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Autore: Miriam85    27/02/2006    11 recensioni
Una piccolissima one-shot, ovviamente ZONAMI, ispirata a quando Nami si ammalò.
Come sempre, vi chiedo consigli, commenti... voglio crescere e migliorarmi!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non era preoccupato. Proprio no. Furioso, sì, e rabbioso, certo. Anche frustrato, in un qual certo senso. Ma preoccupato? Non diciamo sciocchezze.
In primo luogo, per essere preoccupati occorre una motivazione. Una motivazione valida, per gli dei, non un po’ di febbre e di respiro affannato! Era imbarcato su una nave pirata, o su un maledetto asilo galleggiante? In secondo luogo, bisogna provare un qualche sentimento, no? Sì, un qualcosa di quel genere, una specie di affezione per l’oggetto della preoccupazione; altrimenti che senso avrebbe il preoccuparsi in sé? Ecco. Appunto. Di questi due presupposti essenziali, Zoro sentiva di non racchiuderne neppure uno. Anzi.
L’unico sentimento che il suo forte, oscuro cuore sapeva contemplare in quel momento era il fatto d’essere costretto a vegliare quell’inutile cartografa in preda a spasmi febbrili.
Sedette, sbuffando, sulla sedia in paglia posta accanto al letto di lei. Nella notte, la Going Merry veleggiava, leggera come una graziosa farfalla, illuminata da una generosa e brillante falce lunare, mentre lo scrosciare delle onde cullava piacevolmente i suoi abitanti. Tutti assopiti, in preda all’angoscia, e l’unico consapevolmente immune a quella preoccupazione costretto alla veglia, balia recalcitrante di una donna capricciosa e debole.
Era caduta, in quel caldo e assolato pomeriggio, sul legno del ponte, come una cosa morta. In capo a qualche ora, era riuscita a peggiorare esponenzialmente, sino a ridursi a quella creatura debole e tremante, dalla rossa chioma scompigliata, e labbra spalancate in faticosi respiri che ora giaceva nel letto innanzi a lui.
Quante storie, per un po’ di febbre! Non solo era un soggetto socialmente inutile, ma per di più dannoso: a causa sua, avrebbero dovuto cambiare rotta, per cercare un dottore. Pfui! Un dottore per un po’ di febbre. Come usare un lanciafiamme per accendere una sigaretta…
Lei mugolò qualcosa. Volse il capo di lato, come a sfuggire da chissà quale orrore onirico, e la pezza bagnata che le avevano posto sulla fronte cadde sul cuscino madido di sudore; ovviamente, ciò comportò un nuovo sbuffo da parte dello spadaccino. Si guardò attorno, con l’aria più innervosita che riuscì a produrre, quindi allungò una grande mano, dalla pelle cotta dal sole, e rimise la pezza al suo posto.
Non erano mani delicate, le sue, ma cosparse di spessi ed antichi calli; grandi e ruvide, le sue mani, screpolate dagli interminabili allenamenti cocciutamente perseguiti nel vento, nella pioggia, nella neve. Non mani adatte a carezze. E nemmeno il suo carattere lo era. Rudemente, le sistemò quello straccio bagnato, sfiorandole la pelle quasi per sbaglio, e chissà perché perse un respiro, quando lei riaprì gli occhi.
Aprì la bocca, forse per dire qualcosa. Era così secca, così dannatamente secca. La richiuse, faticosamente, e quindi riprovò.
“Zoro?”
“Non è ancora sopraggiunta la cecità, eh?” Dissimulò il fastidio d’essere stato scoperto nell’accudirla, retrocedendo velocemente verso lo schienale, e stiracchiandosi con una pigrizia tutta sua. Tirò il collo all’indietro, con un breve sospiro soddisfatto, cogliendo distrattamente la sfumatura rossastra del tetto in legno illuminato dai danzanti riflessi di luce di candela.“Suppongo intervenga solo allo stadio finale della terribile, virulenta e inarrestabile… febbre.”
“E’ notte.” Nami volse faticosamente il capo, esplorando la stanza. Cercava qualcun altro, un infermiere meno brusco dello spadaccino? Beh, le andava male. L’unico cretino incastrato per quel turno di veglia notturna era lui.
“Sì, è notte.” Confermò, sistemandosi a braccia conserte, e fissandola con la sua solita freddezza. “Dormi e zitta.”
Per la prima volta da quando la conosceva, lei parve voler obbedire ad un suo ordine; le palpebre si riabbassarono lentamente sugli occhi arrossati dalla malattia, ma subito li riaprì. “Ho sete.”
“Non è una nave di pirati, è un maledetto asilo!” Lui sbuffò, alzandosi di scatto. I piedi della sedia stridettero contro il pavimento, mentre, nella penombra, lo spadaccino rinveniva una caraffa e un bicchiere. “Toh. Tirati su. Bevi.”
Per quanto riguardava il ‘bevi’, la mente di Nami si rivelò perfettamente d’accordo; oh sì, voleva dannatamente bere. Il concetto del ‘tirati su’, invece, le risultò alquanto alieno, oltre che fisicamente impossibile da mettere in atto, dato che tutte le sue membra sembravano aver ottenuto una libera uscita. I significati impliciti dell’espressione ‘toh’ furono, infine, rimandati in tutt’altra sede, magari una sede futura dove le fosse stato possibile distinguere tra lo Zoro vero e gli altri due fittizi.
Dato che non c’è il due senza il tre, lui emise un terzo sbuffo. Sedette con la delicatezza di un pachiderma sul bordo del letto, non sapendo bene come calcolare il migliore modo d’agire. Infine, arrendendosi all’evidenza della necessità di un contatto fisico, le fece scivolare un braccio sotto al capo – così bagnato, così caldo – e la sollevò leggermente, premendole il bordo del bicchiere alle labbra. Le coperte scivolarono, scoprendo sulle spalle nude la stessa pelle bianchiccia del volto. Il seno premeva contro il tessuto umidiccio, alzandosi ed abbassandosi con dolore ad ogni respiro. Quante storie, per un po’ di febbre…
L’aiutò a bere.
Era un gioco complicato, resistere alla fretta di inclinarlo troppo, seguire il suo calmo ed affaticato ritmo; e le sue pause: due o tre volte, staccò il contatto con il liquido, rovesciandone distrattamente qualche goccia; chiudendo gli occhi, poggiandosi a lui. Zoro, ovviamente, non mancò neppure una volta di sbuffare e riprenderla, incitandola a bere.
Infine, se il cielo volle, l’acqua finì. Nami emise un sospiro vagamente somigliante a un grazie, mentre lui l’abbandonava nel suo letto; era così calda. Chissà se più calda, rispetto alla sera prima. Non aveva certo pensato a toccarla, ed ora si sentì stupido: già che doveva perdere tempo e sonno per accudirla, tanto valeva tenere sotto controllo la situazione.
“Ti hanno… incastrato a fare… la guardia?” Gracchiò lei, sorridendo tristemente al soffitto. Lui le voltò le spalle, riponendo il bicchiere, e riaccomodandosi sulla sedia.
“Sì.” Sbuffò. “E ci tocca anche cambiare rotta, a causa tua.”
“E Bibi…?” La principessa, lei doveva tornare al più presto al suo paese. Non c’era tempo da perdere, o…
“Minaccia chiunque pensi sia una perdita di tempo fermarsi a curarti.”
“E chi lo pensa?”
“Io.”
“Già. Ti hanno… costretto...”
Si addormentò nel giro di poco. Lui ritenne legittimo sbuffare ancora una volta, così come legittimo prendere una delle sue piccole, delicate mani tra le sue. Così, per sicurezza. Nel caso il polso diventasse troppo debole.
Perché il polso dovesse indebolirsi oltre la soglia di sicurezza solo per una banale febbre, fu una dissonanza cognitiva che il cervello di Zoro non ebbe voglia di affrontare.
Così come il perché dovesse continuare a lamentarsi e sbuffare. Una cosa non troppo logica, dato che la sera prima aveva persino fatto a botte con Sanji, per poter badare a lei.
Le dita di Nami si strinsero attorno alle sue.


  
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