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Autore: Evil91    31/05/2011    0 recensioni
Scosse la testa sconfitto osservando il disegno di Radiant vicino a quello della sua chimera.
La sua chimera.
Vederli vicini gli provocò una stretta allo stomaco alla quale non riuscì a non fare caso.
La chimera era un’illusione, un sogno irrealizzabile.
Radiant non gli permetteva di conoscerla e sembrava nascondere qualcosa, possibile che?
[Capitolo 6]
Buona lettura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spense la sigaretta nel momento esatto in cui la rossa gli si parò davanti guardandolo con un sorrisino malizioso.
«Sei in ritardo. Uno a uno. Palla al centro.»
«Buongiorno anche a te, chitarrista.», il tono acido con cui l’aveva salutato lo fece ridere e decise di prenderla un po’ in giro, giusto per vedere come avrebbe reagito.
«La sconfitta brucia eh?», guardò la ragazza sbuffare e entrare nel primo bar davanti loro solo per raggiungerla velocemente trattenendo a stento le risate che ancora volevano uscire.
Lei lo fissò truce e dopo aver ordinato per entrambi un caffè lungo appoggiò il mento sopra le mani guardandolo di traverso aspettando una sua parola.
Gabe sorrise e senza pensare le prese una ciocca di capelli, che sfuggiva alla coda fatta alla meno peggio, e se la rigirò fra le dita sotto lo sguardo di lei scocciato che però non fece niente per impedirglielo.
«Chitarrista…»
«I tuoi capelli sembrano il fuoco, l’hai mai pensato?», vide la ragazza scuotere la testa e liberare dalla sua presa i suoi capelli, tentando poi di spostargli la mano; ma lui la intrappolò nella sua rimanendo sorpreso nel notare quanto differenti potessero essere.
Provò a intrecciare le loro dita, ma lei riuscì a sfuggire da quella presa e spostò entrambe le mani il più lontano possibile dalle sue guardandolo poi malamente.
«Un caffè è solo un caffè non altro.»
«Ma durante un caffè potremmo sempre conoscerci.»
«Mai detto di volerti conoscere chitarrista. Due a uno per me.»
Non ebbe il tempo di obbiettare che il cameriere gli servì i caffè lanciando alla ragazza uno sguardo abbastanza eloquente, sguardo che lei ricambiò immediatamente senza perderlo di vista fino a quando non sparì dietro il bancone.
Quello scambio di sguardi lo fece irritare più del dovuto e si rese conto che forse lui non voleva solo un caffè con lei.
Avrebbe voluto dire qualcosa, invece rimase a scrutarla mentre in silenzio beveva il caffè e guardava gli spostamenti del cameriere non senza un sorrisino a metà fra il malizioso e il divertito sulle labbra.
«Potresti anche evitare.»
«Geloso, chitarrista?»
«Di te? Neanche se mi paghi.»
Guardandola ridere si rese conto di aver detto veramente la cazzata più grande che potesse dire.
Non sapeva come e non sapeva perché, ma vedendola ridere con la mano davanti alla bocca, gli occhi leggermente chiusi e le spalle che sussultavano a quelle risate si rese conto che era geloso sì.
Geloso degli sguardi che il cameriere le aveva lanciato, geloso di come lei l’aveva seguito nei suoi spostamenti e forse geloso che quegli sguardi non fossero stati per lui.
Scosse la testa e finì il caffè appoggiando poi la guancia sulla mano continuando a guardarla mentre cercava di smettere di ridere.
«Sei bella quando ridi.»
Le risate cessarono immediatamente e si ritrovò inchiodato da uno sguardo di fuoco, quando poco prima quegli occhi erano semplicemente divertiti.
L’aveva vista arrossire, nel secondo in cui aveva detto quelle parole lei aveva, contemporaneamente, smesso di ridere ed era arrossita; per un solo istante, poi aveva ripreso il controllo di sé e l’aveva inchiodato con uno sguardo di fuoco.
E quella cosa lo fece sentire benissimo.
«Due pari.»
«Dovresti imparare a stare zitto Gabriel. Non te l’hanno insegnato?»
«Non chiamarmi così.»
«E perché? È il tuo nome alla fine, ma cosa dovrei aspettarmi da uno come te? Che tu ti ricorda il mio nome? Certo che no, no io mi aspetto che tu mi inviti a prendere un caffè mi dici che sono bella e poi magari pretendi anche di portarmi a letto. Scendi da quel piedistallo che non sei nessuno.»
Gabe rimase a bocca aperta senza riuscire a dire qualcosa e si risvegliò solo quando la vide prendere la sua borsa e uscire dal bar in fretta, con i gesti tipici di chi è arrabbiato; allora lasciò i soldi sul tavolo e si affrettò a raggiungerla in strada solo per ottenere qualche imprecazione contro e un muro di silenzio ostinato.
Camminarono uno di fianco all’altro per una decina di minuti, minuti in cui lui si era fumato già due sigarette, quando lei si fermò di colpo e lo guardò con il fuoco ancora negli occhi.
«Che vuoi da me?»
«Niente di quello che pensi tu.»
«Ah sul serio? Io non ne sarei tanto sicura, non da come ti sei comportato prima.»
«Non posso fare delle semplici osservazioni? Cos’è nessuno ti dice mai che sei bella?»
«Nessuno che non abbia intenzione di portarmi a letto.»
Rimase spiazzato da quella risposta. Possibile che quella ragazzina fosse davvero così grande? Oppure così semplicemente pessimista e che avesse incontrato solo brutta gente nella sua vita?
Possibile?
Rimase a fissare quei grandi occhi marroni dove quel fuoco andava piano piano a spegnersi per lasciare il posto a un’espressione semplicemente stana quanto, forse, rassegnata.
«Quanti anni hai?»
«Venti.», sorrise soddisfatto del suo giudizio in base al quale le aveva dato un’età.
«Togliti quel sorriso dalle labbra. Scommetto che non ti ricordi neanche come mi chiamo.»
Immediatamente smise di sorridere e dalla smorfia che fece lei dovette dedurre che sul suo viso c’era la chiara espressione d’imbarazzo che aveva quando veniva colto in fallo.
Odiava venire colto in fallo, ma mica poteva sapere che avrebbe rivisto quella ragazza così presto; mica poteva sapere che già dalla seconda volta che si sarebbero visti lui sarebbe stato geloso di lei.
«Tre a due per me. Supereroe non va mica bene eh!»
«Come ti chiami?»
«Cosa mi dai in cambio?», se fosse stata una ragazza qualunque a quella domanda si sarebbe avvicinato a lei e le avrebbe sussurrato all’orecchio proposte alquanto indecenti, ma ricordando la reazione che aveva avuto per un semplice complimento decise che era meglio lasciare perdere quel genere di comportamento.
«Non quello che stai pensando tu.»
«Ma io non sto pensando a niente. Quindi mi darai tutto ciò che voglio.»
L’espressione di lui la fece scoppiare a ridere e quasi in automatico le venne l’istinto di abbracciarlo o comunque di avere un contatto fisico con lui.
Quel piccolo tentennamento non passò inosservato al ragazzo che senza pensarci si avvicinò alla ragazza sfiorandole con le dita la guancia solo per vedere i suoi occhi cambiare.
Non aveva mai avuto quel genere di sensazioni, non aveva mai voluto solamente sfiorare una ragazza per il semplice gusto di farlo o per rassicurarla di qualcosa che neanche lui conosceva, ma che sapeva che c’era. E quella cosa lo impauriva un po’.
«Non voglio farti del male.»
Non ricevette risposta. Semplicemente lei scosse la testa e indietreggiò di qualche passo lasciando che un fastidioso muro di imbarazzo li dividesse. La guardò mentre si torturava il labbro inferiore, con i capelli che le ricadevano sul viso coprendolo e impedendogli di vedere i suoi occhi.
«Ehy…Che succede? Che ho detto di sbagliato?»
«Smettila. Smettila di guardarmi così e di fare il gentile. Smettila di provare compassione per me!»
«E tu allora smettila di essere così scontrosa e acida!»
«Io mi adeguo al tuo comportamento! Ma chi ti credi di essere, si può sapere?»
Sbuffò e non rispose, tanto la ragazza si era già incamminata lasciandolo da solo con niente fra le mani. Si diede dello stupido da solo per come si era lasciato travolgere dalla furia che le parole di lei gli avevano causato.
In tutta la sua vita non si era mai lasciato travolgere dalle emozioni, soprattutto quelle suscitate da altre persone, e in quel momento si trovava quasi in balia delle emozioni della ventenne che si stava allontanando da lui il più in fretta possibile.
La figura irrigidita della rossa che si allontanava in fretta gli fece tornare in mente i suoi ventanni; a quell’età lui non era mai stato così e da quel che ricordava neanche le sue amiche.
Perché allora quella ragazza sembrava così diversa?
Sospirò passandosi una mano fra i capelli e si mise a correrle dietro raggiungendola qualche secondo dopo e afferrandole il braccio; la sentì irrigidirsi all’istante e si ritrovò di fronte ai suoi occhi spaventati.
«Lasciami. Immediatamente.»
«No. Voglio parlare con te.», la resistenza della ragazza crollò di colpo lasciandolo davanti a una ragazzina spaurita e insicura. Sorrise e intrecciò le loro dita, nonostante lei lo guardasse guardinga e tremante a quel semplice contatto.
«Abbiamo iniziato col piede sbagliato, lo ammetto. Ma possiamo ricominciare. Piacere Gabriel.»
«Radiant. E vedi di non scordartelo più.»
«Radiant! Ma come ho fatto a scordarlo! È un nome stupendo!»
La guardò mentre scoppiava a ridere e faceva scivolare via la mano dalla sua presa, cosa che gli dispiacque abbastanza, ma almeno poteva guardarla ridere invece di dover sopportare quella visione affranta.
«Non pensare male, ma che ne dici di venire a casa mia?»
«Questa domanda fa pensare male.»
«Smettila di fare la preziosa. È quasi ora di cena e no, non è quello che pensi tu, voglio solo parlare con calma senza provare a portarti a letto. Ci stai?»
La guardò soppesare la sua proposta, sperando ardentemente in una risposta affermativa e quando la vide annuire timidamente sentì come se un peso gli si fosse tolto dallo stomaco.
Non provò a prenderla per mano, ma semplicemente si incamminò verso la sua macchina con l’aria beata di chi aveva tutto quello che aveva sempre desiderato.
Erano sensazioni che non provava più da molto tempo, a parte quando aveva in mano una chitarra, e lo colpirono in pieno petto lasciandolo quasi senza la forza di ragionare.
Non poteva ragionare su certe emozioni o sentimenti o anche sul perché questi avvenissero, ma lui era sempre stato così: era insito nel suo essere quello di dover capire tutto.
Ma guardando Radiant al suo fianco, che teneva lo sguardo fisso fuori dal finestrino, si rese conto che lei era il peggior enigma che gli potesse capitare sotto mano e si rese anche conto che non sarebbe stato facile capirla o dimenticarla. E quel dimenticare proprio non gli piaceva.
 
  
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