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Autore: Gwendin Luthol    04/06/2011    2 recensioni
Sono un fotografo,ma non un fotografo di matrimoni o di personaggi famosi. Sono un fotografo di guerra.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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 Sono un fotografo,ma non un fotografo di matrimoni o di personaggi famosi. Sono un fotografo di guerra.Mi è stato ordinato di fare fotografie da vicino. Non importa in che stato avanzato di putrefazione sono i corpi ritrovati. E’ necessario non aver paura e scattare. Queste foto servono per consentire almeno un funerale ai soldati uccidi che tramite le immagini vengono riconosciuti. Magari finiscono anche sui giornali,libri di storia per gli anni prossimi o manifesti. Terribile.
Nel Vietnam poi,il clima è maledettamente appiccicoso e ogni volta che sento la macchinetta scivolarmi fra le mani. E’ scomodo,umido. Consumo in media 15 rullini al giorno e per cambiarli ci metto una fatica assurda a causa del caldo e delle mani sudate. E’ un inferno. Rischio di morire come i soldati e tutto questo per un piccolo aumento di stipendio.
Mi manca Mary,mia moglie e i miei figli Mike e Thomas. Il mondo è crudele,anzi no,le persone che lo abitano sono crudeli!
Ho paura ogni volta che impugno la macchinetta.
Molte foto credo che siano venute male perché le ho fatte ad occhi chiusi lasciandomi guidare dall’istinto. Ho paura di guardare i cadaveri,voglio dire,loro non possono farti niente ma è come guardare la morte in faccia e questo fa cagare sotto,cazzo. Posso fare il finto cieco quanto mi pare ma appena la Kodak scatta,l’immagine rimane per sempre. Rimane per sempre che io ho camminato in mezzo a queste paludi, Che ogni tanto mi capita di prestare fazzoletti al medico per potersi pulire le mani dopo aver tamponato la ferita di un soldato.
Mi capita di sentire dei ragazzi parlare dei “Fortunate Son” (ne hanno fatto anche una canzone i Creedence Clearwater  Revival). I figli dei ricchi e dei politici quali raccomandati,non vanno a morire.
Vedo soldati incidersi il nome della propria fidanzata sulle loro M16 o AK-47, Dicevano che dispiaceva scrivere –Sally- o –Tanya- sulle loro pistole,ma il solo leggere quelle parole li consola. Mentre uccidono un vietnamita,vedono quei nomi e ciò li motiva di più a combattere. Sparando un proiettile è come se diminuisse di un km il viaggio per tornare a casa.
Arrivano lettere che parlano di quello che sta accadendo fuori. Si preparavano continui attentati ai capi di Stato e intanto avanza il movimento pacifista. Quei ragazzi combattono con tutte le loro forze. Vengono presi a sprangate dai poliziotti per farci tornare a casa ma noi siamo comunque qui. Il mondo è completamente impazzito e la gente cerca di rifugiarsi nella musica. L’era dei Beatles si è protesa per un decennio e rimane sempre in vetta ma i giovani si dirigono anche verso la grande musica di favolosi chitarristi come Santana. A Woodstock mandava fuori di testa Jimi Hendrix la cui chitarra fugge come il fuoco,simbolo del capitalismo americano –tanto in guerra con il comunismo sovietico-.
Leggere tutte queste cose nelle lettere mi fa quasi piangere. Sono devastato mentalmente da tutti questi proiettili e bombardamenti. Sto diventando matto e sento il mondo così lontano. Abbiamo gli psicologi qui e ogni tanto dentro alcuni bunker trovi soldati che pur l’imponente muscolatura,urlano e sono in preda alle crisi isteriche. Io non ho mai pianto o urlato davanti allo psicologo,ma credo che accadrà molto presto. Nessuno ha voglia di fare la guerra,perché cazzo siamo qui?

Vietnam,19 maggio 1969.

 

La voce di quella donna tremava davanti alle parole di quella pagina di diario del fotografo di guerra americano Mark Walker,ma nonostante tutto le lesse con coraggio. Tutti applaudirono per farle forza ma Mary Walker la trovava veramente nel guardare la bara del marito coperta dalla bandiera americana.
Il funerale finì e la donna si diresse verso i suoi figli: unica cosa rimasta che le facesse ricordare veramente l’essenza del marito morto a causa di un bombardamento improvviso.
Per arrivare al cimitero per seppellire il corpo furono scortati da dei cupi macchinoni neri  che succedevano il carro funebre.
Scesero tutti e si diressero in un praticello verde ma privo di fiori. C’era chi piangeva disperatamente ma Mary tratteneva le lacrime davanti alla buca dove la bara del marito doveva calare giù. Era una donna forte e forse con il tempo,aveva capito che suo marito rischiava di morire laggiù. I bambini,Thomas e Mike non capivano ma tenevano comunque l’espressione triste per non sentirsi in disparte. Cominciò la cerimonia del ripiegamento della bandiera. Qualcuno stringeva i denti intonando l’inno americano mentre altri fissavano sperduti.
La bandiera veniva ripiegata a mo’ di triangolo da dei soldati che avevano conosciuto Mark.
Mary seguiva con attenzione i movimenti delle mani dei soldati. Ad ogni ripiegamento,la vedova sopprimeva i singhiozzi,ingoiando. La bandiera si faceva sempre più corta nel ripiegarsi. La donna abbassò lo sguardo fissando la terra umida,ma non pianse.
Poi ad un certo momento la bandiera fu interamente piegata e Mary alzò la testa proprio quando il generale stava per porgergli il riconoscimento americano. La donna stentò quasi a prenderla quella dannata bandiera perché era proprio per quello –o comunque in parte- il motivo per cui era morto. Mark non era soldato ma essendo fotografo di guerra,lì lontano dal Vietnam con la vita appesa ad un filo,la bandiera americana sulla bara gli fu concessa comunque.
Poi Mary prese coraggio e un forte respiro accogliendo la bandiera fra le braccia,la strinse forte come fosse suo marito ricordando l’ultima volta che lo fece. Sentì la stoffa della bandiera farsi umida come la terra che aveva sotto i piedi. Sentiva le lacrime scorrergli sulle guance e senza paura si liberò a piangere. Ebbe coraggio di scansare il suo orgoglio per suo marito. Ebbe il coraggio che ebbe Mark.




Moju <<
Ps: una piccola recensione non farebbe male
  
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