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Autore: Kuroame    02/06/2011    1 recensioni
Quattro ragazze dell'odierna Roma, si ritroveranno in mezzo ad un complotto, scopriranno verità a loro celate, avranno tra le mani il destino di centinaia di vite, senza potersi opporre al volere del Fato.
La loro vita verrà sconvolta, da nemici e vite di tempi passati.
Scopriranno la verità, la loro verità e insieme dovranno affrontarla.
In nome degli Dei, in nome dell'Olimpo, per la Salvezza.
Genere: Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Frammenti 01 Per prima cosa salve a tutti, sono Kuroame, ma preferirei se mi chiamaste Keiko.
Non ho mai scritto nulla di serio çvç anche se ho sempre desiderato poter scrivere una fanfiction che avrebbe potuto appassionare veramente qualcuno
(cacchio quanta brama, eh? L'ambizione di un sedano, proprio ù-ù)
Essendo io, classicista dei tuoi stivali, non potevo evitare di fare una mecedonia di cultura greca/latina mista ai fantasy che amo e venero ogni giorno prima dei pasti.
Per piacere (sempre se qualcuno leggerà) siate critici >___

~ Frammenti.
01. La scimmia e il Re.


La notte era calata su Valmontone, ad un paio di kilometri lontano dalla caotica Roma
Lì sembrava di stare in un mondo a parte lontano dal chiasso della metropoli, tra gli alberi di un secolare bosco di sempreverde, ricco di animali sempre vivaci e allegri, si trovava il rustico comune dalle lontane origini, era stato luogo di scavi archeologici e numerose riprese di alcuni film di un certo spessore
Ormai però aveva perso la bellezza di un tempo: costruita su di un colle a trecentosei metri dal mare, si poteva godere un panorama unico tra il verde della foresta, dove si trovava quello che millenni e secoli prima, era un villaggio di artigiani dediti al commercio con il mercato principale della Roma Imperiale e i borghi vicini.
Ora invece di quell'antica bellezza era rimasto integro solo il municipio, la chiesa, alcuni edifici e il bosco che circondava il paese.

Tutto si svolgeva tranquillo, Morfeo si era occupato di accogliere tra le sue braccia tutti gli abitanti, per prepararli al mattino seguente, dove si sarebbero rituffati nel caos mondano.
Beh non proprio tutti.
_____________

Sedute a cerchio Eleonora, Luna, Diana e Ginevra erano nel bel mezzo di una chiaccherata notturna, tra pettegolezzi e battute varie avevano continuato a parlare fino a notte fonda.
Si trovavano nella casa del nonno di Ginevra che, molto ingenuamente, aveva lasciato la nipote in compagnia delle amiche per poi partire per Milano per ragioni non ben chiare alla combriccola, così da raggiungere i genitori della ragazza.
Si trovavano in una villetta di campagna, l'unica che avesse mantenuto lo splendore rinascimentale, era stata ristrutturata da poco e l'anziano aveva preteso di lasciare la maggior parte degli ambienti invariati, così da ricordare una vera e propria casa del 600, Ginevra si era trasferita lì da un mese dopo che i genitori erano dovuti partire insieme per Genova per motivi di lavoro.
"Non ho la minima intenzione di andare a Roma da mio fratello e mia sorella."
Così i genitori erano stati facilmente convinti a lasciarla i compagnia di quell'arzillo vecchietto che era partito improvvisamente il mese dopo.
Niente di negativo, anzi: aveva sempre desiderato poter rimanere finalmente da sola in casa con le sue amiche, senza che nessuno le disturbasse dai loro racconti.
Lanciò un'occhiata alla più piccola delle quattro.
Eleonora stava sgranocchiando un cracker, i capelli erano legati alla ben e meglio in una coda che rendeva ancora più vaporosa la sua nuvola di ricci annodati e imbrogliati tra di loro, aveva la guancia destra poggiata sul palmo della sinsitra, era a gambe incrociate ed insossava un pigiama nero di alemno una taglia più grande della sua; ogni tanto lanciava un'occhiata a Luna, prima di tornare dai suoi cracker alle olive, prossimi a finire.
Nonostante avesse quindici anni sembrava già un'adulta grande e vaccinata, non fosse stato per il viso rotondo che le dava un aspetto un po' infantile.
Era il giullare del gruppo, era sempre sprezzante e ironica e non si fermava mai dal lanciare battute intrinseche del suo ormai noto squallore, che induceva gli ascoltatori a scoppiare istantaneamente a ridere.
Quel giorno aveva convinto al telefono i suoi genitori, anche loro partiti, per andare a dormire da Ginevra per qualche giorno.
«Quindi... ci stai dicendo che anche questa casa è infestata?»
Lo aveva domandato con un'apparente indifferenza; la sua voce aveva un che di particolare, era bassa e aveva qualcosa che la rendeva dannatamente suadente, riusciva a calibrare le parole quando voleva, riuscendo ad accattivarsi il volere delle persone più ostinate.
Battè le mani tra di loro facendo cadere sulla moquette rossa una manciata di briciole, poi incastrò le dita della mancina tra quelle della destra e cominciò a guardarsi intorno con una certa curiosità.
Luna annuì e nel farlo i lunghi capelli ricci vennero scossi, per poi ricadere lentamente sulla schiena, coperta da una camicia da notte bianca impreziosita quà e là da alcuni merletti.
Lei era la più grande del gruppo, anche se a primo impatto poteva dimostrare più o meno sedici anni, studiava già da un anno Psicologia alla Sapienza di Roma, aveva venti anni suonati, ma tutti la prendevano in giro perchè sembrava un adolescente.
Aveva la pelle bianchissima, i capelli biondo cenere divisi in ricci uniformi, aveva dei bellissimi occhi verdi e aveva sempre un portamento elegante.
Aveva però una caratteristica, tra le tante, che la differenziava dagli altri: riusciva a vedere gli spiriti.
O per lo meno così diceva, nessuno si era mai convinto delle sue parole, per questo fin da piccola quando aveva compreso che era meglio tenersi il segreto per se', aveva convissuto in silenzio con quel particolare dono di cui non andava affatto fiera.
Erano solo loro, riunite in quella stanza a conoscere il potere di Luna, ma solo Eleonora poteva confermare quanto diceva.
Quest'ultima infatti riusciva, cosa di cui non riusciva a capacitarsene, a capire se nella stanza si trovavano entità, non riusciva a vederle se non erano loro a mostrarsi, ma sentiva sempre una sensazione di disagio, come se qualcuno la stesse osservando.
Quella volta però aveva stranamente fatto cilecca.
«Ma non in questa stanza El, è per questo che non senti nulla. Viene da sotto e sono due, ridono.»
Eleonora si calmò: ora tutto aveva un senso, cosa ne poteva sapere lei delle altre stanze se non ci stava dentro?
Ginevra invece rabbrividì: spiriti in casa sua?
Diana in tutta risposta aveva continuato a leggere un romanzo che aveva portato con se quando aveva raggiunto la casa, ormai mancavano poche pagine alla conclusione, sicuramente per questo si era immersa nella lettura e non aveva sentito nulla dei loro discorsi.
Era rimasta immobile, tranne quando passava una mano tra i corti capelli castani che ogni tanto le coprivano gli occhi grigi.
«Ah, ecco.. ora tutto ha più senso. Ehi ehi!» Eleonora avrebbe teso una mano verso Ginevra, mostrando un sorriso a trentadue denti «Gin-Gin, non c'è bisogno di spaventarsi. Sono due e si stanno divertendo nella cantina, forse hanno trovato qualche vecchia bottiglia d'idromele germanico di tuo nonno e si stanno raccontando delle belle storie dei tempi passati, AAARRRRGH.. PIRATI D'ALTRI TEMPI, LUPI DI MA..!»
Venne interrotta nel bel mezzo dell'imitazione di un vecchio pirata da Diana che le scaraventò in testa la sua ciabatta, che ovviamente la colpì in pieno viso.
«Ti mando a scavare tesori sotto terra se non fai silenzio. Jeremia sta trovando il cavaliere perduto, voglio vedere te cosa faresti se ti urlassi nell'orecchio alla fine di un libro »
El fece una smorfia ma tornò in silenzio, mentre Ginevra e Luna scoppiavano in una fragorosa risata.

Poi ci fu un botto, un rumore di qualche secondo come se fosse scoppiato qualcosa.
Istintivamente le quattro scattarono in piedi.
«Cos..» Diana venne interrotta da Eleonora che aveva impugnato un grosso libro preso dalla scrivania di Ginevra, riportava la scritta "Matematica B, corso avanzato d'Algebra", non sapeva nemmeno lei cosa stava per fare, ma fece segno alle amiche di spostarsi verso il letto e così loro fecero.

Un'altro botto.
Che diavolo stava succedendo in quella casa?
Eleonora cominciò a respirare più velocemente, mentre i battiti del cuore accelleravano.
Dei passi.
Ne era sicura erano passi.
Si girò un attimo, il tempo di vedere le espressioni terrorizzate delle sue amiche che avevano anche loro sentito il suono.
Poi silenzio.
«Sono i due di sotto.»  
Disse poi Luna e a quell'affermazione Eleonora stava per tranquilizzarsi se non fosse che la porta le andò letteralmente addosso.
Un CRACK e i cardini della porta davanti a lei si spezzarono come un grissino, lasciando che questa andasse addosso ad Eleonora che cadde con un tonfo a terra, priva di sensi.
Alcune scheggie coprirono il pavimento della stanza.

Poi gli intrusi (perchè non potevano essere definiti in altro modo) entrarono nella stanza.
Il primo poggiò un piede sulla porta che schiacciava Eleonora e lì rimase scrutando con una certa indifferenza il corpo svenuto della ragazza.
Era uno spettacolo inquetante, l'uomo era una specie di armadio a tre ante, ricoperto di muscoli in ogni dove era coperto da una tunica nera in parte strappata e da una pelle di leone, la cui coda fungeva da cintura, la testa della bestia era indossata come un cappello che lasciava intravedere alcune ciocche di capelli castani che ricadevano ai lati del viso, aveva gli occhi castani, ma ogni tanto si poteva scorgere un barlume cremisi, aveva qualcosa di malvagio in se', qualcosa di temibile.
Le mani erano ricoperte da calli e aveva sempre la fronte corrucciata, come se tutto quello che guardasse lo disgussaste dal profondo, una cicatrice gli solcava il polpaccio della gamba destra per poi perdersi sotto un lembo di cuoio dei sandali che calzava.
Sembrava capace di fare tutto.
Lo sguardo si spostò da Eleonora a Luna, con una lentezza maniacale, quasi lo facesse apposta a mantenere quel controllo che mandava in soggezione le tre ragazze, che si erano appiattite contro la parete.
Tremavano e Luna incontrando il suo sguardo sussultò: a quella vista l'uomo non potè far altro che mostrare un ghigno soddisfatto, la chiostra di denti era in parte ingiallita dall'eccessivo abuso di alcolici.
Aveva però qualcosa in più che lo rendeva più minaccioso: con se' portava un fetido odore di morte, come se avesse dormito in mezzo a centinaia di cadaveri e questo faceva venire il voltastomaco alle tre, che potevano trovare la speranza solo stando vicine e il più lontano possibile da quell'incubo.
«Era... dannata vacca degli dei*... come ci siamo ridotte. Una femmina corrotta dall'animo umano, resa schiava dei suoi stessi sentimenti... non potevi scegliere luogo migliore per rifugiarti, vero?»  
La sua voce era roca e spesso sembrava sibilasse le sue parole, parlava con un accento strano, sembrava una cantilena e Luna non capiva un accidenti di cosa le stesse dicendo, si limitò solo a sbarrare gli occhi.
«Dannazione Capaneo! Muovi le chiappe e vieni qua dentro. Non volevi prenderti il papà? Mh?»  
Quello che a quanto pare si chiamava Capaneo entrò nella stanza, indossava una lunga veste nera, impreziosita da ricami in fili d'oro, un lungo mantello rosso -contornato da morbida pelliccia bianca-, degli spallaci e dei gambali di bronzo su cui erano state incise parole in una lingua alle tre sconosciuta, aveva un comportamento altezzoso, camminava a testa alta guardando tutti dall'alto in basso, come se il mondo fosse ai suoi piedi; impugnava una spada di bronzo la cui elsa era ornata da un pomposo rubino unito al pomolo, i capelli unti ricadevano in alcune onde corvine sulle spalle, il naso all'insù gli dava un'aria da damerino e faceva nascere nel suo compare un evidente nota di disgusto, che espresse con una smorfia della bocca, incurvando le labbra carnose con disappunto.
L'uomo ignorò la massa di muscoli parlante e tornò sulle tre ragazze, guardando ogni tanto il corpo inerme di Eleonora che non accennava a riprendere i sensi.
«Lieta serata...»  E nel dirlo si sarebbe inchinato  «Avete.. il piacere di parlare con Capaneo, figlio di Ippolito e Laodice, Re della Guerra di Tebe, vittima del giudizio divino dello Xenio**  E a quel nome l'uomo poggiato sulla porta sarebbe scoppiato in una fragorosa risata, dal fastidioso suono gutturale. 
«Siamo qui.. io e il Divino Ercole Alcide, Umano Divino e vittima del giudizio de... insomma, vostro Divina Era» E l'attenzione si sarebbe spostata su Luna che si guardò intorno come per sperare che i due stessero guardando qualcun'altro.
Diana si allontano di mezzo passo dal gruppo, stringendo al petto il libro, cercava di non tremare e mantenere la calma.
«C-Cosa volete? Cosa abbiamo fatto? Noi non conosciamo le persone di cui parlate.. E-Eleonora..» E avrebbe quindi indicato l'amica svenuta «Morirà se n-non sposta.. ecco.. n-noi.. ecco...»
Ercole sollevò il piede e con esso diede un potente calcio alla porta che si scavarentò  contro il muro, l'infisso andò in frantumi ricoprendo parte del corpo di Eleonora di schegge, il resto andò a conficcarsi sul lungo mantello di Capaneo che sbottò indignato qualche imprecazione in una lingua sconosciuta.
«Ora va meglio, femmina? Voi dovreste essere... ah sì, D-Dana, Eiana, Dena.. beh si insomma, di voi non me ne frega molto. Oggi siamo qui per il sangue di mio Padre e quella vacca di Era. Forza Capaneo, sbrigati»
Capaneo allora puntò subito la spada contro Eleonora, tremava, aveva paura ed esitava a muoversi oltre.
Ercole sbottò indignato altre parole in una lingua sconosciuta mentre sbatteva contro un muro il Re, strappandogli di mano la spada, urlò qualcosa mentre sollevava la spada e poi..
«NO!»
Luna tese la mano verso la spada: volevano uccidere El? Perchè?
Come un onda d'urto la spada venne sbattuta contro il muro ed Ercole dovette stringersi la mano che la impugnava, perchè si era ricoperta di sangue.
Digrignò i denti mentre si gettava verso Luna.
Ma incontrò in mezzo alla sua strada Ginevra e Diana che vennero scaraventate contro il muro, perdendo a loro volta i sensi mentre una pozza di sangue cominciava a ricoprire il pavimento.
Luna era impietrita, aveva paura, era frastornata e non riusciva a muovere un'altro muscolo.
Ercole l'afferrò per il collo e la sbatte con violenza contro il muro, poi con l'altra mano libera le mollò un gancio dritto allo stomaco.
Venne colpita e lei si piegò in due, mentre un fiotto di sangue venne sputato dalla bocca, andando ad insudiciare il viso di Ercole che digrignò i denti al gesto della donna.
Sentì un orribile rumore di ossa rotte, poi una fitta incredibile vicino al petto, non riusciva a respirare perchè un dolore lancinante le mozzava il fiato, teneva lo sguardo basso, quanto bastava per inquadrare una macchia di sangue che le ricopriva lo stomaco, insudiciandole la camicia da notte che a poco a poco veniva coperta da una macchia cremisi sempre più ampia. Probabilmente con un solo pugno, era riuscita a spezzarle un paio di costole.
Stava per morire, lo sapeva.
Alzò lo sguardo a fatica verso Ercole per poterlo guardare impotenete in faccia, ma dall'alto poteva vedere Eleonora e stranamente il suo istinto la portò a guardare in quella direzione.
Capaneo aveva ripreso la spada, massaggiandosi dolorante lo spallacio che non aveva aiutato ad attutire il colpo ricevuto da Ercole.
Lanciò un'occhiata alla ragazza ancora svenuta, mostrando un evidente disprezzo, alzò la spada lasciando che la lama venisse illuminata dalla lampada a muro. Eppure esitava a colpirla, sapeva perfettamente di doverla uccidere, era il suo ruolo, era riuscito ad attirare le attenzioni del suo signore, ma ora si rendeva conto che quella che aveva davanti era solo una fanciulla che non era ancora stata promessa in sposa a nessun ragazzo che potesse prometterle la sua spada, il suo cuore e la sua scarsella. Scosse il capo: no, quella era feccia. Digrignò i denti quando rivide la scena della sua morte, quando la folgore lo aveva trapassato lasciando di lui solo il bozzolo di un vivo, che precitivava dall'arma d'assedio, cadendo con un tonfo, con il viso sconvolto e il petto squarciato ed in fiamme. Punizione divina che aveva disprezzato per tutto quel tempo.
«Addio Zeus! Che tuo fratello possa banchettare con il vostro spirito!»
Luna sapeva che non avrebbe mai dovuto scegliere di alzare lo sguardo, sperava vivamente in uno di quei colpi di scena da film americano che capolvoggessero la situazione, in cui i buoni sconfiggevano abilmente i cattivi, ma non accadde.
La lama calò e andò a conficcarsi nello stomaco della ragazza che rimase inerme distesa a terra mentre un lungo e profondo taglio le apriva una ferita che perdeva copiosamente sangue che andava a macchiare la moquette, poi il corpo di Eleonora ebbe un sussulto, si svegliò in preda agli spasmi, spalancò la bocca e cacciò un urlo di dolore.
Luna ormai non riusciva a vedere bene, la vista le si offuscava, ma lo sguardo rimaneva fisso a vedere quella tragedia che si abbatteva sulla sua amica:
«Ahah! Il Padre degli dei, eh? E voi sareste la reincarnazione di Zeus? Una donna? Una ragazzina? Muori, muori, muori!»
Capaneo rialzò la spada e andò a conficcarla con uno affondo al costato della ragazza che ormai si era svegliata ed era cosciente della sua prossima morte, la bronzea viaggiava nel suo corpo, ferendola e martoriandole il corpo con una paurosa facilità, quell'arma non sembrava essere normale come le altre, non era semplicemente nata per togliere la vita era nata per prenderla, distruggerla e strapparla via con forza per far provare quanto più dolore alla propria vittima.
Eleonora inarcò la schiena quando sentì la lama sfiorarle il cuore e Capaneo dovette percepirlo perchè ritirò la spada, prima di riabbatterla pochi secondi dopo sulla gamba della ragazza che urlò nuovamente, si sentì un raccipriccante rumore che raggelò la stanza quando la lama attraversò l'osso, dividendolo come un panetto di burro.
Eleonora ebbe uno spasmo mentre un rivolo di bava le colava da un angolo della bocca, insieme ad alcune gocce di sangue che aveva cominciato a sputare.
Fu la volta della seconda gamba.
Capaneo sorrideva impazzito, mentre sentiva le urle di dolore della ragazza, le trovava magnifiche, sapeva che la sua era follia, ma sapeva anche che quella era la cosa giusta da fare, che doveva riprendersi tutto fino all'ultima goccia, doveva vedere il Dio soffrire, doveva vedere quella ragazza soffrire, trovava che quella fosse una tortura tremendamente eccitante.
Luna sollevò un indice verso Capaneo come a volersi avvicinare a lui per fermarlo, ma non poteva fare molto in quelle condizioni, ormail il vestito era zuppo di sangue.
Ormai era agli sgoccioli.
Chiuse gli occhi e rimase in ascolto.
"Non desistere. La speranza è l'unica cosa che ci rimane quando si perde tutto. Combatti, usami."
Una voce rimbombò nella testa di Luna, mentre sentiva il corpo irrigidirsi e i battiti rallentare del tutto.
Capaneo continuava il suo sadico gioco, tagliando i tendini dei piedi senza rimorso, lasciando che quella ragazzina si dimenasse in preda agli spasmi, vomitando sangue, sgranando gli occhi e lasciando che gettassi gemiti di dolore.
La Follia lo aveva accolto, la perversione lo aveva dominato e la Malvagità lo aveva abbracciato.
Ercole si girò appena per seguire la scena e a poco a poco allargava gli angoli della bocca in un disgustoso sorriso pieno di soddisfazione.
Ma quando vide Capaneo continuare tornò alla sua solita espressione corrucciata: stava esagerando.
Si girò verso Luna, mentre stringeva nuovamente il pugno, lo allontanò per prendere la carica e appena teso quanto più possibile il braccio, cominciò a mormorare delle parole, sempre in quella lingua, sembrava una cantilena, una canzone, come stesse recitando una formula.
Un bagliore azzurro pervase il braccio di Ercole, prima di raggiungere la mano, la luce andò a spostarsi  sul palmo prima di scomparire del tutto, lasciando di se' una tenuta fiammella blu che ricopriva parte del pugno.
«Pûr Ἅδου
Lo urlò mentre abbattè il pugno contro il viso di Luna.
Non sentì nulla, proprio nulla, nessun dolore fisico per lo meno.
Poi delle voci, delle voci popolarono la sua mente: sentiva la voce di alcuni bambini, poi quella di un uomo, poi quella di due donne che discutevano animamente ed infine una voce familiare, una voce che sapeva di dover ascoltare e lì si fermò.
"I miei complimenti donna senza peplo, avrei sperato nella vostra morte, almeno mezzo millennio fa, quando vi trafissi il petto. Ed invece.. mi ritrovo a vedere il vostro frammento dopo tutto questo tempo; siete sopravvissuta per ben venti anni, stranamente. Com'è stata la vostra vita? Interessante? Spero di sì, perchè lei andrà a fare compagnia ai suoi amichetti nel mio calice."
Non capiva, la voce di quell'uomo era familaire ma non capiva proprio a chi appartenesse, aveva una voce melliflua che sembrava fatta apposta per farsi ascoltare
"Non capite, vero? Mea culpa, avrei dovuto spiegarvi meglio la vostra sorte senza strapparvi via la vita con l'ausilio di quello scimmione. Sarò breve, dentro di voi alberga Era, la madre degli dei, la signora dell'Olimpo. Non so se in quest'epoca ci siano accademie che filosofeggino sull'argomento, ma posso assicurarvi che alla mia epoca eravate una donna potente ed insuperabile, se non da vostro marito Zeus. Io che odio e odierò sempre mio fratello, l'ho fatto fuori e voi molto intelligentemente avete disperso lo spirito del Pantheon, e gli Dei hnno ben pensato di rovinarmi l'ora dell'Ambrosia per andare a ritrovare le vostre reincarnazioni per eliminarvi una volta per tutte. Tu sei Luna, ma sei anche il frammento di Era. Tutto chiaro?
Bene e ora fammi un piacere, perchè devo tornare da Persefone: muori!"
Senti una risata gelida, prima di sentire un rumore, un calore e poi... un rintocco.

Quando aprì gli occhi ormai era troppo tardi.



OOOOK! Finito >___< non uccidetemi vi prego, per quello c'è il mio avvocato è.è
Buon vomito *lancia vaschette*


-Note di spiegazione.
Era... dannata vacca degli dei*: uno degli epiteti di Era, era (dio che assonanza orribile D:) ''bovina'', no lo so che è triste, ma secondo i greci a quanto pare avere lo sguardo da bovino era un complimento. Siccome Ercole è un buzzurro simpatico, sfotteggia Era e la chiama vacca, oltre al fatto che è un insulto di suo X°°

vittima del giudizio divino dello Xenio**:  Uno dei milleducento epiteti di Zeus è Xenos, che significa Zeus degli Stranieri (visto che era protettore dei viandanti), Capaneo chiamando così Zeus fa intendere che per lui è un dio minore, lo sminuisce, attribuendogli il titolo meno illustre del Padre: per lui Zeus è come uno stranieri, per lui è una divinità come tante che ha solo la differenza di venir debellata per sua mano.
  
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