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Autore: JKEdogawa    06/06/2011    2 recensioni
Una fan oltre oceano, una realtà mista alla fantasia, due anime contrastanti, un libro pericoloso e... una famiglia assurda. Questi sono i punti cardinali di questo racconto. Pamela si prepara ad un cambiamento radicale nella sua vita che la porterà ad "un'estate da urlo". Ma cosa dovrà affrontare veramente la nipote di due dei? E se poi questi dei sono contrastanti? E se si scoprisse che non esistono solo gli dei?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Vita da mezzosangue: la serie'
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Quando mi svegliai mi stupì di non essere a casa, poi mi ricordai dov’ero: al campo mezzosangue nella casa di Ermes. Era appena l’alba e tutti dormivano. Per passare la notte avevo preso una vecchia federa da cuscini ingiallita e ci avevo fatto tre buchi con delle forbici trovate lì.
Rimasi stesa a pensare per un po’: non ci potevo credere, ero una mezzosangue, nipote di chissà chi, in un campo per semidei con altri ragazzi come me o quasi.
Mi alzai senza far rumore e mi vestii con la roba che mi aveva prestato Ezechiele: una maglietta arancione del campo, un paio di jeans e scarpe da tennis. Camminai in punta di piedi e uscii dalla casa.
Il mattino si affacciava sul campo lentamente, io presi un respiro profondo. L’aria era fresca, profumava di rugiada ed erba appena tagliata. Mi sentii quasi rinascere; avrei voluto correre e gridare, ma la mia parte razionale mi disse che così avrei svegliato tutto il campo e non mi sembrava una scelta saggia. Iniziai a camminare prendendo profondi respiri. Che fare? Era questa la domanda che mi ponevo. C’era tanto da fare e neanche la minima idea di dove andare. Feci la cosa che mi venne più spontanea, andai alla baia.
Il rumore delle onde mi rilassava i nervi, m’inginocchiai sulla spiaggia. Pensai ai miei genitori, probabilmente preoccupati; ai miei compagni che criticavano i miei gusti; alla musica che amavo; agli dei dell’Olimpo. Tra di loro c’erano i miei nonni, quelli che non avevo mai conosciuto. Senza rendermene conto presi delle alghe e iniziai ad intrecciarle tra di loro. Mi venne un sottobicchiere quadrato 4 per 4. Me lo rimirai tra le dita come un’opera d’arte, studiandolo in ogni suo particolare. Certe intessiture mi vengono sempre, così. Una volta avevo preso i lacci delle scarpe di un mio compagno a ginnastica e glieli avevo tutti intrecciati. Era venuto un bel lavorino, ma lui non aveva apprezzato molto il gesto.
Detti una scorsa al panorama, tanto per fare qualcosa. Il sole continuava a salire sulla collina mezzosangue. Sentii gli uccelli svegliarsi dolcemente e iniziare a cinguettare le loro soavi canzoni. Qualcuno mi soffiò nell’orecchio e io trasalii. Rotolai di lato come a proteggermi e mi tirai su rapidamente per vedere il mio nemico. Ezechiele mi guardava ridendo come un matto.
- Avresti dovuto vedere la tua faccia! Hi hi hi!- disse asciugandosi una lacrima
- Ma ti sembra? Mi hai fatto prendere un colpo!- gli risposi
- Eddai, così ho migliorato i tuoi riflessi da semidea!-
Non aveva tutti i torti, ma era comunque una cosa stupida da fare. Capì che il mio silenzio era un assenso alla sua affermazione.
- Carino, l’hai fatto tu?- disse raccogliendo il sottobicchiere di alghe
- Sì, ti piace? Se vuoi te lo regalo. Mettilo ad asciugare, però prima di usarlo!- dissi
- Vieni per la colazione? Ti servirà!-
Io acconsentii silenziosamente  e lo seguii al padiglione dove mangiavamo. Offrii una sostanziosa colazione agli dei chiedendogli chi fossero i miei nonni e di aiutarmi durante la giornata. Non ero l’unica che si era alzata presto, anche un paio di figli di Ares, una figlia di Venere e quattro figli di Efesto erano al padiglione. Guardai in su, non so perché, ma lo feci.
- Sei pronta?- mi chiese Ezechiele
- Per cosa?- mi resi conto subito che era una domanda stupida…
- Ma come per cosa?! Oggi è il tuo primo giorno di allenamento! Così forse capiremo di che dei, o dio, sei nipote!-
- Può aiutare sapere che non ho mai conosciuto mia nonna materna e mio nonno paterno?-
Ezechiele mi guardò come se avessi appena detto chissà che cosa.
- E quando pensavi di dirmelo? Ora siamo sicuri che hai due nonni lassù!-
- Mi è venuto adesso in mente, scusa!-
- Ne parleremo più tardi, ti porto a prepararti per l’allenamento!-
Infondo l’aveva presa pure bene. Mi accompagnò all’armeria, un ampia sala piena di spade, giavellotti, mazze ferrate, archi eccetera…
Ammirai quella gigantesca collezione ammirata e sbigottita fino a che Ezechiele non mi richiamò alla realtà.
- Dunque…- disse- la cosa migliore è iniziare con la spada, tutti sono bravi con la spada!-
Effettivamente non me la cavavo male, anzi, ero piuttosto forte.
- Interessante, ma ancora nessuna sensazione! Ti ricordi qua…- s’interruppe- aspetta, sei tu che hai fatto quel sottobicchiere intrecciando alghe, giusto?-
- Giusto, e con ciò?-
- Se non mi sbaglio sei brava a cucire e intrecciare, vero?-
- Vero, ma con ciò?- sembrava un interrogatorio
- Chi ha inventato il telaio?-
- Gli antichi… no, aspetta… Atena!-
- ESATTO! Intanto sappiamo che tua nonna è Atena! Manca tuo nonno!-
- Ma non ne siamo sicuri… insomma… intrecciare lo sanno fare tutti e cucire basta della pratica…- non fraintendetemi, a me piace essere la nipote di Atena, ma era tutto così semplice…
- Sì, ma tu hai una dote innata per queste cose!-
- E anche se fosse? Lei non mi ha riconosciuta ed io non mi farei dei viaggi inutili…-
- E poi sei arguta e ragioni sempre prima di fare qualsiasi cosa…- non mi stava ascoltando. Tossii e lui si riprese.
- E ora?-
- Ti ci vuole un’ armatura! Sì, un’armatura degna di una parente di A…-
- Dì Atena e ti arriva un ceffone!-
- Okay, ho capito… dunque… credo che questa ti vada bene…-
Mi passò un’armatura di ferro e cuoio tutta intarsiata da riccioli greci. Era della mia misura e non la sentivo poi così pesante come mi era sembrato. Chi immaginava che mi sarebbe stata così comoda più avanti?
Essendo mattina quasi nessuno si allenava ancora, ma io iniziai subito. Ero carica e piena di voglia di iniziare. Ezechiele mi dette una mano, ci so proprio fare con la spada!
A poco a poco iniziarono ad arrivare anche altri ragazzi e Ezechiele andò con gli altri satiri. Mi allenai con Johanna, una figlia di Ares di 18 anni. Era molto forte e mi aiutò molto allenarmi con lei, diventammo amiche molto velocemente. È molto simpatica, era lì al campo da 3 anni. Mi raccontò come si era sentita lei quando era arrivata al campo, aveva circa la mia età. Era stata attaccata da dei figli di Aracne, non capiva nemmeno lei il perché, era figlia di Ares, non di Atena. Ci allenammo assieme per tutta la mattina, poi  andammo a pranzo e lì ci dovemmo separare: lei andò con i suoi fratelli e io andai con i figli di Ermes. Ed è qui che il mio allenamenti tornò molto utile.
Le sentinelle di guardia all’albero di Talia iniziarono ad urlare e a dare l’allarme, Clarisse e Johanna partirono subito all’attacco seguite dai figli di Ares. Io non potevo starmene con le mani in mano, no. Mi aggregai a loro… se solo mi fossi ricordata ciò che mi attendeva! L’avevo letto la sera prima nel libro di Percy Jakson, ma non avevo collegato le due cose all’inizio. Mi ritrovai davanti due giganteschi tori di metallo.  Non avevo  mai combattuto dei mostri veri prima d’ora e trovarmeli lì di fronte non fu una bella sensazione. Prima il coraggio di fare qualcosa per il campo, poi il terrore di non sopravvivere. Mi parai con lo scudo che mi aveva dato Ezechiele e cercai di ferirne uno con la spada. La mia mossa non funzionò proprio benissimo. Ora avevo sicuramente la sua piena attenzione, ma ero in difficoltà non c’era dubbio. Lanciò un’alitata di fuoco che parai in tempo, anche se lo scudo di sciolse sul mio braccio e dovetti togliermelo. Che fare? Ora ero pure senza difese. Per fortuna arrivarono altri eroi ad aiutarmi, anche se la situazione non passò a nostro favore. Alzai la spada in aria e l’abbassi sul muso del mostro. Stavolta l’avevo colpito, ma gli avevo solo fatto un taglietto quasi invisibile che sprizzava delle scintilline deboli.  Lui comunque non la prese molto bene e con una botta mi scaraventò fuori dai confini del campo, caddi di schiena. Una cosa positiva che ho ereditato da mio nonno, quello divino, è la cocciutaggine. Mi ritirai su e dissi:- Ora ti faccio vedere io chi va fuori dal campo!- Mi ributtai nella mischia più agguerrita di prima. Essere arrabbiati, però, non aiutava molto, soprattutto senza scudo a difesa dei colpi frontali. Continuai a provare a colpirlo con la spada, ma con scarsi risultati. Non sentivo neanche la fatica per la rabbia che avevo dentro, mi battevo non più per il campo. Era diventata una questione personale tra me e lui. In quel momento la ragione di Atena era quasi invisibile, se non scomparsa del tutto.
- Forza, figli di Ares! Non mollate!- incitava Clarisse nel vivo della battaglia
Stavamo perdendo guerrieri su guerrieri ma non mollavamo. Johanna tirava fendenti e aveva ancora lo scudo saldo sul braccio.
In tutto quel trambusto sentii qualcuno che si avvicinava su per la collina, tre rumori diversi di passi… altri mostri? Uno sì, ma gli altri due no. Gli altri due erano dei ragazzini, all’incirca più piccoli di me, anche se non lo potevo capire bene dai passi. Parlavano tra di loro. Erano un maschio e una femmina. Il maschio era più avanti e stava per arrivare, la femmina era più indietro con il mostro. Non mi disconcenrai dalla battaglia, poi Clarisse disse:- Jakson, non ho bisogno del tuo aiuto!-
E allora capii. I passi che avevo sentito erano di Percy, Annabeth e Tyson! La ragione scelse il momento peggiore per tornare. Sentii una fitta al costato e volai diretta  sparata nella acqua della baia. Arrivata in mare sentii come una sensazione di piacere e di miglioramento psicologico e fisico. Mi sentivo più forte e vigorosa… non è che mio nonno … no, non è possibile! Tornai sulla spiaggia e corsi verso la battaglia stavolta mi battei con tutta me stessa senza togliere lo sguardo dal toro metallico. Ora c’eravamo solo io e lui… e Tyson, che gli mollò un paio di cazzotti ben assestati sul muso. Il mostro barcollò un po’ con il naso mezzo schiacciato, io ne approfittai per scivolargli sotto le gambe e ferirne una, che cedette sotto il peso dell’animale il quale iniziò ad annaspare per terra. Anche l’altro non era messo meglio,  Percy lo stava facendo stancare. La sua tecnica era perfetta, non pulitissima, ma funzionava. Dopo un po’ di lotta anche l’altro cadde a terra ormai sfinito. Tutti noi guerieri festeggiammo la buona riuscita della difesa del campo e ci dirigemmo verso l’interno di esso.
 
 
 
   
 
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