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Autore: crazyfred    31/05/2011    15 recensioni
Il destino può cambiare in un momento. Due anime scontrarsi e fondersi in un solo istante, senza preavviso, legate per non staccarsi mai. Non era lei quella che immaginava e quello non era il luogo che aveva in mente. Ma lui la guarderà negli occhi ... e saprà di non essere solo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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When you crash in the clouds - capitolo 12






Capitolo 12

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Se non fosse stato per la neve che ancora fioccava fuori dai finestroni, avrei definito il mio risveglio decisamente “cinematografico”; mi sentivo divinamente e la casa era pervasa da un forte aroma di caffè.
Guardai l’orario sul cellulare e, oltre a scoprire che erano già le undici, trovai un sms di Aidan che mi comunicava – Dio sia lodato per questo – di essere bloccato tra le lenzuola con la sua biondina di turno, inconsapevole della sua imminente rovina, a causa della neve. Sì, decisamente la giornata non avrebbe potuto cominciare in modo migliore.
Mi alzai, non avendo affatto quella sgradevole sensazione di disfatta fisica che mi accompagna di solito al mattino. Ricordavo alla perfezione ogni secondo di quella notte meravigliosa, ogni millimetro della sua pelle ed ogni singola volta avesse sussurrato o urlato il mio nome.
Erano più o meno le sei quando finalmente riuscimmo a prendere sonno, lei accoccolata a me, il mio torace a farle da cuscino, l’ultima immagine di quella notte che avrei sempre portato con me. Ed ero tornato a sognare, in quelle ore di riposo, come non mi accadeva più da una vita; per quanto senza senso, essi mi assicuravano davvero che nella mia testa era tornato tutto al suo posto, come se una sana notte d’amore fosse la panacea per i mali di entrambi. Volesse il cielo che fosse così, semplice e buono come mandare giù un tubetto di Smarties.
Ma naturalmente non sarebbe mai andata così, troppo bello e troppo facile; Allison, del resto, doveva essere sgusciata via dal mio abbraccio visto che, a parte me, quel letto non ospitava nessun altro. Ovviamente dagli odori e dai rumori  si intuiva facilmente dove fosse. Mi misi a sedere sul letto, non tanto per riordinare le idee quanto per gustarmi ancora un po’ quella sensazione di benessere a cui però non dovevo abituarmi, e notai la mia agenda in bilico su una pila di altri libri sul comodino. La presi ed iniziai a scorrere con la biro sui fogli ad una velocità di cui io stesso mi stupii.

 

 

La amo Michael, ne sono sicuro perché non mi ero mai sentito così prima.
Mi basta il suono della sua voce per stare bene … eppure ho paura.
Ho paura che non mi voglia, che possa tirarsi indietro, lo fa continuamente, ho paura di non sapermi frenare, mentre so che lei ha bisogno di qualcuno che segua i suoi ritmi. Ho paura che questo amore che ho da offrirle non basti.
Mi sarebbe piaciuto da morire presentartela; sarebbe piaciuta anche a te, ne sono certo.
Mi sento forte, ma allo stesso tempo vulnerabile davanti a lei: dunque è questo l’amore? Io non lo so, è la prima volta che mi capita.
Se esiste qualcosa “dopo” saprai di certo cosa si porta dietro. E chissà cos’altro mi sta nascondendo. Ce la voglio mettere tutta, mi impegnerò al massimo, affinché quelle famose impronte di cui parlavi sempre non sbiadiscano. Perché in lei c’è tanta di quella polvere che potrebbe sommergerle.
Se esiste qualcosa “dopo”, spero tu ne faccia parte: magari, ecco, puoi metterci una buona parola

“Fanculo!”
Un’imprecazione dalla cucina mi riportò al mondo reale. Feci per rivestirmi, ma l’unica cosa che trovai furono i miei boxer: non si può dire che la stanza fosse pulita a specchio, ma per quanto gli abiti fossero volati via, non ricordavo proprio di averli mandati fuori dalla finestra. Così, svogliato fino al punto di non aprire neanche un cassetto, mi avviai scalzo e in intimo verso la zona giorno da dove, oltre a raffinati francesismi e lo sbatacchiare di pentolame vario, provenivano una serie di profumi uno più invitante dell’altro.
Fu quando misi piede nella piccola cucina che mi sfiorò il dubbio; se, per caso, non fossi ancora riemerso dal mondo dei sogni; o se, chissà, le forti emozioni della notte precedente mi avessero stroncato definitivamente e quella fosse la visione angelica ad attendermi alle porte del paradiso.
Ecco chi aveva preso la mia felpa! Troppo grande per lei, Allison ne aveva ripiegato le maniche lungo le  braccia, ma faticava a tenerle al proprio posto perché il suo gomito era parecchio più piccolo anche del mio polso. Inoltre, le arrivava poco oltre la vita e gli slip a strisce bianche e rosse, che non avevo notato, risaltavano ciò che, nonostante facessi perennemente finta di nulla, preferivo di più di lei.
Si dava il suo bel da fare tra lavandino e fornelli e non so se non mi sentì arrivare o fece finta di non essersene accorta.
Poi una rivelazione: “I love playing with fire/and I don't wanna get burned/I love playing with fire/and I don't think I'll ever learn”
Doveva aver preso in prestito l’iPod di Aidan, perché solo lui poteva avere la discografia completa della Runaways e idolatrare quella bambolona di Cherie Currie. Io, personalmente, per quanto non fosse la mia band preferita, preferivo di gran lunga Joan Jett. Ed Allison, con il suo carattere e la sua fierezza, ma anche con la sua bellezza quasi ferina sembrava averne ereditato i tratti.
Non l’avevo mai sentita cantare, ad esclusione di quella volta nel club, ma allora gli ormoni erano andati a ballare la samba a Rio e non c’avevo capito un granché. Aveva una bella voce ed un buon senso del ritmo; se solo non fosse stato quel torbido curriculum che si portava dietro, avrei avuto tutte le ragioni per dire che si trattava di una ragazza perfetta.
Me ne stetti ancora un po’ lì, a godermi quello show con un sorriso da ebete stampato in faccia, appoggiato allo stipite di una porta che non c’era. Non avevo bisogno di una ragazza perfetta, avevo già lei.
Mi dispiacque un po’ quando, durante la sua performance di air guitar, a seguito di una piroetta, si accorse della mia presenza e, vergognandosi, si fermò. Sì levò in fretta le cuffiette e tornò ad occuparsi della colazione, o qualsiasi cosa stessa facendo su quel piano.
Mi avvicinai e lentamente l’avvolsi in vita con un abbraccio a cui lei, per fortuna, non si oppose. Affondai il mio volto nell’incavo del suo collo, grazie alla zip non perfettamente tirata su, anche a causa del movimento, che le faceva scendere la felpa delicatamente sulle spalle. Posai un bacio leggero lì dove pulsa la giugulare, dove ritrovai più intenso il nostro profumo, quell’essenza unica che avevamo creato nella notte: sapeva di baci, sudore, vaniglia e latte di mandorle sulla sua pelle vellutata e morbida mischiati con il ginseng del mio bagnoschiuma; una catapulta dei sensi verso le Indie Orientali e verso quelle lenzuola ancora disfatte.
Avevo paura ad affrontare con lei l’argomento più spinoso di tutti, quel noi che ero incerto di poter pronunciare. Qualcosa mi diceva che Allison e Tyler sarebbero rimasti tali, almeno per un po’; ma era giusto così: la vita era già complicata così com’era, non era proprio il caso di aggiungere altri pensieri. Per ora, pensai, avrei voluto godermi la tregua di quel tacito armistizio che avevamo sancito.
“Ti sei svegliata presto?” le chiesi, lasciandole un bacio giusto dietro l’orecchio. Sapevo che era un miracolo il suo consenso, dunque pensai bene di approfittarne e fare una bella scorpacciata di quelle coccole, prima che la luna storta tornare a renderla scontrosa e intrattabile.
“Un’oretta fa … più o meno” mi disse “fa troppo caldo qui dentro, non ci sono abituata”. Sorrideva di sé stessa e delle sue sventure, ma probabilmente mi stava nascondendo la verità.
“Allora se mademoiselle non si trova bene in simili condizioni di miseria le troviamo una sistemazione migliore … che ne pensa del sottoscala, giù all’ingresso? È abbastanza freddo e umido?”
Rise, con la medesima risata cristallina e squillante di quei giorni passati insieme tra gli scaffali della libreria, il che mi fece intuire che anche lei si era svegliata di buon umore.
Rimanendo stretta a me nella stessa posizione in cui l’avevo imprigionata tra me ed il mobile della cucina, corse con la mano ai miei capelli, tirandomi quella ciocca frontale che, qualunque posizione assumessi nel sonno, rimaneva sempre sull’attenti. Mi tirò verso di sé e mi stampò un bacio sulla guancia; mi girai con il volto verso di lei, impercettibilmente, quel tanto che bastava a farle imprimere il bacio successivo direttamente sulle mie labbra e farlo sembrare del tutto casuale. Al che mi tirò un leggero schiaffo e mi intimò di andarmi a sedere, che la colazione era pronta.
“Hai preparato la colazione?” domandai, piacevolmente sorpreso.
“E non solo” rispose lei “guardati un po’ intorno dormiglione!!!”
Effettivamente, distratto dal suo spettacolo di poco prima ed ancora un po’ intorpidito, non mi ero accorta del cambiamento radicale subìto dalla cucina. Ripulita da ogni oggetto fuori posto e dall’immondizia, ora era decisamente più vivibile ed igienica; sinceramente non ricordavo un’immagine simile di quell’angolo della casa dai tempi del mio arrivo. Anzi, probabilmente neanche allora aveva un aspetto tanto decoroso: il vecchio padrone di casa non si poteva certo definire un maniaco dell’ordine e della pulizia, a giudicare dalle condizioni in cui aveva lasciato il bagno.
La tavola, di cui rivedevo il piano dopo non so più quanto tempo, era apparecchiata con delle tovagliette che ci aveva regalato la nonna di Aidan il Natale precedente e non avevamo mai tolto dalla confezione, con piatti di ceramica e bicchieri di vetro, e non la solita carta plastificata che eravamo  costretti ad usare a forza di scaricarci l’un l’altro l’onere delle pulizie.
Mi sedetti, ancora frastornato dalla novità; c’era tutto quello di cui quella casa aveva bisogno: una donna.
“Ma … ma” le domande mi morirono in gola, non appena Allison tirò fuori dal forno i pancake in un piatto e salsicce e uova in un altro.
“Li ho messi lì in caldo … ma era talmente fuori allenamento, povero forno, che temevo di saltare in aria …” mi disse, sorridendo. Portando in tavola due caraffe e una bottiglietta proseguì: “qui ci sono lo sciroppo per i pancake ed il caffè. Buon appetito!”
A stento riuscii ad augurarle anch’io il buon appetito. Non potevo crederci; no, di sicuro stavo ancora sognando, perché un risveglio del genere era ben oltre ogni mia più rosea aspettativa. Ma i minuti passavano e la sveglia non si decideva a suonare.
Mentre lei si gustava il suo pancake io ero ancora fermo, con il piatto pieno di leccornie, a cercare di realizzare la situazione; finché mi decisi ad aprir bocca, ma non per mangiare: “Ma come hai fatto?”
“Oh beh, veramente è tutto merito della signora Craig”
“Chi?”
“La signora Craig del primo piano” lei era stata qui sì e no un paio di volte e già si intendeva gli inquilini, di cui io nemmeno conoscevo l’esistenza. Andiamo bene, pensai. “È lei che mi ha prestato la farina per fare i pancake. È una vecchina davvero adorabile … si era offerta persino di farli lei, ma poi mi toglieva tutto il divertimento. Un’unica cosa … non vi facevo tipi da frutta e verdura fresche!”
“È una lunga storia” mi limitai ad abbozzare come risposta.
“Aidan, vero?”
“Ovviamente”. Era universalmente riconosciuto che qualsiasi cosa accadesse entro quelle quattro mura fosse connessa al mio esimio collega di libreria. Le arance, nella fattispecie, facevano parte della sua ossessione per il fitness che lo aveva preso negli ultimi tempi; naturalmente con risultati nulli, visto che il fast food e l’alcool non riusciva ad eliminarli.
“E tu, fammi capire” continuai, mentre iniziavo a godermi quella favolosa colazione “sei andata dalla signora del primo piano conciata così?”. Non era per gelosia, ma solo per proteggerla da chiacchiere e occhiatacce degli altri inquilini dello stabile che feci questa domanda, enfatizzando il così con un movimento circolare del mio dito indice, puntato contro di lei, mentre con il resto della mano tenevo un bicchiere di aranciata.
“Certo che no, sei matto!” reagì lei “ho rimesso i miei abiti, ma dentro casa mi danno fastidio, così li ho tolti. Ti dispiace?”
Naturalmente non mi dispiaceva affatto, ma non potevo certo dirglielo così, come se niente fosse; era decisamente sconveniente. Così mi limitai a darle un cenno di consenso approssimato, mentre mandavo giù l’ennesimo boccone.
“Toglimi una curiosità …” dissi, intento ad innaffiare il dolce di sciroppo d’acero “perché? Voglio dire … sei stata gentilissima, ma un po’ di caffè bastava”
Si fece piccola sulla sua sedia, segno che la stavo mettendo in imbarazzo; in più, nonostante avesse abbassato lo sguardo, distinsi facilmente le guance imporporate per la vergogna. Tutto quello che ci era successo e le si intimidiva ancora di fronte a me?
“Hei!” mi rivolsi a lei, sussurrando lievemente. Alzò lo sguardo ed i suoi bellissimi occhi si rivelarono a me in tutto il loro bagliore di smeraldo. La presi in vita e la portai a sedere sulle mie gambe, compiaciuto che fosse così docile. Non lasciai la stretta, perché lei per prima teneva le mie braccia serrate attorno a sé. Appoggiai il mio mento sulle sue spalle e mi dedicai a lei dolcemente: “Che c’è?! Mmh?! Sai che puoi dirmi tutto …”
“Niente …” si riscosse “è solo il mio modo per dirti grazie … grazie per avermi ospitata anche dopo tutte le cattiverie che ti ho detto”
“Ah” ammiccai sarcastico, cercando di smorzare l’apprensione che si era creata “pensavo che volessi rimettermi in forza dopo i due round di questa notte. Ma credimi, tesoro, ci vuole ben altro per atterrarmi!”
“Oh ma fammi il piacere Tyler!” controbatté Allison, andando a sedersi di nuovo al suo posto accanto a me “non ti chiami mica Rocco!!! Fai poco lo svelto!!!”
Ridemmo entrambi per la serenità con cui entrambi riuscivamo ad entrare sempre in certi discorsi, senza scandalo né impaccio, e a ridere come se lei fosse un compagno di scuola, anziché la ragazza di cui ero innamorato.
“Quello che è successo …” iniziò lei ma mi sentii in dovere di fermarla, di affrontare quella conversazione per cui avevamo già temporeggiato abbastanza.
“Cosa è successo tra noi?” le chiesi, concentrandomi con lo sguardo fisso su di lei, sperando recepisse ciò che avevo da domandarle.
“Non è successo niente Tyler”
Ecco la doccia gelida. Ero incredulo: possibile che avesse davvero intenzione di dimenticare tutto? Le tenerezze di quella mattina e le carezze di un’intera notte sarebbero state cancellate così, di punto in bianco? Certo non mi aspettavo nulla di romantico. Ma quello faceva parte proprio delle ipotesi più nere.
“Non mi fraintendere Ty” mi rassicurò Allison, stringendomi la mano “quello che ho provato stanotte … Dio! È stata la notte più bella della mia vita. Ma non chiedermi altro: quello che vale per te non vale anche per me Tyler, capiscimi …”
Naturalmente la capivo e me l’aspettavo in certo senso.
Sapevo che non mi amava nella stessa maniera in cui io amavo lei, però non era stato solo sesso e questo faceva la differenza su tutto. Anche volendo come si poteva tornare indietro dopo aver calato ogni cortina dopo che c’eravamo entrambi esposti con tutte le nostre debolezze e fragilità di fronte all’altro?
Inoltre la sua vita scombussolata contribuiva a porre continuamente paletti qua e là lungo qualsiasi strada decidesse di percorrere. Forse era un modo di proteggermi dai suoi stessi sbagli, ma sapeva che con lei ero pronto a prendere dei rischi.
“Io … io non capisco …” o forse era miglio dire che non accettavo ciò che era lampante da comprendere.
“Senti” iniziò lei “lasciamo le cose come stanno. Stiamo bene così ,senza incasinarci la vita. Ridiamo scherziamo ci aiutiamo a vicenda … e se ci va di stare insieme lo facciamo senza troppe conseguenze il giorno dopo”
Ora la verità era chiara come il sole: aveva assaggiato il biscotto ed ora non sapeva rinunciarvi. Ipocrita lei, volgare e cinico io: dov’era finita la telenovela melensa di quel mattino?
“Certo … niente relazioni serie, ma una sana scopata guai a perderla!” sbottai, acido come mai lo ero stato. Non che da lei mi aspettassi niente di diverso, davvero, ma forse era stato un male illudersi che quel risveglio stile pubblicità fosse il mondo che mi stavo apprestando a vivere.
“Tyler sai benissimo che non è così … e che non potrei farlo con nessun altro quello che abbiamo fatto insieme questa notte. Ma non posso darti quello che non ho!”
Aveva ragione; non poteva darmi quell’amore che reclamavo e che lei per me non provava. Tendevo troppo spesso a dimenticare, infatti, che tra i due ero stato io lo stupido che aveva perso la testa. Le presi il volto tra le mani e mi avvicinai a lei: “Perdonami, non so cosa mi sia preso …”
Masochista fino all’osso decisi di tenerla ancora vicino a me, nella speranza, abbastanza vana, che magari il lieto fine potesse toccare anche a me. Avremmo fatto le cose a modo suo e magari, chissà, non erano così male come sembravano a me.
“Allora” proseguii “cos’è che siamo? Amici, amanti, frequentatori …”
“Perché dobbiamo per forza darci una definizione? Siamo Allison e Tyler, non ti basta? Non complichiamoci troppo la vita!” Annuii e l’abbracciai, dimenticando la rabbia che silente continuava ad ardere dentro ed il fastidio latente per un qualcosa che, lasciato a metà, stonava con il resto del mio mondo.

 

“La vuoi sapere una cosa?” mi confidò Allison mentre sistemava la cucina, dopo aver terminato quella colazione eterna ,che praticamente era diventata il pranzo “facevamo sempre così ad Indianapolis quando nevicava. Mia madre preparava delle enormi colazioni ma siccome nessuno si alzava mai prima delle undici, alla fine diventavano dei pranzi”.
Stavo guardando New York dalla finestra, con la chitarra di mio fratello tra le mani tentando di strimpellare qualche accordo, ma il suo discorso mi distolse, nonostante lo spettacolo fuori fosse meraviglioso: mezzo metro di neve aveva bloccato le strade e ripulito i vicoli dalla spazzatura e dalla sporcizia. Aveva smesso di nevicare, almeno per il momento secondo il meteo, e i guai stavano solo per iniziare.
Riposi la chitarra nel fodero con cautela e mi misi ad ascoltarla.
“Papà adorava uova al tegamino e salsicce così mamma ne faceva sempre in quantità industriali, ma alla fine finivano sempre per litigare perché lui si ingozzava e lei gli sbraitava contro! Papà non andava mai a lavoro quando c’era la neve e potevamo stare insieme … a giocare in giardino o a vedere vecchi film in tv. Il mio preferito era Piccole Donne”
Non c’erano lacrime da versare, né risate per ricordare dei tempi felici: restava solo il rimpianto per qualcosa che sarebbe potuta andare in maniera diversa, e la differenza stava nelle proprie mani. Conoscevo bene quella sensazione, l’avevo provata a lungo dopo la morte di mio fratello.
Cauto l’avvicinai, carezzandole la guancia con la nocca dell’indice; proprio in quell’istante una lacrima cadde a bagnarmi il sito e la sentii, quasi impercettibilmente, tremare al mio tocco.
“Li amavi” la mia non suonò come una domanda eppure la vidi annuire, sbarrando labbra ed occhi ad un dolore che avrebbe utilizzato ogni angolo del suo corpo per venire fuori.
“Non è da loro che sono scappata …” mi confessò e questo mi fece capire che la storia era molto più complicata di quanto apparisse. Una laguna di segreti che poco alla volta stavano tornando a galla. “Ma guarda il lato positivo … se non fosse stato così non ci saremmo mai contrati!” e sorrise ancora, perché la speranza in qualcosa di buono, di migliore, continuava ad averla nonostante i momenti bui. Avrei voluto avere la sua stessa forza, il suo stesso ardore nell’affrontare la vita.
Egocentricamente avrei dovuto essere contento, ma in amore bisogna saper guardare al bene dell’altro: dunque avrei preferito saperla lontana ma felice piuttosto che al mio fianco ma piena di malinconia.
Le sorrisi di rimando, avendo esaurito le parole giuste, sia da amico, che in fondo non ero mai stato, sia da innamorato, ora troppo crucciato per poter parlare.
D’un tratto suonò il campanello. Andai a rispondere mentre lei se ne andò in camera.
“Adesso che ci vede conciati così, ad Aidan prederà un colpo” ironizzò Allison.
Lei non era ridotta poi così male, qualche graffio ed il labbro leggermente gonfio, io invece sentivo; a pensarci, la trazione delle ferite che iniziavano a cicatrizzarsi e non essendomi guardato allo specchio, non avevo idea dello stato in cui ero ridotto. Ma non era quello a preoccuparmi.
“Ehm … non Allison non è Aidan. È mia madre”












NOTE FINALI

Ben ritrovate mie care, sopo una settimana e poco più d'assenza! Mi sono presa un po' più di tempo per scrivere questo capitolo, troppo delicato come immaginate,a seguito del precedente. Incomincia una nuova fase per entrambe i personaggi.Qualcuno prende coscienza di sé, qualcun'altro invece si trova immerso in un limbo di dubbi.
sono proprio curiosa di vedere cosa accadrà ora. Voi no?!
Non ci resta che darci appuntamento al prossimo capitolo.
Un bacione grandissimo a tutte ... e un grazie immenso per il seguito

à bientot

Federica

   
 
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