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Autore: _bubu_    05/06/2011    2 recensioni
La vita di una adolescente ordinaria: i suoi problemi, i suoi complessi, i suoi pensieri. Le amiche, il ragazzo, la scuola. I genitori. Le vacanze. Gli impegni, le difficoltà e le piccole cose belle che la rendono speciale nella sua crescita.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cap 1 cami Teenagers
-Oh, non è possibile. Si è messo a piovere.-
-Si? E che ti aspettavi? Siamo a Lucca!-
Vittoria affrettò il passo ed altre gocce di pioggia le bagnarono il volto, mentre un tuono in lontananza minacciava un imminente scroscio di pioggia. Il ticchettìo delle gocce della pioggia iniziò a farsi sentire, lieve.
Sentì Angie ridere dall'altro capo della cornetta.
Sbuffò.
Ecco, lo sapevo -pensò - e adesso come ci arrivo a casa?
Vide un lampo in lontananza, e aspettò il tuono.
-Mamma mia, è proprio un temporale con i fiocchi questo. Hai sentito?- Disse.
-Mh. Ma dove sei?-
-Sulle mura col cane. Più o meno verso Piazzale Verdi-
Lanciò un'occhiata in basso verso i grandi autobus che aspettavano di partire, all'interno delle mura. La gente si affrettava a salire, o apriva gli ombrelli. I tergicristalli, uno ad uno, vennero azionati nei mezzi accesi. 
-Ahi ahi.-
-Già-
Un altro tuono.
-Ce la fai ad arrivare in tempo a casa?
-Tu che dici?-
La pioggia aumentò.
Le gocce tichettavano più forte sulle fronde degli alti alberi sopra di lei, che più o meno la proteggevano.
Sarebbe stato bello sentire l'odore della pioggia, una volta tanto, invece di beccarsi l'acqua e basta.
Si soffiò il naso.
-tanto per sapere- Le disse Angie - com'è che tu riesci sempre ad uscire senza ombrello?-
-Mah, che ne so... forse perchè quando sono uscita gli uccellini cinguettavano e il cielo era blu? Può essere?-
In realtà, dopo tanti anni vissuti a Lucca, Vittoria sapeva benissimo avvertire l'arrivo di una pioggia nonostante il cielo quasi sereno. Era solo troppo pigra per portarsi l'ombrello dietro, e sperava sempre di cavarsela.
-Possibile- replicò l'amica.
Lampo, tuono assordante.
-Amo, io devo andare. mi sa che tra un po' viene giù il mondo e casa mia è dall'altra parte della città.-
-Vaaa bene. Riparati da qualche parte, semmai... Ciao. Buona fortuna con la puzza di cane bagnato-
Vittoria sorrise.
-Vai a quel paese!-
-Non ho il biglietto-
-Tranquilla, pago io-
-A, va bene. Prima classe però! Ciao.-
-Ciao-
Restò il silenzio, e la musica che facevano gli alberi investiti dalla pioggia rimase l'unico accompagnamento dei pesanti tonfi della sua corsa e del ticchettìo delle unghie di Feo, il cane, che la seguiva con la lingua penzoloni.
La pioggia aumentò ancora, in risposta all'ennesimo tuono.
E Vittoria si fece una doccia a tutta velocità, come aveva previsto. Scese dalle mura e, attraversata la piazza, si tuffò in una stradina verso casa sua. Dopo quattrocento metri, arrivata in una piazza, si fermò un minuto per riprendere fiato sotto agli ombrelloni di un bar.
Ammirò per l'ennesima volta la chiesa che dava i nome alla piazza. Sorgeva sull'antico foro romano, al centro, alta e maestosa, con le colonnine delle loggette tutte scolpite in modi diversi. La statua dell'angelo, dall'alto, guardava l'orizzonte con gli occhioni azzurri mentre il drago, con la lancia conficcata in bocca e l'occhio sbarrato, agonizzava ai suoi piedi. Le ali di bronzo gocciolavano, sotto la pioggia.
Bellissima.

Vittoria non era credente, non era neanche battezzata a dire il vero, ma la maestosità e la perfezione delle chiese la lasciava sempre senza fiato.
Si soffiò il naso. Di nuovo.
Si spruzzò in bocca del Ventolin, per la sua asma che non le lasciava tregua da quando aveva due anni, e ripartì verso casa.
Il cane, felice e giocoso, cercò di addentare il guinzaglio di cuoio per portarglielo via.
Lei sorrise, continuando a correre.
Passarono davanti ad una fontana, e la statua in marmo di una donna seminuda li seguì con gli occhi, dall'alto, nella loro fuga dall'acqua.
Un altro tuono si fece sentire, il cane accellerò spaventato. Vittoria non riusciva a stare al suo passo.
Si fecero da parte per far passare una navetta elettrica che andava a Porta S. Pietro, come diceva la lampeggiante scritta arancione. Pur essendo piccola piccola, non riusciva quasi a passare per le strette stradine della città medievale.
Si sentiva il rumore di una persiana che sbatteva, in lontananza. si stava alzando il vento.
Ripresero la corsa, e fiancheggiarono la chiesa di San Frediano, per poi dare le spalle all'enorme mosaico bizantino sulla facciata ed attraversare la piazza.
Erano quasi a casa.
Fradici, ansimanti, ma quasi a casa.
Un altro lampo di luce, poi un tuono più vicino degli altri.
La pioggia si trasformò in una vera e propria muraglia d'acqua.
Le gocce le colavano sul viso e nella maglietta attraverso i capelli grondanti, e le converse facevano ciaf ciaf ad ogni suo passo attraversando quelli che ormai erano quasi due centimetri d'acqua sul suolo. La piccola borsa che portava a tracolla, bagnata, sbatacchiava colpita dalle gambe veloci. Vittoria la prese in mano.
Aggirarono l'antico anfiteatro romano, ormai invaso dalle case costruite sulle ormai invisibili scalinate, inglobandole.
L'edificio aveva mantenuto nonostante tutto la forma ellittica, stretto tra le fitte case costruite tutto intorno.
Era normale, all'epoca, costruire in tutti i luoghi possibili pur di vivere al sicuro delle mura e delle ricchezze della città.
Alcune persone erano persino andate a vivere nei torrioni di difesa della seconda cerchia di mura, quella medievale, quando non servivano più. Case con il pavimento circolare e le pareti ricurve.
Che figata.
Arrivata nella sua piazza, senza neanche dare un'occhiata alla bianca chiesa che svettava in mezzo ai nuvoloni neri e ai lampi con il suo campanile di due colori, si fiondò verso casa sua, frugò nella borsa gocciolante cercando le chiavi, spinse il pesante portone con fatica e scivolando e finalmente entrò nell'androne.
Ansimava.
Il cane si scotolò energicamente tutta l'acqua che aveva addosso, che finì ovunque.
E benvenuta, puzza di cane bagnato!
Si soffiò il naso con il fazzoletto fradicio, poi si spruzzò in bocca del Ventolin, per l'asma.
Aspettò qualche minuto per calmarsi, seduta su un gradino, formando un laghetto d'acqua. Poi iniziò a salire le scale.
I lunghi capelli grondavano, e il cane che si scotolava ogni tre passi non aiutava. Le converse lasciavano impronte che si allargavano dopo che sollevava il piede, trasformandosi in piccole pozzanghere.
Il cane aveva gli occhi felici, e la lingua penzoloni gli dava un'aria simpatica. Gli faceva bene correre ogni tanto. Forse non sotto l'acqua, ma gli faceva bene.
Di certo mancava anche lui la loro infanzia in campagna, liberi.
Si tolse le converse e i calzini prima di entrare in casa, e filò dritta nella sua stanza per togliersi i vestiti e non gocciolare troppo ovunque.
Dopo essersi asciugata velocemente con un asciugamano in bagno, chiuse il cane in cucina per limitare i danni, asciugò con uno straccio il pavimento bagnato, chiuse tutte le finestre e staccò tutte le pine di casa.
Non aveva quasi nulla addosso, era senza scarpe e con i capelli bagnati. Starnutì, e si decise a farsi una doccia calda.





*         *         *





Un'ora dopo, stretta in un caldo pigiama, Vittoria sorseggiava una calda tisana ai fiori di tiglio (aveva colto personalmente i piccoli fiorellini qualche anno prima, dall'albero del nonno) per riprendersi dal freddo di fine inverno.
Teneva le mani accostate alla tazza per scaldarsi, aspettando che la tisana si raffreddasse abbastanza per poterla bere.
Il rumore della pioggia la avvolgeva, rilassandola, inondando la città.
La gatta si leccava il pelo, indignata, in un angolino.
Solo dopo essersi asciugata i capelli Vittoria si era accorta di averla lasciata in terrazza a bagnarsi per tutto quel tempo, povera gatta, e aveva ricevuto una pesante sgridata quando finalmente si era decisa ad aprirle.
Ancora adesso, ogni tanto, sollevava truce gli occhioni verdi su di lei e miagolava risentita.
Vittoria ridacchiò, alla vista di quella nobile gatta che cercava maldestramente di recuperare la dignità perduta.
Il cane invece, rilassatissimo, russava sul suo tappetino. Ogni tanto muoveva le zampe. Probabilmente sognava di rincorrere un animale.
Vittoria sorseggiò la sua tisana, sentendosi subito meglio.
Ormai i tuoni si sentivano solo in lontananza, segno che il temporale stava passando.
erano solo le otto di sera, constatò guardando l'orologio appeso al muro, ma si sentiva o stesso stanchissima e non le andava di cenare.
I suoi erano via per lavoro, a Genova, e sarebbero tornati solo dopo qualche giorno.
Esitò indecisa, decidendo se mandare loro un messaggio o no, poi decise che non aveva nulla di serio da dirgli e che non l'avrebbe fatto.
Fuori grandinava.
La gatta guardava i chicchi cadere sul terrazzo, ipnotizzata, seduta sul tavolo.
Gli animali di quella casa avevano ormai capito che quando i padroni erano via, sostanzialmente era permesso loro fare tutto quello che volevano.
La grandine si tramutò di nuovo in pioggia, e Vittoria finì la sua tisana.
Decise che dato che il temporale era passato, poteva riaccendere il computer senza rischi e dopo una breve puntatina su facebook con immancabile chiacchierata via chat con Angie, che ovviamente la sfotteva, andò a dormire di buon umore.
Un buon umore relativo, dato che stava per troncare una relazione durata quasi sei mesi e mezzo con il suo ragazzo.
Ovviamente, grazie alla sua insonnia perenne, non dormì neanche quella notte.






















  
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