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Autore: tersicore150187    01/06/2011    11 recensioni
In un ipotetico sequel della terza serie, è ambientata una storia di profondo amore e di scoperta sentimenti autentici. Per una volta non ci sono cadaveri a fare da sfondo, ma corpi vivi che sentono, tremano, amano.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap 3. Così ti amo perché non so amare altrimenti
 
Kate stava appoggiata con la mano ad una colonna nel bellissimo patio che costeggiava la chiesa. L’altra mano la teneva appoggiata sul cuore come se temesse che da un momento all’altro potesse saltarle fuori dal petto. Aveva il battito molto accelerato e il respiro affannoso, le iniziava anche a girare la testa. Sperava di non svenire. Perché? Continuava a domandarsi. Perché lui aveva voluto colpirla in quel modo? Perché quelle parole lei le aveva sentite come se le arrivassero fin nel profondo del suo animo….era questa la risposta che si stava dando, mentre si guardava le scarpe. Lanie arrrivò alle sue spalle con tutta la fretta che poteva avere una donna con una gonna strettissima e un paio di scarpe tacco 12. Le mise una mano sulla spalla. “Tesoro…”. In quell’istante la spallina di brillanti che adornava la scapola di Kate si staccò. La donna la bloccò con la mano, poi si voltò verso l’amica e con il volto teso e gli occhi lucidi disse “Maledetta spallina”.
 
Mentre la mano di Lanie la conduceva verso il guardaroba, Kate ripensò agli istanti precedenti. Si era dovuta alzare necessariamente, oppure quello che sarebbe accaduto un attimo dopo avrebbe lasciato tutti di stucco. Le sue lacrime. Stava per piangere ma, benchè questo sembrasse un ostacolo aggirabile, essendo nel bel mezzo di un matrimonio durante il quale più o meno metà degli invitati avrebbero o avevano già pianto, non poteva, poiché tutti si sarebbero accorti che le sue lacrime non erano di emozione. Si sentiva male. Sentiva i singhiozzi e le urla di disperazione e frustrazione prendere forma nel suo stomaco e prepararsi a raggiungere la gola e il viso. Sentiva mancarle l’aria, le veniva quasi da vomitare. Se fosse rimasta seduta su quella sedia, investita da quella forza del sentimento che lei profondamente desiderava ma che non sapeva come accogliere, in breve tempo avrebbe dato tanto scompiglio che si sarebbe dovuto metter fine alla cerimonia. Forse ci sarebbe voluta un’ambulanza, pensò lei. Si sentiva letteralmente come se stesse per avere qualcosa di simile ad un infarto.
Lanie la fece sedere su uno sgabello di stoffa davanti ad una specchiera. Era una stanzetta deliziosa, era lì che probabilmente le spose si fermavano a concentrarsi prima di fare il loro ingresso. Kate si voltò di spalle e quando sentì le mani della amica che, in silenzio, le aggiustava la spallina, alzò gli occhi e vide uno stupendo vaso pieno di fiori. In un istante le venne in mente quello che lei aveva scagliato per terra durante il loro litigio, mesi prima. La rabbia glielo aveva fatto scagliare via col braccio e una scheggia le aveva ferito il polso. “Kate!”. Le ritornò in mente la sua voce piena di paura, di preoccupazione, di cura per lei. Le ritornò in mente il tocco della sua mano sul suo taglio e la sensazione di sentirsi scoperta, vulnerabile. Lei non poteva permettersi di perdere un’altra persona a cui teneva, e questo equivaleva a non avere nessuno di importante vicino. Nessuno che, poi, non potesse essere più sostituito. Ma si stava battendo contro qualcosa più grande di lei, la forza del vero amore e quella sensazione era impossibile a sostenere. Le lacrime iniziarono a scorrerle da sole. Non riusciva a parlare. Sentì il suono dei suoi singhiozzi e le mani di Lanie che, tremanti, si staccavano dalla spallina e le avvolgevano le braccia. Si guardarono. Anche l’amica aveva gli occhi lucidi e la guardava con un’espressione sofferente senza parlare. “Lanie…” “Lo so, Kate.” Le disse l’amica con un filo di voce. “Però ha detto delle cose stupende e soprattutto vere, devi riconoscerlo tesoro”. Lanie prese un fazzolettino di carta e tentò di asciugarle le lacrime senza rovinare il trucco, mentre Kate continuava a singhiozzare quasi senza respiro. “Sarà meglio che rientri, non possono mancare tutte e due le damigelle. Cerco di ricompormi e vengo anche io.” Lanie la guardò con dolcezza, le fece una carezza e uscì dalla stanza. Non se ne sarebbe mai andata lasciando la ragazza sola, se non avesse intravisto, nello spiraglio aperto della porta, Rick che le guardava distante pochi passi. Lanie uscì, tenendo la porta alle sue spalle col braccio, gli si avvicnò e gli sorrise posando una mano sulla sua “Bel discorso scrittore”. Rick si sentì un po’ rassicurato e sorrise come un ragazzino adolescente che sta per incontrare la sua accompagnatrice al ballo. “Grazie”. Le strinse il braccio e aprì piano la porta.
 
 
 
Kate sentì la sua presenza alle spalle, non riuscì a spiegarsi come, ma la sentì. Sollevò il viso fino a pochi istanti prima affondato nelle mani e guardò nello specchio davanti a sé. Vide la sua immagine davanti alla porta che la guardava nel riflesso. Nei suoi occhi poteva leggere rabbia e frustrazione, un dolore profondo, quel dolore che si prova solo quando si ama a tal punto da sentirsi spezzare l’anima. Questo la fece tremare di paura. Paura di averlo ferito irrimediabilmente, paura per se stessa, per come avrebbe reagito a lui. Lo guardò attonita nello specchio immobile. Poi rapidamente distolse lo sguardo fingendo di prestare attenzione al suo trucco, un’attenzione che non c’era. “Vai via per favore Castle, voglio stare da sola”. Lo disse senza tono, senza espressione. Non voleva ferirlo ancora, ma la paura che provava le impediva di avvicinarlo, di lasciarsi andare, specie dopo le parole che aveva sentito. Per lei sarebbe stato molto più semplice vedere che lui si era consolato con una attricetta da quattro soldi. Sì, perché questo l’avrebbe delusa al punto da farle credere che l’uomo di cui lei si era innamorata non esisteva, che Castle in realtà era solo un bambino viziato. Invece quell’uomo ora era proprio alle sue spalle e le stava stringendo le braccia con le sue mani. “Kate…”.
Stettero così per un istante. Lei seduta immobile con gli occhi serrati e lui alle sue spalle stringendole le braccia, perquisendo ogni singolo lembo di pelle sotto i palmi avidi delle sue mani, respirando il profumo dei suoi capelli. Come se dovessero recuperare un tempo infinito, un tempo in cui non erano stati insieme e si sentivano perciò denutriti e stanchi.
Lei si alzò fredda, cercando di non cadere in quell’abbraccio ma senza una forza vera che la facesse opporre a quel corpo. Lui la girò verso di sé, facendo appena in tempo a vedere le lacrime sul viso che Kate nascose voltandosi di lato. “Perché mi stai facendo questo Rick?” era quasi un’implorazione. Lui la guardò ancora sentendosi morire per quella vicinanza.
“Non posso fare altrimenti, non capisci? Kate io…”
“No…” la sua voce si ruppe in pianto, lo stava pregando di lasciarla andare con l’unico risultato di affondare sempre di più senza fiato e con tutte le sue lacrime fra le sue braccia, sul suo corpo. “Perché fai così Kate? Cos’è che ti spaventa tanto? Ti prego…smettila di scappare via da me…affronteremo questa cosa insieme…”. Quella parola, insieme, la fece sussultare e singhiozzare ancora di più. “Non potrò mai renderti felice Rick, non lo capisci?”. Lui non ne poteva più. Le prese il mento con due dita e sollevò quel volto verso il suo. Incatenò i suoi occhi lucidi a quelli di lei, persi nel pianto. “Mio Dio Kate…se solo tu sapessi quanto mi sei mancata…quanto mi sono mancati i tuoi occhi, le tue labbra, i tuoi capelli…il tuo profumo…”. Non udì più nulla da quelle labbra, ma gli occhi di lei lo imploravano di lasciarla andare anche se la sua anima gridava di non allontanarsi mai più da lei e lui la poteva chiaramente sentire.
Le accarezzò una guancia con infinita dolcezza e, come un flash, al tocco delle sue lacrime gli tornò in gola tutto il dolore di quesi mesi, l’agonia provata per quella atroce mancanza. Non ne poteva più. La sollevò dalle braccia con forza, facendole quasi male. Si avventò sul suo viso annullando la distanza tra le loro bocche. Le prese il labbro tra i denti e glielo morse leggermente, trattenendo la sua forza che cercava di esplodere, iniziò a morderla come se volesse torturarla, la bocca, la pelle intorno alle labbra, le guance il collo. Lei si lasciò sfuggire un gemito di eccitazione, di stupore ma anche di dolore. Il dolore che provava dentro nel vedere il profondo amore di quell’uomo tramutarsi in angoscia e rabbia. Lui si staccò da lei sconvolto. La guardò negli occhi e lesse tutta la sua paura. Si allontanò immediatamente, ansimando. “Tu mi hai reso felice Kate. Lo hai fatto in passato molte volte. Ma ora mi stai facendo impazzire. Credo che non dovremmo vederci più.”
Così dicendo uscì tirandosi dietro la porta e lasciando Kate distrutta, ma senza più lacrime.

Angolo dell'autrice:

Carissimi,
dopo lunghe attese eccovi il terzo capitolo. 
Abbiate un po' di pazienza con me, cercherò di diventare più costante e non farvi soffrire troppo per l'attesa.

Il titolo di questo capitolo è tratto dal sonetto XVII di "Cento sonetti d'amore" di Pablo Neruda.

Se ci sono titoli di poesie o frasi che vi piacerebbe vedere come titoli dei prossimi capitoli segnalatemeli pure!

Vi ringrazio sempre per l'affetto con cui mi seguite.

A presto,

Tersicore150187.

  
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