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Autore: Sasita    31/05/2011    10 recensioni
Tutto inizia nel miglio. Jane ha ucciso John e non l'ha fatto per legittima difesa. Qual'è la pena per questi omicidi se non la morte? Così inizia una corsa contro tutto, contro tempo e legalità perché Jane e Lisbon possano finalmente vivere la loro vita. Scappando da tutto ciò che è loro noto, si ritrovano a vivere con nomi di altri, e ad amarsi come prima non avevano mai potuto fare. E cosa succederà loro? Riusciranno a scampare i pericoli? E potranno mai tornare a fare quel che amano di più al mondo, nella loro meravigliosa Sacramento? Leggere per sapere! E recensire per piacere! :)
Genere: Commedia, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Long Fic Jisbon'
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LIKE A TIGER

 
L’aria era secca e fredda nell’aeroplano mentre iniziava la sua lenta discesa verso l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Attraverso i finestrini appannati e opachi dell’abitacolo si vedeva in cielo il sole nascente spendere e  brillare, illuminando in lontananza gli aerei in partenza e in arrivo all’aeroporto romano. Poche nuvole all’orizzonte macchiavano quella tela azzurro scuro del primo mattino mentre pennellate rosa e arancioni tingevano i colori dell’alba dei primi d’estate.
Maggio era al suo inizio e Roma si svegliava lentamente, mentre l’aereo 747 da New Orleans atterrava tranquillo con qualche piccola scossa sull’asfalto nero della pista.
I passeggeri, ancora un po’ addormentati per il lungo ed estenuante viaggio, iniziarono a scendere nella leggera brezza mattutina, totalmente diversa dal caldo che già opprimeva alle prime luci dell’alba nella caotica e vitale città della Louisiana da cui erano partiti.
Una zazzera di ondulati capelli neri comparve dall’uscita anteriore, tenendosi per mano con una donna dai lisci capelli castani.
-Fa freddino per essere maggio.- disse Jane con quel suo sorriso furbo e acceso
-Non siamo più in Luisiana, Axel.- gli rispose Lisbon, sorridendogli e facendogli l’occhiolino.
-Pensa un po’...- commentò lui, baciandole la fronte –Eri mai uscita dagli stati uniti?- chiese poi
-Non sono mai andata più in là del Nevada.- rispose lei, un po’ emozionata per la novità
-Felice di essere la tua prima volta.- se ne uscì lui con tono lievemente allusivo –L’Italia è un gran bel paese.-
-Me ne hanno parlato.- gli disse, incamminandosi per i corridoi pieni di negozi dell’aeroporto e lanciandogli un’occhiatina di disapprovazione.
-Pensavo non sapessi niente dell’Italia.- scherzò
-Fra me e te sono io quella che ha studiato.-  gli rispose, con un colpetto sul braccio.
-Ma io so molte più cose...- commentò l’uomo, evasivo
-Tipo cosa?- lo sfidò lei
-So che non vedi l’ora che prendiamo una stanza d’albergo, tutti soli soletti...-
-Oh no! Non potrei mai, sarebbe grave che fantasticassi su un bambino di cinque anni. Vuoi che ti compri un lecca lecca?- rispose sarcastica Teresa indicando con un sorriso da maestra d’asilo il negozio di dolciumi a cui stavano passando accanto.
-Adoro quando fai la difficile!- le disse lui, pizzicandole il naso –Mi ricordi la mia maestra delle elementari... quella donna non voleva cadere ai miei piedi.- sorrise
-Forse perché avevi cinque anni, appunto?-
-Oh, no, ne avevo dieci. E lei ventiquattro.-
-E’ la stessa cosa.- sospirò lei, scuotendo la testa
-Allora perché tu sei caduta ai miei piedi?-
-Il fascino di avere uno schiavetto ricchissimo...- disse ridendo
Jane si finse offeso –È questo che sono? Il tuo schiavetto ricchissimo?-
-Dipende...-
-In albergo te la faccio pagare.- le disse Patrick, baciandole castamente la guancia.
-Sei un pervertito, altro che!- sorrise Teresa
-Colpa tua!-
-Ah, sì, certo, mi pareva strano...- sospirò lei –E sentiamo, Grande Santo, perché sarebbe colpa mia?-
-Mi risvegli istinti primordiali.- le rispose lui, a voce bassa e suadente che scaldò Teresa nel profondo.
-Pervertito!- gli sibilò lei, allontanandosi.
-Frigida!- disse lui, con il sorriso sulle labbra
-Parla quello che ha fatto voto di castità per nove anni... pensa un po’! Io, caro, mi sono divertita anche senza di te!- sogghignò Teresa voltandosi e puntandogli un dito al petto.
-Però mi ami.- le sorrise soddisfatto.
-Sì... ma non c’è bisogno che lo ripeti duecentocinquanta volte per farlo diventare vero! Lo è e basta, credici!-
-E’ comunque incredibile.-
-Senti, Axel, io non sono una santa, d’accordo? Sono umana. Io sono una donna e come tale ho un cuore che non posso decidere a chi donare.- smise di camminare, gli si parò davanti e gli sorrise –Potendo scegliere credi che ti avrei scelto?-
Lui la guardò di traverso –Sì?-
-Sei un uomo fantastico e non importa che tu lo capisca adesso, prima o poi te ne renderai conto. Comunque sia io non ti capisco… hai un ego così spropositatamente grande e non ti riesce capire che sei una persona meravigliosa?-
Lui sorrise come lo Stregatto e la guardò con quello sguardo saccente e colpevole allo stesso tempo che tirava fuori ogni volta che ne combinava una delle sue… come quando che aveva detto “se stessi morire chiamerei te.” E Lisbon aveva capito l’allusione di quel “se”...
-Tu vuoi i complimenti! Sei proprio pessimo, lo sai?- commentò Teresa, accigliata
-Tanto mi ami lo stesso…- gongolò lui
-Vuoi un pugno? Guarda che non ci metto niente a tirartelo!- lo zittì Lisbon, continuando a camminare tra la folla.
Il cielo continuava a schiarirsi e le lampade si spegnevano lentamente, lasciando posto alla calda luce solare,  mentre nell’aeroporto impazzava il caos tra gli arrivi e le partenze, con Hostess, Stewart e piloti che facevano la spola tra un gate e l’altro.
Il ritiro bagagli, come al solito, era carico di persone nervose e frettolose, decise a non perdere neppure un instante del loro tempo alla ricerca delle proprie valige. Francesi, americani, ungheresi, russi, italiani e africani si mischiavano tra un ritiro bagagli e l’altro alla ricerca del proprio volo. Centinaia di valige rimanevano abbandonate tra i bagagli perduti e una famiglia numerosa cercava tra queste le loro, arrivate, non si sa come, un giorno prima.
 
-Sempve gli stessi, voi italiani! Pevdete le valige che è un piaceve!- commentò la tiratissima madre di famiglia in un forte accento franco-svizzero e una marcata erre moscia.
-Suvvia, amore, fanno del loro meglio!- cercò di placarla il marito, un giovane semplice e bonario che sembrava un perfetto cantante di Jodel.
 
Continuando a camminare tra la gente, non esattamente tutta felice, contenta o calma, Jane e Lisbon arrivarono al ritiro 12, e, prese le proprie valige, si incamminarono verso l’uscita nella famosa capitale italiana, comprando una cartina della città, un frasario italiano, un dizionario e due magliette con la scritta “Rome” sul petto.
Dalle finestre si poteva vedere che si prospettava una giornata calda e tranquilla, ma, come è risaputo, mai dare tutto per scontato quando si è di fronte alla sfrontataggine degli italiani.
Infatti, timbrato il passaporto ed entrati nella febbricitante mischia di persone accolte dai cari con cartelli in mano, si imbatterono in una giovane donna sulla ventina che sventolava alto un cartellone con su scritto “Axel e Dakota”.
I capelli, corti e scalati, le ondeggiavano intorno alla faccia, mentre saltellava in su e in giù, facendo sventolare la camicetta verde e il foulard giallo che aveva legato al collo con un nodo. Probabilmente lei capì che erano Axel e Dakota dalle facce sperdute e incredule e gli corse in contro, fermandosi a un passo da Lisbon e sorridendo come una bambina davanti a un pacco di natale.
-Tu devi essere la “copia di Robin” e tu il “Tipo da Sasy”.- disse, abbracciandoli entrambi –Serena e Alice mi hanno parlato di voi.-
Siccome Lisbon sembrava aver perso l’uso della voce, Jane, come suo solito in situazioni imbarazzanti, prese la parola e sfoderò il suo sorriso da conquistador.
-Tu devi essere Giulia.- disse, sorridendo a duemila watt.
-Oh! Che sbadata, sì. Io sono Giulia, mi hanno detto di avervi raccontato delle cose di me.- fece una pausa teatrale –Non è vero che il mio primo scopo di vita è baciare Robin Tunney... perché è un’ambizione un po’ troppo bassa. Punto alla seconda base.- disse con sguardo malizioso che fece alzare un sopracciglio anche a Jane –Allora... immagino abbiate bisogno di un alloggio. Io non vi posso ospitare perché il mio appartamento è al completo e poi mi è stato detto che... – si fermò, ridacchiò e si schiarì la voce –Immagino che vorrete un po’ di intimità.- disse poi.
-Ti riferisci alle “copulate”?- chiese Patrick, tentando di far spostare gli occhi della ragazza da Teresa a lui.
Il risultato fu che Giulia lo guardò e rise apertamente, mentre Teresa arrossiva e poi sbiancava, passando dall’imbarazzo alla rabbia assassina nel giro di pochi secondi.
-Non sei un po’ troppo grande per alludere?- chiese Lisbon, tra i denti, rifilando una gomitata al povero Patrick.
-Oh cara, ma lui non ha alluso, è stato diretto come poche volte ho sentito essere un uomo! E non credo che ci sia un’età precisa per alludere...- commentò con un sorrisetto
-Immagino che voi Rogue Girl ne sappiate qualcosa.- disse Patrick
-Oh, sì. Eccome.- rispose quella, frugando nella borsa a tracolla da cui spuntava un piccolo PC di dimensioni impressionantemente piccole. –Allora, per l’alloggio... mi è stato detto che non ti mancano i soldi, mio caro Axel, quindi ho pensato di prenotarvi una deluxe all’Eccelsior.- disse infine, porgendo ai due un foglio con i dati della prenotazione.
-Grazie.- disse Lisbon, arrossendo inspiegabilmente e meritandosi una occhiata divertita di Jane che, ovviamente, aveva percepito i peccaminosi pensieri che l’avevano fatta arrossire.
-Te lo sei scelto carino, sai?- disse Giulia, incamminandosi verso le porte a vetro scorrevoli dell’uscita.
Fuori non era certo paragonabile al caos di New York, o di San Francisco, ma di certo a Sacramento il traffico non era mai stato così intenso. Tre file di taxi bianchi affollavano la strada appena fuori dalle porte, mentre una strada sopraelevata a questa era trafficata da macchine private e pulmini di garage. Sullo sfondo apparivano palazzi alti e grigi di fabbriche tessili e negozi di mobili.
Giulia li fece attraversare tra i taxi, apparentemente avvezza a tale confusione stradale, e salendo delle scalette passò oltre l’altra strada, fermandosi di lato ad aspettare.
-La mia macchina è al Garage Pegaso, stanno venendo a prenderci.- spiegò, vedendoli un po’ smarriti.
L’odore di smog era penetrante e forte dopo aver passato sedici snervanti ore in un abitacolo, percorso solo da aria condizionata pura e secca, le macchine sfrecciavano veloci e le persone che uscivano dall’aeroporto si svestivano, togliendosi maglioni e giacche, mentre si stiracchiavano, finalmente libri di muoversi.
Un pulmino bianco sporco, con un cavallo alato sulla fiancata, si fermò proprio di fronte ai tre, che, saliti a bordo e allacciate le cinture, si avviarono verso il garage.
 
*****************
Teresa non aveva mai visto niente del genere in tutta la sua vita. Neppure le meravigliose ville dove spesso dovevano indagare erano tanto lussuose. Neppure la villa di Mashburne lo era, e Walter era un uomo che se poteva dare prova di sfarzo lo faceva.
Ma quella stanza era il sogno che ogni donna fa almeno una volta nella vita.
Il pavimento di marmo rosso lucido, venato di bianco, era intrecciato con strisce marmoree bianche, striate di rosso, che formavano una specie di onda per tutta la stanza, illuminandola riflettendo la luce che entrava dalla finestra che sostituiva tutto il muro che dava sull’esterno dell’hotel e da cui si potevano vedere, in tutta la loro magnificenza, le rovine dell’antica Roma, disperse in qua e là in quello che un tempo era il foro della più importante città del mondo conosciuto.
Le pareti, ricoperte da quella stoffa tipica delle case secentesche, erano di un rosso pastello ricamato di bianco e dietro la porta d’entrata due colonne ioniche di gesso bianco salivano fino al soffitto a volta.
Davanti al breve corridoio dietro l’entrata un grande divano avorio in stile imperiale guardava  verso un Samsung led 9000 circondato da eleganti casse stereo, proprio in mezzo alla stanza, di fronte al vetro infrangibile della finestra panoramica.
Sotto al divano, nel salotto spazioso, stava uno di quei divani pelosi, anch’esso color avorio, e tutt’intorno, affisse al muro, si notavano delle stampe artistiche con i panorami più belli di Roma.
A destra del salotto, dietro tre archi di gesso bianco come le colonne all’entrata, c’era la camera da letto.
A quel punto, tutte le più oscure e peccaminose fantasie che Teresa  avesse mai fatto su Patrick si fecero di nuovo breccia nella sua mente, facendola arrossire improvvisamente.
Aldilà degli archi sembrava di passare in un'altra dimensione, il colore della stoffa delle pareti passava dal rosso veneziano fiorito di bianco al blu notte stellato d’argento. Il soffitto della camera, a volta anche questo, era tempestato di lucine a muro che si accendevano e si spengevano dolcemente, dando alla stanza l’idea della notte stellata. Il letto era di baldacchino, in un legno bianco, laccato e intarsiato d’argento e le coperte, che davano tanto l’idea di essere di raso, per non dire di seta, erano di un blu ancora più intenso e scuro di quello delle pareti ed erano incorniciate da delle tende argentate ricamate e da tre file di cuscini della stessa tonalità. La finestra, che prendeva tutto il lato destro della stanza, illuminava il tutto e ai lati del letto due fotografie in bianco e nero raffiguravano le scene di un ballo intenso. Davanti al letto, attaccato al soffitto, un altro televisore faceva bella vista e a sinistra del baldacchino, su un alto calice di rame, una bottiglia di Krug immersa nel ghiaccio invitava chiunque l’adocchiasse.
C’era anche un’altra camera da letto, uguale a questa, ma era tutta nelle tonalità del verde di Sacramento e, dato che nessuna bottiglia di uno dei più pregiati Champagne capeggiava in quella stanza, Jane e Lisbon capirono subito che la camera patronale doveva essere quella blu.
Jane si guardava intorno molto compiaciuto e ammirato, mentre Lisbon… lei era totalmente estasiata.
-Oh. Mio. Dio.- Esclamò Teresa, girando su sé stessa per osservare bene da ogni angolatura la stanza  – eufemismo per intendere appartamento – d’albergo –Questo sì che è un Hotel!-
Jane sospirò –Questa sarebbe la deluxe? Sono curioso di vedere la presidenziale!- disse, guardandosi anche lui intorno –Di questo passo dovrò tirare fuori i soldi del fondo pensione tra tre giorni.- commentò, fingendosi irritato.
-Oh, ma dai!- lo riprese Lisbon, facendogli un pizzicotto sul braccio –Dopo tutto quello che mi hai combinato me lo devi! E poi hai tutti quei soldi… che ne vuoi fare? Li vuoi far seppellire con te?-
Jane le sorrise, sornione –Ah, come volete madamigella, sarete voi, poi, a chiedere i soldi in un piattino, quando ci ritroveremo a fare gli artisti di strada?- chiese, beffardo e ironico.
-Beh, poco male. Ho già un clown qui con me.- sospirò, guardandolo mentre, lentamente, andava verso il letto a baldacchino –Un clown che sa fare anche i giochini con le carte... prevedere il futuro... leggere nel pensiero... e, ah, giusto… impazzire le donne.- finì poi, sedendosi sul materasso e accarezzando sensuale il tessuto blu.
-Cerchi di sedurmi elencando tutte le mie qualità?- le disse avvicinandosi con passo felino Jane –Uhm… credo che avresti più successo se provassi a farmi uno spogliarello.-
-Oh, non credo che lo farò.-
Lisbon lo prese per il colletto della maglietta rossa e lo attirò a sé, mordendosi le labbra e fissando i suoi occhi verde smeraldo in quelli azzurro cielo del suo uomo. Lo baciò sensuale, e iniziò a sghignazzare quando, al tentativo di Jane di approfondire il bacio, lei si alzò sfuggendogli.
-Oh oh… ma come siamo impazienti!- disse –No, no. Devo disfare le valige, caro il mio giocoliere.-
Jane sorrise, meditando vendetta, e si buttò sul letto.
 
-Perché mi torturi?- le chiese, poco dopo, avvicinandosi a Teresa mentre lei metteva tutti i loro vestiti nell’armadio vittoriano sul lato sinistro della stanza. –Non abbiamo ancora visto cosa c’è di sopra...- le disse in un orecchio, accarezzandole la pelle con il respiro fino a fargliela formicolare e costringendola a chiudere gli occhi per non vedere la stanza vorticarle intorno.
-Smetti di fare il tentatore...- commentò lei in un sussurro caldo e profondo, sempre ad occhi chiusi, poggiando lieve la schiena al petto di Patrick.
-Perché dovrei?- sorrise lui, baciandole il collo –Siamo in una suite stupenda solo io e te. E’ la prima volta che siamo soli, da quando...- non finì la frase e soffocò le parole mordendole la spalla.
-Patrick, ti prego, non adesso.- disse spegnendo un gemito e cercando di allontanarlo, lei, contro voglia.
-Come sei pignola e perfettina!- commentò lui, rafforzando la stretta delle sue mani sui fianchi della sua donna.
-Come sei disubbidiente e disordinato!- rispose lei, con un sorriso, abbandonandosi all’abbraccio caldo e confortante di Patrick.
-Ci sei tu a correggermi, no?- chiese lui, continuando a baciarle il collo e le spalle e accarezzandole la pelle sotto la maglietta.
-Come no...- provò a iniziare, perdendo l’ultimo briciolo di lucidità quando Jane, con una mossa repentina e forte la voltò fino a farla finire faccia a faccia con lui.
Lei lo guardò un solo secondo, prima che le sue mani corressero ai capelli di Patrick ora neri, e lui con una la stringesse contro di lui e con l’altra le accarezzasse la nuca con i polpastrelli e si lasciassero andare a un bacio incandescente.
Ma, proprio mentre Lisbon lo trascinava verso il letto, tentando di sbottonargli la camicia, Jane la spinse fino a farla cadere sul materasso e si girò per andarsene.
-Oh, no… come siamo impazienti. Devi finire di disfare le valige!- disse, ridendo sotto i baffi.
-Piccolo, brutto e stronzo bastardo che non sei altro... era una vendetta questa?- rise anche lei tirandogli un cuscino e colpendolo in pieno in testa. –Non cambi proprio mai, eh?–
-Non ti piacerei allo stesso modo se fossi diverso!- le sorrise lui, avviandosi alle scale a chiocciola che andavano a un piano superiore della suite.
-Chi lo sa...- lo prese in giro lei, alzandosi dal letto con il sorriso e ricominciando a sistemare i vestiti. -... Potrei sempre innamorarmi di un tipo come Cho, così sicuro e maturo... sì, credo che potrei.-
Jane si affacciò dallo scalino scrutandola, curioso e dubbioso. –Naa… non fa per te. Tu sei attratta dal fascino del mistero, come me!–
-Contaci.- annuii lei, divertita dal comportamento perennemente infantile di Patrick.
-Teresa... vieni subito qui sopra!- la chiamò dal piano superiore con una voce che la allarmò.
-Che c’è?- chiese, correndo su per le scale –Che succe...- iniziò, bloccandosi a metà parola, guardando quello che aveva davanti.
Il piano di sopra non era niente meno che una grossa piscina sotto una cupola di vetro oscurato, con tanto di lettini prendisole e cuscini bianchi. Il pavimento era tutto in piastrelle di mosaico che formavano un disegno di delfini azzurri che sembravano saltare fino alla piscina, rialzata e anch’essa tutta fatta a piccoli tasselli di mosaico blu, azzurri, turchesi, verdi...
E il secondo giro di fantasie approdò nella mente di Lisbon, facendola di nuovo arrossire.
-Stai per caso arrossendo?- chiese Jane, girato di spalle.
-Cosa te lo fa pensare?-
Lui si girò, sorrise e strinse le spalle –Beh… suppongo ricorderai che io leggo la mente, vero?-
-See… certo.- commentò, avvicinandosi alla vasca.
-Vuoi scommettere?- le domandò lui, avvicinandosi come per abbracciarla.
-Certo che sì.- fu la risposta
-Mi stai forse sfidando? Allora dovrò punirti per la tua sfiducia nei miei confronti!- le sussurrò all’orecchio un momento prima di sollevarla di peso e lanciarla in acqua ancora prima che lei potesse anche solo aprire bocca.
-Ma allora sei davvero idiota!- lo accusò, tra le risate, schizzandolo. –Sono vestita!-
-Anche io...- disse lui, ammiccando e tuffandosi nell’acqua calda.
-Dobbiamo andare a pranzo!-
Lui finse una faccia preoccupata –Pure quello vuoi farmi pagare?-
Un ghigno compiaciuto si dipinse sul viso di Teresa –Non dovevi farmi vedere le due carte oro e la carta platino, cocco mio!-
-Ah! E’ così allora... va bene, andremo a pranzo. Ma... restiamo un po’ in piscina prima!- la supplicò
-Sei un bambino! Proprio un bambino.- scosse la testa lei avvicinandoglisi e abbracciandolo.
 
Scintillante nel suo abito verde smeraldo lungo fino a poco sotto il ginocchio, arricchita con una collana, un bracciale, un paio di orecchini di smeraldi e un pochette bianca come il copri spalle, Lisbon si avvicinò a Jane, uscito in quel momento dal bagno vestito di tutto punto, in un completo due pezzi nero e nuovo di zecca. –Wow.- commentarono contemporaneamente, dandosi un veloce bacio e avviandosi verso la sala da pranzo nel grande giardino dell’hotel.
 
-Cazzo!- esclamò Lisbon, appena entrata nella sala da pranzo, e riparandosi dietro la schiena di Jane.
-Come sei scurrile, Dakota, siamo in un posto di lusso!- commentò lui
-Smetti di fare il cretino e coprimi.- rispose lei, pizzicandogli il fianco.
-Ahia!- esclamò, massaggiandosi la parte offesa. –Credimi… in questa posizione non stai comoda te e non sto comodo io e la gente potrebbe pensare male...- sospirò –Si può sapere che c’è?-
-Niente...- disse lei, alzandosi e prendendolo a braccetto, un po’ pallida.
-Te l’ho già detto che sei meravigliosa in quest’abito?- giudicò Patrick, guardandola con uno strano luccichio nello sguardo. –Il verde si intona in modo incredibile alla tua carnagione, ai tuoi occhi e anche ai tuoi capelli. E’ decisamente il tuo colore. Cercherei di sedurti, se non fossi già mia...-
-Grazie...- disse lei, arrossendo –Sappi che l’ho messo solo perché me lo hai chiesto te!-
Si diressero verso un tavolo in un angolo della sala, mentre i clienti si giravano a guardarli. Lisbon, in cuor suo, desiderò con tutta sé stessa che quell’uomo non la notasse.
-Teresa!- esclamò una voce allegra due tavoli più in là di quello dove erano Jane e Lisbon. Si irrigidirono, ma non si voltarono.
-Chi è?- sussurrò Jane.
-Ouh…- commentò Teresa, sedendosi e sentendosi osservata. –Il mio professore universitario...-
-Teresa!- ripeté la stessa voce, adesso proprio accanto a loro –Teresa Lisbon... non ci posso credere! Quanto tempo, eh, Tessie?- disse.
Teresa si alzò, per salutare per bene quel capitolo della sua vita che sperava di aver chiuso, e si ritrovò stritolata nell’abbraccio di quell’uomo di vent’anni più grande di lei.
La mano dell’uomo scese troppo in basso, tanto che Jane, rimasto piuttosto scioccato da tutto l’accaduto, fissò questa in un silenzio spiazzato mentre stringeva un po’ troppo un gluteo perfetto di Lisbon.
-Johnny!- arrossì lei, staccandosi velocemente da lui e facendo segno a Jane di alzarsi. –E non chiamarmi più così. Ora  sono sposata. Sono una Simmons.- disse, bluffando spudoratamente –Lui è Axel Simmons, mio marito.- lo presentò.
Jane, ancora sotto shock, non ritenne lecito correggerla in quel momento, allungò la mano all’uomo e la strinse, tirando fuori uno dei suoi sorrisi di cera migliori. –Piacere di conoscerla!- disse –Lei è?- chiese.
-Ah Ah… chi è lei, per rubarmi la donna, dovrei dire io.- rispose l’uomo, ridendo un po’ in imbarazzo e un po’ intenzionato a mettere in imbarazzo –Suvvia... siete sposati e tua moglie non ti ha detto di me? D’accordo che è stato un po’ di tempo fa, ma… siamo stati insieme cinque anni.-
Lisbon si sentì morire.
-Piuttosto... caspita, Tessie, sei uno schianto assoluto.- commentò, facendo alzare un sopracciglio a Jane, che, nel frattempo, sempre più confuso, si era riseduto al tavolo.
-Ehm… Grazie, Johnny. Axel, lui è Johnny Smith. Era il mio professore universitario.-
-E fidanzato!-
Teresa lanciò un’occhiata dispiaciuta a Jane, che però non la ricambiò e si finse indifferente, anzi –Vuole sedersi con noi?- chiese all’uomo
-Oh, no, grazie. Stavo andando via... stasera parto per tornare in patria, devo scappare.- sorrise –E’ stato un piacere Tess. E anche conoscere te, Axel. Sei un uomo fortunato...- ridacchiò e si allontanò, lasciando dietro di sé un silenzio glaciale.
-Patrick...- sussurrò lei, cercando di catturare lo sguardo del suo amato
-Non adesso, Dakota.-
 
La porta della stanza sbatté con violenza, facendo rimbombare tutto il mobilio. Jane, come una furia, si strappò dal collo la cravatta nera e la lanciò sul pavimento. Toccò alla giacca, che fece la stessa fine. Si sganciò il primo bottone della camicia, come se gli stringesse troppo alla gola. Camminò fino alla finestra e lì davanti si fermò, poggiò una mano sul fianco, dando le spalle alla porta, e passò l’altra mano tra i capelli, scompigliandoli.
Lisbon, ancora scossa dalla reazione di Jane che non riusciva a capire, gli si avvicinò, cercando di richiamare la sua attenzione.
-Non ti avvicinare, per favore. Non adesso...- le disse lui, trattenendo a stento di alzare la voce, con il risultato di tirare fuori una voce fredda e graffiante.
-Si può sapere che cosa è successo?- chiese allora lei, stizzita. Scalciò via i tacchi, che rimbalzarono inermi contro l’imbottitura del muro. Lanciò la pochette sul divano, poco lontano.
-Non è ovvio?- le rispose lui, girandosi e guardandola con occhi di fuoco.
-No. Scusami, Houdini, se non riesco a leggere la mente come fai tu... davvero non sai quanto mi dispiace!- fece, sarcastica, lei.
Lui si avvicinò, con fare quasi minaccioso, e lei reduce dei ricordi di quando era bambina, si allontanò di scatto.
Jane si fermò, la osservò e poi, guardando il soffitto scuotendo la testa, rise istericamente –Non ho intenzione di alzare un dito, contro di te, io. Non sono tuo padre...- disse, duro.
-Cosa ti ho fatto?- urlò lei, sentendolo così distante.
Patrick iniziò a gesticolare –Non iniziare a urlare contro di me. Non credi che avresti potuto dirmi che hai avuto una storia con il tuo professore dell’Università... anzi, ti rendi conto che io neppure sapevo che tu fossi andata all’università!- disse lui, a un tono di voce fin troppo alto.
-Cosa importa? Insomma.. tu sai tutto di me!- commentò lei –Sono io che non so niente di te...-
-Sai di me più di quanto io sappia di te, a questo punto, immagino.- gesticolò Jane, iniziando ad andare su e giù per la stanza
-Oh, certo, come no!- Teresa, gonfiando il petto e battendosi una mano sulla fronte come se avesse avuto una folgorazione –Certo… adesso capisco! Oh… hai ragione, io so davvero tanto di te.. molto più di quanto tu non ti sia permesso di estorcermi in otto anni che ti conosco. Sì, deve essere proprio così.-
-Non essere infantile...- ringhiò lui
-Io sarei infantile? Ti rendi conto che mi stai facendo una scenata perché non sapevi che sono andata all’università...- Teresa posò le mani sui fianchi e sospirò teatralmente
-Che mi dici di “Johnny”? Come mai non me ne hai parlato mai?- chiese lui, sempre più arrabbiato. Il suo petto andava su e giù.
-Vuoi davvero che ti racconti di tutti gli uomini con cui sono stata a letto? Oh… ma certo... Sono tanti, Patrick! Con alcuni ci sono stata mesi, con altri settimane, altri ancora mi hanno avuta per qualche giorno... di alcuni non ricordo neppure il nome, perché un tempo il mio migliore amico era il bourbon. Oh, sì, poi c’è qualcuno con cui sono riuscita a stare almeno un anno...-
-Cinque. Sai quanti sono cinque anni? Era una storia importante! Mio dio, Teresa, come hai fatto a omettermi che avevi avuto una storia tanto duratura alle spalle?- disse lui, alzando le mani sopra la testa e facendole ricadere lungo i fianchi
-Cavolo, Patrick, ero giovane, ero all’università… era un uomo affascinante, intelligente, sexy e ... beh, stronzo, pure. Ma... non ho mai provato molto per lui!-
-Oh, così sei una di quelle che stanno con un uomo solo per compiacerlo o per avere dei favori...- gridò lui.
Questo la ferì.
-Se ti riferisci alla mia semi-storia con Sam, sappi che è stato solo un bacio e comunque… io non sono una troia. Stai bene attento alle parole che usi!-
-Non ho detto “troia”, ho detto che sei servizievole...- commentò acido
-Tu non hai il diritto di dirmi come posso o non posso essere... stiamo insieme da poco più di una settimana, cavolo, cosa ti aspetti? Che ti racconti tutto quello che ho passato nella vita!-
-Come posso fidarmi di te, se non mi dici niente?- sbottò Jane, battendo un palmo contro una delle colonne di gesso che davano sulla camera verde.
-Come posso io fidarmi di te, dopo tutto quello che hai fatto?- disse lei, ormai al limite
Lui la guardò, con espressione furente –Sapevi che l’avrei fatto. Non me lo puoi rinfacciare.- sembrava offeso.
-Credevo che non lo dicessi sul serio… e io che ho lasciato tutto per te... per cosa? Per un assassino. Perché è questo che sei. Hai ucciso un uomo a sangue freddo… così, come se niente fosse! Cosa pretendi da me?- continuò a gridare Teresa
Patrick sembrava inorridito.
-Tu davvero pensi che lo abbia fatto con cuore leggero? Certo... ma sì, come no. Mi diverte proprio andare in giro con una pistola in tasca e sparare a chi capita... perché poi, ovviamente, era proprio una persona a caso, lui, no?- scosse la testa –Sei assurda, Lisbon.-
-Tu non me lo dici… ripeto, tra me e te il fenomeno da baraccone sei tu!- le lacrime ormai erano vicine. Era una sua maledizione: ogni volta che era arrabbiata le lacrime le salivano agli occhi, minacciando di uscire.
-Io non sono un fenomeno da baraccone! Sei tu quella che non condivide niente… io l’ho sempre detto. L’ho sempre detto che...-
-Sì, tu hai detto tante cose, Jane. Ne hai dette tante… ma visto che di quelle che hai detto sei riuscito a mantenere solo quelle orribili, come uccidere un uomo a sangue freddo, come posso darti retta?-
-Vorresti insinuare che non ho mantenuto la promessa di proteggerti sempre? Di salvarti sempre? Di esserci sempre per te?-
-Davvero tu pensi di averlo fatto? E… scusami se sono cattiva, venale e chissà che altro... ma non ti pare che il semplice fatto di aver ucciso un uomo, in servizio, in un posto pubblico, mentre eri sotto la mia custodia, con una pistola che non avresti dovuto avere dato che non hai un porto d’armi sia un modo per mantenerle?- chiese, retorica, ormai in preda all’isteria
-Non era un uomo qualunque!- si difese lui
-TI SEMBRA UN MOTIVO VALIDO PER UCCIDERLO? E COMUNQUE... POSSIBILE CHE SIA L’UNICA COSA CHE NOTI IN QUELLO CHE HO DETTO?-
-Si può sapere perché mi attacchi?-
-PERCHE’ MI ATTACCHI TU, SEMMAI?-
-Certo che tutto ti credevo, fuor che isterica…- disse, acido.
-COSA VORRESTI DIRE CON QUESTO?- Gli chiese lei, togliendosi gli orecchini di smeraldi e lanciandoglieli, colpendolo in pieno petto.
-NIENTE!-
-BENE!-
-BENE.-
Jane sospirò e Teresa lasciò che le lacrime si liberassero e sgorgassero fuori da quei suoi bellissimi occhi verdi.
-Oh, non piangerai adesso!- commentò lui, ancora acido.
-Forse non siamo fatti per stare insieme..- disse lei, triste e arrabbiata.
-Forse.- concordò lui, andando verso la porta.
-Che cosa fai?- gli chiese, andandogli incontro.
-Chiedo una camera singola...- rispose, aprendo la porta e chiudendosela alle spalle.
E Lisbon rimase lì, in silenzio, ascoltando solo il suono pesante e veloce del suo cuore che batteva all’impazzata.
Era la prima volta che litigavano da pseudo fidanzati quali erano, ed era la prima volta che litigavano così da quando si conoscevano. Forse stare insieme non era per loro. Forse non erano adatti a impegnarsi. Forse lui non era pronto. Forse lei non lo sarebbe mai stata.
E mentre sentiva il cuore strapparsi nel petto, sanguinante e dolorante, angosciato dall’ennesimo crollo della sua vita, quella porta si aprì di nuovo di scatto.
E Patrick, i lineamenti piegati in una smorfia di atroce sofferenza, i capelli spettinati e la camicia mezza sbottonata, rientrò come un turbine nella stanza e le arrivò addosso a una velocità che in una situazione normale sarebbe sembrata sovrumana.
Come una tigre che di soppiatto attacca la sua preda. E lei l’agnello che non può che sottomettersi a tanta forza.
Non fece a tempo a scansarsi. Le mani dell’uomo le bloccarono i fianchi, attirandola a se e fermandola in una morsa ferrea. Mani possessive e forti, cruente e quasi violente. E mentre le mani la avvicinavano sempre di più, facendole quasi male, le labbra di quell’uomo si infransero sulle sue. Quelle labbra non erano state più decise, forti, dure e feroci. Non c’era niente di quei baci dolci, passionali e tranquilli che si erano dati fino ad allora. Quello era una bacio di possesso. Le labbra di lui su quelle di lei non sembravano che ripetere “sei mia”. E Lisbon non poté che rispondere a quel bacio cruento. Quelle labbra sembravano quasi costringerla ad aprire le sue: lei lo fece, dischiuse le labbra e quel bacio divenne una danza ardente e aggressiva, prepotente.
Le mani di Jane strinsero ancora di più la vita di Teresa, avvicinandola alla sua e un gemito uscii lieve dalla bocca della donna, soffocato dall’ennesimo fiammeggiante bacio, quando una mano corse al suo collo, avvicinando i loro visi ancora di più e approfondendo quel contatto tanto intimo e brutale.
-Sono geloso... volevo... volevo smettere di litigare con… con te appena... appena iniziato...- sussurrò, roco e languido tra i baci e i sospiri, Jane.
-Non penso quel che ti ho detto...- biascicò Teresa, in un attimo di respiro.
-Neanche io… mi... mi dispiace...-
-Sei perdonato...- disse lei –Ora sta zitto, però…-
Patrick le tirò giù la zip del vestito, che cadde inerme per terra, e la tirò su facilmente, facendo aderire il suo corpo a quello di Teresa, che strinse le gambe intorno al busto del suo uomo, continuando a baciarlo, mentre lui la portava in una camera.
Fuori dalla finestre, una pioggia battente oscurava tutto.




Dice l'autrice:

Allora... il titolo "precedente" al definitivo doveva essere "un serie di prime volte", perché avevo inserito anche la parte successiva... non c'è bisogno che specifichi, non è vero? Bene, quindi, detto ciò...
Ho deciso di non farlo perché: Non sono ancora sicura di voler scrivere quella parte con un pov esterno, volevo tenervi sulle spine e volevo essere sicura che il capitolo fosse leggibile e non spropositato come quelli bellissimi della mia beta (Winter Soul, a chi interessasse.). 
Detto questo, poi, volevo avvisarvi che non sarà tutto rose e fiori come credevate fino a metà di questo capitolo. Oh, no, care mie. Stiamo parlando di vita reale e nella vita reale nessuno vive felice e contento e sereno e allegro e sorridente per sempre. Insomma, magari è felice per sempre, ma sorridente no di sicuro. Quindi, un po' di realtà, ragazze, eh?
Benissimo, spero che vi piaccia questo capitolo, perché voglio sei recensioni. E non si discute.
Inoltre, vorrei dedicarlo a Amy90 (Giadina!!) perché ho totalmente abbandonato le sue recensioni spulciose e spero che anche se io sono stata così... cattivella, lei mi faccia una di quelle recensioni che amo. Spero di essermi riscattata, con la dedica.
Ho finito di sproloquiare, adesso, lo prometto.
Benissimo, fatemi sapere cosa ne pensate e... alla prossima!

Sasy 

   
 
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