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Autore: Natalja_Aljona    08/06/2011    2 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Cinquantatré - El Cairo, 8 Dicembre 1828

L'infanzia è la cosa più bella che hai


Sei tu che porterai il tuo amore

Per cento e mille strade

Perché non c'è mai fine al viaggio

Anche se un sogno cade

(La vita è adesso, Claudio Baglioni)


Natal'ja, queste parole avrei voluto dirtele da quel giorno.

Mia pestifera cuginetta, io non ti ho mai abbandonato.

Natal'ja, due anni sono passati.

Sfumati su una lapide di pietra bianca, i venticinque che non ho mai compiuto.

Natal'ja, adesso ascoltami.

Io ti voglio bene come allora.

Natal'ja, vorrei che te li ricordassi, gli occhi del bambino che hai aiutato a rialzarsi al Campo di Omsk, perché è stato lui a spararmi, quel giorno.


-Cambiati, che così sei un indecenza!-

Queste erano state le parole di Talia alla vista della camicia malconcia di George.

Le sembrava si fosse rimesso e, sebbene molti briganti, sommando il periodo di guerra al sole a picco, andassero in giro con la camicia sbottonata o strappata sul campo di battaglia, le pareva poco decoroso -per quanto del decoro le fosse sempre importato relativamente poco- che suo nipote sfoggiasse un simile abbigliamento in presenza della sua ragazza...a maggior ragione davanti a quella ragazza.

-Lei e sua nonna sono pinguini, al loro paesucolo stanno tutto il giorno col cappotto abbottonato fino alla gola...peccato che non si siano strangolate!-

-Nonna!-

-"Nonna" sarà tua sorella, ciccio. Ehi, giovanotto, non ho ancora compiuto quarantacinque anni!-

-Scusami, Talì- ridacchiò George, beccandosi istantaneamente uno scappellotto sulle orecchie.

-"Talì" è un'esclusiva di tuo nonno. Per te io sono Talia, Talia Azvalakos-

-Ancora con il tuo cognome da nubile, Talì?- insistette il ragazzo, sempre più divertito.

-Si capisce. A quel bisonte di Leonida ho concesso la mia mano, mica la mia libertà-

I due parlavano in greco e Luce riusciva a seguire solo qualche parola -essenzialmente i nomi e le pause-, ma ugualmente sorrise.

Come notò il suo sguardo estasiato, Talia assestò una bella gomitata nella spalla del nipote.

-Cambiati, cicisbeo!- ordinò, lanciandogli una camicia di Leonida tutta appallottolata.

Subito dopo lanciò uno sguardo di sufficienza alla ragazzina, l'afferrò per un braccio e le indicò la porta.

-Tu no, eh!-

I due ragazzi si scambiarono un ultimo sorriso.

Definirlo ultimo, poi, era un'eresia, ma i due colombi non avevano affatto gradito quell'allontanamento obbligatorio.

E, per essere come al solito coerente con se stessa, Talia se n'era fregata.


Una volta sola -"non ho voglia di stare a controllare l'innamorata di quel diavoletto", era stata la spiegazione di Talia-, Luce si concentrò sulle incisioni e sui quadri appesi al portone -si capiva che era la camera di un rivoluzionario!-.

Poi intravide un sottile spiraglio di luce tra la porta e lo stipite e i quadri e le incisioni persero qualsiasi forma di fascino ai suoi occhi.

George -non riuscì a trattenere un sorriso nel vederlo- stava ancora armeggiando con la camicia.

Forse aveva bisogno d'aiuto...no. Avrebbe potuto essere inteso in ben altri modi, quel genere di "aiuto" .

Come vide la camicia cadere sul letto, tutte le regole sulla convenienza che aveva imparato le sfrecciarono nella mente.

A quel punto, per buona educazione, se non altro, avrebbe dovuto voltarsi, o perlomeno -facciamola più semplice- distogliere lo sguardo.

La curiosità, però, vinse di gran lunga sulla convenienza.

Seguì con lo sguardo tremante ed il cuore che batteva forte il profilo del ragazzo, quei segni molto più chiari sulla sua pelle abbronzata che gli attraversavano la schiena...

Di chiudere la porta, ormai, non se ne parlava neanche.

Addirittura fu tentata di aprirla maggiormente e questo fu forse il gesto più azzardato.

Avvertì un fastidioso ed incredibilmente nitido cigolio e...il suono limpido di uno sguardo che si posava su di lei, facendole mancare il respiro.

George si era voltato.

Nei suoi occhi, come in un quadro, c'era un soffuso sfondo di stupore, una pennellata di divertimento e una sottile pagliuzza d'imbarazzo, sebbene il suo sorriso lusingato dicesse tutt'altro.

Forse perché non aspettava altro, il furbetto.

-Allora, l'hai vista?-

Luce era confusa.

-Avrei dovuto vedere...uhm...qualcosa?-

George scosse la testa, sorridendo con tenerezza.

-Vieni-

-Ma tu...tua nonna...-

-Lascia perdere mia nonna, che se avesse sempre fatto quello che ha imposto a te adesso non avrebbe quattro figlie- le fece cenno di avvicinarsi -Io voglio bene a Talì, ma certe volte...- notò l'imbarazzo nei suoi occhi, dopodiché distolse i suoi.
-Non ho idea di quanti figli tu voglia, ma per oggi mi limiterò a parlare. Vieni?-



Come gli fu vicina, le prese la mano e se la posò poco sotto la spalla.

La sua pelle scottava ancora, constatò Luce, ma anche lei scottava, in quel momento.

-El Cairo, 8 Dicembre 1828. La mia prima battaglia. Midan Ismaileyya, gli spari, questi spari. Era il giorno dell'Immacolata. Quel giorno, però, avrei dovuto dire addio ai miei sette anni immacolati. "Ti abbiamo visto, Geórgos", mi diceva Ardashir Bahram, il capo dei Turchi. "Sei un ragazzino coraggioso e intelligente, saresti sprecato come schiavo". Mi ha messo in mano una pistola, ordine di Pascià. Ero insieme ad altri bambini greci, turchi ed egiziani, ma ho sempre avuto il sospetto di essere tenuto d'occhio in modo particolare. "Il protetto di Ibrahim Pascià", mi chiamavano.

Conosci la storia di Geórgos Karaiskakis?-

Luce scosse la testa, sedendosi accanto a lui sul letto.

-Era un Kléftis brillante, addirittura migliore di Leonida, ma non era della nostra banda. A quindici anni è stato rapito dalle truppe di Alì Pascià, sai, il padre di Ibrahim, il padre del mio Pascià. L'hanno liberato quasi subito, però. Avevano riconosciuto in lui un ragazzo prestante e dalle mille astuzie e naturalmente non potevano lasciarselo scappare, quei cani. Lo stesso hanno fatto con me, che pure non ero così eroico e avevo la bellezza di sette anni.
Ero un bambino ingenuo, Lucy, mi mancavano mamma e papà, anche se quest'ultimo non lo vedevo quasi mai. Era sempre sulla nave, sebbene non fosse ancora capitano. Ero convinto che anche loro mi volessero in Egitto, che anche loro volessero così.
Credevo negli Eroi, l'Iliade era la mia bibbia, è così ancora adesso. "Ettore, or chiaro saprai da solo a sol quai prodi ancora rimangono agli Achei dopo il Pelìde cuor di lïone e rompitor di schiere". Volevo essere uno di quei prodi e all'inizio pensavo che volessero aiutarmi proprio in questo, gli Egiziani. Aiutarmi!

Il Sultanato d'Egitto era contro i Greci, avrei dovuto capirlo subito. E' da quel giorno al Cairo che ho cominciato a sognare di scappare.

Ci sono state altre battaglie, altri spari, altre cicatrici. Sono riuscito a salire su quella nave per miracolo, con quella ragazza gentile e il turco dagli occhi azzurri. Sono tornato a casa, ma quante lacrime, Lucy, quante lacrime...si mescolavano al mare, bruciavano e mi facevano capire che non sarei più stato un bambino, mai. E io non volevo, Dio, non volevo...l'infanzia era la cosa più bella che avevo!-

George cercò la sua mano, la strinse forte.

Luce appoggiò la testa sulla sua spalla bollente.

-Dimentica le lacrime, dimentica gli spari...l'importante è non dimenticare il proprio nome, mai. Me lo diceva sempre, Feri, me lo sono ripetuta mille e mille volte, quando ero laggiù. Al Campo eri perduto solo nel momento in cui dimenticavi chi fossi. Prima, avevi ancora una speranza. Prima, potevi ancora salvarti-

-Al Campo?-

Lei chiuse gli occhi e ripensò al freddo pungente della sua città, alla crudeltà cieca dei lavori forzati e agli occhi verdi di quel bambino a cui aveva teso la mano.

Una cosa, in fondo, l'aveva imparata anche laggiù.

-Non usare l'imperfetto, Georgie, non usarlo mai più. L'infanzia è la cosa più bella che hai-


Io e te che facemmo invidia al mondo

Avremmo vinto mai

Contro un miliardo di persone?

(Mille giorni di te e di me, Claudio Baglioni)



Note


Midan Ismaileyya (arabo): Piazza Ismailia, antico nome di Piazza Tahrir.


Allora...ho un paio di cose da dire su questo capitolo.

Le frasi in corsivo sono di Nikolaj. Può sembrare assurdo ma è così.

Le circostanze di questi pensieri non sono chiare neanche a me, ma penso che una persona , anche quando non c'é più, abbia sempre qualcosa da dire ai suoi cari...e in questo caso la verità su Nikolaj ho voluto esprimerla così.

Tenete bene a mente il bambino dagli occhi verdi del Campo di Omsk, perché l'avete già incontrato, anche se in un capitolo solo.

In questo capitolo ho approfondito la storia di George, mentre la prima scena...beh, la prima scena è la prima scena, punto.

Come direbbe Baglioni in Mille giorni di te e di me, “come la nostra prima scena”. ;)

Insomma, spero che vi sia piaciuto!


A presto!

Marty




  
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