Sad City
C’era
una volta una cittadina molto piccola e povera, dove non esistevano
associazioni per curare i bimbi malati o dare casa ai bimbi che vivevano per le
strade, come non esistevano pensioni, giorni festivi e libertà di parola. La
gente lavorava giorno e notte, senza mai fermarsi. Lavorava sette giorni su
sette e aveva una paga molto misera. In quella città non sapevano cosa volesse
dire felicità.
La
maggior parte della gente era povera; solo i più fortunati, i figli di famiglie
nobili, vivevano senza fame e in una abitazione decente, tra quali era compreso
Lorenzo.
Lui, insieme ai suoi amici, frequentava la prima media M. La Mela, l’unica scuola media presente
in città.
Tutto cominciò una sera d’inverno, il 6 gennaio del
1974… Lorenzo stava avviandosi all’edicola, dove Federico aiutava suo padre a
vendere i giornali, quando vide tra la neve grigia del marciapiede un ragazzino
senza cappotto e con una scarpa bucata tremare dal freddo. Il ragazzo, generoso
e altruista, appena lo vide gli si avvicinò e gli porse la sua giaccia e la sua
sciarpa.
Qualche settimana prima, a scuola, la prof aveva
parlato di quanti orfani senza tetto esistono nel mondo. Era stata Chiara a far
notare a Lorenzo che anche nella loro città c’erano bambini senza casa, ma
erano tutti così egoisti e presi dai propri problemi che non facevano nulla per
aiutarli.
“Tieni” disse Lorenzo “così avrai meno freddo”.
“Grazie mille” rispose il bambino con un filo di voce afferrando gli indumenti
e indossandoli. Lorenzo aveva intuito che fosse un orfano, di orfani ce ne
erano in quella città, perché molti genitori poveri morivano di fame per far
mangiare i propri figli. “Come ti chiami?” Gli chiese. “Alex…” Fece il bambino
con timidezza “ho 8 anni” aggiunse cercando di riscaldarsi le mani. “Piacere!
Io sono Lorenzo e ho 11 anni! Senti, mi è venuta un’idea: usa questa.” Il
ragazzo estrasse dalla tasca una vecchia carta da gioco dei Pokèmon e disse:
“Questa è una carta di Pikachu in Giapponese, è rarissima! Ci sono dei
collezionisti che pagherebbero milioni per averla! Te la regalo, prova a
venderla a quel giornalaio giù all’angolo,” disse indicando il negozio dove
lavorava Federico (Federico aiutava il padre a gestire l’edicola ma,
naturalmente, non veniva pagato). “vedrai che lì te la comprano!”
Alex annuì e corse dentro. Appena entrò Federico non fu felice di vederlo: “Non
hai letto fuori? I tipi come te non possono entrare! Vattene via!” Il ragazzino
cercò di parlare: “Ma io volevo soltanto…” “Fuori!” gli urlò Federico. Mentre
usciva, una ragazzina che stava sfogliando una rivista di moda lo vide e fece
una smorfia. Quando tornò da Lorenzo gli riconsegnò la carta: “Mi dispiace…”
sussurrò Alex. Lorenzo prese la carta e gli disse: “Non ti preoccupare, ora ci
penso io!” ed entrò nell’edicola. Federico restò ad ascoltare pazientemente
l’amico, poi disse: “Lo so che Chiara ti ha influenzato con le sue idee di
aiutare i poveri, ma io non sono dello stesso parere. Qui il denaro è
importantissimo, non lo posso dare al primo che capita!”
Lorenzo
non si rassegnò al primo tentativo: nella stessa via c’era un bar, decise di
provare lì. “E’ una carta molto rara, praticamente introvabile! C’è gente che
pagherebbe milioni per averla! Vi chiedo soltanto qualche soldo in cambio…” Fece
il ragazzo a un motociclista grande e grosso con gli occhiali da sole e i
capelli lunghi. “Non mi interessa, sparisci pulce prima che ti schiacci come un
verme!” Rispose maleducatamente. Lorenzo allora provò in gelateria, in un altro
bar, chiese persino alle persone che passavano per strada. Dopo venti minuti,
il ragazzo ritorna dal bambino. “Mi… mi dispiace ma… non ho trovato nessuno a
cui interessi la mia carta!” Sussurrò fra le lacrime tra un singhiozzo e
l’altro abbracciando Alex, che rispose: “Non importa, è già tanto quello che
hai fatto per me”.
In secondo dopo Matteo sbucò da dietro l’angolo e
si avvicinò ai due. “Ho sentito dire che stai cercando dei soldi per questo
Giovinetto.” Disse sorridendo ad Alex. “Io ho un dollaro con me… Mi dispiace, è
tutto quello che ho. Chiara ha ragione, Lollo. Non dobbiamo essere egoisti.”
Appena finì di parlare prese fuori dalla tasca un
dollaro e lo diede ad Alex. “Grazie mille signore!” Rispose il bambino, felice.
All’improvviso
Federico uscì dal negozio e raggiunse i due, porgendo a Lorenzo un mezzo
dollaro. “Allora… allora hai deciso di comprare la carta!” Esclamò Lorenzo. “No, non la voglio. Ma
questo tienilo, consideralo un regalo” Rispose Federico, sorrise a Matteo che
ricambiò con una pacca sulla spalla e tornò in edicola. Dopo qualche secondo
arrivò anche la ragazzina che sfogliava la rivista di moda in edicola e porse a
Lorenzo un quarto di dollaro “E’ il mio resto” Disse. Pian piano arrivarono
tutti i ragazzi a cui Lorenzo aveva cercato di vendere la carta, e lasciarono
tutti un dollaro per uno. Nel giro di pochi minuti, Lorenzo e Alex si
ritrovarono davanti almeno una ventina di dollari. Il ragazzo sorrise ed
esclamò: “Sei ricco, Alex, sei ricco! Non sei felice?” Alex rispose sorridendo:
“Io non me ne faccio niente di tutti questi soldi, voglio dividerli con te.”
Il giorno dopo fu il giorno più bello di Alex:
insieme a Lorenzo andarono a prendersi la colazione al bar, la mattina
passeggiarono per il parco, nel pomeriggio provarono alcune giostre del luna park
e comprarono uno zucchero filato per uno. Più tardi andarono a comprare dei
pantaloni e delle scarpe nuove per Alex, che erano a basso costo (Lorenzo
dovette lo stesso aggiungere un po’ della sua paghetta settimanale per riuscire
a comprarli). La sera i due ragazzi si sedettero sul porto a guardare le
stelle. Fu allora che Alex disse: “Oggi è stato il giorno più magico della mia
vita!”
“Mi fa piacere se ti sei divertito.” Rispose Lorenzo sorridendogli.
“Scommetto che questa tua amica sarebbe stata felice
di sapere ciò che hai fatto.” Disse Alex. “Di sicuro. Un giorno se vuoi te la
presento, ma adesso non è in città, è partita.” Rispose il ragazzo, guardando
l’orizzonte.
I due guardarono le stelle luccicanti per un momento, poi Alex parlò.
“Lorenzo?”
“Sì?”
“Ti voglio bene.”
“Chiamami Lollo.”