Capitolo
1 Un
tetro summit
La
festa era finita ed il salone dei simposi si
stava svuotando, La Divina Atena guardava la scena appoggiata ad un
elegante
colonna corinzia la sala marmorea era ormai quasi vuota e non appena le
si posò
sulla spalla una civetta, la stessa che potreste immaginare sulle
Dracme
Ateniesi, la Dea sembrò uscire da uno sorta di trance
“elaborativa”
<< γεια
ή
κουκουβάγια
>> le
disse con noncuranza, poi però dopo aver
sentito il breve “rapporto” del pennuto la sua
espressione di altezzosa
saggezza mutò all’improvviso gli occhi grigi come
nuvole temporalesche si
sbarrarono e la bocca, di solito paralizzata in orizzontale, si
contorse in una
strana e terrificante smorfia di rabbia; questo cambiamento plateale
nel volto
della dea fu notato poi da un satiro e da una ninfa che passavano di
là ed è
tuttora loro opinione di essere stati fortunati a poter uscire ancora
con la
forma che gli aveva dato la natura e soprattutto ancora in vita...
In un primo momento sembrò che ella dovesse
esplodere, ma poi come
solito tornò alla calma e tornò immediatamente
alla sua residenza, un imponente
edificio di marmo, che ricordava vagamente il Partenone, il cui
frontone
decorato con una lamina d’oro recava la raffigurazione dei
suoi più grandi
trionfi ed in particolar modo la vittoria nella disputa con Poseidone
per il
patrocinio della città a lei dedicata; Poseidone il Dio il
cui avventato figlio
aveva osato toccare Annabeth, che fra tutte le sue figlie era di certo
la sua
prediletta, Perseus Jackson doveva pagare pensò infine
entrando nel suo
scrittorio e accostando la maestosa porta di noce cesellato. Si sedette
su una
comoda poltroncina foderata di velluto verde e iniziò a
pensare a come punire
il giovane, si rigirò e rivoltò sulla sedia per
ore pensando alle più atroci
torture e mutilazioni che la mente potesse concepire, ma
l’esecutrice non poteva
essere lei ci voleva un dio si ma uno che odiasse il ragazzo e avesse
la
fermezza per stroncarlo una volta e per sempre. Sarebbe potuto essere
Dioniso?
No troppo tenero ed in effetti solo scocciato dalla punizione subita...
Il
candidato perfetto era Ares odiava sì il ragazzo e avrebbe
detto di averlo
fatto per la profezia, ma Jackson era un guerriero dalle mille sorprese
avrebbe
dovuto immobilizzarlo ed ovviamente l’unico in grado di
forgiare catene
abbastanza resistenti era il Dio delle fucine Efesto, forse convincerlo
sarebbe
stato più difficile ma usando l’argomento adatto
avrebbe ceduto infondo
sull’Olimpo ogni Dio, Ninfa, o spirito di qualsivoglia genere
conosceva la sua
avversione per gli amanti e le loro “colpe”.
Si
mise in cammino verso l’Etna di lì a 2 ore e
svegliò Efesto nel cuore della notte, L’interno
del vulcano era come sempre
rovente e polveroso e c’erano ovunque pile di attrezzi da
fabbro sporchi di
fuliggine e a volte persino fusi sulla punta; ben presto
arrivò il Dio che
cercava con indosso uno spartano grembiule da fabbro la barba rossiccia
totalmente arruffata ed il congegno metallico sulla gamba allacciato in
malo
modo << Che c’è a
quest’ora? >> chiese quasi con uno sbadiglio
<< Mi serve il tuo aiuto... per punire due amanti
>> gli rispose
Atena con una falsa pazienza << Io...beh credo di...
poterti aiutare
>> annuì Efesto inizialmente un po’
titubante << cosa ti serve?
>> chiese poi a mo’ di commesso
<< una catena ASSOLUTAMENTE
infrangibile >> ordinò gelida guardandolo con
gli occhi grigi <<
dovrei averne una qui da qualche parte to’ eccola
tieni>> gli rispose
allora porgendole una catena, all’apparenza molto massiccia
ma nella realtà
estremamente leggera, che macchiò poi il completo della
Divina acquirente con
lucenti residui di metallo << Grazie Fratello
>> pronunciò queste
parole con uno sguardo sadico negli occhi che poco aveva da lasciar
intuire;
avrebbe arrecato dolore.
La
mattina seguente andò invece a far visita al più
bellicoso dei congiunti, Ares, la sua dimora o per meglio dire la sua
fortezza
si trovava appartata anzi quasi isolata ma non per desiderio di
solitudine
bensì per la paura di essere i vicini del dio della guerra
che attanagliava
quasi tutti; L’edificio era a pianta rettangolare realizzato
con solide pietre
e con al cento un immenso campo d’armi dove Ares faceva
sfoggio delle sue
sorprendenti risorse belliche ed infatti lo trovò ad
allenarsi con un
giavellotto completamente incendiato senza che però
incontrasse la minima
difficoltà nel lanciarlo o nel sostenere il bruciore, il
colloquio fu breve e
le risposte del dio monosillabiche avrebbe preso parte al tranello quel
breve e
tetro summit era stato davvero fruttuoso.
P.O.V.
(Percy)
La
vita al Campo era tornata alla normalità sveglia,
allenamenti, pranzo, allenamenti, cene e ... ? Fino a poco tempo prima
la sera
era stato il momento dell’amicizia e delle strane
consultazioni con Annabeth,
ma dopo la sera
precedente era tutto
cambiato, non ricordavo molto della serata ma ricordavo
l’emozione forte di
aver stretto quelle labbra alle mie, il riflesso negli occhi di lei e
il suo
indescrivibile profumo di libri, pergamene, ma anche di corazze e di
mostri
sbriciolati quel profumo di... lei. Era una follia ma ci voleva
provare, ci
doveva provare alla fine mi feci coraggio e lo chiesi <<
Annab...vuoi...vendam stasera? >> << Che?
>> mi rispose lei
ridendo era raggiante allora chiesi di nuovo << Annabeth
vuoi venire da
me stasera? >> << Non ti comporterai
indecentemente vero? >>
mi chiese con una civetteria quasi irresistibile, allora io la guardai
negli
occhi grigi e intensi come quelli della madre e la stuzzicai sorridendo
<< non senza il tuo permesso >>
poi la presi fra le braccia e la baciai platealmente
così che tu potessero
vederci, io non volevo più nascondere i miei sentimenti, la
amavo? Si con tutta
l’anima, le avrei mai fatto del male? No mai neanche a costo
della mia stessa
vita o almeno credevo che non gliene avrei mai fatto.
Quella
sera lei venne da me nella casa dei figli di
Poseidone,dove vivevo solo, e ci sedemmo su un triclinio che a volte
usavo per
una pennichella, tutto nel mio corpo mi urlava qualcosa e dei pensieri
“impuri”
mi attraversarono la mente, ma lei era più che un’
avventura e li trattenni
senza troppo sforzo, non parlammo ma in quel silenzio fatto di sguardi
e baci
carpii l’immagine di lei che avrei conservato fino alla
morte, bella e quasi
sacra andammo poi in riva al lago reso fantastico dalla luna quasi
piena ci
sdraiammo sulla riva a guardare quel cielo fatto di sogni e speranze,
dopo
quelle che furono forse ore lei fece per andarsene, ma io mi alzai la
raggiunsi
le slacciai la toga, che si era messa con mia somma sorpresa,
all’altezza del
collo e iniziai a baciarglielo implorandola di restare con me e
così fu ci
sdraiammo e dormimmo lì avvinghiati come da un incantesimo.