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Autore: MelanyHolland e Akemichan    26/02/2006    9 recensioni
Volumi cinque/sei. Conan viene rapito dagli uomini dell'Organizzazione, i quali, si scopre, sono in realtà i suoi genitori travestiti. E se invece quella donna e quell'uomo fossero stati veramente due membri dell'Organizzazione, cosa sarebbe potuto accadere a Conan?
Genere: Azione, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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4.

Conan si rialzò lentamente, sentendosi la camicia bianca macchiata di fango e bagnata. Attorno a lui, il terreno emanava un forte odore di bagnato e di terriccio. «Merda!» Era furente. Come aveva osato, lei, lanciarlo via in quel modo, impedendogli di aiutarla? Era dolorosamente preoccupato per la sua sorte, saperla lì, da sola, contro quell’assassino, lo faceva star male più di quanto potesse sopportare, il suo stomaco pieno di piombo incandescente. Avrebbe dovuto essere al suo fianco, a proteggerla… Non poteva permettere che rischiasse la vita da sola, non dopo averla convinta a seguirlo, trascinandola lui stesso nel pericolo, con l’illusione della salvezza. 

A passi lenti e tremanti per la brutta caduta che avrebbe dovuto salvargli la vita, si avviò verso la finestra, cercando di capire cosa stesse succedendo all’interno dell’edificio, senza riuscire a vedere nulla a causa della luce spenta. E poi avvenne. Il rumore tagliente di uno sparo gli arrivò fin dentro alle orecchie, quasi come se gliele avesse squarciate. Impossibile non capire da dove provenisse.

Rimase immobile, pietrificato, come se lo sparo avesse avuto la capacità di trasformarlo in una roccia. Una roccia molto fragile, visto il dolore che si agitava nelle sue viscere, rischiando di indebolirlo sempre di più. Il suo tempo si fermò: restò lì immobile, gli occhi sbarrati, incapace di immettere aria, l’accesso ai polmoni sbarrato, il cuore gonfio in gola. Per l’ennesima volta dall’inizio delle sua carriera, se così poteva chiamarla, aveva fallito, aveva illuso Shiho, dicendole che l’avrebbe aiutata, che le cose sarebbero state migliori. Invece l’aveva fatta affogare, trascinandola giù nell’abisso, usandola per riemergere da solo. Era proprio un inetto, un imbecille, un incapace. Sorrise, leggermente ironico, pensando a tutte le ammiratrici che gli inviavano lettere d’amore: come poteva piacere a loro, visto com’era veramente? Pensò anche a Ran, che aveva sempre avuto fiducia in lui, che gli era sempre stata accanto, dandogli sostegno qualsiasi decisione prendesse. Probabilmente, non avrebbe più potuto rivolgergli la parola, dopo quest’avventura, sempre che fosse riuscito a salvarsi veramente, cosa che, in quel momento, non lo preoccupava neppure.

Shiho era morta. Lui aveva permesso che la uccidessero. L’unico responsabile era proprio lui, che prima l’aveva convinta a mettere la sua vita in pericolo e che poi non era stato in grado di rispettare la sua promessa e proteggerla. Si faceva schifo, si sentiva tremendamente in colpa: sua sorella, Akemi, gliel’aveva affidata, usando le ultime forze che le restavano per parlare, spuntando sangue, e lui aveva deluso entrambe le ragazze. Sherlock Holmes aveva mai fallito? Sì, sarebbe stata la risposta esatta, ma Conan era troppo distrutto, si sentiva troppo vuoto e dolorante per riuscire a rammentare tutte le avventure del grande detective.
Un altro pensiero gli balzò alla mente. Era stata Shiho a sparare! Tuttavia, questa considerazione non lo fece stare meglio, tutt’altro. A causa sua, forse, lei  era diventata una vera assassina. Grandioso! Dopo averla accusata, consolata, aiutata… Che aveva fatto? L’aveva unicamente resa come volevano loro! Se l’avesse rivista, cosa avrebbe potuto dirle? “Perdono…”!? E lei, avrebbe dovuto sparare anche a lui, perché se lo meritava!

«Ho sempre creduto che i detective fossero furbi come le volpi… Evidentemente sbagliavo.»

Conan si voltò. Attraverso la nebbia della notte nera, vide Gin, inconfondibile a causa dei suoi lunghi capelli biondi, ma con il corpo completamente mimetizzato nell’aria. Sorrideva, ironico come sempre, puntando la pistola contro di lui.

«Meglio così» continuò, mentre con la sua voce tagliente infieriva al bambino ferite invisibili da vedere. «Potrò impiegare in attività più proficue il tempo che risparmierò!»

«Come rubare, uccidere, ricattare?» replicò Conan, cercando di imitare il sarcasmo dell’uomo, non riuscendovi. Il pensiero del fallimento ancora gli attanagliava le viscere, la sua voce resa fioca e triste, quasi tremante.

«Conosci forse altri modi di divertirsi?»

Conan avrebbe voluto rispondergli di sì, che ne conosceva almeno una ventina, ma sarebbe davvero servito? Il tempo per la risposta lo impiegò nel pensare ad una strategia. Stringendosi il polso dietro la schiena, si accorse di non indossare il suo orologio-narcotizzante, quindi non poteva addormentarlo e poi scappare. Pensando alla promessa che non aveva mantenuto, la voglia di farsi uccidere senza difficoltà aveva sfiorato il suo cuore, ma, se lo avesse veramente fatto, avrebbe tradito altre persone e questo non poteva più permetterlo, non una volta in più. Stropicciandosi le unghie dei piedi, notò che indossava le sue scarpe da ginnastica. Forse le aveva messe uscendo dal laboratorio, forse non gliele avevano mai tolte, ma non era che un particolare di nessuna importanza, eppure lo tormentava ad eco nella sua mente. Si concentrò: non appena l’uomo avesse sparato, lui si sarebbe gettato lateralmente, quindi avrebbe afferrato il primo sasso sottomano e glielo avrebbe scagliato addosso. Spostò leggermente la gamba sinistra, cercando di abbassare la leva di attivazione delle scarpe senza farsi notare.

«Credo di no» disse allora Gin, stringendo la presa sulla pistola. Lo sparo arrivò con anticipo rispetto a quanto Conan si aspettava, perciò non riuscì a trovare alcun sasso, mentre si gettava di lato per evitarlo. Rialzandosi, con le labbra piene di erba e terra, sentì un altro sparo. Per un attimo, il cuore e i polmoni smisero di funzionare, senza alcun apparente motivo. Si voltò verso il suo avversario. Gin era ancora fermo nella stessa posizione, ma gli occhi guardavano nel vuoto, come spenti. Senza una parola, il leggero rivolo di sangue gli uscì dal naso, sporcandogli la bocca ancora ferma in un sorriso ironico, quindi cadde a terra con lo stesso rumore di un sacco di sabbia abbandonato dagli operai in un cantiere, vivo come un ramo secco.

Togliendosi dalla visibilità di Conan, gli permise di osservare l’omicida: Shiho, una statua di sale con ancora la pistola stretta con entrambi le mani. Era piegata leggermente di lato, poggiata sulla gamba destra, visto i fili di sangue che uscivano da una ferita di pistola sulla coscia sinistra. Lentamente, le sue braccia tremarono con una contrazione involontaria dei muscoli, sempre più velocemente, lasciando cadere a terra la pistola. Il tremolio si spanse a macchia d’olio lungo tutto il corpo, finchè Shiho non si piegò sulle ginocchia, mescolando il sangue al fango. Si strinse la testa, come se il “Nooo!!” che non le usciva dalle labbra le risuonasse nella mente.

Conan corse immediatamente verso di lei, appoggiando la sua testa morbida contro il suo piccolo petto, tenendola stretta e cullandola, per quanto fosse in grado con l’insensibilità che ormai era convinto di possedere. «No, no, non è successo niente» le sussurrò. Certo, era contento che fosse ancora viva, ma viva in quel modo, era terribile. «Non è morto, non l’hai ucciso…» E visto il forte odore di sangue che il cadavere emanava, la sua frase non avrebbe ingannato neppure un cieco.

Sempre accarezzandole il suo capo di grano profumato di pane, Conan alzò lo sguardo, vedendo le finestre dell’edificio illuminarsi una a una, come i ceri di una chiesa. Gli spari avevano per forza attirato l’attenzione degli altri uomini in nero. «Dobbiamo andarcene!» Senza osare staccarsi da lei, colpì la pistola con uno dei suoi potenti calci, aprendo un ampio buco nel muro di recinzione, quindi ve la trascinò dentro senza troppe difficoltà, visto che lei era diventata una bambola di pezza nelle sue mani. Aveva smesso di tremare, ma era anche peggio, perché non emetteva alcun suono e i suoi occhi erano diventati azzurri e vuoti, orribili. Dov’era l’oceano? Conan si maledì mentalmente, però avrebbe pensato dopo a farla sentire meglio. In quel momento, doveva almeno pensare a salvarla, visto che l’aveva costretta a diventare un’assassina. Sentì il cuore stringersi in una morsa a quel pensiero, ma scacciò la sensazione: doveva concentrarsi sulla fuga, a dopo i rimpianti. Se non ci fosse riuscito, non avrebbe più avuto il diritto di appartenere non solo alla categoria dei detective, ma nemmeno alla specie umana.

Arrivati quasi sani sul marciapiede, furono accecati, se ancora gli occhi di Shiho avessero potuto percepire qualcosa, dai fari abbaglianti di una macchina che si accostò di fianco a loro. «Conan? Allora sei proprio tu!»

«Tenente Takagi!» esclamò il bambino, riconoscendo l’uomo appena sceso dall’auto; non si era mai sentito tanto bene in vita sua, lo stomaco alleviato da quella brutta sensazione, tutto il corpo che rispondeva all’avvenimento con un sospiro di sollievo. Allora Dio esisteva! «Dobbiamo portare questa ragazza in ospedale, è urgente! È dobbiamo scappare di qui! Presto!»

Takagi non capì veramente nulla di quello che stava succedendo, ma vide bene le strisce di sangue che si stavano pian piano coagulando sulla gamba pallida di Shiho. La prese in braccio, senza che lei opponesse resistenza, tanto che lui credette che fosse svenuta, e l’appoggiò delicatamente sul sedile posteriore, mentre Conan, senza che nessuno gliel’avesse detto, salì accanto al guidatore. «Ora mi spieghi tutto, eh!» commentò Takagi mettendo in moto.

***

Il tenente Takagi passò la maggior parte del tempo ad accavallare l’una e l’altra gamba, agitato. Conan, seduto con le gambe a penzoloni a causa della sua bassa statura, non staccava gli occhi dalla sala operatoria in cui stava Shiho. Alla fine, l’ispettore Megure si azzardò a chiedere: «È dura credere a ciò che ci hai raccontato, Conan»

«Sono Shinichi Kudou» ribatté lui, senza distogliere lo sguardo. «Shiho Miyano e il professor Agasa ve lo confermeranno, così come la prova del DNA» A questo punto, anche nascondere la sua vera identità non serviva, visto che la conosceva l’Organizzazione. Aveva bisogno dell’aiuto della polizia per proteggere tutte le persone che amava e che, per colpa sua, erano in pericolo. Doveva arrendersi alla triste evidenza che, da solo, non poteva riuscirci.

«Sì, Shinichi» acconsentì Megure. «Ma-»

Un’infermiera uscì dalla stanza, avvicinandosi ai tre. Conan balzò giù dalla sedia, agitato e col cuore in gola, che pulsava quasi volesse saltar fuori. «Allora?!»

«Mi dispiace» L’infermiera scosse la testa. «Il proiettile è rimasto infisso nella gamba, esattamente sopra l’arteria. In pratica, il proiettile sta fungendo da tappo. Se lo estraiamo, morirà dissanguata in un istante. D’altra parte, non possiamo lasciarlo dove si trova, perché il sangue, seppur lentamente, fuoriesce ugualmente e… l’emorragia interna non si può più bloccare»

«No!» deglutì Conan, la voce spezzata, mentre la sua gola di trasformava nel deserto del Sahara. Si precipitò dentro la stanza, senza chiedere permesso a nessuno, e si gettò sul letto. «No, Shiho, no!» Le strinse la mano, più pallida del solito, al cui polso era legata la flebo della trasfusione. All’altro braccio era legata una flebo nutrizionale. «I-io…» Avrebbe voluto dirgli milioni di cose, ma in quel momento non gliene veniva in mente nessuna.

Shiho voltò leggermente verso di lui la testa affondata nel cuscino sottile. Gli occhi oceano risplendevano sulla sua carnagione pallida, ma erano ancora spenti, come se il mare fosse oscurato dall’inquinamento di una petroliera. Ed era stato lui a ridurla in questo modo! Non disse nulla, limitandosi ad osservarlo.

«Non puoi morire, non adesso…» Le ciglia nere si bagnarono. «Non posso permetterlo, non a te…!»

Lentamente, Shiho sorrise sardonica. «Non sto affatto morendo.»

Il tono con cui lo disse era terribilmente serio e sarcastico, come sempre. «Come!?» Conan desiderava credere ardentemente a quelle parole.

«Non sto morendo» ripeté lei. «Ho chiesto all’infermiera di dirvi questa bugia» Staccò le mani da lui per alzare il lenzuolo, in modo da mostrare il gesso che le fasciava la coscia, da ci usciva il tubicino per il drenaggio. «Il proiettile è stato estratto, ma ha crepato la tibia. Con un po’ di riposo starò bene»

La tristezza lasciò immediatamente il posto alla rabbia. «Perché diavolo hai fatto una cosa del genere?!»

Shiho si strinse le labbra. «Perché… Volevo vedere se tu avessi pianto per me…» Gli occhi divennero umidi, proprio come il mare, e riacquistarono il loro triste colore originale.

La sua sincerità spiazzò Conan, che dimenticò immediatamente lo scherzo di pessimo gusto. «Idiota» le sussurrò, accarezzandole i capelli come se fosse una bambina piccola. «Adesso, non sei più sola…» Si ricordò di quello che le aveva fatto fare, e rabbrividì, il cuore bruciante di rabbia con se stesso e di rimpianto. «S-scusa…»

«Di che?» Un leggero stupore le increspò le labbra.

«Io… Tu… Gin…» Parole sconnesse nel vuoto.

«È stato terribile» ammise lei, scossa nuovamente da brividi. «Tutte le ferite che mi sono state inflitte, lo so, non guariranno mai. L’Organizzazione mi ha rubato tutto, e alla fine mi ha costretta ha regalarle l’unica cosa che mi era rimasta: la mia innocenza.» Respiro profondo. «Non avevo mai sparato a qualcuno, sai?» Gli confessò, con un sorriso per nulla allegro che contrastava con i suoi occhi scuri e tristi.

«Dev’essere stato difficile…» mormorò, in un fil di voce.

«No, non in quel momento. È accaduto tutto troppo in fretta perché me ne rendessi conto. Ma dopo…» la voce le morì in gola, e fissò un punto imprecisato del pavimento, le labbra strette. Conan si mosse per accarezzarle la schiena, esitante, e si rilassò un poco quando lei glielo permise senza batter ciglio.

«È doloroso. Ma potrei resistere, se avessi qualcuno. Non volevo perderti-»

«Sono qui! Sempre!» esclamò Conan con foga.

Per un poco, entrambi rimasero in silenzio. «Grazie. Di tutto»

L’ispettore Megure entrò nella stanza. «Scusate se vi disturbo» tossì leggermente. «Ma dobbiamo parlare di cose più terra-terra»

«In che senso?» Conan riacquisì la sua tranquillità, sedendosi sulla sedia accanto al letto.

«Per il momento, siete al sicuro. L’ospedale è sorvegliato costantemente dai miei uomini» spiegò il poliziotto. «Tuttavia, non possiamo continuare a proteggervi in questo modo. Ho contattato l’FBI, per farvi entrare nel programma di protezione testimoni»

«Che?» Conan si accigliò «L’indagine sull’Organizzazione è mia e-»

Megure lo interruppe mettendo una mano davanti a sé. «Adesso che loro hanno scoperto la tua identità, non solo tu corri dei rischi, ma anche tutte le persone intorno a te, a cui, ovviamente, dobbiamo dare protezione. Il professor Agasa, la famiglia Mouri, la tua famiglia, le famiglie dei bambini della scuola elementare Teitan, tutti» Lo fissò, con i suoi occhi severi da sotto la tesa del cappello. «Non sei in grado di farlo da solo» Suo malgrado, Conan fu costretto ad annuire. Megure si rivolse a Shiho. «Dove vorresti andare ad abitare, da ora in poi?»

Shiho sospirò senza farsi notare. La sua vita sarebbe stata ancora più pericolosa, però non poteva più tirarsi indietro. Sarebbe andata avanti, qualunque cosa fosse successa, così come aveva sempre fatto, perché, come prima, non era più sola. «Hawaii».

***

E così, era arrivato il momento della partenza. Un piccolo aereo la stava aspettando per portarla nella sua nuova casa, alle Hawaii, come aveva chiesto, verso la sua nuova vita. Era libera, teoricamente, e lontana dagli uomini che l’avevano tanto fatta soffrire. Però, continuava ad avere paura. Non era sola, ovviamente, perché lui le aveva promesso di rimanere al suo fianco, però sarebbe stato tanto lontano da lei…

«Ai…» Quando quella voce familiare la riscosse dai suoi pensieri, chiamandola con il suo nuovo nome, Shiho si accorse di una lacrima che le era sfuggita dai suoi occhi e subito si strofinò la guancia con la manica del maglioncino, rivolgendo al suo interlocutore il solito sguardo, apparentemente gelido: eccolo, Shinichi Kudou, alias Conan Edogawa, che la guardava apprensivo e corrucciato attraverso le lenti degli occhiali, cercando di vedere dentro di lei, senza, come al solito, riuscirci. Akemi, invece, lo avrebbe fatto al primo sguardo.

Rimasero immobili a fissarsi per qualche secondo, lui all’inizio della pista, una t-shirt stropicciata verde e un paio di calzoncini jeans, lei con il piede già sulla scala dell’aereo, maglioncino smanicato bordeaux e calzettoni dello stesso colore, che le coprivano le gambe fino alle cosce, mentre la gonna nera ondeggiava leggermente. Conan si era accorto della sua lacrima, naturalmente. Conan era preoccupato per lei, naturalmente. Ma Conan non era corso ad abbracciarla per confortarla. Nessuno l’avrebbe fatto mai più. Nessuno le avrebbe mai voluto bene. Conan…? Lui aveva un’altra ragazza di cui prendersi cura. E non era lei. Non lo sarebbe mai stata.

«È tutto okay?» chiese esitante, facendo qualche passo avanti. Lei distolse lo sguardo. Quegli occhi le facevano male, soprattutto se la fissavano in quel modo. La portavano a illudersi che qualcosa fosse cambiato… ma non poteva cambiare nulla, specialmente in quel momento. A meno che l’Organizzazione non fosse stata totalmente debellata, cosa di cui dubitava, non si sarebbero visti mai più. Doveva dimenticarlo. Paradossale davvero! Avrebbe dovuto dimenticare l’ultima persona che le era rimasta al mondo.

«Niente, Kudou. Proprio niente è okay.» Replicò con voce fredda, senza guardarlo.

Lui si avvicinò a lei, in modo che né i poliziotti attorno a loro né il pilota già a bordo potessero sentirlo. «Non fare così…non è vero…» replicò lui a voce bassa. «Ora… Non devi più preoccuparti…di Loro. Hai una nuova vita!»

Certo, com’era facile per lui parlare. Kudo non aveva vissuto, provato, visto tutto ciò che era passato sotto i suoi occhi. Lui non sapeva cosa volesse dire perdere qualcuno, sentirsi abbandonati, soli…Kudo non sapeva cosa volesse dire veramente avere freddo.  Per lui il sole aveva sempre brillato, mentre l’Organizzazione non era stata che una nuvola passeggera; che incombeva ancora sul suo capo, questo sì. Ma niente in confronto all’oscurità che era stata per lei. Una nuova vita… Aveva senso, senza nessuno accanto? Non disse nulla, perché non voleva piangere ancora di fronte a lui. Mostrandogli le sue debolezze, si era affezionata, e non avrebbe dovuto, perché sapeva che non avrebbero potuto rimanere insieme.

«Avevi ragione» continuò allora lui. «Io credo di essere tanto bravo, ma quando veramente conta, io…» Sospirò pesantemente «...fallisco.» 

Aveva distolto lo sguardo da lei, il riflesso della luce elettrica sui suoi occhiali rendeva impossibile cogliere la sua espressione. «Avrei dovuto salvarla. Avrei dovuto impedirti di ucciderlo. So che non potrai mai perdonarmi, e non te lo chiedo. Vorrei solo non vederti così»

«Così come?»  ribatté lei, gelida, soffocando le sensazioni che attanagliavano il suo cuore.

«Senza speranza. Quasi come se fossi morta» Avrebbe tanto voluto vedere quell’oceano libero da qualsiasi nuvola e da qualsiasi onda, ma magnetico come ricordava di averlo visto per la prima volta.

«Tu non sai niente, Kudo» Le lacrime le pizzicavano gli occhi. Doveva partire, al più presto! Ma il suo corpo si rifiutava di obbedirle, ovviamente. «Cosa ho passato… Come mi sento…»

«No, è vero» ammise con un altro sospiro. «Ma, come ti ho già detto, puoi contare su di me, anche se saremo lontani. Ricordatelo sempre» Sorrise allegro. «Mandami una cartolina, mi raccomando!» Era una frase assurda da dire, in quanto sapeva bene che non potevano tenere contatti di alcun tipo, o avrebbero compromesso la protezione che l’FBI stava dando loro, ma almeno lasciava nell’aria l’illusione di un incontro futuro, e lasciava trapelare un  altro messaggio, più profondo e intenso, una supplica a cui non si sarebbe mai permesso di dar voce, perché avrebbe oltrepassato i limiti del loro rapporto, di quella tacita barriera che lei aveva innalzato: Non dimenticarmi. 

Shiho sapeva che Kudo  non l’avrebbe mai amata, non l’avrebbe mai guardata come se fosse la persona più importante che avesse, come l’aveva visto fare con Mouri....ma sarebbe stato lì per lei, per sempre.

E questo le bastava.

«Shinichi…» sussurrò, senza che lui potesse udirla. «Ti voglio bene…» Salì a bordo dell’aereo e il pilota chiuse finalmente le portiere.

Allora, Conan alzò lo guardo verso l’uccello meccanico che l’aveva inghiottiva e che la stava allontanando per sempre. Il sole era talmente forte che lo accecò, nonostante le lenti degli occhiali rese scure dal professor Agasa. Si coprì gli occhi con la mano, desiderando con tutto se stesso che quel sole fosse capace di allontanare per sempre il gelo che impediva a Shiho di vivere. E non sapeva, o, meglio, non era riuscito a capire, che quel sole era proprio lui stesso. «Arrivederci, Shiho».  

Eccoci quindi all'ultimo capitolo. Spero che vi sia piaciuto come tutto il resto della storia ^^Ora, i ringraziamenti finali da parte di tutte e due le autrici, apposta perché è l'ultimo ^_-

Francesca Akira89: ciao! Grazie di cuore della recensione. Questo capitolo avrà sicuramente chiarito i tuoi dubbi, anche perché, siccome è l’ultimo, sarebbe preoccupante se non l’avesse fatto (^^”). Sono felice che la storia ti piaccia, e sono sicura che lo è anche Akemichan. Un bacio.
                                    ciao ^^ grazie della recensione. Come hai visto, Conan non ha permesso che accadesse ^^E meno male che il mix è venuto bene, perchè le due storie separate in sè andavano, metterle insieme è stato un casino... ma semi dici che andavano bene, tiro un sospiro di sollievo. per il resto, quoto completamente Melany Bye ^^

Doremi-chan: grazie dei complimenti! Spero che il seguito non ti abbia deluso! Baci.
                            ciao ^^ grazie della recensione. Qui scusa il ritardo, è colpa mia. Spero che ti sia piaciuto ugualmente. Bye ^^

Ginny85: ciao carissima! Ti ringrazio delle lodi, sei sempre dolcissima. Questa ff è il frutto degli sforzi congiunti miei e di Akemichan (anche se a lei va gran parte del merito, ad essere onesti), e sono felice che la apprezzi tanto, e che sia venuta bene. Anch’io ho notato che spesso, nel manga, Akemi è solo un nome vagheggiato e astratto. Sarebbe interessante un approfondimento del personaggio, sia come singolo, sia nel suo rapporto con Ai. Pensa che nell’anime hanno addirittura stravolto tutta la sua storia, inventandosi una puntata apposta, che nel manga non esisteva, per farla comparire! Cose da pazzi! O__O Ancora grazie mille dei complimenti, a risentirci! Un bacio.
                   Ciao ^^ grazie della recensione. Melany esagera quando dà il merito a me, la parte del flashback su Akemi e Shiho è tutto merito suo,  io ho solo rimesso insieme i cocci ^^Ma sono perfettamente d'accordo sia con lei che con te sul personaggio di Akemi, che in pratica vive solo in funzione di Shiho, ed è un peccato perché la storia delle due sorelle ancora vive dev'essere davvero meravigliosa, benché drammatica. Posso essere un po' orgogliosa cvhe la storia ti abbia fatto commuovere? E' molto bello quando una fic riesce a dare certi sentimenti. Spero che anche questo sia all'altezza degli altri. Bye ^^

Questo e tutto. Spero che anche il quarto chap sia di vostro gradimento. Fateci sapere, okay?
Melany & Akemichan

  
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