Capitolo 12
Answers
Se
non fosse stato per la neve che ancora fioccava fuori dai finestroni,
avrei
definito il mio risveglio decisamente
“cinematografico”; mi sentivo divinamente
e la casa era pervasa da un forte aroma di caffè.
Guardai
l’orario sul cellulare e, oltre a scoprire che erano
già le undici, trovai un
sms di Aidan che mi comunicava – Dio sia lodato per questo
– di essere bloccato
tra le lenzuola con la sua biondina di turno, inconsapevole della sua
imminente
rovina, a causa della neve. Sì, decisamente la giornata non
avrebbe potuto
cominciare in modo migliore.
Mi
alzai, non avendo affatto quella sgradevole sensazione di disfatta
fisica che
mi accompagna di solito al mattino. Ricordavo alla perfezione ogni
secondo di
quella notte meravigliosa, ogni millimetro della sua pelle ed ogni
singola
volta avesse sussurrato o urlato il mio nome.
Erano
più o meno le sei quando finalmente riuscimmo a prendere
sonno, lei accoccolata
a me, il mio torace a farle da cuscino, l’ultima immagine di
quella notte che
avrei sempre portato con me. Ed ero tornato a sognare, in quelle ore di
riposo,
come non mi accadeva più da una vita; per quanto senza
senso, essi mi
assicuravano davvero che nella mia testa era tornato tutto al suo
posto, come
se una sana notte d’amore fosse la panacea per i mali di
entrambi. Volesse il
cielo che fosse così, semplice e buono come mandare
giù un tubetto di Smarties.
Ma
naturalmente non sarebbe mai andata così, troppo bello e
troppo facile;
Allison, del resto, doveva essere sgusciata via dal mio abbraccio visto
che, a
parte me, quel letto non ospitava nessun altro. Ovviamente dagli odori
e dai
rumori si intuiva
facilmente dove fosse.
Mi misi a sedere sul letto, non tanto per riordinare le idee quanto per
gustarmi ancora un po’ quella sensazione di benessere a cui
però non dovevo
abituarmi, e notai la mia agenda in bilico su una pila di altri libri
sul
comodino. La presi ed iniziai a scorrere con la biro sui fogli ad una
velocità
di cui io stesso mi stupii.
La
amo
Michael, ne sono sicuro perché non mi ero mai sentito
così prima.
Mi basta
il suono della sua voce per stare bene … eppure ho paura.
Ho paura
che non mi voglia, che possa tirarsi indietro, lo fa continuamente, ho
paura di
non sapermi frenare, mentre so che lei ha bisogno di qualcuno che segua
i suoi
ritmi. Ho paura che questo amore che ho da offrirle non basti.
Mi
sarebbe piaciuto da morire presentartela; sarebbe piaciuta anche a te,
ne sono
certo.
Mi sento
forte, ma allo stesso tempo vulnerabile davanti a lei: dunque
è questo l’amore? Io non lo so, è la
prima volta che mi capita.
Se
esiste qualcosa “dopo” saprai di certo cosa si
porta dietro. E chissà cos’altro mi sta
nascondendo. Ce
la voglio mettere tutta, mi impegnerò al massimo,
affinché quelle famose impronte di cui parlavi sempre non
sbiadiscano.
Perché in lei c’è tanta di quella
polvere che
potrebbe sommergerle.
Se
esiste qualcosa “dopo”, spero tu ne faccia parte:
magari, ecco, puoi metterci
una buona parola …
“Fanculo!”
Un’imprecazione
dalla cucina mi riportò al mondo reale. Feci per rivestirmi,
ma l’unica cosa
che trovai furono i miei boxer: non si può dire che la
stanza fosse pulita a
specchio, ma per quanto gli abiti fossero volati via, non ricordavo
proprio di
averli mandati fuori dalla finestra. Così, svogliato fino al
punto di non aprire
neanche un cassetto, mi avviai scalzo e in intimo verso la zona giorno
da dove,
oltre a raffinati francesismi e lo sbatacchiare di pentolame vario,
provenivano
una serie di profumi uno più invitante dell’altro.
Fu
quando misi piede nella piccola cucina che mi sfiorò il
dubbio; se, per caso,
non fossi ancora riemerso dal mondo dei sogni; o se, chissà,
le forti emozioni
della notte precedente mi avessero stroncato definitivamente e quella
fosse la
visione angelica ad attendermi alle porte del paradiso.
Ecco
chi aveva preso la mia felpa! Troppo grande per lei, Allison ne aveva
ripiegato
le maniche lungo le braccia,
ma faticava
a tenerle al proprio posto perché il suo gomito era
parecchio più piccolo anche
del mio polso. Inoltre, le arrivava poco oltre la vita e gli slip a
strisce
bianche e rosse, che non avevo notato, risaltavano ciò che,
nonostante facessi
perennemente finta di nulla, preferivo di più di lei.
Si
dava il suo bel da fare tra lavandino e fornelli e non so se non mi
sentì
arrivare o fece finta di non essersene accorta. Poi
una rivelazione: “I love playing with fire/and I
don't wanna get burned/I
love playing with fire/and I don't think I'll ever learn”
Doveva
aver preso in prestito l’iPod di Aidan, perché
solo lui poteva avere la
discografia completa della Runaways e idolatrare quella bambolona di
Cherie
Currie. Io, personalmente, per quanto non fosse la mia band preferita,
preferivo di gran lunga Joan Jett. Ed Allison, con il suo carattere e
la sua
fierezza, ma anche con la sua bellezza quasi ferina sembrava averne
ereditato i
tratti.
Non
l’avevo mai sentita cantare, ad esclusione di quella volta
nel club, ma allora
gli ormoni erano andati a ballare la samba a Rio e non
c’avevo capito un
granché. Aveva una bella voce ed un buon senso del ritmo; se
solo non fosse
stato quel torbido curriculum che si portava dietro, avrei avuto tutte
le
ragioni per dire che si trattava di una ragazza perfetta.
Me
ne stetti ancora un po’ lì, a godermi quello show
con un sorriso da ebete
stampato in faccia, appoggiato allo stipite di una porta che non
c’era. Non
avevo bisogno di una ragazza perfetta, avevo già lei.
Mi
dispiacque un po’ quando, durante la sua performance di air
guitar, a seguito
di una piroetta, si accorse della mia presenza e, vergognandosi, si
fermò. Sì
levò in fretta le cuffiette e tornò ad occuparsi
della colazione, o qualsiasi
cosa stessa facendo su quel piano.
Mi
avvicinai e lentamente l’avvolsi in vita con un abbraccio a
cui lei, per
fortuna, non si oppose. Affondai il mio volto nell’incavo del
suo collo, grazie
alla zip non perfettamente tirata su, anche a causa del movimento, che
le
faceva scendere la felpa delicatamente sulle spalle. Posai un bacio
leggero lì
dove pulsa la giugulare, dove ritrovai più intenso il nostro
profumo,
quell’essenza unica che avevamo creato nella notte: sapeva di
baci, sudore,
vaniglia e latte di mandorle sulla sua pelle vellutata e morbida
mischiati con
il ginseng del mio bagnoschiuma; una catapulta dei sensi verso le Indie
Orientali e verso quelle lenzuola ancora disfatte.
Avevo
paura ad affrontare con lei l’argomento più
spinoso di tutti, quel noi che ero
incerto di poter pronunciare. Qualcosa mi diceva che Allison e Tyler
sarebbero
rimasti tali, almeno per un po’; ma era giusto
così: la vita era già complicata
così com’era, non era proprio il caso di
aggiungere altri pensieri. Per ora,
pensai, avrei voluto godermi la tregua di quel tacito armistizio che
avevamo
sancito.
“Ti
sei svegliata presto?” le chiesi, lasciandole un bacio giusto
dietro
l’orecchio. Sapevo che era un miracolo il suo consenso,
dunque pensai bene di
approfittarne e fare una bella scorpacciata di quelle coccole, prima
che la
luna storta tornare a renderla scontrosa e intrattabile.
“Un’oretta
fa … più o meno” mi disse “fa
troppo caldo qui dentro, non ci sono abituata”.
Sorrideva di sé stessa e delle sue sventure, ma
probabilmente mi stava
nascondendo la verità.
“Allora
se mademoiselle non si trova bene in simili condizioni di miseria le
troviamo
una sistemazione migliore … che ne pensa del sottoscala,
giù all’ingresso? È
abbastanza freddo e umido?”
Rise, con la medesima risata cristallina e squillante di quei giorni
passati
insieme tra gli scaffali della libreria, il che mi fece intuire che
anche lei
si era svegliata di buon umore.
Rimanendo
stretta a me nella stessa posizione in cui l’avevo
imprigionata tra me ed il
mobile della cucina, corse con la mano ai miei capelli, tirandomi
quella ciocca
frontale che, qualunque posizione assumessi nel sonno, rimaneva sempre
sull’attenti. Mi tirò verso di sé e mi
stampò un bacio sulla guancia; mi girai
con il volto verso di lei, impercettibilmente, quel tanto che bastava a
farle
imprimere il bacio successivo direttamente sulle mie labbra e farlo
sembrare
del tutto casuale. Al che mi tirò un leggero schiaffo e mi
intimò di andarmi a
sedere, che la colazione era pronta.
“Hai
preparato la colazione?” domandai, piacevolmente sorpreso.
“E
non solo” rispose lei “guardati un po’
intorno dormiglione!!!”
Effettivamente,
distratto dal suo spettacolo di poco prima ed ancora un po’
intorpidito, non mi
ero accorta del cambiamento radicale subìto dalla cucina.
Ripulita da ogni
oggetto fuori posto e dall’immondizia, ora era decisamente
più vivibile ed
igienica; sinceramente non ricordavo un’immagine simile di
quell’angolo della casa
dai tempi del mio arrivo. Anzi, probabilmente neanche allora aveva un
aspetto
tanto decoroso: il vecchio padrone di casa non si poteva certo definire
un
maniaco dell’ordine e della pulizia, a giudicare dalle
condizioni in cui aveva
lasciato il bagno.
La
tavola, di cui rivedevo il piano dopo non so più quanto
tempo, era
apparecchiata con delle tovagliette che ci aveva regalato la nonna di
Aidan il
Natale precedente e non avevamo mai tolto dalla confezione, con piatti
di
ceramica e bicchieri di vetro, e non la solita carta plastificata che
eravamo costretti
ad usare a forza di
scaricarci l’un l’altro l’onere delle
pulizie.
Mi
sedetti, ancora frastornato dalla novità; c’era
tutto quello di cui quella casa
aveva bisogno: una donna.
“Ma
… ma” le domande mi morirono in gola, non appena
Allison tirò fuori dal forno i
pancake in un piatto e salsicce e uova in un altro.
“Li
ho messi lì in caldo … ma era talmente fuori
allenamento, povero forno, che
temevo di saltare in aria …” mi disse, sorridendo.
Portando in tavola due
caraffe e una bottiglietta proseguì: “qui ci sono
lo sciroppo per i pancake ed
il caffè. Buon appetito!”
A
stento riuscii ad augurarle anch’io il buon appetito. Non
potevo crederci; no,
di sicuro stavo ancora sognando, perché un risveglio del
genere era ben oltre
ogni mia più rosea aspettativa. Ma i minuti passavano e la
sveglia non si
decideva a suonare.
Mentre
lei si gustava il suo pancake io ero ancora fermo, con il piatto pieno
di
leccornie, a cercare di realizzare la situazione; finché mi
decisi ad aprir
bocca, ma non per mangiare: “Ma come hai fatto?”
“Oh
beh, veramente è tutto merito della signora Craig”
“Chi?”
“La
signora Craig del primo piano” lei era stata qui
sì e no un paio di volte e già
si intendeva gli inquilini, di cui io nemmeno conoscevo
l’esistenza. Andiamo bene,
pensai. “È lei che mi ha prestato la farina per
fare i pancake. È una vecchina
davvero adorabile … si era offerta persino di farli lei, ma
poi mi toglieva
tutto il divertimento. Un’unica cosa … non vi
facevo tipi da frutta e verdura fresche!”
“È
una lunga storia” mi limitai ad abbozzare come risposta.
“Aidan,
vero?”
“Ovviamente”.
Era universalmente riconosciuto che qualsiasi cosa accadesse entro
quelle
quattro mura fosse connessa al mio esimio collega di libreria. Le
arance, nella
fattispecie, facevano parte della sua ossessione per il fitness che lo
aveva
preso negli ultimi tempi; naturalmente con risultati nulli, visto che
il fast
food e l’alcool non riusciva ad eliminarli.
“E
tu, fammi capire” continuai, mentre iniziavo a godermi quella
favolosa
colazione “sei andata dalla signora del primo piano conciata
così?”. Non era
per gelosia, ma solo per proteggerla da chiacchiere e occhiatacce degli
altri
inquilini dello stabile che feci questa domanda, enfatizzando il così con un movimento
circolare del mio
dito indice, puntato contro di lei, mentre con il resto della mano
tenevo un bicchiere
di aranciata.
“Certo
che no, sei matto!” reagì lei “ho
rimesso i miei abiti, ma dentro casa mi danno
fastidio, così li ho tolti. Ti dispiace?”
Naturalmente
non mi dispiaceva affatto, ma non potevo certo dirglielo
così, come se niente
fosse; era decisamente sconveniente. Così mi limitai a darle
un cenno di
consenso approssimato, mentre mandavo giù
l’ennesimo boccone.
“Toglimi
una curiosità …” dissi, intento ad
innaffiare il dolce di sciroppo d’acero
“perché?
Voglio dire … sei stata gentilissima, ma un po’ di
caffè bastava”
Si fece piccola sulla sua sedia, segno che la stavo mettendo in
imbarazzo; in
più, nonostante avesse abbassato lo sguardo, distinsi
facilmente le guance
imporporate per la vergogna. Tutto quello che ci era successo e le si
intimidiva
ancora di fronte a me?
“Hei!” mi rivolsi a lei, sussurrando lievemente.
Alzò lo sguardo ed i suoi
bellissimi occhi si rivelarono a me in tutto il loro bagliore di
smeraldo. La
presi in vita e la portai a sedere sulle mie gambe, compiaciuto che
fosse così docile.
Non lasciai la stretta, perché lei per prima teneva le mie
braccia serrate
attorno a sé. Appoggiai il mio mento sulle sue spalle e mi
dedicai a lei dolcemente:
“Che c’è?! Mmh?! Sai che puoi dirmi
tutto …”
“Niente
…” si riscosse “è solo il mio
modo per dirti grazie … grazie per avermi ospitata
anche dopo tutte le cattiverie che ti ho detto”
“Ah” ammiccai sarcastico, cercando di smorzare
l’apprensione che si era creata “pensavo
che volessi rimettermi in forza dopo i due round di questa notte. Ma
credimi,
tesoro, ci vuole ben altro per atterrarmi!”
“Oh
ma fammi il piacere Tyler!” controbatté Allison,
andando a sedersi di nuovo al
suo posto accanto a me “non ti chiami mica Rocco!!! Fai poco
lo svelto!!!”
Ridemmo
entrambi per la serenità con cui entrambi riuscivamo ad
entrare sempre in certi
discorsi, senza scandalo né impaccio, e a ridere come se lei
fosse un compagno
di scuola, anziché la ragazza di cui ero innamorato.
“Quello
che è successo …” iniziò lei
ma mi sentii in dovere di fermarla, di affrontare
quella conversazione per cui avevamo già temporeggiato
abbastanza.
“Cosa
è successo tra noi?” le chiesi, concentrandomi con
lo sguardo fisso su di lei,
sperando recepisse ciò che avevo da domandarle.
“Non
è successo niente Tyler”
Ecco
la doccia gelida. Ero incredulo: possibile che avesse davvero
intenzione di
dimenticare tutto? Le tenerezze di quella mattina e le carezze di
un’intera
notte sarebbero state cancellate così, di punto in bianco?
Certo non mi
aspettavo nulla di romantico. Ma quello faceva parte proprio delle
ipotesi più
nere.
“Non
mi fraintendere Ty” mi rassicurò Allison,
stringendomi la mano “quello che ho provato
stanotte … Dio! È stata la notte più
bella della mia vita. Ma non chiedermi
altro: quello che vale per te non vale anche per me Tyler, capiscimi
…”
Naturalmente
la capivo e me l’aspettavo in certo senso.
Sapevo
che non mi amava nella stessa maniera in cui io amavo lei,
però non era stato
solo sesso e questo faceva la differenza su tutto. Anche volendo come
si poteva
tornare indietro dopo aver calato ogni cortina dopo che
c’eravamo entrambi
esposti con tutte le nostre debolezze e fragilità di fronte
all’altro?
Inoltre
la sua vita scombussolata contribuiva a porre continuamente paletti qua
e là
lungo qualsiasi strada decidesse di percorrere. Forse era un modo di
proteggermi dai suoi stessi sbagli, ma sapeva che con lei ero pronto a
prendere
dei rischi.
“Io
… io non capisco …” o forse era miglio
dire che non accettavo ciò che era
lampante da comprendere.
“Senti”
iniziò lei “lasciamo le cose come stanno. Stiamo
bene così ,senza incasinarci
la vita. Ridiamo scherziamo ci aiutiamo a vicenda … e se ci
va di stare insieme
lo facciamo senza troppe conseguenze il giorno dopo”
Ora
la verità era chiara come il sole: aveva assaggiato il
biscotto ed ora non
sapeva rinunciarvi. Ipocrita lei, volgare e cinico io:
dov’era finita la telenovela
melensa di quel mattino?
“Certo
… niente relazioni serie, ma una sana scopata guai a
perderla!” sbottai, acido
come mai lo ero stato. Non che da lei mi aspettassi niente di diverso,
davvero,
ma forse era stato un male illudersi che quel risveglio stile
pubblicità fosse
il mondo che mi stavo apprestando a vivere.
“Tyler
sai benissimo che non è così … e che
non potrei farlo con nessun altro quello
che abbiamo fatto insieme questa notte. Ma non posso darti quello che
non ho!”
Aveva
ragione; non poteva darmi quell’amore che reclamavo e che lei
per me non
provava. Tendevo troppo spesso a dimenticare, infatti, che tra i due
ero stato
io lo stupido che aveva perso la testa. Le presi il volto tra le mani e
mi
avvicinai a lei: “Perdonami, non so cosa mi sia preso
…”
Masochista
fino all’osso decisi di tenerla ancora vicino a me, nella
speranza, abbastanza
vana, che magari il lieto fine potesse toccare anche a me. Avremmo
fatto le
cose a modo suo e magari, chissà, non erano così
male come sembravano a me.
“Allora”
proseguii “cos’è che siamo? Amici,
amanti, frequentatori …”
“Perché
dobbiamo per forza darci una definizione? Siamo Allison e Tyler, non ti
basta?
Non complichiamoci troppo la vita!” Annuii e
l’abbracciai, dimenticando la
rabbia che silente continuava ad ardere dentro ed il fastidio latente
per un
qualcosa che, lasciato a metà, stonava con il resto del mio
mondo.
Stavo guardando New York dalla finestra, con la chitarra di mio fratello tra le mani tentando di strimpellare qualche accordo, ma il suo discorso mi distolse, nonostante lo spettacolo fuori fosse meraviglioso: mezzo metro di neve aveva bloccato le strade e ripulito i vicoli dalla spazzatura e dalla sporcizia. Aveva smesso di nevicare, almeno per il momento secondo il meteo, e i guai stavano solo per iniziare.
Riposi la chitarra nel fodero con cautela e mi misi ad ascoltarla.
“Papà adorava uova al tegamino e salsicce così mamma ne faceva sempre in quantità industriali, ma alla fine finivano sempre per litigare perché lui si ingozzava e lei gli sbraitava contro! Papà non andava mai a lavoro quando c’era la neve e potevamo stare insieme … a giocare in giardino o a vedere vecchi film in tv. Il mio preferito era Piccole Donne”
Non c’erano lacrime da versare, né risate per ricordare dei tempi felici: restava solo il rimpianto per qualcosa che sarebbe potuta andare in maniera diversa, e la differenza stava nelle proprie mani. Conoscevo bene quella sensazione, l’avevo provata a lungo dopo la morte di mio fratello.
Cauto l’avvicinai, carezzandole la guancia con la nocca dell’indice; proprio in quell’istante una lacrima cadde a bagnarmi il sito e la sentii, quasi impercettibilmente, tremare al mio tocco.
“Li amavi” la mia non suonò come una domanda eppure la vidi annuire, sbarrando labbra ed occhi ad un dolore che avrebbe utilizzato ogni angolo del suo corpo per venire fuori.
“Non è da loro che sono scappata …” mi confessò e questo mi fece capire che la storia era molto più complicata di quanto apparisse. Una laguna di segreti che poco alla volta stavano tornando a galla. “Ma guarda il lato positivo … se non fosse stato così non ci saremmo mai contrati!” e sorrise ancora, perché la speranza in qualcosa di buono, di migliore, continuava ad averla nonostante i momenti bui. Avrei voluto avere la sua stessa forza, il suo stesso ardore nell’affrontare la vita.
Egocentricamente avrei dovuto essere contento, ma in amore bisogna saper guardare al bene dell’altro: dunque avrei preferito saperla lontana ma felice piuttosto che al mio fianco ma piena di malinconia.
Le sorrisi di rimando, avendo esaurito le parole giuste, sia da amico, che in fondo non ero mai stato, sia da innamorato, ora troppo crucciato per poter parlare.
D’un tratto suonò il campanello. Andai a rispondere mentre lei se ne andò in camera.
“Adesso che ci vede conciati così, ad Aidan prederà un colpo” ironizzò Allison.
Lei non era ridotta poi così male, qualche graffio ed il labbro leggermente gonfio, io invece sentivo; a pensarci, la trazione delle ferite che iniziavano a cicatrizzarsi e non essendomi guardato allo specchio, non avevo idea dello stato in cui ero ridotto. Ma non era quello a preoccuparmi.
“Ehm … non Allison non è Aidan. È mia madre”
Ben
ritrovate mie care, sopo una settimana e poco più d'assenza!
Mi
sono presa un po' più di tempo per scrivere questo capitolo,
troppo delicato come immaginate,a seguito del precedente. Incomincia
una nuova fase per entrambe i personaggi.Qualcuno prende coscienza di
sé, qualcun'altro invece si trova immerso in un limbo di
dubbi.
sono proprio curiosa di vedere cosa accadrà ora. Voi no?!
Non ci resta che darci appuntamento al prossimo capitolo.
Un bacione grandissimo a tutte ... e un grazie immenso per il seguito
à bientot
Federica