Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |       
Autore: Angelofire    04/06/2011    1 recensioni
Racconto di scrittura creativa per scuola. Il racconto è basato sulla storia del Fantasma dell'Opera riassunta in chiave fiabesca, con protagonista un topolino emarginato dalla società.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Racconto Accademia

 

the mouse of the opera

Capitolo 1 .....L'inizio.....

 

 

La pioggia iniziò a cadere. Goccia dopo goccia la città si bagnò tristemente. Le nuvole tinte di nero dalla notte oscura, si abbracciavano tuonando rabbiose. I ciottoli dei vicoli di Genova si scurivano con l'arrivo della pioggia. I muri della case formavano un'unica muraglia colorata.

Percorrendo una di queste vie, si può raggiungere una grande piazza, che espone una fontana circolare. Accanto alla piazza sorge una statua, che sorveglia un'altro piccolo spiazzo. Dietro a un muro di pioggia si erge un edifico: l' Accademia.

 

Un tuono. Alcuni vetri caddero a terra.

Un'ombra si mosse veloce.

Aric odiava i tuoni. Per questo si nascondeva vicino all'ascensore. Appena sentiva una goccia, lasciava la propria postazione e correva nel piccolo buco, accanto a una grata. Il buco conduceva all'interno di un angusto stanzino, probabilmente, l'ingresso di qualche edificio. Al suo interno: qualche foglio appeso, delle scale e un ascensore. Aric conosceva bene quel luogo poiché, di tanto in tanto, ci si intrufolava, per afferrare qualche briciola lasciata dai panini, trangugiati dagli abitanti di quel luogo.

In quell'istante Aric tremava, nell'angolino. Un'altro tuono. Avrebbe voluto avere con sé la sua famiglia, ma lo avevano allontanato.

Un lampo.

La pelliccia bianca di Aric si illuminò. Gli occhi rossi davano l'impressione di assorbire tutta la luce .

 

I temporale terminò. Il sole sorse. Lentamente la città si svegliò. Le persiane si appoggiavano silenti sui muri. Le pozze d'acqua riflettevano il cielo azzurro.

Le prime persone.

Le prime automobili.

Le prime parole.

I primi mormorii.

I primi rumori di una città grande come Genova nel 2009.

 

Il Palazzo dell'accademia sorgeva sulle macerie del convento di San Domenico. Preceduto da un porticato, i due ingressi dell'edificio erano: una maestosa scalinata in marmo al centro di una grande stanza e poco più in là, l'angusta stanzetta, con l'ascensore e la scala di servizio.

Aric si era addormentato. Raggomitolato in quel modo sembrava un batuffolo di cotone. Alle 7:00 l'ingresso secondario, iniziò ad animarsi. La porta anti-panico iniziò a scricchiolare. Dei passi e poi un tonfo. Aric si svegliò di soprassalto. Si guardo attorno, e vide degli esseri umani chiacchierare tra loro. Rimase lì a fissarli. Non ne aveva mai visti così da vicino. Qualche istante e i due esseri entrarono nell'ascensore. Dopo quelle due creature ne arrivarono altre e nessuno fece caso ad Aric. Lui rimase lì a fissare l'uno dopo l'altra, ogni essere umano, donna, uomo e bambino, varcare l'ingresso e sparire in quella gabbia di ferro. Quando giunse il pomeriggio Aric decise di provare il salto. Voleva entrare nell'ascensore, per capire, per sapere, dove finivano quegli umani. Alcuni sbucavano dall'ascensore ore dopo, altri invece non tornavano più.

Attese.

Una donna entrò. La porta d'ingresso, dopo il cigolio iniziale, si chiuse con un tonfo che fece vibrare i ventri. La donna portava i tacchi, e non fece altro che aumentare il fastidioso frastuono. Appena le porte dell'ascensore si aprirono lei entrò, decisa, ed Arac fece lo stesso. Silenzioso e leggerò come una piuma, girò l'angolo e si intrufolò all'interno della cabina.

Le porte si chiusero. Aric si era rintanato in un angolino simile al precedente, questa volta però era circondato dal freddo. Il ferro era una cella frigorifera per Aric. Lo stanzino iniziò a vibrare. Il pavimento tremò. La donna non si mosse, anzi attese la fine del terremoto, e appena le porte dell'ascensore si aprirono uscì, con la stessa decisione con cui era entrata. Aric non si mosse. Le porte si richiusero. Il pavimento tremò nuovamente ed infine si riaprirono. Questa volta Aric non si fece scappare l'occasione. Si mosse prima lentamente e poi, corse fuori dalla gabbia di ferro. Si trovò davanti a un lungo corridoio. Non capiva. Sentì dei passi. Si guardò intorno e si nascose sotto un tavolo. Appena i due esseri umani salirono sull'ascensore, Aric girò l'angolo e vide davanti a sé un secondo corridoio più corto. Alla sua destra, sentì un'alito di vento. Senza pensarci due volte segui il soffio.

La stanza era a pianta quadrata. C'era qualche tavolo, qualche sedia, delle macchinette di cibo e...dei divani. Aric guardò i divani curioso. La sua famiglia viveva in un divano come quello. Altro alito di vento. Questa volta accompagnato da voci. Aric decise di lasciar perdere l'idea di uscire all'aria aperta e corse verso i divani. Una delle cose più importanti che aveva imparato, dopo essere stato esiliato dalla sua famiglia, è stata “ Io sono piccolo e loro sono grandi”. Aric, non aveva paura degli esseri umani. Erano troppo grandi e stupidi per capire il dolore che lui provava. Cacciato dalla sua famiglia per via del suo aspetto. Tutti i suoi fratelli erano grigi, alcuni neri, la madre era nera e il padre grigio, Aric invece era bianco. Il colore degli occhi, tutto il suo albero genealogico, gli erano neri, Aric c'è li aveva rossi. Fu allontanato per via del suo essere diverso. Non aveva nessuno. Era solo, abbandonato. Così se mai un essere umano lo avesse colpito, non poteva che ringraziarlo. In quella situazione però, la curiosità lo spinse a nascondersi. Aveva trovato qualcosa di interessante, per ora non valeva la pena morire per una padellata in testa.

Il buco, posto nel piede destro del divano grigio, accanto all'ingresso della stanza, forniva un un buon rifugio. Gli umani non si accorsero di nulla, attraversarono la stanza e uscirono. Aric si mosse. Fece qualche passo verso il centro della stanza. Ma un urlo gli impedì di proseguire. Una donna, la stessa dell'ascensore, si accorse della presenza di Aric. Lui era immobile. Attendeva la morte. Gli esseri umani uccidevano la sua razza, senza motivo. Li vedevano, urlavano e li uccidevano. Ma le cose andarono diversamente.

La donna urlava e mentre urlava altri due esseri umani entrarono: due uomini. Il primo guardò la donna e poi Aric, il secondo disse semplicemente:<< Che brutto un topo bianco!>>

Aric spalancò gli occhi rossi dallo stupore. L'uomo di rimando, guardò Aric, il topo, ancora con più ribrezzo.

Il topolino scappò.

Non ci poteva credere. Anche loro, anche gli esseri umani odiavano quelli come lui. No,non era possibile. I tormenti lo perseguitarono sino all'ascensore. Attese, le porte metalliche si aprirono. Una ragazza precedette Aric nel cubicolo. Egli si mise nel solito angolino. L'ascensore si arrestò e il topo scese. Ma non si trovava nel suo ingesso. Davanti a lui, un'altra stanza. Fece qualche passo. La testolina si mosse velocemente. Alla sua destra la stanza terminava con un'altra porta, a sinistra invece, c'erano delle scale di marmo, c'era la luce. Un raggio, in quell'istante attraversò la cupola posta al centro del soffitto ed illuminò anche il pianerottolo. Aric rimase abbagliato da tutta quella luce. Senza pensarci un istante andò a sinistra, ma poco prima di raggiungere il pianerottolo che dava sulle scale. Si accorse di un angolo buio, poco dopo aver attraversato l'entrata. Una porta in legno, socchiusa, dava su un corridoio dello stesso materiale. Strano quello era l'unico punto della stanza che non era illuminato. Aric era curioso. I suoi pensieri svanirono nel nulla.La dea della curiosità si era impadronita di lui. Girò l'angolo e andò verso la porta di legno. Percorse l'intero perimetro dell'uscio, per trovare qualche feritoia che gli permettesse il passaggio, Dopo qualche secondo, scorse un foro grande abbastanza da farlo passare. Entrò. Percorse tunnel oscuri. Sporchi e angusti. Qualche minuto dopo riuscì a trovare l'uscita. L'Ambiente era malsano. Ovunque pezzi di carta abbandonata. L'oscurità invadeva la scena. Ombre nere si arrampicavano sui ballatoi posti accanto agli alti muri. L'aula era enorme.

<< Il posto adatto per uno come me>> pensò il topolino e si dileguò nel buio.

 

 


   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Angelofire