Steps
Prologo
Era una fresca mattina estiva
la mattina in cui la mia vita sicura tra le mura di casa, venne minata nel
profondo, era una bella mattina estiva, quella che odiai per molti anni.
Era tanto tempo fa. Avevo
appena undici anni.
Avevo tutto quello che
desideravo, i miei genitori mi amavano, mia sorella mi voleva bene ed io volevo
bene a loro. Eravamo felici, e lo fummo ancora io e loro, ma non mia sorella,
non dopo quella dannatissima mattina di fine giugno, perché quella mattina
entrai in un mondo che non mi apparteneva, un mondo di cui non conoscevo nulla,
un mondo che credevo inesistente.
Mi ero svegliata tardi, avevo
una febbriciattola in quei giorni, mi era venuta a maggio e non intendeva
andarsene, avevo sempre il naso rosso e i capelli crespi quando avevo la febbre
e non mi sentivo bene, mia madre mi rassicurava dicendo che doveva essere
un’allergia, mia sorella mi assicurava che sarebbe passata presto, mio padre
rideva quando mi vedeva andare in giro come uno zombie, ma mi faceva piacere
essere a casa, seppur malaticcia, con la mia bella, unita famiglia.
Unità traballante purtroppo,
minata da uno scherzo del destino.
Come dicevo mi ero svegliata
tardi e avevo qualche riga di febbre, scesi in cucina assonnata, Petunia
ridacchiava al telefono con una sua amica, Emily Wilson, ma appena mi vide mi
indicò il bricco del latte sul tavolo e mi sorrise, io mi sedetti a tavola
ascoltando mia sorella con attenzione, parlavano di un ragazzo, il ragazzo di
Emily a quanto capii, erano entrambe emozionate e quando mia sorella riattaccò
le feci mille domande, alle quali lei rise cristallina, rispondendomi con un
secco, ma cordiale, “Non capiresti”, poi si sedette di fronte a me ed
iniziammo a parlare, ridevamo insieme, quando la mamma entrò, fu felice di
vederci, come sempre, insieme.
Aveva sempre creduto difficile
pensare che due sorelle così diverse potessero essere così unite, e come
dargli tolto?
Io ero diversa da Petunia come
lo erano il sole e la luna, di questi ho sempre creduto essere io la luna, forse
a causa della mia pallida carnagione, dei miei occhi verde smeraldo e delle
lentiggini che come stelle brillavano sulla mia pelle chiara. Petunia, invece,
era il sole, era scura di carnagione, abbronzata, aveva gli occhi scuri e una
risata contagiosa, che purtroppo sparì dopo quel giorno, o almeno sparì nei
miei confronti, non era una gran bellezza mia sorella, aveva un collo un po’
troppo lungo e un mento cavallino, ma sapeva farsi apprezzare, era impertinente
e diceva le cose in faccia, simpatica e amabile, io ero diversa, più chiusa ed
introversa, mi piaceva stare da sola, mi piaceva leggere e girovagare con la
mente, mi piaceva però quando lei mi portava fuori a parlare, io sapevo tutto
di lei.
Ma lei non sapeva tutto di me.
Io ero il giglio della
famiglia, delicata e pallida, chiusa ed insicura, pura come quel fiore da cui
avevo ereditato il nome, che mi si addiceva meravigliosamente.
Lei era l’altra, la prima,
quella che portava sulle spalle molte, troppe, responsabilità, quella sempre
pronta ad aiutare, e lo rimase, ma non con me, non dopo quella mattina.
Durante il pranzo a casa Evans
non si parlava poi molto, si parlava di più durante la cena, perché mio padre
tornava al lavoro alle tredici e mezza in punto, Petunia andava ad un corso
estivo di spagnolo ed io e la mamma solitamente amavamo chiacchierare
nell’immediato pomeriggio.
Fu durante uno di quei pranzi
taciturni e quasi impersonali che un crepitio al vetro ci fece girare.
Un gufo bruno picchiettava
allegramente sulla finestra, mia madre trasalì, mio padre abbassò la
forchetta, Petunia osservò il gufo spaventata ed io lo osservai ammirandone le
varie sfumature, era un bellissimo esemplare, mi piacevano i volatili, avevo
sempre preso dei bei voti in scienze, mi piaceva osservare la natura, faceva
parte di me, potevo stare ore ad osservare i fenomeni atmosferici, ore a
guardare il sole o la pioggia, ore a osservare un passerotto costruirsi un nido.
Mia madre aprì la finestra.
Il gufo volò in casa e fece
cadere una lettera di pergamena, era molto bella, mi ritrovai a pensare, era
magica.
La osservammo stralunati, poi
con fare tremante mio padre la girò.
Alla
Signorina Evans, Lily
Mio padre alzò lo sguardo su
di me, ma quando non vide una risposta, ma solo strano nervosismo ritornò ad
ispezionare la lettera, recava una scritta Scuola di magia e stregoneria di
Hogwarts.
-Cos’è Hogwarts mamma?-
chiesi, ma mia madre scosse la testa e tutti tornammo a ad osservare quella
lettera, Petunia fu la prima a riprendersi.
-Lil, forse e dico forse la
dovresti aprire, al massimo è uno scherzo di pessimo gusto- disse guardandomi
negli occhi come solo lei sapeva fare ed io, senza nemmeno accorgermene la
aprii.
Alla
cortese attenzione di Lily Evans,
siamo
lieti di informarla che lei è stata ammessa alla scuola di Magia e Stregoneria
di Hogwarts, con la presente teniamo ad informarla che l’espresso che la
condurrà alla scuola partirà il primo settembre alle undici in punto, al
binario 9 e ¾ King Cross.
Troverà
allegato l’elenco del materiale per il primo anno che potrà reperire a Diagon
Alley, troverà anche le indicazione per arrivarvi.
Cordialmente
Minerva
McGranitt
Vicepreside
di Hogwarts
-A quanto pare
abbiamo… una strega in famiglia- disse Petunia, e da quel momento non mi parlò
più.
***
In realtà non è che non mi
rivolse più la parola, semplicemente si staccò tanto durante quell’estate
che non me ne accorsi subito.
All’inizio mi parlava
ancora, sembrava che la cosa non l’avesse scalfita, ma in realtà un
sentimento si nascondeva dietro quella calma che non l’era propria, era
tremendamente gelosa. Ed io non la capivo, avevo undici anni, come potevo
comprendere cosa mia sorella tentava di nascondere?
Mi trattava con distacco e
prese ad uscire sempre più spesso, mi sentii ancora più sola, era strano non
poter chiacchierare come al solito, era triste non poterlo fare, mi sentivo
strana a non potermi confidare più con la mia migliore amica.
Poi partimmo ed andammo in
Costa Azzurra, e fu li che mi accorsi che mia sorella non era più tale.
Lo capii da una sera,
l’ultima che trascorsi al mare, l’ultima in cui mi illusi di possedere
ancora una sorella che mi amasse sul serio.
In quei due mesi Petunia aveva
iniziato a truccarsi.
Non credo perché desiderasse
essere più bella, credo che lo facesse perché non poteva sopportare che io
avessi tutta l’attenzione dei miei genitori. Era più bella quando si
truccava, riusciva a far passare in secondo piano il collo e il mento cavallino,
era abile con la matita e con il fard, le sue amiche si facevano truccare da
lei, e lei le accontentava, ma non fu questo a farmi capire che non mi voleva più
bene.
Quella sera le feci i
complimenti per come si era vestita.
Portava uno scamiciato
azzurro, gliel’aveva regalato la mamma e Petunia non l’aveva mai indossato,
diceva che la faceva sembrare troppo matura, ma quella sera lo mise. Era il
compleanno della mamma.
-Petunia, sei molto carina con
questo vestito- gli disse sorridendole, lei mi guardò con uno sguardo carico
d’amarezza, mi fece rabbrividire.
-Forse, finalmente, mamma mi
presterà un po’ d’attenzione- disse in un sussurro, io la guardai sorpresa,
in quei mesi la mamma mi aveva dato molte attenzioni, eravamo andate a Diagon
Alley per informarci su Hogwarts e nella libreria della stretta viuzza avevamo
comprato un grosso tomo: “Storia di
Hogwarts”, avevamo preso il necessario per la scuola ed un bellissimo
gatto nero, con occhi viola, che guardavano con curiosità il mondo, Atargatis,
l’avevo chiamata.
-Che dici Petunia? La mamma ti
dedica molte attenzioni- le disse, ma la mia voce risultava poco convincente,
lei mi guardò con uno sguardo triste, ed allo stesso tempo carico d’invidia e
d’odio, odio che non avevo mai visto nei suoi occhi scuri sempre allegri e
sorridenti.
-Ma certo, la cara streghetta
non capisce, vero?- disse con il solo scopo di ferirmi, ed io mi ritrassi
offesa, le lacrime che traballavano nei miei occhi verdi, la guardai avvilita,
non capivo cosa stava dicendo, non capivo il dolore che si recava dietro quelle
parole.
-No… Petunia, perché mi
tratti così?- le chiesi con voce sommessa, la mia voce traballante cadde nel
vuoto. La spiaggia era buia, qualche luce veniva dalla casa appena davanti alla
spiaggetta, a nasconderla. Petunia era uscita, non voleva farsi sentire da mamma
e papà, mentre mi riversava addosso i suoi sentimenti. Non voleva che la
credessero invidiosa, non voleva che le dicessero: ‘ Lily starà via, è
normale che le dedichiamo più attenzioni ‘, non voleva sentirsi dire che la
sorella era speciale.
-Perché ti tratto così?- la
voce scura di Petunia esplose in una risata cattiva, resa ancor più tetra dal
contesto da cui era scaturita –Perché? Perché tu sei diversa, sei anormale.
Sei… sei pazza! E i miei genitori non sene accorgono nemmeno, ti credono brava
solo perché sei un’insulsa streghetta, solo perché tu sei paranormale, tu
non dovresti esistere Lily Evans, come la magia! Sei uno scherzo del destino, e
non capisco come i miei genitori ti possano ancora volere nella nostra casa dopo
che anno scoperto cosa sei, Lily Evans- quelle parole sgorgarono come un fiume
in piena, due mesi di agonia, due mesi in cui i suoi sentimenti si erano
tramutati in odio, i due mesi in cui, capii, avevo perso forse per sempre la mia
adorata sorella, e quelle parole mi cambiarono forse di più di quella lettera.
Due righe di lacrime erano
comparse misteriosamente sul mio viso, due righe che aumentavano, singhiozzai.
-Ma… ma Petunia, tu… tu
sei la mia sorellona- balbettai guardandola negli occhi, lei mi rise in faccia.
-Un tempo, Lily, un tempo….
Ma non chiedermi di esserlo ancora- disse e poi, oltrepassandomi con il suo bel
vestito celeste si allontanò come se nulla fosse successo. Lasciandomi lì,
sola a piangere per la perdita più importante della mia vita.
Faceva freddo sulla
spiaggia, il mare era agitato, come il mio animo, rumoreggiava come un tuono, e
alcune gocce arrivavano fino a miei piedi, mi asciugai le lacrime tristi e
sorrisi, forzatamente. Un sorriso falso quanto tirato, un sorriso che malcelata
tristezza e dolore.
Un miagolio mi fece girare,
Atargatis, mi si accoccolò in grembo e si mise a fare le fusa. Non si staccò
quando la strinsi a me ed iniziai a piangere con foga, urlando il dolore che
avevo in me, non si ritrasse quando con le miei lacrimale bagnai il bel pelo
nero come la notte, e non si stancò di ascoltare le miei lacrime e i miei
singhiozzi causati dal vuoto che troneggiava dentro di me.
Le sue fusa mi calmarono, e
con calma prese a leccarmi il volto, come per consolarmi, era una gatta
intelligente, molto, troppo. La apprezzavo, era un animale orgoglioso e fiero, e
non sopportava Petunia, credo soprattutto perché mia sorella non sopportava
lei.
***
Era giunta la mattina della
partenza, ero triste mentre mettevo le ultime cose dentro il grosso baule di
legno di quercia che recava in grandi lettere d’argento la scritta: Lily
Evans.
Era vestita semplicemente,
portavo un pullover leggero color smeraldo che si addiceva ai miei occhi e dei
jeans usurati dall’uso, i miei capelli erano legati in una cosa morbida e
quella mattina sembravo veramente un giglio.
Atargatis dormiva vicino alla
finestra si stava prendendo gli ultimi raggi di sole londinesi di lì a qualche
tempo.
-Chissà se Petunia mi
rivolgerà la parola, almeno oggi, non chiedo poi tanto- dissi asciugandomi una
lacrima che mi scendeva lungo la gota, ero sempre stata un tiretto emotivo, che
scoppiava a piangere per ogni minima sciocchezza, era anche quello che mi aveva
guadagnato il soprannome Giglio di Cristallo, ma in realtà, in fondo, ma
veramente in fondo, ero un tipetto tutto pepe.
Atargatis si stiracchiò e mi
venne accanto leccandomi la guancia, le accarezzai il dorso di velluto nero e
lei miagolò deliziata.
-Già, non mi rivolgerà la
parola- dissi semplicemente, cercando di prepararmi al saluto con mia sorella.
Successe poco dopo, stavamo
uscendo, io, mia madre e mio padre per andare in stazione, quando mia madre si
accorse che Petunia non mi aveva salutato.
-Petunia- gridò indispettita.
La testa bruna di mia sorella
si presentò poco più tardi, mi guardò con ira, ma subito distolse lo sguardo
per puntarlo su mia madre, la parte del mio cuore che si sentiva legata a lei
sussultò, causandomi il desiderio di scoppiare in lacrime.
-Saluta tua sorella, cara- le
disse mia madre, Petunia mi osservò con disprezzo, mia sfiorò la guancia con
un bacio freddo ed impersonale, come se stessa baciando un perfetto sconosciuto,
come se io non fossi sua sorella ma un collega di suo padre, cercai di non
piangere, mi morsi il labbro inferiore con forza, quando la mia sorellina si
staccò mi guardò con astio immensurabile e tornò in camera sua, fu con questo
ultimo saluto che salii sulla macchina diretta alla scuola migliore del mondo.
La stazione era gremita di
gente, ci dirigemmo verso il binario nove, ed in mezzo, osservando con
attenzione si vedevano persone che attraversavano un muro, giusto in quel
momento una signora che teneva all’orecchio un ragazzino ci incrociò e ci
sorrise affabile.
-Nuovi dell’ambiente eh?-
disse con gentilezza, mi sembrò subito cordiale e dolce, il ragazzino che
teneva all’orecchio scalpitava e si dimenava, lasciando di stucco i miei
genitori
-Oh, che stupida non mi sono
nemmeno presentata!- disse battendosi una mano, perfettamente curata, sulla
fronte chiara –Mi chiamo Helen Potter e lui è mio figlio. Un teppistello-
disse sorridendo affabile ed indicando il ragazzino –Ma si sa è l’età,
undici anni, frequenterà il primo anno- ci informò
Mia madre rispose al sorriso.
Eravamo in anticipo di un’ora e la signora ci chiese se volevamo prendere un
caffè con lei, mio padre declinò l’offerta dicendo che doveva andare a
lavorare, mia madre invece fu lieta di accettare l’invito.
-Anche Lily è al primo anno-
disse appena ci fummo seduti –E’ la prima strega della famiglia, un grosso
onore secondo me- disse mia mare con orgoglio, la signora Potter le sorrise
allegramente.
-Io invece sapevo che sarei
venuto ad Hogwarts- disse il ragazzino, lo osservai per la prima volta, aveva i
capelli scuri, spettinati, gli occhi nocciola erano spavaldi e sicuri, e dentro
di essi vi scorsi un lampo birichino, vivace e scaltro, era alto per la sua età
e piuttosto magrolino.
-Mi chiamo James Potter- mi
disse io lo guardai incredula, era uno dei pochi che mi avesse subito rivolto la
parola, di solito nessuno mi rivolgeva la parola subito, rimanevano stupiti
dalla mia tranquillità e timidezza, ma non James Potter, lui si dimostrò un
ragazzo pieno di sorprese.
-E tu?- mi chiese dopo un
attimo, io lo guardai, non avevo conosciuto nessuno così schietto, nessuno
tranne Petunia, e forse fu proprio questa seppur quasi invisibile somiglianza a
farmi risultare da subito, non troppo simpatico, James.
-Mi chiamo Lily Evans- risposi
educatamente, lui mi osservò e quasi scoppiò a ridere della mia timidezza, io
lo guardai stizzita e porsi lo sguardo sulle due donne che ormai chiacchieravano
come se si conoscessero da sempre.
-Conosco moltissimo Babbani, e
molti figli di Babbani sono ottimi maghi, non si deve preoccupare affatto, sono
sicura che ad Hogwarts la sua Lily si troverà benissimo, personalmente non vedo
l’ora che James parta, non che non gli voglia bene, ma a volte è un po’
birichino, una vera peste in realtà!- diceva la signora Potter, mia madre
osservò il ragazzino e gli accarezzò il capo scompigliandogli i capelli, il
ragazzo sorrise, dovevano davvero piacergli i capelli scarmigliati, mi dissi.
-Ma che dice? Mi sembra così
calmo- rispose mia madre, la signora Potter sbuffò esasperata.
-Appunto, sembra…-
e sottolineò delicatamente la parola, James abbassò lo sguardo colpevole, ma
non arrossì –Vede? E’ un perfetto casinista!- disse severamente, ma subito
sorrise, si vedeva che amava il figlio in modo immenso –Ma non ci si può far
niente…- disse infine.
-Ma guarda che ore sono,
dobbiamo proprio andare, per di qua- disse d’un tratto la signora Potter.
Passammo tra folte file di
Babbani urlanti, che scleravano per le cose più banali, superammo il controllo
merci e giungemmo al binario nove, la signora ci fece strada.
-Dovete oltrepassare il
binario, così- fece un cenno e James si buttò contro la parete, chiusi gli
occhi e aspettai il botto, ma non venne, James aveva oltrepassato il muro.
Osservai il muro per qualche
secondo, attonita.
-Vai tu Lily, io passerò con
tua madre- mi bisbigliò la signora Potter all’orecchio, io sorrisi, nervosa
come mio solito e impugnato saldo il carrello che conteneva i miei effetti
personali, accarezzato il morbido pelo di Atargatis mi lanciai contro la parete
di marmo bianco. Chiusi gli occhi, avevo paura di essere respinta, paura che
tutto fosse uno scherzo, tremavo da capo a piedi, ma mi feci coraggio se quel
ragazzino era passato potevo farlo anch’io. Dovevo farlo anch’io.
Mi preparai la contatto, ogni
fibra del mio corpo era tesa, ma all’improvviso con una dolce sensazione di
vuoto allo stomaco mi senti trasportata all’interno del muro. Strinsi con foga
i manici del carrello, sentii a malapena il miagolio di Atargatis. Fu un tocco
alla spalla farmi spalancare gli occhi, un tocco leggero.
-Ehi, ora li puoi anche aprire
gli occhi- mi disse una voce acuta, con cautela li aprii prima uno poi
l’altro, e incontri gli occhi di James vicino ai miei, sorridevano, allegri.
-Brava, non fare la fifona,
era solo un muro- mi disse, lo guardai mettendo il broncio, era davvero
insopportabile a volte, si dava troppe arie. E, anche se spesso la prima
impressione si rivela errata, quella era giustissima.
-Non sono una fifona, solo che
non sono abituata a queste… cose- conclusi, lui mi guardò sempre con quel suo
cipiglio orgoglioso, poi si voltò e salì sul treno.
-Tra poco arriva mia madre,
dille che sono sul treno, non ho molta voglia di farmi stritolare in pubblico-
disse a mo’ di saluto.
Io lo guardai sparire dietro
il corridoio del treno, James Potter mi risultò antipatico e pieno do sé, come
se potesse fare a meno degli altri, e li trattasse come se fossero tutti sotto
di lui.
E non mi sbagliavo neanche
tanto.
***
Il viaggio fu piacevole,
incontrai una ragazza che come me era di origine babbana, Alicya House. Era
diversa da me, ma per alcuni versi simile, non era introversa, ma neanche un
pagliaccio come quel Potter, era una ragazza aperta e sincera, lo capii subito.
Alicya era bionda, aveva la
carnagione olivastra e gli occhi verdi, ma più chiari dei miei, bordati,
intorno alla pupilla di una striscia di bronzo.
Fu lei la mia prima vera amica
che ebbi ad Hogwarts, l’unica che mi capisse veramente.
Ma non fu quel giorno che lei
diventò la mia migliore amica, fu dopo, più tardi, quel giorno eravamo unite
dal sentimento di inquietudine che portavamo con noi.
Sentimento che andò
aumentando quando una professoressa, alla fine di un inquietante giro in barca,
ci disse di prepararci ad essere smistati dal Cappello Parlante.
Tutti chiacchieravano
eccitati, parlando della casa in cui volevano andare a tutti i costi, un James
Potter particolarmente allegro declamava le virtù dei Grifondoro a voce alta,
ascoltato da un tipetto bassino e grassoccio li accanto, da un ragazzo
dall’aria malaticcia e da un altro serio e distaccato, mi stupii vedendo che
Potter sembrava già a perfetto agio con quei tre, come se li conoscesse da
tempo.
-Beh secondo me anche
Corvonero non è poi tanto male- disse quello dall’aria malaticcia, James gli
sorrise di rimando, ma non accennò a smettere di parlare dei Grifondoro.
-Certo, sicuramente meglio dei
Tassorosso, ma io credo che andrò proprio lì- squittì il ragazzino basso,
Potter gli tirò un pugno amichevole e il ragazzo sorrise, fu a quel punto che
anche il ragazzo distaccato parlò.
-Si Peter, ma sempre meglio
che Serpeverde- James annuì, una ragazzo dietro di loro li guardò con
disprezzo, ma non disse niente, era molto carina, aveva i capelli neri e
degl’occhi blu pervinca che facevano impallidire, la pelle era molto chiara,
quasi eterea, non certo come lei, mi ritrovo spesso a pensare adesso, quanto
odiai Bellatrix Black, ma allora non sapevo neanche chi fosse.
Affianco a lei vi era
un’altra ragazzina, era bionda e aveva grossi occhini azzurri, sembrava una
bambola di porcellana francese, fragile ed indifesa.
-Tu in che casa vorresti
andare?- mi domandò Alicya io alzai le spalle, non ne avevo idea.
-E’ uguale, spero solo non
Serpeverde- dissi, lei mi sorrise ed annuì
-Comunque spero Grifondoro-
sussurrò
La Sala Grande era gremita,
ragazzi e ragazze sorridevano e chiacchieravano, allegri, erano perfettamente
normali, ne pazzi ne spostati si aggiravano tra quelle mura, mi disse ricordando
le dure parole rivolte da mia sorella, mi asciugai gli occhi sebbene non fossero
ancora stati bagnati da lacrime, non quella sera.
Il Cappello era su uno
sgabello e la McGranitt vi era davanti con una lunga, lunghissima pergamena. Mi
sentii male al solo pensiero di rimanere sola su quello sgabello e se il capello
mi avesse fatta tornare a casa? E se non fossi stata una strega?
-Che inizi lo Smistamento-
disse la voce calma della professoressa, il brusio cessò quasi immediatamente e
l’attenzione dell’intera sala si volse verso lo sgabello sgangherato.
-Black, Bellatrix- disse la
professoressa, la ragazzina salì i gradini con tranquillità e si sedette dopo
qualche istante la ragazza sorrise e il capello urlò: -SERPEVERDE- ella corse
lungo il tavolo e raggiunse la tavola verde argento che applaudiva.
-Black, Narcissa- la ragazza
che mi era parsa una bambola salì con grazia gli scalini e si pose il cappello
sul capo, esso vi mise di più ma alla fine anche la ragazza andò nella casa
verde argento.
-Black, Sirius-
irrimediabilmente mi ritrovai a pensare che anche lui sarebbe andato in quella
casa, ma invece no, con sorpresa sentii il cappello, assegnarlo alla casa rosso
oro, non senza un disappunto generale, il ragazzo sorrise fuggevole
e si diresse verso il grande tavolo oro.
Lo smistamento continuò per
un po’ assegnando i ragazzi nelle varie casate, due ragazzine brune andarono
entrambe a Corvonero, un bambinetto basso venne assegnato a Tassorosso, e una
ragazza alta a Grifondoro, poi toccò a me.
-Evans, Lily- Alicya mi
sorrise allegramente, poi incrocia lo sguardo di James che sorrideva, andai con
passo sicuro, per quanto in realtà fossi impaurita, il cappello mi venne posato
sul capo.
“Uh difficile… difficile
ragazza mia, molto complicato, dove ti metto? Intelligenza, molte intelligenza,
ma… vedo paura, insicurezza, desiderio di piacere agl’altri, ma un grande
senso di giustizia, coraggio quando si tratta di difendere i propri ideali e
lealtà. Un bel miscugli non c’è che dire… ma…”
Ero tesa, credevo che mi
avesse davvero rispedita a casa, ma forse mi dissi, così Petunia non mi avrebbe
più disprezzata tanto, forse mi avrebbe riaccolta. Desiderai non essere li.
“Ho capito, si”
-GRIFONDORO- mi tolsi il
cappello e guardai i tavoli, il tavolo rosso e oro impazziva e mi lanciai di
corsa vero si esso, ora, per la prima volta da quando avevo ricevuto la lettera,
ero a casa mia.
Più tardi mi chiesi se la
decisione del cappello fosse stata esatta, ma il capello non sbaglia mai e
l’avrei scoperto, prima o poi.
Ecco
il primo capitolo è finito, mamma che lungo.
Non
credevo venisse così lungo, ma era l’introduzione, indispensabile per il
personaggio dal prossimo capitolo dovrebbe essere già al sesto anno.
Non
credo vi saranno capitoli così lunghi, ma mai dire mai.
Per
adesso vi prego solo di recensire.
Anche
solo per dire fa veramente schifo.
E’
la mia prima fic a capitoli.
Va
beh adesso vado al prossimo
chap allora.