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Autore: Helena_YellowSmoke    02/06/2011    4 recensioni
Come dice il titolo, questa è una cronaca di un concerto (dei My Chemical Romance). Proviene da un tema fatto a scuola e ho deciso di pubblicarlo sia sotto richiesta di alcune ragazze, sia perché è la prima volta in cui riesco ad esternare le mie emozioni in modo esplicito e dettagliato.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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THE BEST DAY EVER
cronaca di un concerto.

“Papà, quando esce il nuovo album e di conseguenza il nuovo tour, mi porti al concerto?” “Se vengono in Italia sì..”. Mio padre non sembrava così contento e soprattutto non era assolutamente convinto della frase che era uscita dalla sua bocca, glielo si leggeva in faccia, mentre era concentrato sulla guida. Magari non aveva neanche sentito cosa avessi detto.
Circa un anno dopo, il 23 Novembre, uscì il nuovo album e pubblicarono le date e i luoghi del tour nel sito ufficiale. Mi brillarono gli occhi alla vista di quel giorno e quel posto. “7 Marzo 2011 – Palasharp..”, poi cascò il mondo quando lessi la città: Milano. C’era da aspettarselo, guarda tu se una band di fama internazionale viene a fare un concerto in Sicilia, piff, avrebbero fatto ridere.
Eppure, il 12 Dicembre, a cena con mio padre, gli chiesi: “Allora, papà, che fa, mi porti al concerto? E’ il 7 Marzo..” calò il silenzio e con lui tutto l’entusiasmo che avevo da giorni. Avevo paura di pronunciare il nome di quella città, avevo paura di ricevere una delusione. Lui fece un gesto con la mano, incitandomi a continuare. Così dissi: “…a Milano”. Mi ero già preparata a ricevere una risata accompagnata da una battuta di mani, invece rispose con tutta tranquillità, come se fosse la cosa più normale del mondo: “Dove si comprano i biglietti?”. A ridere fui io, con una risata isterica e nervosa: “C..cosa hai detto?” “Ho detto, dove si comprano i biglietti?”. Tutta tremante, gli spiegai il processo balbettando in maniera impressionante. Mi chiedo ancora come abbia fatto a capire quel che dicevo.
Il 17 Dicembre, una giornata inizialmente come le altre, ero come sempre su Facebook e stavo facendo richieste d’amicizia a tutte le persone che trovavo che andavano al concerto, tanto per non arrivare lì e stare sola come un cane. Conoscendomi, non avrei fatto amicizia facilmente, anche se eravamo accomunati dalla nostra passione per Loro. Suonò il citofono, ma lo ignorai. Dopo un minuto, mia madre urlò dall’altra stanza che stava scendendo un attimo. Appena risalita, venne da me e mi consegnò una busta della UPS, dicendo che era mia. Il mio sorriso diventava sempre più grande mano a mano che aprivo quella busta. Erano arrivati i biglietti. Li guardavo con aria sognante, ancora incredula di quello cui avrei assistito solamente tre mesi dopo. Ahh, quei tre mesi. Furono un inferno. L’attesa era straziante. Sapevo che fare il conto alla rovescia avrebbe reso tutto ancora più lento e insopportabile, ma non resistevo.
In quel periodo conobbi un po’ di gente che sarebbe andata lì e strinsi amicizia con Fabiola, con cui mi ero organizzata per incontrarci davanti i cancelli.
Il 5 Marzo, alle 8 di mattina, presi l’aereo per Roma, per andare a trovare alcuni miei amici. Il 6 Marzo alle 8 e mezza di sera salii, invece, sull’aereo per Milano. Tralasciando lo schifo dell’hotel in cui alloggiavo, che le sue 3 stelle non se le portava per niente bene, ero troppo in ansia e dormii sì e no un paio d’ore. E avevo anche paura di non sentire la sveglia, puntata alle 6 di mattina. Appena sveglia sembravo uno zombie. Mi chiusi in bagno e dopo un’ora uscii trasformata. Svegliai mio padre che in 10 minuti fu pronto e scendemmo alla volta del Palasharp. Arrivai lì alle 7 e mezza circa e trovai un’ottantina di persone. C’erano due file e in ognuna c’era una ragazza che assegnava i numeri alle prime 50 persone. Io ero la quarantesima nella mia fila. La mia amica arrivò con due ore di ritardo, alle 9 e mezza, perché si era persa. Posizionai a terra l’asciugamano che mio padre aveva “preso in prestito” dall’hotel e ci sedemmo.  Durante quelle dieci ore, abbiamo conosciuto persone stupende, quali Federica, Valeria, Nadia, Maria Luisa e Giovanni, abbiamo cantato e creato cartelloni da alzare poi durante il concerto.
Mancavano ancora due ore all’apertura dei cancelli, ma si erano già alzati tutti e cominciarono a spingere per cercare di superare. Aperti i cancelli, ovviamente trovai io il controllore moscissimo che impiegò tre anni per timbrare il mio biglietto. Appena me lo riconsegnò, cominciai a correre come non mai. Credo anche di aver fatto cadere due poveri ragazzi. Fabiola da dietro urlò che le era caduta la macchina fotografica. Io non sapevo che fare. Nel giro di due secondi , decisi di continuare a correre, una volta dentro ci saremmo ritrovate. E fu così. Eravamo in quarta fila nel parterre, schiacciate come sardine, ricevendo quattromila gomitate. Dio solo sa quante offese io abbia potuto urlare. Dopo un’ora entrò il gruppo spalla, i Lost Alone.  Erano bravi, per carità, ma io ero impaziente di vedere Loro. Durante l’esibizione dei Lost Alone, conobbi un’altra ragazza, Roberta, che mi incoraggiava nel cercare di non cadere e di resistere. Ma durante la pausa tra Lost Alone e Loro, mollai tutto e scappai via. Non si poteva stare là sotto, si soffocava, mancava il respiro e mi era anche quasi svenuta una ragazza tra le braccia. Mi misi di lato e tornai a respirare. Mi ero rovinata il concerto con la mia stupida paura. Adesso ero sola, non conoscevo nessuno ed ero troppo timida per cantare in solitudine come una disperata. Le lacrime rigavano il mio viso. In effetti , ero davvero disperata.
Dopo 20 minuti, finalmente entrarono Loro. Il mondo si fermò. Non capii più niente. Erano davvero Loro, in carne ed ossa. I My Chemical Romance avevano un concerto in Italia e io c’ero. Scoppiai a piangere ancora di più, era un sogno. Non ero lì, non poteva essere. Non ci potevo credere. Sentii poi una voce familiare dietro di me. Era Roberta che urlava il testo della prima canzone, con la gioia negli occhi, nel sorriso, nelle guance che si contraevano, nelle mani che si agitavano. Sprizzava felicità da tutti i pori. L’abbracciai e piangemmo ognuna nella spalla dell’altra. Adoro quel che fa la musica. Lei che fino a 20 minuti prima era per me una sconosciuta, era diventata già una grande amica.
Salimmo in piedi sulle sedie degli spalti e urlammo a più non posso, con tutta la voce che avevamo in gola, ogni singola parola di ogni singola canzone. Sfruttammo quei lassi di tempo di momentanea quiete tra una canzone e l’altra per urlare il nome di un componente della band o per cantare una canzone che speravamo suonassero, comunque consapevoli che avrebbero dovuto seguire la scaletta predefinita. Le lacrime scorrevano senza sosta e la gola bruciava ardentemente. Ma per noi non contava. Eravamo le ragazze più felici del mondo. Eravamo in paradiso.
Dopo due ore finì tutto. Sotto il palco c’era il caos. Centinaia di persone in cerca dei propri vestiti e del proprio zaino, persi durante il pogo. Ragazzi che cercavano di convincere i tecnici a farsi dare la scaletta, inutilmente. Altri che cercavano per terra i plettri lanciati dai chitarristi durante il concerto e successivamente dai tecnici. Altri che si salutavano, altri che saltellavano contenti. Altri che correvano via. Altri ancora che avevano il sorriso indelebile stampato sulla faccia. Altri che ancora piangevano e si disperavano. Io ero una di quelle. Il trucco nero era ormai scolato in tutte le guance, fino al mento e nel collo. Eravamo quasi tutti devastati. Arrivò un messaggio di mio padre, dicendo che dovevamo tornare in hotel il prima possibile, per cercare di evitare l’ammasso di gente che si sarebbe formato di lì a poco.
Così salutai Roberta e salutai anche quel fantastico posto che la gente chiama palco. Io lo chiamo vita.

  
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