron?”
“No, senorita, el perro huele, il cane che puzza!”
“Ma perché avrebbe dovuto morire?”
Inocencia sgranò gli occhi e non ebbe il coraggio di rispondere: Veronica impaziente la scostò decisa e marciò verso il giardino, inseguita dall’angosciata domestica. Arrivata in veranda si bloccò di colpo e rimase per un bel pezzo così, immobile, la bocca socchiusa e lo sguardo esterrefatto a fissare i due cani, il piccolo Byron e il grosso Sancho, impegnati in più che evidente atto di seduzione canina.
Inocencia nemmeno fiatava, arrovellandosi le mani in silenzio. Quando dopo svariati minuti la sua padrona era ancora muta e immobile, azzardò un discreto “ehm!” che sembrò risvegliarla. Veronica si girò a guardarla e nonostante lo sguardo fosse altezzoso e freddo come al solito, qualcosa tremava agli angoli della bocca.
“Se non ricordo male quando l’ho fatto operare, Byron era un maschio.” disse con ammirevole tranquillità.
“Sì, senorita! Ricordo di averci guardato personalmente. E adesso... guardi li! Dios mio!”
“Sì, effettivamente è piuttosto imbarazzante. Non pensavo fosse possibile in natura…”
“El jardinero dice che a volte succede, per stabilire chi dei è il macho dominante… anche se ormai dovrebbero averlo stabilito ore fa… Dios mio, in Colombia estas cosas no suceden. Indecente!”
“Sì, sicuramente poco elegante. Fortuna che nonna Veronica non è nei paraggi, o avrebbe scomunicato anche il papa.”
“E’ peccato mortale anche se sono cani!”
“Già, ma non sembrano molto preoccupati, al momento. Fai una cosa, alla prima pausa accertati che vengano indirizzati in fondo al giardino a stabilire chi è il maschio dominante. Fai creare una zona franca di intimità, possibilmente coperta e non visibile da nessuna parte della casa, e chiudili lì finché non si sono stufati.”
“Ma come senorita… non chiamo il guardiacaccia per farli abbattere?”
“Non essere medievale, Inocencia! Se il giardiniere dice che può succedere, vediamo come va a finire.”
Inocencia non si raccapezzava: cani gay e la sua padroncina che ironizzava su una cosa così blasfema?
“Ma senorita…”
“Fai come ti ho detto” sentenziò Veronica piena di antica arroganza “Io intanto avviso il padrone dello sposo di preparare i confetti per il matrimonio.”
*          *          *
“Tebaldo?”
La risposta del cugino non risultò per niente sorpresa.
“Ancora tu? Comincio a pensare che la storia del villico cherubino sia tutta una scusa per sentirmi e che in realtà tu sia innamorata di me, Grimilde carissima.”
“Dì ancora certe blasfemie e ti sodomizzo con un chilo di mele avvelenate.”
“Cara! Lo sai che tutte le novità a sfondo sessuale mi incuriosiscono.”
“Infatti è per questo che ti ho chiamato. Volevo ufficialmente avvisarti che Sancho e Byron sono diventati una coppia di cani gay.”
“Come?”
“Giuro sulla mia pochette di Prada. Il nostro esperto in materia, il giardiniere, conferma che in natura può succedere, come atto di predominio. Qualunque fosse la ragione del loro colpo di fulmine, gli ho fatto preparare un’alcova segreta in fondo al giardino.”
Veronica si gustò i dieci secondi buoni di silenzio sorpreso dall’altro capo del telefono.
“Davvero?” recuperò poi Tebaldo prontamente “Beh, di Byron l’ho sempre sospettato, con quei fianchi stretti e quel nome da letterato britannico… ma Sancho è una vera sorpresa. Mi sembrava robustamente etero, un bel cane da riproduzione selvaggia. Tu guarda le sorprese che ti riserva la vita.”
“Inocencia è letteralmente sconvolta: vorrei farle capire che per i cani è ostico assorbire il concetto cattolico di peccato mortale, ma al momento non sente ragioni e sta tappezzando il giardino di croci e rosari. Dice che queste cose in Colombia non succedono mai.”
“Allora immagino che in Olanda sarà una cosa piuttosto comune.”
“Quando si dice menare il can per l’Aia…”
“Si rassegnerà, quando i piccioncini finiranno di consumare il loro attimo di passione. Ora mi vuoi parlare del vero motivo della tua telefonata?”
Veronica, suo malgrado, arrossì.
“Perché, essere i proprietari dei due primi cani gay della storia non ti sembra una notizia sufficientemente importante da comunicarti?”
“La notizia non riguarda te personalmente, quindi dal tuo augusto punto di vista non vale niente.
Avanti, dimmi la verità, si tratta ancora di Bianchi.”
“Sei odiosamente sospettoso e cinico.”
“Si, che tragedia, vero? Ora che posso fare stavolta per te in veste di tuo personale sportello psicologico?”
“Devo farti una domanda.”
“Quello che vuoi, luce dei miei occhi.”
“Cosa vuole un ragazzo da una ragazza?”
Tebaldo finse di meditare seriamente la risposta.
“Cosa vuole un ragazzo da una ragazza?” ripeté infine con le sopracciglia ben inarcate “Dico gioia mia… è una domanda retorica o hai avuto un’amnesia selettiva e non ricordi più niente sull’argomento?”
“Specifico: un ragazzo normale da una ragazza normale. Che cosa vuole?”
“Vediamo… qualcosa che fa rima con cuore, sole, amore… ci sono! Vuole guardarle le tette.”
“Tebaldo! Non cadere nel triviale e sii serio.”
“Giuro. Ero un ragazzo anche io fino a cinque minuti fa, lo ricordo bene.”
“Nient’altro?”
“No.”
“Ma dai!”
“Beh… toccargliele, forse.”
Veronica sospirò esasperata.
“La tua inutile volgarità mi infastidisce. E togliendo le, ehm, tette?”
“Mah, senza tette rimane ben poco… a meno che il ragazzo non sia così assurdamente baciato dalla fortuna da poter arrivare direttamente alle mutandine.”
“Ma insomma! A parte il sesso, c’è niente che possa attirare un ragazzo?”
Tebaldo sospirò accomodandosi meglio sul costoso divano di pelle: era rientrato da poco da scuola, e doveva ammettere che quel nuovo, curioso ruolo da fratello confessore lo divertiva parecchio. Inoltre, vedere Grimilde/Veronica Scarlini della Torre così pateticamente confusa a causa di Bianchi (no, dico, di Bianchi!!!! Si scompisciava ogni volta che ci pensava su…) non aveva prezzo, assolutamente.
“Mettiamola così, tesoro: gli uomini sono esseri molto elementari e primitivi e rispondono solo a istinti primari. Una donna per piacergli deve saperli soddisfare, quindi una femmina disposta a fare sesso, cucinare e lasciar dormire il suo uomo in pace è il massimo a cui l’Uomo aspiri nella vita.”
“Vuoi dire che io per piacere a un uomo dovrei imparare a cucinare?” brontolò Veronica poco convinta.
Tebaldo aspettò per un lungo momento perplesso.
“Buon Dio, no. Si parlava di gente comune… la plebe. Il volgo. Quelli che devono giochicchiare coi propri sentimenti perché non possono comprare quelli degli altri. Tu… noi… non siamo soggetti a quelle regole: stiamo sopra, molto sopra! Non siamo come gli altri.”
“Ah no?” mormorò Veronica stranamente scoraggiata: di solito era fiera e orgogliosa di essere nell’elite “E come sono io allora?”
“Tu sei una regina. Tu non devi fare nient’altro che farti adorare, fare shopping e lasciar pagare gli altri. Cosa che fin’ora ti è venuta benissimo.”
Già. La famosa Grimilde. Però da come l’aveva dipinta innocentemente Paolo non sembrava tutta questa meraviglia.
“E se non volessi più essere una regina?” continuò quindi con assorta lentezza “Se volessi interessare a qualcuno a prescindere dalle mie tette o dalla sua carta di credito?”
Tebaldo intuì che il discorso non era frivolo come sembrava: il tono di Veronica appariva sufficientemente cupo da dare l’idea che stesse parlando sul serio.
“Cuore mio!” esordì quindi prudentemente “Quello che metti in gioco è l’essenza stessa di quello che sei… sicura di voler buttare tutto alle ortiche per un essere insignificante come Bianchi?”
Nel mentre la suoneria delle emergenze pigolò dall’altro cellulare di Veronica e questa sobbalzò come se l’avessero punta.
“Devo andare!” strillò alzandosi bruscamente dalla poltrona e impugnando il cellulare come una scimitarra spaziale.
“Grimilde, insomma! E’ estremamente inelegante farsi prendere da un colpo apoplettico solo perché qualcuno ti sta chiamando… quella poi non è la suoneria delle emergenze? Che sia bisnonna che abbia saputo del love affaire di Byron e la Furia Miasmatica…?”
“Non sei spiritoso!” berciò di nuovo Veronica e riattaccò sulla grassa, impudente risata del cugino.
Poi mentre cercava di riportare la respirazione al di sotto del modello mantice, rispose al telefono.
*          *          *
“Pronto?” fece con molta professionalità mentre il cuore batteva come un tamburo africano.
“Ciao Gladi! Sono Paolo Bianchi.”
“Oh, ciao Paolo.”
“Stai lavorando? Grimilde è in giro?”
“No, ehm… Veronica è dal parrucchiere.”
“A fare che? Ha i capelli tanto impalcati che starebbero su un mese da soli senza ritocchi.”
Se aveva telefonato per fare dell’ironia gratuita sui suoi capelli poteva anche finire lì la chiamata, batticuore o non batticuore!
“Non cominciare a fare l’acido, giovanotto.”
“Scusa, dimentico sempre che lei è il tuo datore di lavoro.”
“Già.”
Veronica era troppo contenta per chiedergli il motivo della telefonata, ma Gladi sarebbe stata tenuta a farlo, quindi continuò in tono serioso: “Dimmi, hai pensato alla mia proposta?”
Breve silenzio imbarazzato di Paolo.
“A dire il vero ci sto ancora pensando” rispose infine con un sospiro “Volevo prima spiegarti alcune cose.”
“Sono tutta orecchi.”
Pur di stare al telefono con lui avrebbe accettato chiarimenti su qualsiasi cosa volesse, dalla situazione meteo sulle Prealpi alla ricetta della bagnacauda.
“Grazie. Dunque, immagino che fosse previsto di dover venire lì a dare lezioni a casa Scarlini…”
A dire il vero, Veronica non ci aveva nemmeno lontanamente pensato. E nemmeno Gladi; bella segretaria del cavolo…
“Suppongo di sì, ma non è importante.”
“Lo è invece. Vedi, al pomeriggio devo stare con mio fratello perché i miei sono al lavoro.”
“Oh, non sapevo che avessi un fratello piccolo.”
A dire il vero non sapeva proprio niente di lui al di fuori del presunto stecchetto malvestito. Anzi, neanche dello stecchetto sapeva un gran che. Insomma, non sapeva proprio di niente di lui e basta.
“Non è piccolo, ha due anni più di me. Però a volte ha bisogno di avere qualcuno vicino. Ha la sindrome di Down.”
“Oh.”
Che doveva dire in quei casi? Cosa avrebbe detto una persona qualunque… Mi dispiace? Paolo però non sembrava dispiaciuto, quindi Veronica preferì glissare.
“Potresti portare anche lui qui. Villa Scarlini è davvero enorme e non si annoierebbe di sicuro.”
“Non è tutto. Ho anche due sorelle più piccole, in effetti. Hanno quindici anni, non sono quasi mai in casa, ma hanno bisogno anche loro di un’occhiata ogni tanto.”
“Oh. Siete un’autentica folla. Portare anche loro sarebbe possibile?”
“Scherzi? Laura e Silvia ammesse al castello della Regina? Non sopravvivrebbero allo shock. Sai, frequentano il mio stesso liceo e sono nel fan club di Grimilde… la trovano “assolutamente divina” per usare parole loro.”
Sante ragazze, pensò Veronica deliziata in uno slancio di esaltata gratitudine: almeno qualcuno sano di mente in casa Bianchi c’era. O forse erano amiche dello stecchetto?
“Naturalmente, potrebbe venire anche la tua f-fidanzata.” buttò lì freddamente.
Non vedeva l’ora di avere un tete-à-tete con la Colombi: l’avrebbe stracciata, sublimata come la naftalina.
“No… Comunque non potremmo venire lo stesso. C’è anche Biagio a cui pensare.”
“Un altro fratello? Diamine, dovresti avvisare i tuoi che se facessimo tutti come loro rischieremmo il sovraffollamento mondiale.”
“Biagio è un cane.”
Un altro? La sua vita si stava riempiendo di fastidiosi quadrupedi, pensò sbirciando fuori dalla porta a vetri che dava sul giardino.
“Non c’è problema!” ripose poi quindi con un sorriso ironico “Anche Veronica adora i cani, ne ha due. Potrebbero farsi compagnia. E’ etero?”
“Come?”
“Chiedevo di che razza è.”
“Biagio non ha razza. E’ un bastardone di trecento chili e sembra un incrocio malriuscito tra uno yak e una motofalciatrice. L’abbiamo adottato l’anno scorso dal canile dove lavoro d’estate.”
Anche lui al canile? Che fosse stato sempre quello il romantico luogo d‘incontro con lo stecchetto malvestito?
“E’ vecchio e zoppo” continuava intanto Paolo “Cieco da un occhio e secondo noi è arrivato alla fine dei suoi giorni. Non credo che trascinarlo a Villa Scarlini sarebbe una buona idea.”
“Oh.”
Non c’era nemmeno bisogno che aggiunga una nonna malata, un gatto senza coda e un pesce rosso asmatico per demolirla del tutto.
“Quindi capisci, anche se accettassi non posso proprio pensare di…”
“Potrebbe venire lei da te” propose Veronica rapidamente senza pensarci. Cioè, Gladi lo propose. Col senno di poi, non era stata la pensata migliore che una segretaria potesse fare.
“Come? Grimilde qui?”
Paolo scoppiò a ridere, una di quelle sue snervanti risate a cuore aperto che tanto la umiliavano.
“Grimilde qui! Con Dante che le tira la palla, Laura e Silvia genuflesse in adorazione, Biagio che fa puzzette a tutto spiano spalmato sul divano, Zigote che miagola come se lo avessero crocifisso e nonna Adalgisa che insiste per preparare le frittelle di mele… un film dell’orrore!”
E giù a ridere come se l’avessero imbottito di antidepressivi. A Veronica non sfuggì il fatto che il gatto e la nonna ci fossero davvero: un segno del destino?
“Quando hai finito di sbellicarti potresti prendere in seria considerazione l’idea?”
“Ma dai Gladi! Sarebbe troppo… surreale. Un quadro di Dalì fatto e finito.”
Promemoria mentale per Gladi: informarsi su chi diamine fosse Dalì.
“Sarebbe solo fattibile.”
“Balle. Grimilde non scenderebbe mai così in basso in mezzo alla gleba. Nemmeno con le soprascarpe di Gucci: avrebbe lo stesso paura di contaminarsi.”
Veronica stava cominciando ad arrabbiarsi: la sua definitiva convinzione era una sfida aperta!
“E tu che ne sai di cos’ha paura lei?”
“Non credo che potendo scegliere tra un insegnante privato a domicilio e uno degli sfiguz nel bel mezzo di un appartamento sovraffollato di animali e subumani, Grimilde opterebbe per la seconda possibilità.”
La sua logica era inoppugnabile, ammise scoraggiata.
“E invece sceglierebbe te, se glielo consigliassi io. Lei… si fida molto del mio giudizio.”
Breve silenzio da parte di Paolo.
“Posso anche crederci: dopotutto Grimilde ha dimostrato più volte di preservare il proprio cervello per i posteri e far lavorare quello degli altri. Ma a questo punto sorge un’altra domanda.”
“Quale?”
“Perché tu, Gladi, dovresti proporre me? Persino il più scarpone dei segretari capirebbe che non sarei la scelta migliore.”
Silenzio. Veronica tenne le labbra chiuse, ma la voce di Gladi premeva per uscire e allora decise di lasciarla libera una volta ancora.
“Sì che saresti la scelta migliore. E non solo a livello accademico, ma anche a livello umano. Forse Veronica è davvero vissuta nella bambagia ed è altezzosa, snob, egoista…”
“… nonché incredibilmente stronza?”
“… ma se vedesse com’è una famiglia normale come la tua…”
“… che più anormale di così non ce n’è…”
“… lei, forse… capirebbe… insomma, forse le farebbe bene.”
Paolo prese un grosso respiro pensieroso.
“Gladi, non credo che…”
“Pensaci bene, Paolo: tu guadagneresti un bel po’ di soldi, e ora che mi hai raccontato della tua famiglia penso che ti farebbero parecchio comodo; per Veronica, oltre che mettersi in pari negli studi, potrebbe essere persino terapeutico a livello umano; le tue sorelle sarebbero felici di poter vedere da vicino il loro idolo; tua nonna potrebbe gioiosamente preparare montagne di frittelle e se va tutto bene magari tuo fratello potrebbe procurare una commozione cerebrale alla tua Grimilde tirandole una pallonata in testa e rendendola più buona di Biancaneve. L’unica cosa su cui, da segretaria perfetta, mi permetto di porre il veto è sulle puzzette di Biagio: mentre la mia cliente si trova presso la vostra abitazione, pensi di riuscire a porvi rimedio?”
Paolo rise di nuovo e a Veronica vennero le vertigini al pensiero di come probabilmente stava buttando indietro la testa, facendo luccicare le lenti degli occhiali.
“Oh, Gladi, sei impagabile! Ma…”
Lo interruppe sparando una cifra in euro che poteva essere uno stipendio mensile.
“Cazzo! Volevo dire… diamine, sono un sacco di soldi…”
“Accetti?”
“Non ne ho nemmeno parlato con i miei…”
“Ci sarebbe anche il fattore vendetta privata. Pensa alla tua Grimilde seduta sul divano a fianco di Biagio. Con i peli di gatto che si attaccano permanentemente alla sua gonna di Versace.”
“Sei perversamente diabolica, sai?”
“Ho un master in business administration alla Bocconi.”
“Oh, così si spiega tutto.”
“Accetti?”
Veronica quasi pregò fra sé e sé: aveva definitivamente finito le cartucce.
“Io… sì.”
Dio del cielo, grazie.
“Con diritto di opzione di proroga in caso la prima seduta sia un completo disastro.”
“Mi sembra giusto. E per le puzzette di Biagio?”
“Beh, Grimilde mica lo sa…”
“E poi sono io quella perversamente diabolica, eh?”
“Imparo in fretta anche senza master. A quando la prima lezione?”
“Domani, ore 15,00. Indirizzo?”
Paolo le dettò l’indirizzo e lei (Gladi) lo scrisse diligentemente sulla borsetta, usando la matita per occhi. Il palmare l’aveva lasciato sulla poltrona prima del suo attacco di nervoso e probabilmente si era perso nei meandri delle costose pieghe di cavallino autentico.
“Tu ci sarai?” le chiese Paolo con molta naturalezza. A Gladi, naturalmente.
“No! Io… devo lavorare su… alcuni appuntamenti importanti. E poi devo organizzare il week end alle terme: non hai idea di che lavoraccio mi aspetti, tra prenotare i massaggi ed accertarmi che venga rispettata la dieta macrobiotica di Veronica…”
“Dieta macrobiotica? Allora tanti saluti alle frittelle di nonna Adalgisa.”
“Vedrai che le piaceranno lo stesso. Magari se per friggere potesse usare olio di semi d’uva spina…”
Lui tacque, attonito.
“Sto scherzando.”
“Meno male, ero già in crisi. Che peccato, però.”
“Per l’olio? Può andare bene anche quello di avocado centrifugato, sai?”
“Peccato che tu non possa venire. Avrei… mi sarebbe piaciuto conoscerti.”
Senza un apparente perché, Veronica intuì che era arrossito. Incredibilmente, anche lei aveva le guance in fiamme, e il cuore che ballava il merengue, in aggiunta. Stecchetto Colombi, beccati questo! Nel contempo, come Veronica era anche decisamente disturbata dal fatto che Paolo mostrasse molta più simpatia per Gladi che per Veronica stessa: non era affatto così che doveva andare.
“Dispiace anche a me. Magari un’altra volta.”
“Sì. Ti spiace se ti chiamo ancora? Quando la virago ti lascia libera, naturalmente.”
Promemoria per Gladi: informarsi su cosa fosse una virago. E piantarla di irretire il ragazzo che piaceva a Veronica.
“Volentieri. Mi piace davvero tanto parlare con te.”
E questa da dove le era uscita? La personalità latente di Gladi stava prendendo il sopravvento su Veronica? E Grimilde, dov’era finita? Ok, stava decisamente dando segni di schizofrenia galoppante.
“Alla prossima allora, Gladi.”
“Alla prossima, Paolo.”
  
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